IL SIMBOLISMO MASSONICO

IL SIMBOLISMO MASSONICO

di Carlo Gentile

Il simbolismo della Libera Muratoria esprime, nella ricchezza, talvolta anche romantica (e quindi potenzialmente fantastica) delle sue prospettive, un punto focale. Esso è l’atto conclusivo della cerimonia della iniziazione, il momento in cui viene pronunciata la formula decisiva del maestro di loggia nei riguardi del neofita: «Ti inizio, ti costituisco, ti creo libero muratore apprendista».

II simbolismo massonico qui si stringe nella possibilità di una interpretazione critica: non enunciazione di idee, ma contenuto di un atto di coraggio dell’uomo dinanzi alla vita. Per due motivi:

  1. Se questa formula — o meglio questo momento di una più vasta formula rituale — evoca, attraverso la tradizione muratoria una innumerevole (o comunque non calcolabile) serie delle iniziazioni, coagulata nell’atto di potere del Maestro ed esercitata nella delicatissima sequenza cerimoniale, dall’altra parte, la triplice evocazione di forza si estende, per assoluta coerenza, alla continuità della vita massonica dell’individuo nell’avvenire. Allo stesso modo per cui insondabile è il mondo rimasto alle spalle del Venerabile che pronuncia quelle parole, è insondabile pure quanto si espande e procede dinanzi al suo sguardo, come dinanzi agli occhi di chiunque parli ed agisca ritualmente. Strano può sembrare, irriverente no, l’espressione del liberomuratore Guido Gozzano:

«vive tra il tutto e il niente questo coso vivente detto guido gozzano».

In definitiva si può dire che qui non vi è solo la esecuzione di un atto ove culmina la realizzazione massonica di base, ma si dà pure compimento al simbolo centrale della vita intera: l’uomo al centro geometrico della vita, qualunque età fisica egli rivesta nella carne, l’uomo dunque tra il passato e l’avvenire.

  • L’altro motivo è l’avere centrato la funzione del Maestro Venerabile mentre batte i tre colpi sulla testa del recipiendario, armato di

due strumenti simbolici: il martello e la spada. Non credo valga la pena parlare a lungo dell’uno e dell’altra, perché sui simboli massonici e sugli oggetti rituali, sono state scritte biblioteche. Inoltre, più dello studio dell’immagine vale la stessa rivissuta dal libero muratore, nel caso specifico, dal Maestro Venerabile che l’adopera e la pone in movimento, proprio come fa il capo-operaio con una macchina in un opificio. Si tratta infine di movimenti tanto personali•quanto irripetibili. Basta solo ricordare che, nella immediatezza almeno, dell’apparire, che il martello e la spada sono segni di potenza e pure di violenza e di morte. E chiaro che se non saremo stati tanto pazienti da passare dai ricordi di Thor fulminatore o di Pietro armato di spada nelle tradizionali iconografie, ad una linea di vitalità razionale, sarà inutile andare avanti, anche nella cerimonia. La tradizione comunque ci conforta, ricordandoci i non violenti che dissero «battete e v1 sarà aperto».

Il martello è evocatore di luce perché compie la meraviglia di fare sprizzare le scintille dall’incudine e di piegare, adattare, adornare, scolpire il metallo in fusione. Restando nell’area della sintesi cerimoniale, il metallo fonte di baleni e di suoni è la spada stessa. Essa serpeggia come fiamma ed assume la fisionomia di una lingua di fuoco. L’atto che si compie è dunque consono alla denominazione officina e significa che l’uomo si riconosce al centro della vita, dal passato all’avvenire, quando lavora per plasmare la materia, per dare forma e significato alla vita di cui egli stesso è parte.

Ancora è importante tenere presente che l’uomo viene a trovarsi — al momento della iniziazione — al centro della vita con i segni del lavoro o della potenza (per usare termini più plastici in opera), non da solo, ma in rapporto all’umanità. Vi è il collegamento dell’essere consapevole con il proprio simile, ed uno dei due partecipanti alla scena, passa all’altro qualcosa: la triplice parola d’ordine della vita stessa: Iniziare, costruire, creare.

Perché il protagonista dell’Assommoir «Gola d’oro», il fabbro, riempiva l’officina di canti, cioè travasava la fatica in una realtà corale? Perché in genere il lavoratore canta per alleviare il peso dell’opera? Perché i liberi muratori fanno echeggiare la musica nei momenti decisivi del rituale? Per ricordare che noi, i costruttori, non siamo soli;

siamo l’umanità la quale si riconosce negli aspetti di un’opera: la vita. Essa possiede ed espone un risvolto umano individualizzato ossia l’io ed il risvolto della storia, uno naturale (la costituzione dell’uomo come essere organico obbediente alla legge della natura, al finalismo dell’ atmosfera vivente in cui si riscopre inserito, parallelamente all’atomo opaco nello spazio), ed uno infine con il mondo extra-umano, non direi subumano, ma semplicemente della diversità perennemente possibile che la stessa dialettica naturale presuppone. Basta riflettere sullo sforzo d’identificare le origini, ma soprattutto il meccanismo interno dello Sfero, compiuto dai primi filosofi, per capire che la Natura si è presentata ab origine, agli occhi dell’uomo (e logicamente del filosofo) nei termini di rivelazione. Nessuno può impedirci di pensare ad esempio, che la Noosfera, ossia quell’involucro (parola inesattissima) di energia pensante che, secondo Teilhard de Chardin, avvolgerebbe la Terra, non sia l’immagine intuitiva dei mondi abitati nello spazio invece che l’eredità scolastica delle Intelligenze Angeliche direttrici dei Cieli.

A questo punto mi sembra sufficientemente chiarito il significato della formula d’iniziazione, nel riflesso che i tre suoni emessi dal Maestro Venerabile hanno all’interno dell’uomo cui sono stati rivolti: essere iniziato, essere costituito, essere creato. Diciamo subito comunque che il fermarsi ad una soluzione letteralista potrebbe essere fuorviante. La Massoneria non dà al neofita più di quanto egli stesso non sia capace di essere. Non ci spiegheremmo altrimenti, perché — proprio secondo alcune antiche usanze — il neofita era chiamato, proprio nell’incipiente presa di contatto con i misteri, Boaz, (la Forza). E evidente la contraddizione con il visibile stato d’inferiorità e comunque di soggezione che, oltre alla presenza della benda e della corda, si collega alla dichiarazione giustificativa di aver osato che il padrino o l’accompagnatore ripeta ad ogni tappa del viaggio simbolico tra le asprezze e i dubbi della esistenza quotidiana. L’uomo ancora bendato e scomposto nell’abito è ad ogni modo libero e di buoni costumi, diciamolo  francamente, non varebbero né la benda, né la corda, né la minaccia dell’arma puntata sul cuore. Afiche nel rituale inglese in cui egli è presentato come «un povero orfano» sperduto nella oscurità dell’errore e nelle incertezze della vita, quando sfila davanti ai Sorveglian

ti, è chiamato nel modo più onorevole ed alto: Boaz, ossia la forza segreta di tutti i liberi muratori sparsi sulla terra, personificato. Mentre siamo ancora inginocchiati e in attesa, vediamo ora dall’altra parte della barriera, cosa possono significare iniziazione, coStituzione, creazione. Si è già detto che non ci troviamo dinanzi ad un dono, alla trasmissione d’un potere, alla elargizione di un titolo. Ripetendo in parte le parole di Herbert Spencer, la cerimonia dell’iniziazione è il rapporto umano «portato al suo più alto grado di universalità e di generalizzazione». Ha sostituito la parola «sapere» o «conoscenza», «cultura» ecc. Ritengo lecito usare la definizione — positivista per giunta — della filosofia, perché la Massoneria è conqscenza resa operante, ma non potrà mai prescindere dal Delta luminoso dalla lettera G, dall’Occhio, dal Compasso, dal Libro, dalla Squadra; tutti indici vari della Conoscenza. In relazione dunque ai tre mondi già delineati e tradizionalmente noti, dell’Umano, del Naturale e del Divino (con la caratteristica capacità di esprimere la vita dal Nulla), l’iniziato incomincia a provare il vincolo, l’impegno, di un rapporto, anzi di un cammino, appena sarà stato rialzato e poi riceverà l’insegnamento dei «passi» rituali.

Vediamo in cosa potrà consistere l’ipotesi più o meno verosimile di tale cammino.

I doni simbolici stessi — i guanti in due paia, maschile e femminile, il grembiule insieme all’abbraccio, al triplice bacio, o alla dichiarazione solenne «Tu sei mio fratello», sanzionano la consacrazione di un’opera di armonia dalla quale l’iniziato assume coscienza e responsabilità. Ora, tradurre tale opera in esemplificazioni precettistiche è altrettanto sconsigliabile, per me almeno, quanto l’addentrarsi nella tematica della demiurgia esaltante o sulla strada variopinta delle molteplici tecniche e scuole che, in un senso o nell’altro, all’iniziazione si collegano. Mettendo per un momento da parte sia le sequenze fascinose, sia le diverse ipotesi storiche dello sviluppo culturale massonico, cercherò di tracciare, nel modo più semplice, un itinerario del simbolismo. Qualsiasi itinerario credo non potrà mai prescindere da alcune prese dirette dell’individuo che abbia assunto l’iniziazione e il suo carisma indelebile, con l’uomo, con il vivente, con il divino. Si tratta di vedere come l’imziato «può» (non dico certo «de46

siamo l’umanità la quale si riconosce negli aspetti di un’opera: la vita. Essa possiede ed espone un risvolto umano individualizzato ossia l’io ed il risvolto della storia, uno naturale (la costituzione dell’uomo come essere organico obbediente alla legge della natura, al finalismo dell’atmosfera vivente in cui si riscopre inserito, parallelamente all’atomo opaco nello spazio), ed uno infine con il mondo extra-umano, non direi subumano, ma semplicemente della diversità perennemente possibile che la stessa dialettica naturale presuppone. Basta riflettere sullo sforzo d’identificare le origini, ma soprattutto il meccanismo interno dello Sfero, compiuto dai primi filosofi, per capire che la Natura si è presentata ab origine, agli occhi dell’uomo (e logicamente del filosofo) nei termini di rivelazione. Nessuno può impedirci di pensare ad esempio, che la Noosfera, ossia quell’involucro (parola inesattissima) di energia pensante che, secondo Teilhard de Chardin, avvolgerebbe la Terra, non sia l’immagine intuitiva dei mondi abitati nello spazio invece che l’eredità scolastica delle Intelligenze Angeliche direttrici dei Cieli.

A questo punto mi sembra sufficientemente chiarito il significato della formula d’iniziazione, nel riflesso che i tre suoni emessi dal Maestro Venerabile hanno all’interno dell’uomo cul sono stati rivolti: essere iniziato, essere costituito, essere creato. Diciamo subito comunque che il fermarsi ad una soluzione letteralista potrebbe essere fuorviante. La Massoneria non dà al neofita più di quanto egli stesso non sia capace di essere. Non ci spiegheremmo altrimenti, perché — proprio secondo alcune antiche usanze — il neofita era chiamato, proprio nell’incipiente presa di contatto con i misteri, Boaz, (la Forza). E evidente la contraddizione con il visibile stato d’inferiorità e comunque di soggezione che, oltre alla presenza della benda e della corda, si collega alla dichiarazione giustificativa di aver osato che il padrino o l’accompagnatore ripeta ad ogni tappa del viaggio simbolico tra le asprezze e i dubbi della esistenza quotidiana. L’uomo ancora bendato e scomposto nell’abito è ad ogni modo libero e di buoni costumi, diciamolo francamente, non varebbero né la benda, né la corda, né la minaccia dell’arma puntata sul cuore. Afiche nel rituale inglese in cui egli è presentato come «un povero orfano» sperduto nella oscurità dell’errore e nelle incertezze della vita, quando sfila davanti ai Sorveglian

ve») sentire se stesso in qualità di uomo, di essere compresente alla realtà immediata di tutti, di soggetto idoneo ad avvertire la propria qualità divina.

Ora domandiamoci: è logico procedere fuori dagli schemi intellettuali di abitazione, tenuto conto che, dal momento in cui l’iniziazione ha avuto luogo, tutto è già da ritenersi cambiato per un colpo di bacchetta magica? Come è dato pervenire ad una reinterpretazione simbolica accettabile, se già lo studio dei simboli oscilla tra il labirinto e la tentazione? Vi è però un simbolismo più fluido e immediato che collega, con ricorrente evidenza, la poesia, l’arte, la letteratura, i campi generalmente meno oggettivati della produzione umana, alla presenza di quelle idee-forza che vivono nel subconscio della umanità e che ristabiliscono i contatti con la realtà in termini di vivente riscoperta e d’intimo fondamentale consenso. Il rapporto tra l’io e il reale (l’altro da sé comunque si voglia intendere) diviene allora più chiaramente cultura; ossia valore di sviluppo, coltivazione magari del seme calato appunto ne «la prova della terra».

Primo punto: l’io in relazione dell’altro sé. C’era una volta un re — narra una parabola tolstojana — che aveva potenza e ricchezza ineguagliabile, ma provava ardente il desiderio di sottomettere un altro sovrano, rimasto ancora a dargli ombra. La sua opera di perfezione, l’estensione del suo diritto — si fa per dire — a tutto il continente ove quella potenza sorgeva, sarebbe stata completa, una volta annesso il territorio del vicino, potenziale o reale competitore, o semplicemente un uomo che non intendeva piegarsi ad un altro. Il re allora predispose, con la massima precisione e riservatezza, i piani di guerra, discusse con i consiglieri e i generali, stabilì alla fine che il giorno dopo l’esercito si sarebbe mosso e andò a letto tranquillo, mentre la macchina dell’attacco stava pronta a scattare. Durante la notte, com’è facile prevedere, sognò la guerra, le battaglie, la conquista e la vittoria, il popolo da distruggere o soggiogare, gli armati da fare a pezzi, il rivale incatenato al proprio carro di trionfo e la sua famiglia venduta schiava. Ma qualcosa di orribile stravolgeva, capovolgeva nettamente quelle immagini di sicurezza, ed era una sicurezza di contrappunto. Le uniformi dei soldati vinti erano quelle del proprio eserci

destinato tutto quanto a cedere, a coloro che ne avevano bisogno, il sangue, il dolore e l’enigma delle sue viscere. Prima si confondeva con duecentoventidue dei quali si era utilizzata l’agonia per vivificare delle formule e nutrire delle teorie, e poi gettati gli avanzi. Adesso si era personificato. Era diventato lui. Si era costretti a vedere che viveva, lui, quanto gli altri viventi. Il nome lo aveva mostrato con tutto quello che esso conteneva: il suo potere di pensare vagamente, di desiderare tanto e di essere infelice, e anche l’umile tesoro dei suoi ricordi: i suoi amici, il suo passato divinamente segreto». Anche qui assistiamo ad una palingenesi, ad un ricominciare da caPO, ad una prova della predestinazione simbolica. Parlo dell’animale naturalmente e per carità cristiana non escludo neppure l’uomo con l’augurio che — malgrado avesse influenza di rango e alta posizione — non fosse iscritto alla Massoneria.

Terzo punto. Romain Rolland: Gian Cristoforo, la vita di un uomo. Gli entusiasmi del precocismo di Mozart rifusi con là giovinezza di Wagner. Un musicista che esce, vinto, dalle illusioni generose del 1848, che percorre le strade dell’esilio, che conosce la tentazione e l’abbandono, la ripresa della vita e la gloria, le oscillazioni della fortuna. Un giorno, ridotto alla disperazione dall’incubo di tradire, per amore di una donna, la fiducia riposta in lui da un amico, desidera annullarsi. E passato attraverso il desiderio, il rimorso, l’ossessione, la disperazione del suicidio. Ma improvvisamente, nel quieto giardino dove nervosamente camminava guardando le nubi sempre più nero, dentro e fuori se stesso, la tempesta si scatena, gli elementi si scontrano, la terra e il cielo sembrano toccarsi, ed all’uomo sconvolto, il quale immobile, quasi simbolicamente folgorato, sta attraversando la quadruplice prova, Dio parla come al patriarca da un nuovo roveto ardente: Io sono quello che sono. Sono la forza infinita, il Fuoco immortale che tutti gli esseri assorbe e rigenera, la Parola che parla per tutte le lingue, Io Spirito con la sua penetrazione inarrestabile. Se ti ho chiamato a dare testimonianza di me e tu rifiuti, sei libero di scomparire nel nulla. Altre voci si leveranno, suscitate dalla mia potenza; altre bocche, come squarci di vulcano, parleranno al mondo nel mio nome. Perché sono l’Eterno Destino che si leva perenne sopra la fra

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gilità dei tempi e l’impossibilità di attimi rivestiti dalle tempeste. Gian Cristoforo si leva, mentre intorno a lui gli elementi si placano. Il giorno dopo parte e riprende a lavorare e a vivere. Ha ricominciato da capo anche lui, è risorto a se stesso.

Joseph Fort-Newton si è posta la domanda, a conclusione di un suo libro: «Quando un uomo è Massone? Quando egli può guardare oltre gli alberi, le montagne e gli ostacoli che si frappongono alla vista di un uomo, i più vasti orizzonti, conservando l’intimo senso della propria infinitesima dimensione; L’uomo dunque è iniziato quando può andare incontro agli uccelli senza il fucile e sentire l’eco musicale di un’antica gioia dimenticata, quando ascolta il riso di un bambino; e tuttavia avere fede, speranza e coraggio, essenza di ogni virtù ».

L’ iniziazione coincide, attraverso il proprio triplice diapason, simbolo centrale, con una palingenesi che non ha nome. Perché oggi forse il nostro linguaggio moderno ha reso il nome personale qualcosa d’individualizzato e di schematico che finisce per servire solo all’anagrafe. Il Libro della Sacra Legge documenta, invece, l’innegabile dinamica del destino dell’uomo, attraverso il nome ch’egli porta e riporta, senza neppure restare legato a una formula fissa. Giacobbe che significa lo scaltro, si chiamerà Israele (colui che ha lottato con Dio). Dinanzi ad esempi come quelli del nome di Gesù — l’Eterno che salva — il quale è Emanuel ovvero dice al mondo: Dio è con noi, penso sia più agevole raffigurarci il valore — non carismatico, ma di risveglio della triplice formula di riconoscimento fraterno. Qui il no. me si fa, nasce, germoglia — il nome nuovo s’intende il distintivo dell’iniziato, attraverso il ristabilimento di un’umanità, di un limite; di una dimensione, non di un potere. Altrimenti resterebbe ignorata o scalfita (se ciò fosse possibile), l’impostazione assoluta destinata al fondamento della Bibbia su cui si pone la mano: il nome di Dio è l’ Eterno ossia Io sono ed il mio essere è il mio stesso agire. Validità paradigmatica, non precettistica di possibile imitazione. Validità 01tre tutto corale, perché l’iniziato non è mai solo. Egli potrà essere forse — ma il mistero permane — il cittadino di Gerusalemme, e della Città Isaia dice che avrà un nome nuovo un giorno. In attesa, ognuno — se libero e di buoni costumi — può chiedere alla umanità raffigurata nell’infinita apertura della loggia — che si prenda atto della pro50

pria decisione di camminare incontro alla Vita, all’Azione, alla Parola. Per questo è naturale che noi si parli di itinerario.

Le linee più scheletriche delle tradizioni simboliche potrebbero anche fermarsi al rituale del primo Grado, che in effetti contiene tutti gli elementi di fatto e di diritto per dare sanzione eterna all’atto della iniziazione compiuta. Ma se la formulazione pragmatica del simbolismo s’inserisce nella storia occidentale così come si è venuta a configurare con l’imposizione cristiana non ecclesiastica semplicemente, ma di divulgazione di determinati contenuti misterici in mezzo al popolo, ci si accorge di una considerazione inevitabile: lo svolgimento dialettico. L’iniziazione di mestiere era semplice e si fondava sulla qualità di operaio da una parte e di maestro d’arte dall’altra. L’iniziazione speculativa ha dato al succedersi delle sequenze o articolazioni dell’unità operativa organizzata, il volto di un ciclo individuale per il visibile, cosmico nella comunicazione con la pluralità delle forze della vita. Il mondo dei simboli continua ad aprirsi, con la sua complessa ricchezza, in altre linee e luci, con la glorificazione del lavoro ed il dramma finale della morte e della resurrezione, ove il libero muratore sarà ricevuto, costituito e consacrato Maestro, lo Hiram eterno.

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