PAROLE . . .

Parole…

di Mirosa

Anche se il pomeriggio era ormai inoltrato, faceva ancora parecchio caldo e a Kim sembrava che il Maestro fosse non solo stanco, ma alquanto sofferente.

Avevano camminato quasi tutto il giorno, un giorno afoso e soffocante troppo per non essere ancora in piena estate.

Il Maestro, poi, non aveva quasi mangiato né bevuto. « Come faceva » — si chiedeva Kim che, al contrario, gli stimoli, anzi i ruggiti dello stomaco li sentiva e come.

Sant’uomo, il Maestro, ma sempre tanto assorto in chissà quali pensieri da non vedere mai o quasi mai la ciotola, generosamente offerta, colma di riso e di altre buone cose, o un bel cesto di frutta da buttarcisi su a piene mani e bocca.

Queste cose, il Maestro non le vedeva, come non vedeva un ciottolo o una radice sporgente, da evitare, in mezzo al sentiero. « Se non ci fossi io » si diceva Kim « quante volte il Maestro sarebbe inciampato, quante sarebbe caduto? E le sue povere ossa non sarebbero andate a pezzi?

Però… era strano: il Maestro, che non vedeva tutte queste cose, ne vedeva, o meglio ne sentiva o ancor meglio ne « sapeva » tante altre. Come quella volta che lui, Kim, di nascosto, un mattino, aveva accettato un pane grosso così, farcito di tante buone cose, e di nascosto — per necessita prossime future — lo aveva riposto nella sacca che si portava sempre a tracolla. Più tardi, sentendo quei soliti ruggiti già alla bocca dello stomaco, arzigogolava come fare a tirarlo fuori. E il Maestro, tutto ad un tratto, mentre continuava nel suo cammino: « È buona cosa per te mangiare, ne hai ancora bisogno, tu. Bisogna dare nutrimento al corpo perché da un corpo sano trae giovamento anche lo spirito e uno spirito rafforzato potrà più facilmente trovare la Via. Ecco: adesso ci fermiamo e tu, figliolo, mangiati sereno il tuo buon pane A quel buon pane non era stato per niente difficile, a Kim, far trovare la via, giù verso lo stomaco affamato.

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E anche quell’altra volta… Faceva molto caldo anche quel giorno; erano arrivati sulle sponde di un piccolo lago e Kim moriva dalla voglia di buttarcisi dentro per rinfrescarsi, ma gli sembrava sconveniente e poco riguardoso piantare lì il Maestro, spogliarsi dinnanzi a lui e correre via a farsi una bella nuotata. E anche quella volta, ecco, il Maestro: « Che buona acqua! Certo non si dispiacerà se tu te ne rinfreschi. Perché non fai quella buona e sana nuotata che tanto desideri? Vai, figliolo, vai! Io mi siedo qui e anch’io mi rinfresco ».

Il Maestro, si diceva, Kim, leggeva in lui come in un libro; « vedeva » i suoi pensieri, i suoi desideri, come « vedeva » le pene, gli affanni, le gioie, i dolori e le ansie delle persone che incontrava e che a lui si rivolgevano per averne sollievo, conforto, partecipazione, perché anche le gioie, quando sono grandi, devono essere spartite.

Mentre così rimuginava fra sé e sé, Kim con il Maestro si era avvicinato ad un grande albero e Kim pensava che si sarebbero dovuti fermare.

« Oh! che buon albero. Certo non si dorrà se godremo un po’ della sua ombra e del fresco che le sue buone fronde ci regaleranno ». « Meno male! » si disse Kim, che continuava ad essere in apprensione per la salute del suo Maestro, che vedeva più stanco e sofferente.

Kim, pratico di cose pratiche, con qualche manciata di muschio aveva fatto una specie di giaciglio sul quale il Maestro potesse riposare.

Il Maestro si era adagiato e ora teneva gli occhi chiusi; così fermo, così pallido, a Kim sembrava morto e Kim si era sentito il cuore farsi piccolo come una prugna secca. Solo osservando attentamente il Maestro, ne aveva visto il petto Sollevarsi per una quasi impercettibile respirazione. Il sospiro di sollievo di Kim era stato così grande da sembrare una folata di vento.

« Ma davvero il Maestro sarebbe potuto morire? » si chiedeva Kim. « Quanti anni aveva? Ottanta, cento, cinquecento? Forse non aveva età. Forse era nato da sempre e da sempre era così, con capelli lunghi e bianchi, con barba lunga e bianca, il volto che sembrava

« Parola bella! Ma vedi, anche con la parola “fratello” si pensa ad un legame di sangue, che non necessariamente comporta affetto ed aŒnità di sentimenti. Trovi famiglie in cui le vite di due fratelli corrono parallele, ma non SI incontrano mai né lo desiderano. Ognuno per la sua strada, con il suo carattere, la sua indole, i suoi particolari interessi, come estranei pur portando ognuno in sé qualche cosa dell’altro. Ma non lo sentono; sentono invece di esser pronti a sbranarsi per un fazzoletto di terra ricevuto dai geni. tori. Guai alle strade fraterne che si incrociano in tale modo! ». « Non gli va bene niente, oggi » pensava Kim « E amico? » provò a dire.

« Parola ricca! Non ha legami di sangue, L’amico non ti viene dato, non te lo trovi per volontà altrui. L’Amico si sceglie. Ma che scelta difficile! Pronti a sedersi alla tua tavola imbandita, a condividere il tuo stato di ricchezza, di potere, di gioia, ne trovi tanti di amici. Ma quando tu fossi malato ed in miseria, quanti di quegli amici si ricorderanno di te? Troveranno ancora tempo e voglia per venire a curare le tue piaghe, per regalarti un sorriso, una parola di conforto? Amici ce ne possono essere tanti, di veri pochi, come pochi sono i veri Maestri. Forse l’Amico è Uno solo, quello che è anche Fratello, che è vero Padre e che è il vero Maestro. C’è, ma la via per trovarlo è lunga e difficile.

Attento, dunque, figliolo, alle parole. Possono essere solo vento. E non usarle come un vestito. Un vestito può essere indossato da tutti e a tutti può essere regalato. Se è bello, ognuno che lo indosserà, ne sarà fiero, se ne pavoneggerà e se ne sentirà gratificato. Ma anche il più bel vestito, se non se ne avrà avuto cura, si macchierà, si sciuperà, andrà in pezzi e brandelli. Di quel bel vestito, allora, non resterà nulla se non avrà racchiuso qualche cosa di importante, se non avrà significato veramente qualche cosa ».

Nel pomeriggio ormai volto al tramonto, seduto all’ombra del grande albero, Kim aveva una grande confusione in testa e non gli riusciva di comprendere proprio tutto quello che il Maestro gli aveva detto.

Quello che sapeva, e con sicurezza, era che a quel sant’uomo, comunque lo potesse chiamare Maestro-Padre-Fratello-Amico, voleva

un gran bene e, dicesse pure. cose che ora gli riuscivano più buie della notte, gli avrebbe voluto sempre bene e vederlo ora più riposato e più in salute, gli dava tanta gioia, tanta che avrebbe voluto cantarla.

« Lascia cantare gli uccelli. Ascolta! Ascolta il loro cinguettare, ascolta Io stormir del vento tra i rami di questo buon albero. Ascolta. Anche se non li puoi chiamare con un nome, essi sanno i cori che vanno eterni fra la terra ed il cielo, Essi, forse, hanno trovato 1a Via!

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scavato nella corteccia di albero e quegli occhi! ». Kim era convinto che nessuno al mondo avesse occhi come il suo Maestro: del cielo avevano il più limpido azzurro e la serenità quale solo l’aurora può dare. In essi ci si poteva smarrire in un infinito di pace.

Anche le sue parolc davano pace. A dir la verità, non tutte erano chiare. A volte Kim non le capiva proprio. Il Maestro non se ne inquietava; aveva tanta pazienza il Maestro! « Vivi, vivi, figliolo, un giorno capirai, comprenderai ed allora anche tu troverai la Via. Un giorno, senza che tu ci abbia pensato troppo… quasi all’improvviso… le cose ti saranno chiare. Sì, senza pensarci. Ma… bisogna volerlo. Volerlo

Kim non aveva ancora ben capito cosa fosse questa « Via » da cercare e da trovare. Oh! , di vie e di strade ne aveva percorse tante con il suo Maestro, e tante ne aveva smarrite, per poi ritrovarle, a volte con parecchia fatica. Il Maestro gli diceva di non preoccuparsi: « Col tempo… col tempo… ».

Kim riconosceva di dover al suo Maestro se, tutto solo come si era trovato ancora fanciullo, da certe strade, brutte, che avrebbe potuto prendere e sulle quali perdersi, si era tenuto lontano.

Ma che cosa era la « Via »?

II Maestro, frattanto, col riposo sembrava star meglio. Kim aveva molto temuto; e se il Maestro fosse morto? E fra tanti pensieri angosciati, uno si era fatto strada, curioso ed assillante: ma come si chiamava il suo Maestro?

Kim lo aveva sempre e solo chiamato così « Maestro » , ma un nome il sant’uomo lo doveva pur avere! Il Maestro lo chiamava « figliolo » « caro figliolo » e in altri modi ancora, tutti tanto affettuosi, ma lui, il « figliolo » un nome l’aveva: Kim e gli sembrava pure bello. E poi si sentiva Kim! Ma il Maestro… senza un nome… Come lo avrebbe chiamato e ricordato, anche agli altri, il giorno che il Maestro non ci fosse più stato? Doveva chiederglielo al più presto.

Il Maestro aveva aperto gli occhi. « Stai meglio, Maestro? Ti occorre qualche cosa. Un po’ d’acqua? ».

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« Oh! per l’acqua c’è tempo. tempo invece per le tue domande. Di’ pure, figliolo. È tempo giusto per parlare ».

« Maestro, come ti chiami? Quale è il tuo nome? » domandò Kim, tutto d’un fiato.

« Ha tanta importanza un nome? Questo albero che ci regala buona ombra, ha un nome? Non credo. C’è e non domanda altro che di essere, così, senza un nome, come gli uccelli che giocano e cantano fra i suoi rami. Gli uomini, sì, si danno un nome e forse ne hanno bisogno per soddisfare il desiderio di vederlo scritto su un pezzo di carta, sulla porta di casa, sulla loro tomba. Poi il pezzo di carta si brucia, la porta cade e la tomba si ricopre di erbe. Ed il nome si smarrisce. Niente era prima e niente tornerà ad essere, dopo. Un nome! Un po’ di fiato nel vento! Quello che c’è dentro di te, quello, non sia fiato di vento! ».

« Ma io, un nome ce l’ho: Kim. Mi piace e mi ci sento dentro ». « Sì, Kim è un bel nome e di Kim forse ce ne sono molti. Potresti confonderti con tutti gli altri Kim ed esserne confuso. Attento! ». « Se non vuoi avere un nome, allora continuerò a chiamarti Maestro » disse conciliante Kim.

«Non c’è maestro che non sia stato allievo, o discepolo, se ti piace di più, e non c’è discepolo che non sia anche maestro. Tutti impariamolo ed insegniamo allo stesso tempo e così tutti ci aiutiamo reciprocamente o almeno così dovrebbe essere. Figliolo, tu fa’ che sia così e più facilmente troverai la Via ».

« Sempre questa benedetta “via” » pensava Kim e poi chiese: « Potrei chiamarti Padre? »

« Cosa vuol dire Padre? Abitualmente si dice padre colui che ha generato una creatura. Non è il caso mio. E non è detto che questo procedere fisico sia anche un procedere sulla via dell ‘amore. Sì, certo è una bella immagine quella del padre che ha cure e premure per la creatura che ha generato. Molto spesso, però, la vita ci presenta padri che non si preoccupano affatto dei figli; a volte non sanno neanche di averli generati; altre volte non lo vogliono ammettere; altre volte ancora se ne scordano bellamente. E il legame del sangue tace ».

« Posso chiamarti Fratello » provò a dire Kim.

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