INCOMPATIBILITÀ DELL’APPARTENENZA ALLA MASSONERIA PER GLI IMPIEGATI DELLO STATO

INCOMPATIBILITÀ DELL’APPARTENENZA ALLA MASSONERIA PER GLI IMPIEGATI DELLO STATO

Il tema che sto per trattare è già stato oggetto a suo tempo di un esame e di una relazione ai fini di avere chiarezza su di un argomento di attualità e assai delicato. Ritengo utile, per conoscenza in generale di tutti noi e per tranquillità di coloro che sono direttamente coinvolti in una certa situazione di fatto, chiarire la situazione del Massone dipendente dello Stato di fronte alla legge italiana. Per prima cosa esaminiamo l’art. 18 della Costituzione Italiana che testualmente recita:

« I cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente senza autorizzazione per fini che non siano vietati ai singoli dalla legge ».

Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono anche indirettamente scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare. È evidente che, se la nostra associazione fosse considerata segreta, il problema non si porrebbe solo per i dipendenti statali, ma per tutti, e per conseguenza il discorso finirebbe qui, poiché tutti i massoni sarebbero fuori legge.

Cos) non è.

In riferimento al 10 comma dell’art. 18 è pacifico che la nostra associazione non ha finalità illecite dal punto di vista penale (vedi Statuto) e pertanto sotto questo profilo non può considerarsi « contro legge » (fini che non siano vietati ai singoli dalla legge).

Il 2 0 comma (sono proibite le associazioni segrete) richiede qualche riflessione in più, nonché decisioni dell’autorità giudiziaria. Attingendo da richiami possiamo riportare alcune affermazioni degli interventi, in occasione dei lavori della commissione per la Costituzione, dell’Assemblea Costituente, in merito al concetto di segretezza.

TOGLIATTI :

… il concetto di segretezza deve essere globale per le associazioni, con esclusione della segretezza e riservatezza concernente i particolari relativi al loro funzionamento… (Seduta del 10 dicembre 1946).

L’on. De Vita, l’on. Moro e l’on. Mancini sono concordi nel ritenere segrete quelle associazioni che tendono a non fare conoscere la loro esistenza… Il carattere di segretezza deve essere essenziale alla natura dell’associazione e non deve riguardare i particolari del suo funzionamento.

In seguito quasi tutti i membri della Commissione si dichiàrarono d’accordo su questi concetti per la redazione del 20 comma art. 18. In seguito anche la dottrina si è conformata nel senso su esposto. Citiamo per tutte nel commentario alla Costituzione Italiana diretto da Piero Calamandrei e Alessandro Levi:

« Si deve ritenere che il carattere della segretezza deve essere essenziale alla natura dell’associazione e che per società segreta non si deve intendere quella di cui si ignorano o la lista dei soci o i particolari del funzionamento o le sedi, ma quella che mira a mantenere segreta la propria esistenza.

La giurisprudenza già con sentenza della Corte di Appello di Genova il 22 giugno 1960 affermava non essere l’Associazione Massonica in contrasto con l’art. 18 della nostra Costituzione ».

né può dirsi che la Massoneria può considerarsi inesistente come soggetto di diritto ai sensi dell’art. 18 della nostra Costituzione che proibisce le società segrete.

Se per il 1 0 comma dell’art. 18:

« I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale, debbono reputarsi proibite solo quelle associazioni segrete che, svolgendo istituzionalmente attività specifiche in violazione delle leggi penali e dovendo evitare le prove, le sanzioni e temerne i rigori, devono considerare l’assoluta segretezza come una condizione imprescindibile della loro stessa esistenza ».

In tale situazione non pare trovarsi la Massoneria.

Essa è antichissima e nota associazione di persone che professano princìpi di Patria e Libertà e Fratellanza umana in opposizione ideologica a forze sociali negative e oppressive, la cui esistenza ha d’altronde manifestazioni anche pubbliche, mediante proprie rappresentanze, manifesti, libri e riviste, bollettini ecc.

La relativa riservatezza non copre scopi inconfessabili e contra legem, bensì è un tradizionale residuo delle misure di prudenza intese a evitare le persecuzioni di governi illiberali, reazionari e dispotici »… (Corte d’Appello – Genova).

Inoltre, e ciò chiude ogni questione, recentemente la Corte Costituzionale si è espressa in maniera inequivocabile negando il concetto di segretezza, così come inteso dal 2 0 comma dell’art. 18 della Costituzione Italiana, alle associazioni massoniche, sostanzialmente riprendendo le motivazioni della Corte d’Appello di Genova.

Superato questo primo problema, rimane da esaminare la posizione dei cittadini italiani che si trovano in particolari rapporti con lo Stato, cioè i suoi dipendenti.

Orbene, il punto di riferimento è l’art. 212 del T. U. delle leggi di P. S. del 1931 secondo cui i funzionari e impiegati dello Stato di ogni ordine e grado che appartengono ad associazioni « Operanti anche solo in parte, in modo clandestino ed occulto o i cui soci sono comunque vincolati al segreto, sono destituiti o rimossi dal grado e dall’impiego e comunque licenziati ».

Secondo l’opinione dei più, ed anche secondo il mio punto di vista (vedasi ad esempio C. Galante Garrone in Codice della Pubblica Sicurezza), detto articolo deve intendersi abrogato in quanto incompatibile ed in chiaro contrasto con l’art. 18 della nostra Costituzione. È il caso di evidenziare che il T. U. di P. S. del 1931 ha le sue radici in una ispirazione antitetica rispetto a quella che sta alla base della nostra Costituzione.

La legislazione fascista per sua natura era negatrice di ogni libertà di associazione ed infatti l’art. 212 ha una estensione molto più ampia del divieto previsto dall’art. 18 della Costituzione. Quest’ultimo proibisce, come abbiamo visto, le associazioni che abbiano natura intrinseca di segretezza, mentre l’art. 212, conforme allo spirito totalitario, tende ad escludere ogni associazione non gradita al potere.

Da quanto suddetto emerge chiaramente che il T. U. della legge di P. S. non è in chiave con l’art. 18 e si tratta di una normativa che va oltre il divieto costituzionale, pertanto l’art. 212 deve considerarsi tacitamente abrogato (anche se non vi è stata una esplicita

decisione della Corte). Ma se quanto detto da alcuni non bastasse e vi fossero dei dubbi, si può andare più oltre per togliere ogni equivoco.

L’art. 212 del citato T. U., all’ultimo comma prevede: « Per l’applicazione prevista in questo articolo, si osservano le leggi dello stato giuridico dei funzionari, degli impiegati e degli agenti ».

Ora l’art. 84 del decreto ro gennaio 1957, n. 3 sullo Statuto degli impiegati civili dello Stato, dispone che la destituzione è inflitta per:

  1. atti che siano in grave contrasto con i doveri di fedeltà;
  2. atti che rivelano mancanza di senso dell’onore e senso morale;
  3. grave abuso di autorità e fiducia;
  4. dolose violazioni dei doveri di ufficio che abbiano portato grave pregiudizio allo Stato, o a enti pubblici o a privati; 5) illecito uso o detrazione di somme amministrate o tenute in deposito;
  5. richiesta, accettazione di benefici in relazione ad affari trattati per ragioni di ufficio;
  6. gravi atti di insubordinazione commessi pubblicamente o incitamento all’insubordinazione;
  7. istigazione all’interruzione o turbamento di servizio o abbandono del lavoro.

L’elencazione di cui sopra non comprende l’iscrizione alla Massoneria che neppure in forma indiretta fa parte dei « reati » previsti in detta elencazione, atteso che, nei propri Statuti la Massoneria impone fedeltà alle istituzioni dello Stato, e quindi l’art. 212 deve ritenersi abrogato da questa norma atteso che l’art. 385 del detto decreto del 1957 dispone che « tutte le altre norme incompatibili con il presente decreto sono abrogate ».

 evidente che la sostanza di quanto detto più sopra non può essere invocata da quei gruppi che dietro lo schermo della Massoneria si organizzano per commettere delitti comuni o politici. In tal caso per il concetto di responsabilità personale della legge penale devono di persona rispondere di fronte alla legge.

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