IL SIGNIFICATO DEL SIMBOLO IN MASSONERIA

  • Sulle strade di San Giovanni
  • Significato del Simbolo in Massoneria:

Contributo per una lettura consapevole

Sulle strade di San Giovanni

«Non siamo formiche pensose che brulicano sulle crepe del mondo cercandQ di scoprirne le caratteristiche senza influenzarlo.

[I nostro mondo è invece un ‘entità dinamica e multifomze che riflette l’attivitè dei suoi esploratori»

P, Feyerabend

Un universo in costante colloquio con se stesso. Una interazione attiva e continua tra tutti gli atomi del nostro mondo. Questa immagine rappresenta una giusta premessa a ciò che vuole essere il mio cammino di ricerca.

L’osservatore modifica l’osservato così come vuole anche il grande principio di indeterminazione di Heisenberg, alla base di tutte le ipotesi e conoscenze della fisica moderna. Il nostro essere nel mondo e il nostro essere… il mondo ci porta quindi ad una conoscenza che modifica profondamente lo stesso universo. Questa grave responsabilità ( . . . libero arbitrio?) chiede allora la massima attenzione a che i nostri passi siano corretti ed armoniosi, il più possibile ed in ogni istante. Ecco che vale allora la pena sentire come scopo principale della propria esistenza la necessità di comprendere le leggi che sottendono l’equilibrio e l’armonia universale per inserirsi nel sinuoso respiro del mondo con il giusto ritmo e la corretta forza.

Comprendere. Sublimare attraverso un’ alchemica sofferenza tutta la nostra ignoranza. Ecco perché siamo qui.

E alla mente affiorano le parole che ho ripetuto tante volte ai ragazzi nelle ore di scuola: primo passo per una giusta comprensione è il processo di lettura che deve essere attenta, che deve riguardare ogni simbolo e ogni forma. Se le nostre giornate fossero piene di attenzione verso i sottili o macroscopici messaggi che attraverso mille simboli zi vengono offerti, non riesco ad immaginare quanto migliore potrebbe essere la nostra vita ed il mondo circostante; meno grave certo di fraintendimenti, mistificazioni e false promesse.

Quando il simbolo prende vita dentro di noi genera un processo di conoscenza e comprensione che nel più felice compimento porta ad una corretta modificazione del nostro essere. Il simbolismo è necessario alle esigenze della natura umana che non è una natura puramente intellettuale ma ha bisogno di una base sensibile, della nostra capacità di emozionarsi per elevarsi ed affinarsi. La forma del nostro linguaggio è analitica, così come la ragione umana di cui esso è lo strumento. Il simbolo è invece essenzialmente sintetico e perciò intuitivo, quindi più idoneo ad una comprensione che non può essere solo intellettuale ma è anche emozionale e fisica. Così come «conosciamo» il pane solo dopo che il nostro olfatto ne ha ricevuto il profumo, il gusto ne ha esperito il sapore ed il corpo ne ha assorbito l’energia. Solo dopo l’esperienza totale possiamo, un pochino meno ciecamente, parlare oggettivamente.

Troppo spesso infatti il nostro linguaggio è preda di profondi fraintendimenti legati al diverso colore emozionale che uno stesso termine o immagine evoca all’interno di ciascuno di noi, ponendo alla comprensione limiti più o meno stretti.

Il simbolo per contro non prende vita se non attraverso una attivazione immaginativa, creativa e costruttiva che fa sì che le necessarie associazioni di pensiero si trasmutino in comprensione che è chiarezza della mente, calore emozionale e benessere fisico. In questo processo si gioca la nostra crescita ed è anche con questa speranza che noi siamo qui.

Sono in officina; attorno a me strumenti d’ogni forma e materia possiedono, come ologrammi colorati, una gamma quasi infinita di significati e sono pronti a porgere duraturi doni a chi con corretto processo interpretativo ne assimila il gusto profondo.

L’uomo che si pone in cammino verso la conoscenza non potendo sottrarsi alle leggi che governano l’equilibrio del mondo, può e deve imparare a riconoscerle per poterle utilizzare a vantaggio del proprio procedere. I simboli sono allora come luminose frecce poste ad ogni nodo importante. Essi sono il richiamo costante alla nostra attenzione a ciò che è fondamento, legge e senso della nostra esistenza. Come l’Ave Maria che a sera chiama al raccoglimento le menti affaticate e distratte dalla quotidianità che devono ricordare ed instancabilmente cercare il perché del proprio vivere, del proprio respirare, del proprio essere nel mondo… il mondo.

Quante volte, in quanti istanti rimaniamo sordi ai rintocchi e ciechi alla luce che pure ci circonda.

Il simbolo è sempre presente e non si cela mai agli occhi che guardano cercando di vedere oltre l’apparenza delle cose. La verità non è quasi mai ciò che appare. Solo la nostra ignoranza accetta di credere che verità è ciò che mi piace o convince o fa comodo…

La cristallizzazione delle verità universali in noi ed i conseguenti benefici che ne riceve il nostro vivere sono anche i frutti della tensione costante legata al processo di interpretazione dei simboli da parte del ricercatore. Come in un puzzle dove i tasselli si compongono attraverso successive correlazioni per formare alla fine un’immagine complessa e completa di un pezzetto di realtà.

Così come precisa Guénon, il modo normale e naturale di espressione della conoscenza oggettiva e l’unico per trasmetterla inalterata nel tempo e scevra da soggettivismi e pericolose mistificazioni è quello del simbolismo.

Una delle allegorie principe di tutte le tradizioni esoteriche è quella del viaggio ed anche per la filosofia massonica questa è un’immagine ricorrente ed importante. Ogni fratello si incammina, nella sera della sua iniziazione sulla «strada di San Giovanni» e si impegna a percorrerla senza cedere mai alla pigrizia, alla fatica e ai piaceri delle soste. Privato temporaneamente della vista, cammina apparentemente senza direzione certa (così come anche nella realtà), sottoposto ai rumori privi di armonia del mondo circostante, cosciente solo della propria solitudine e fragilità. Man mano che il viaggio procede i cacofonici suoni iniziali si traformano, attraverso le prove di purificazione e fortificazione, in musica che porta al cuore dell’apprendista la sicurezza di procedere sempre più verso il centro di se stesso e la sua grande armonia.

L’etimologia del termine «iniziato» è proprio di «messo sulla via» :osì come l’immagine del viaggio risponde perfettamente all’idea di cambiamento, di sperimentazione, di spostamento da posizioni note e garantite, da abitudini sclerotizzate e false sicurezze a situazioni nuove ed incognite. Esso reca in sé l’idea dell’incerto, dell’esperienza da vivere su tutta la pelle e provoca soprattutto la nuda sensazione di sé, priva delle inutili fioriture mentali che l’identificazione alle proprie abitudini ed il radicato senso di possesso nutrono in noi. Pellegrini, con bastone e sandali, ricchi solo del nostro respiro e delle nostre forze.

Così dovremmo sentirci ogni volta che la porta del tempio si chiude alle nostre spalle; curiosi e ricettivi di tutto il nutrimento che lo stare insieme in questo luogo ci può dare e poveri e privi delle irreali impalcature che tanto supportano il nostro vivere.

Lasciamo fuori le nostre maschere…

Ogni qualvolta calpestiamo il pavimento del tempio dovremmo riuscire a sentirci in cammino, di passaggio in passaggio; dovremmo immaginarci ancora a piedi nudi a contatto con la terra, spogliati da ogni metallo, da pesi o accessori che segnano con la loro gravità la nostra attrazione verso tutto ciò che è terreno e schermano le sottili vibrazioni che dalla volta celeste ci chiamano.

Provo una piacevole sensazione al ricordo del primo sguardo al pavimento a mosaico, per la sua regolarità compositiva e l’eleganza delle dimensioni. Per i pitagorici la forma quadrata rappresentava l’unità spaziale legata alla perfezione del numero quattro, primo numero generato dalla trinità creatrice e la bellezza della forma esaltata nel contrasto dei due opposti colori mi ricorda sempre l’armonia e l’equilibrio che solo scaturiscono dalla sintesi tra opposti e dal superamento delle contrapposizioni.

Tenebre e luce, ignoranza e sapienza, bene e male non più intesi come entità oggettive ma viste solo in senso relativo. I miei piedi calpestano ora la superfice nera ora il bianco così come i nostri pensieri prima di giungere alla cristallizzazione della verità oscillano tra dubbi, errori e corrette intuizioni.

L’alternanza cromatica del pavimento del tempio mi dice che né il bianco né il nero sono giusti e perfetti in se stessi ma prendono significato e pregio l’uno dall’altro.

Così bene e male perdono consistenza individuale diventando ai miei occhi sfaccettature diverse di una sola energia sottoposta costantemente a forti condizionamenti e deformazioni in spazio e tempo che generano risultanze positive o negative in relazione alla nostra esistenza.

Compito dell’iniziato è cercare di mantenere lineare il proprio cammino lungo l’esile filo di separazione tra ogni piastrella, ricercando in ogni giudizio l’equilibrio che supera e sintetizza ogni estremo.

Un particolare studio ha evidenziato una correlazione tra la situazione geografica dei grandi luoghi di fede e la disposizione della sfera celeste.

A partire dal santuario principe di ogni pellegrinaggio, Santiago de Compostela, la linea che unisce i grandi luoghi di culto sembra riflettere l’immagine celeste della via Lattea in una grande comunione che unisce e rende omogenea la terra al cielo.

La vita dell’uomo sulla terra è considerata un tortuoso periodo di prove ed esperienze e l’uomo che si pone sulla strada della conoscenza è ancor più destinato a passare di credenza in credenza, sempre immerso nelle insicurezze e nella sperimentazione fisica, spesso sofferente, che la verifica di ciò che a poco a poco comprende, richiede.

Chi cerca di capire il perché del respiro dell’universo è destinato ad errare, a percorrere un itinerario pericoloso, dall’approdo incerto, immerso nella «grande solitudine».

Come ci insegna Maria Montessori, sempre ogni progresso è un distacco da qualcuno, o qualcosa.

Impermanenza, incertezza e solitudine quindi, come grandi compagni di viaggio.

Molte cose oltre al pavimento a mosaico nel tempio mi ricordano che la vita si manifesta e si sostiene attraverso un processo oscillatorio tra estremi spesso inconciliabili, in una continua alternanza di opposti che chiede sintesi per generare la pace e l’armonia.

Attraverso le due colonne, quella ionica e quella dorica, Jachin e Boaz si rinnova l’idea del doppio, del dualismo, della lotta che precede ogni crescita spirituale.

Attraverso le colonne ci arriva la luce dell’Oriente; esse sono il punto di non ritorno oltre il quale è l’oceano delle burrasche e della co• noscenza.

lo appartengo alla colonna del Nord, provengo dalle buie regioni del freddo ma i miei occhi sono rivolti al mezzogiorno luminosi della speranza di sciogliere i cristalli di ignoranza che hanno finp a qui governato e gravato i miei passi. Alla mia destra è il Primo Sorvegliante, che rappresenta la Forza. Senza l’aiuto della sua mano ferma nessuno scalpello può scalfire la dura pietra grezza al fine di portarla alla bellezza della forma cubica, Alla mia sinistra è la Sapienza del Maestro e solo se saprò creare un giusto equilibrio tra Sapienza e Forza riuscirò a curare al meglio angoli e proporzioni della pietra donatami. Sono giunta al passaggio al sud da Perpendicolare a Livella e se fino ad oggi i miei passi e i miei pensieri subivano come il filo a piombo, passivamente la gravità terrestre senza poter opporre una volontà propria; ora l’orizzonte diventa parte di me e posso vedere la linea verticale lungo cui ascendere. La conoscenza che scava nel profondo della terra ha ora come riferimento l’orizzonte e può manifestarsi all’esterno tramite la mia coscienza.

Tutto il linguaggio rituale, gestuale e verbale Massonico si snoda attraverso immagini, allegorie e simboli che mutano ad ogni passaggio pur restando immobili nella forma. Sono gli occhi ed il cuore del Fratello che ne vedono mutare di passo in passo i successivi significati. La Massoneria non mi propone dogmi od assiomi; mi esorta invece attraverso tutte le sue icone a pensare, a cercare, per capire e prendere coscienza del vero e dell’armonia di ogni cosa. Tutto in officina e nel tempio mi obbliga ad una ricerca attiva, allo sforzo di comprendere, poiché nessuna verità mi viene gratuitamente rivelata. Ogni oggetto è per me ricco di promesse se lo guardo con gli occhi del cuore.

«Non ti è imposto di completare l’opera, ma non sei neppure libero di sottrartene »

R. Tarfou E allora ecco rinnovato il nostro entusiasmo, bruciata ogni stanchezza e tacitato ogni dubbio. Dubbi che sempre la greve «razionalità» che ci avvolge insinua nel cuore per rosicchiare forza al nostro affermare che il dono della vita è troppo grande e troppo prezioso per terlo sciupare e sporcare di pigrizia, ipocrisia, distrazione, vanità, vanagloria ed insincerità.

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