LE UTOPIE: DALLA FILOSOFIA ALLA ESPERIMENTAZIONE SOCIALE

LE UTOPIE: DALLA FILOSOFIA ALLA ESPERIMENTAZIONE SOCIALE

  1. il sogno di una società perfetta che da Platone, secondo.un itinerario filosofico privo di soluzioni di continuità, via via sino agli ideali del Rinascimento, passando per il travaglio della Riforma prima e della Controriforma poi, porta il pensiero dell’uomo ad uno sforzo, più spesso poetico che scientifico e razionale, teso ad idealizzare le forme di governo migliore, sino ad un Rousseau che concretizza, forse definitivamente, una prospettiva d’azione per La prima volta attualizzata in determinati concetti applicati poi nella Rivoluzione Francese.

Consideriamo dunque per un attimo la storia della filosofia della politica come contmuum, un unico pensiero evolutosi nei millenni, divaricatosi curiosamente in mille rivoli che hanno portato, nel corso della storia, ad adattare l’indicazione del filosofo politico alla situazione storica contingente: diviene dunque interessante una correlazione tra il fenomeno platonico e la lunga serie di Utopie che, forma poetica non del tutto desueta ancora oggi e ravvisabile forse anche in certi modelli econometrici in uso nei manuali di politica economica, utopie, dicevamo, che diversi studiosi hanno descritto per concretizzare il loro ideale di modello perfetto di forma di governo.

Platone ci interessa per il suo pragmatismo, per la sua caratterizzazione di pessimista storico; egli non individua la migliore forma di governo tra nessuna delle forme conosciute: la storia come regresso indefinito, come degenerazione continua, ne fa uno storico della decadenza degli starti.

Timocrazia (governo basato più sull’esaltazione dell’onore che della sapienza; il guerriero-re piuttosto che il filosofo-re, l’esempio è Sparta), e via in ordine decrescente e secondo un processo degradante automatico basato sugli avvicendamenti generazionali, oligarchia, democrazia e tirannia.

La comunità umana è condannata alla forma più deteriore di governo: la tirannia che, per opposizione, è la più lontana dalla forma perfetta in quanto ne è negazione e corruzione; il re-filosofo o, comunque gli oligarchi filosofi (per Platone non v’è differenza nel numero dei sapienti che devono governare), appartengono al mondo degli ideali irraggiungibili, sono, secondo l’accezione moderna della parola 1’« utopia antica », e, per il Nostro, erano la forma di governo dei padri, la prima da cui, per corruzione, si sono generate tutte le altre, secondo una sequenza scandita drammaticamente dai mutamenti generazionali e mossa dall’indole corrotta degli uomini, dalle passioni che prevalgono sulla savietà.

Sembra, e lo vedremo più avanti nel nostro breve excursus sulle Utopie, che l’uomo non sia capace di costruire una griglia di progetti di forme di governo senza porsene una ideale ed irraggiungibile quale modello da imitare. È una limitazione che l’uomo si dà? Ë la necessità di un ideale guida? È il bisogno di affidarsi comunque ad un principio quasi religioso superiore ed immanente? Perché anche l’illuminismo non riesce a svincolarsi da questo concetto profondamente pessimista? Ecco dunque il concetto reale di Utopia: oU TOPOS, posto che non esiste ma che è anche irraggiungibile. Avremmo discusso di banalità se non cercassimo di leggere in chiave critica tutto ciò. Platone è coerente con se stesso? È realmente convinto che la sua utopia sia una forma ideale esistita, forse, presso gli antichi, ed ormai perduta per sempre a causa del corrompersi dell’umano genere?

Nella Repubblica e nel Politico, sia dunque nella descrizione delle forme di governo e sia nella descrizione del miglior governante, Platone lo afferma convinto: « la migliore forma di governo è un ideale filosofico

Nella realtà sono possibili solo forme imperfette tra le quali si deve optare per le meno lontane dalla monarchia del Re-filosofo. Eppure Platone — uomo del suo tempo, e grande del pensiero umano, contraddicendo se stesso — (è questo che lo fa amare come campione del nostro genere), non si arrende alla logica del suo pensiero e disperatamente, contro ogni osservazione storica e consequenziale, cerca di ribaltare la corsa pazza dell’umanità verso la tragedia della tirannide; ecco il punto centrale da sottolineare: egli, nonostante l’apparente ineluttabilità del suo pensiero tenta un « esperimento ». Cerca

di costruire la forma idealizzata di governo; cerca di trasformare una tirannide, la peggiore delle forme di governo individuate, l’ultima nella scala delle degradazioni politiche, nella migliore, cioè nel gœ verno del re-filosofo. fatto storico quello dei Platonici a Siracusa, ed è un peccato non avere fonti dirette sugli sforzi del filosofo per trasformare il tiranno; ma sappiamo del suo fallimento. Il perché del non rassegnarsi di Platone alla tirannide trova risposta nella sua modernità, nel suo spirito illuministico profondo, nella sua non confessata fiducia nel genere umano.

Ma tralasciamo la filosofia platonica e concentriamoci sul tentativo di realizzare una Utopia: siamo tre secoli prima della nascita di Cristo e 1’« esperimento sociale » non è già più una novità. Scientemente un filosofo tenta la trasformazione di materiale umano, avendo come fine qualcosa che non esiste se non sotto forma di idealizzazione teoretica.

L’esperimento fallisce, ma la prova effettuata garantisce che il risulta’to è raggiungibile: non nelle condizioni in cui Platone si trovava, né attraverso il metodo da lui attivato, ma con altri strumenti e su un altro scenario, l’Utopia doveva e poteva essere attuabile: ecco il senso positivo del tentativo platonico!

Attuare l’Utopia poteva sembrare ai filosofi della politica quasi toccare il cielo, era il raggiungere la perfezione!

Tommaso Moro, grande del pensiero, uomo vicinissimo allo spirito ed al pensiero massonico moderno, ha costruito la più famosa delle utopie, basandola sul concetto platonico della filosofia al potere e temperandone l’assolutismo attraverso una democrazia elettiva che premia solamente i migliori. L’accento, nella « Utopia o la migliore forma di repubblica », scritto nel 1515, non è però posto dal Moro tanto sul sistema politico di governo, quanto sulla organizzazione sociale e religiosa dell’isola ideale.

Moro, Visconte di Londra, speaker del parlamento e poi cancelliere di Enrico VIII, è uomo politico di massimo rilievo del suo tempo. Acceso parlamentarista, moderato, tollerante, antibellicista e antiformalista, testomonia col sangue la coerenza al proprio pensiero, rifiutando di appoggiare l’Atto di Supremazia con cui il Re d’Inghilterra si assumeva la direzione della Chiesa nazionale.

La sua Utopia è e resta tale: Moro pare non accingersi ad esperimenti di alcun genere, ma non rinuncia per questo al pragmatismo politico. Egli attualizza l’utopia attraverso dei suggerimenti che fanno del famoso componimento un vero e proprio programma socio-economico: la condizionalità delle pene, l’eutanasia, il lavoro obbligatorio, le sei ore lavorative sono alcuni dei grandi temi proposti.

Ma il nodo centrale della costruzione filosofica del Moro è la abolizione della proprietà privata. Ignorato il problema dagli antichi, la proprietà privata diviene il monstrum da cui derivano tutti i mali per le utopie che dal Moro in poi verranno elaborate dai filosofi. È un socialismo etico, ben inteso, che è alla base di tutti i meccanismi di funzionamento delle utopie moderne; l’economia è sempre spinta comunque da un interesse privato, secondo la elementare interpretazione capitalistica, ma esso si concretizza nella felicità piuttosto che sull’arricchimento: è il proprio piacere che spinge l’utopiano a produrre, in quanto lavora sei ore al giorno, non fa lavori degradanti, compie un’opera per cui è naturalmente portato, e non vuole essere da meno dei suoi perfetti, allegri, piacevoli concittadini.

Tutto in Utopia è in comune, case, cibi, abitazioni, tutto è uniforme, ed uguale: vesti, monili, le stesse abitazioni; non esiste il desiderio di ciò che un altro ha in quanto tutti possono avere le medeSime cose. Questo meccanismo etico, che non ha nulla di religioso, ma pecca certamente di edonismo, è il motore economico e sociale di Utopia. La descrizione dell’isola di Moro è interessantissima e pregna di contenuti filosofici pratici, politici ed esoterici; sarà interessante farne oggetto di ulteriori studi.

Ora verifichiamo, in parallelo con Platone, quale sia il contenuto sperimentale concreto dell ‘utopia del Moro: è il socialismo etico l’identificazione più profonda del pensiero del filosofo. Certamente egli non intendeva tentare la via del socialismo nell’Europa del XVI secolo, ma dare una indicazione precisa sulla improrogabile esigenza di egualitarismo che una società come quella inglese del ‘500 prepotentemente richiedeva.

Egualitarismo, giustizia sociale, abolizione dei privilegi e delle classi sfruttatrici del lavoro degli strati sociali sottomessi: questo è dunque quanto il Moro, in modo estremamente empirico, semina nel delicato momento storico che vive. Non si tratta di anticipazioni filosofiche assurde per il mondo contemporaneo d’allora, ma di indicazioni programmatiche. La prova è certamente in quanto avvenne in seguito, nemmeno due secoli dopo.

Ma procediamo ordinatamente sospendendo per un attimo l’analisi delle prove del reale contenuto « sperimentale » del pensiero del Moro, per esaminarne una famosissima trasformazione, o meglio una traduzione in termini ancora più chiaramente empirici: non ce ne vorrà l’autore, Tommaso Campanella, una personalità che ha dell’incredibile, e che affascina per l’impetuosità del pensiero e l’enciclopedica produzione letteraria.

Scienziato eclettico, animista, domenicano, passa con estrema facilità dall’astrologia alla medicina, dall’alchimia alla magia, dalle scienze naturali alla politica e alla meccanica. Sono proprio le sue fantasie circa il risollevamento economico e politico delle natìe Calabrie a costargli più di 30 anni della sua vita: nelle mani del Santo Uffzio, dal 1600 scampa alla morte fingendosi pazzo, ma è costretto al carcere più duro (passa 7 anni nella cella del coccodrillo del Castello di S. Elmo a Napoli, coi ferri a mani e piedi!). Campanella passerà trenta anni murato vivo, ma il suo pensiero è oggi una affermazione disperata della personalità, di un uomo nuovo che protesta la sua umanità.

Ma veniamo a noi. Abbiamo parlato di una traduzione in termini empirici dell’Utopia del Moro. Campanella infatti redige, nel suo volgare popolare ed erudito allo stesso tempo, « La Città del Sole — cioè dialogo di repubblica, nel quale si disegna l’idea di riforma della repubblica cristiana, conforme alla promessa da Dio fatta alle Sante Caterina e Brigida ». A capo di ques’altra isola immaginaria il Nostro pone, secondo l’ideale itinerario del pensiero platonico, il filosofo onnisciente, che è capo temporale, ma anche spirituale, sommo sacerdote, tramite con Dio. L’estrema interrelazione che esiste nella Città del Sole tra spirituale e terreno è probabilmente un atto di deferenza del Campanella nei confronti dei carcerieri: il paese è governato da una monarchia elettiva, che privilegia i più intelligenti ed i più colti, ma che dà a tutti le medesime possibilità. Andiamo ora al nodo centrale del Sistema campanelliano: anche nella Città del Sole, come in Utopia, non esiste la proprietà privata: « Tutte le cose son Communi… ».

Il Comunismo del Campanella è, come per il Moro, di ordine etico; ma meno lucidamente articolato, tale che inevitabilmente l’autore è costretto ad introdurre una serie di severi controllori della moralità pubblica: non riuscendo troppo bene a spiegare il meccanismo economico secondo cui l’individuo lavorerebbe pur non ottenendo la proprietà del lavorato, né percependo un salario (ed in questo il Campanella è molto meno moderno del Moro, che pure gli è cronologicamente antecedente). L’autore deve organizzare uno strato sociale superiore a quello dei cittadini, con funzione di controllo. Questi controllori sono, ovviamente, eletti dal popolo stesso. Il sistema di Campanella è decisamente meno credibile e più fragile di quello del Moro; Sole è una città ove il passo verso la Tirannia è troppo breve da farsi, perché possa essere uno stato realmente felice.

Ed ecco che la sequenza platonica in ordine qualitativamente e storicamente decrescente: Monarchia del Re-filosofo – Timocrazia Oligarchia – Democrazia e Tirannia, torna attuale: Moro descrive e prescrive una indicazione sociale: abolire la proprietà privata per restituire all’eguaglianza e alla giustizia sociale il ruolo centrale nei compiti del Governo; Campanella, più praticamente schematizza un concetto meno perfetto ma attuabile subito: un vero e proprio programma politico che esprime un partito nei termini moderni della parola: per tornare allo schema platonico, un qualcosa a sé stante, non individuato dal filosofo greco, ma equidistante tra democrazia e tirannia. Campanella aveva realmente creduto di poter attuare il suo progetto politico: il tentativo, ingenuo, insurrezionale nelle Calabrie, aveva in Lui il teorizzatore. Egli sognava realmente qualcosa di nuovo. Il carattere estremamente programmatico della « Città del Sole » è provato anche dalla incredibile serie di suggerimenti pratici scientifici che l’autore inserisce nel testo (dai galeoni che vanno senza vento, spinti da gigantesche eliche mosse a mano, a sistemi per cavalcare senza le redini).

Ma vediamo che, sulle orme di Platone anche il Campanella fallisce la sua opera: il tentativo di porla in essere gli costa la tortura e trenta anni di vita. Con lui fallisce anche Moro, il teorizzatore della perfezione, che vede la traduzione della sua Utopia, in termini più consoni alla realtà oggettiva, non concretizzarsi, ma anzi trasformarsi in tragedia personale, e comunque corrompersi nel suo tracciato filosofico ideale.

Ma l’Utopia prosegue poiché pare instrumentum indispensabile al tentativo tutto umano di raggiungere la perfezione. straordinario come oggi si sia praticamente persa ogni traccia degli incredibili sviluppi del pensiero utopico di origine platonica: il filo conduttore non si esaurisce col Campanella o con altri utopisti minori, ma si esalta nella realizzazione materiale e consapevole di progetti di governo! Veri e propri esperimenti sociali, a cui il materiale umano è stato sottoposto, hanno dato spesso discordanti risultati, ma comunque sempre risultati di enorme portata dal punto di vista dello scienziato sociale e dello storico.

Siamo alla fine del 1600. Platone, Moro, Campanella, fanno parte del patrimonio filosofico e scientifico di tutto il mondo colto.

L’occasione si presenta quando potenti organismi religiosi economico-politici o militari ottengono la straordinaria ed irripetibile possibilità di organizzare il mondo nuovo: le Americhe. La Compagnia di Gesù, che per certi versi pare aver ripercorso, con miglior sorte, la storia e le vicende dei cavalieri dell’Ordine del Tempio, ha sempre operato in funzione di un netto radicalismo politico, tendente a dimostrare la supremazia della Chiesa sullo Stato.

I Gesuiti però ebbero per primi la concezione, rivoluzionaria se la si confronta al pensiero tanto Medioevale quanto a quello Riformista, dello Stato come « fondazione di diritto naturale ». Non più una forma idealizzata di governo, doveva essere ricercata come optimum, ma lo « stato di natura » , poetica condizione di felicità di un socialismo etico, rigorosamente permeato di religiosità, in cui il dovere sociale è il dovere religioso. Una Utopia apparentemente irrealizzabile, ma mezzo secolo dopo le teorizzazioni del Campanella, una vera e propria « Città del Sole », di circa 150 mila anime, dotata di piccole industrie, un esercito, strade, ponti acquedotti, 30 cittadine e regolari rapporti diplomatici col resto del mondo, era sorta nelle foreste dell’America meridionale. Ideali della Controriforma ed ideali Rinascimentali convivevano regolarmente nello Stato Cristiano Sociale del Paraguay, fondato alla fine del XVII secolo dai Gesuiti. Circa 300 confratelli tenevano sotto rigido controllo i centocinquantamila Guaranì, nativi docili mànsueti e cattolicissimi, che popolavano le piccole città-comunità del nascente Paraguay.

L’artifizio campanelliano era stato attuato fin nei particolari: le città erano tutte uguali, la proprietà era abolita. La domanda necessaria, a questo punto è: il meccanismo etico descritto dal Moro e modificato con l’introduzione dei « controllori » dal Campanella, si adattava alla realtà paraguaiana?

Parzialmente la risposta può essere positiva; l’Utopia realizzata concretamente dai Gesuiti, si reggeva non tanto per l’azione represSiva dei controllori, quanto sulla leva religiosa: il governo civile dello Stato era il Governo religioso.

Le stesse sanzioni per colpe civili in Paraguay erano sanzioni religiose. I docili e sottomessi Guarany, fedelissimi ai padri gesuiti, vivevano tra un ingenuo e artificiale mondo permeato di sincero stimolo religioso e una paurosa sfera di superstizione profonda.

Tutto il sistema era perfettamente isolato dall’esterno: tutte le Utopie infatti erano state descritte come isolate dal mare. Il Paraguay era a più di un mese di viaggio, tra le foreste inestricabili del Sud America, dall ‘ultimo avamposto spagnolo. Il sistema economico era rigidamente autarchico e l’isolamento comunitario, esperimento sociale finalmente riuscito, durò per circa 80 anni, sino a che gli Spagnoli decisero di sostituirsi ai padri Gesuiti, facendo in breve crollare l’incredibile edificio sociale.

 dunque il socialismo etico la leva che i Gesuiti usarono per abolire ogni egoismo personale: piantagioni, fabbriche, magazzini, i beni materiali, erano di proprietà comune, ed i beni di sussistenza erano ripartiti sempre in parti uguali. L’egoismo era debellato. Il sentimento religioso suppliva agli stimoli normali venuti a mancare, ed il tutto era governato non da una disciplina civile, ma da una rigorosa disciplina ecclesiastico-morale.

 curioso notare come i nativi avessero il diritto di possedere solamente l’abito che indossavano: tutto il resto era « Cosa di Dio »  Tupambac —; per cui ne godevano esclusivamente per diritto d’uso. La casa stessa, per il vero costruite tutte in modo identico, non era abitata stabilmente dallo stesso nucleo familiare. Tutto ciò che era attribuito ad un individuo, dopo la morte, tornava alla comunità.

Per concludere, una riflessione. È indubbio la buona fede degli utopisti; il loro tentativo di indicare realmente la via da seguire alla ricerca della miglior forma di governo è sincero. Ma la ricerca del miglior governante, che sempre ha indicato nel filosofo e nel sapiente il despota più logico ed adatto all’ottimo governo, ha sempre prodotto edifici, immaginari o reali, dalle fragili fondamenta. Proprio mentre la costituzione debole dello Stato cristiano sociale dei Gesuiti in Paraguay crollava sotto la corruttrice influenza della monarchia spagnola, si evolveva nel Nord America lo spirito nuovo che genererà in breve ana delle costruzioni sociali più salde mai evolutesi. Questo spirito nuovo è sconosciuto alla sfortunata corrente utopica: è la libertà dell’individuo.

La libertà dell’individuo può essere considerata una utopia.

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