di Francesco Ventani
“L’Architettura compenetra tutta l’esistenza, e l’esistenza stessa diventa architettura”(B. Taut)
Il rischio della tautologia nell’analisi sincronica di un processo diacronico
Uno degli errori commessi spesso da molti Liberi Muratori, presi dall’entusiasmo della “caccia” ai vari simboli liberomuratori, è quello di voler cercare, e voler trovare, gli stessi ovunque ed ad ogni costo, e ciò avviene soprattutto sui documenti più ricchi di tali tracce, ovvero (chiaramente) gli edifici e le loro varie componenti. Mi spiego: per un Libero Muratore che se ne vada in giro per il mondo con g li occhi nuovi dell’iniziato, è assai piacevole, e in fin dei conti motivo di un malcelato orgoglio misto a un’impressione di immediata familiarità, scoprire una squadra o un compasso, un segno, un simbolo o una scritta legata alla Tradizione Muratoria, proprio su una facciata di una cattedrale o di un palazzo, su un cornicione, una lapide, un dipinto o un bassorilievo. Ma questo non deve indurci all’errore di significare quello che vediamo riempiendolo di ciò che assai probabilmente non ha mai contenuto; cioè non possiamo riversare su quei simboli e segni tutta la storia e la valenza che hanno assunti in tempi moderni e in particolare dopo il ‘700 inglese e l’illuminismo.
Quando noi vediamo una squadra e un compasso, la mente ci porta a tutta una serie di idee, di immagini e di concetti che sono propri della Massoneria come oggi la intendiamo, che ovviamente non è la stessa di quella antica, “operativa”. Questo però non deve portarci su una strada sbagliata: la Massoneria moderna, quella nata alla fine del ‘600 in Inghilterra, benché legata da un cordone ombelicale mai rescisso con la muratoria antica, è comunque un qualcosa di diverso, e che per altro si è mutata continuamente nel corso dei decenni.
Va da sé quindi che non solo i simboli muratori che troviamo negli antichi edifici sono spesso stati messi fi dagli autori con un senso non esattamente massonico modernamente inteso, ma al contempo è assai poco stupefacente, o degno di chissà quale panegirico mentale, il fatto stesso di trovarceli.
ln sintesi, la scoperta di tali segni, forme, archetipi nelle architetture del passato ci espone ovviamente al rischio della tautologia: cioè cercare queste tracce nelle opere architettoniche è operazione chiaramente tautologica, perché non si può che trovare il proprio patrimonio genetico, se lo si va cercare nei propri avi. Tale rischio è assai tipico di un’analisi sincronica (cioè vedere oggi un simbolo e interpretarlo, collegarlo ai suoi attuali
significati) dj un processo diacronico (la formazione del fenomeno Massoneria dalle origini a oggi).
A ben vedere, è sostanziale tracciare una linea di separazione tra due possibilità in questo tipo di ricerca: ovvero da una parte scoprire le tracce della Tradizione Muratoria nei monumenti del passato, con la coscienza che ne troveremo quasi certamente, ma che altrettanto certamente non potremo dar loro un significato modernamente massonico, ma limitarci a inquadrare il loro senso (certamente spesso in iziatico) ed eventuale sviluppo all’interno della storia della nostra istituzione; dall’altra limitare il campo all’influsso che la Massoneria moderna ha operato in campo architettonico, ritrovando le tracce, i simboli, le forme, gli archetipi, questa volta sì, in stretto legame con i valori e gli ideali della Libera Muratoria universale (ovvero la muratoria moderna).
A rèbour: quando la Massoneria finisce per influenzare ciò che le ha dato origine
Negli edifici antichi troviamo molto del bagaglio tipico dell’Arte Edificatoria, tutto quel substrato di saperi tecnico-iniziatici ustoditi e trasmessi dalle corporazioni muratorie e dagli
architetti. Però se vogliamo invece cercare le tracce e i risultati dell’influenza massonica moderna sugli edifici e le città, dobbiamo giocoforza limitarci a prendere in considerazione le opere di quegli autori che hanno fatto parte di logge moderne (cioè dal ‘700 in poi) e sono stati fortemente influenzati culturalmente dal pensiero e dal metodo massonico, o che lo siano stati, se non per appartenenza, in virtù di una vicinanza di pensiero (e talvolta di un legame di amicizia) a tali ideali e valori, Da questo fecondo cross-over culturale è capitato che la Massoneria finisse per influenzare ciò che le aveva dato origine, cioè l’architettura.
Partiamo dalle Costituzioni di Anderson del 1723: in esse l’architettura riveste già un ruolo fondante nella mistica del mito massonico; essa è Opera del Grande Architetto, e questa discendenza divina si trasfigura nell’uomo quale “costruzione del Tempio dell’Umanità”. Le Costituzioni sono evidentemente influenzate dal processo cultu rale che dalla trattatistica vitruviana prosegue la sua infiltrazione palladiana in Inghilterra e si conclama con Inigo Jones; esse delineano chiaramente il culmine della tradizione architettonica nell’epoca classica augustea- Ma questo non è che il primo gradino, perché in questa proiezione idealistica dei modelli antichi, della “tradizione” dell’Arte, pian piano si avvicenderanno, o meglio conviveranno tutti gli stili, anche in una aperta dichiarazione di tolleranza e libertà universali; Io stile dei “Revival”(dal greco, all’egizio, al gotico, ecc.), dell’Eclettismo che durerà per tutto l’Ottocento, sarà espressione concreta, materiale ma anche e soprattutto ideale dei mondo Iatomistico.
È def tutto evidente la capacità evocativa di questo genere di architettura: ci riporta alle virtù civili della democrazia greca, allo splendore della civiltà romana, alle acropoli, ai fori imperiali, verso un tempio laico dell’Umanità; Neoclassicismo quale stile prediletto, “Architettura di Stato” dell’Illuminismo. Molte sedi massoniche sono così costruite negli anni, dal ‘700 e fino al ‘900, seguendo questa mistica evocativa (la sede attuale della Gran Loggia Unita di Inghilterra, quella del Rito Scozzese a Washington, il George Washington Masonic Memorial ad Alexandria).
ln Francia, nel secolo dei Lumi, conosciamo con esattezza i nomi di numerosi architetti settecenteschi che appartennero alla Massoneria, come Vie’, Dumont, Chalgrin, Rondelet, ma non abbiamo totale certezza invece per i tre più famosi, ovvero Boullée, Lequeu e Ledoux; tuttavia al di là della controversia ancora da dirimere, i loro ideali e le loro opere sono così in sintonia con le istanze illuministico•massoniche che se non sono stati affiliati, di certo avevano qualcosa di più di una semplice vicinanza di pensiero.
Lo spazio architettonico viene così concepito nella sua rappresentazione simbolica tipica dell’ideologia della socialità borghese ed aristocratica; un riunirsi civile che mette insieme le menti e le professioni è tipico del pensiero dei philosophes della seconda metà del ‘700. La loggia massonica è lo spazio più indicato per queste finalità, è uno spazio consacrato a creare una comunità felice, verso la realizzazione, all’esterno, del “bene e del progresso dell’Umanità”.
Ricordiamo soprattutto Claude•NicoIas Ledoux (sebbene il suo nome non sia mai stato trovato tra i documenti superstiti del Grande Oriente di Francia, l’appartenenza a società iniziatiche ci è testimoniata dal racconto di un amico inglese): per lui l’architettura è luce, contrapposta indissolubilmente alle tenebre in un equilibrio dinamico di concezione cosmica.
Ma gli esempi di architettura di ispirazione massonica non mancano nemmeno in Italia: ci piace ricordare in particolare
anche il senese Agostino Fantastici, in cui l’influsso massonico è ben evidente già dal linguaggio usato, eclettico certamente neoclassico. ln sintesi: con l’Illuminismo, il Tempio delle Virtù massonica si affianca sempre di più al mito della Cattedrale, essi sono la rappresentazione della “Loggia ideale”.
E così via, i simboli muratori si intridono di significati densi e si manifestano nei monumenti per acclarare le nuove ideologie di progresso dell’umanità.
Città invisibili e Città visibili: l’urbanistica massonica
Interessante è l’influenza massonica in campo urbanistico e nella fondazione e disegno delle città; questo legame lo si legge attraverso l’interpretazione, ormai consolidata, dell’architettura utopica dell’illuminismo come architettura del Progresso, della nuova Socialità. Così si riflette anche in temi urbanistici, con una visione autocratica, se non “aristocratica”, dove convivono talvolta istanze socialiste ed un autoritarismo quasi ancien régime, una ricerca di un Ordine Superiore che esprima una società ordinata tanto nel suo disegno di città quanto nell’organizzazione della componente umana.
Gli stessi Boullée, Lequeu e Ledoux sono tra i massimi esponenti di questa architettura visionaria, con veri e propri contributi alla città utopica; di Ledoux sono da ricordare le rappresentazioni e gli studi sulla Città Ideale delle Saline di Chaux. II tratto di Ledoux è tipicamente e assai chiaramente iniziatico: l’autore si pone quale emulo del Grande Architetto dell’Universo, conducendo a Ordine (insieme architettonico e sociale) il Caos; Ordo ab Chao. l
Dalla parte del socialismo utopico, troviamo invece Charles Fourier, con le sue visioni del Falansterio e di Cosmopoli: visioni cosmologiche e cosmogoniche che rimandano a idee filosofiche da “iniziati”, dove si cerca di raggiungere, attraverso la geometria dello spazio e l’ordine sociale, l’armonia suprema. Fourier, per quanto non si abbia prova certa della sua appartenenza, ha quantomeno un legame importante con la Massoneria; egli scrive: «Al nostro secolo, si propone una questione completamente nuova: esso non ha riconosciuto le preziose forze che la Massoneria gli offre. La Massoneria è come un diamante non levigato che noi disprezziamo perché non ne riconosciamo il valore…» È invece nota l’appartenenza di altre figure del Socialismo Utopico, come Saint-Simon, Godin, Proudhon, Considérant, ed evidente è la coincidenza di certe tematiche massoniche con alcuni degli ideali di questa corrente di pensiero, come l’Amore Fraterno, l’Ordine dal Caos, l’Armonia Universale. Ma le tracce degli ideali massonici le ritroviamo anche nel disegno di città realizzate: una su tutte, Washington. Sin dal suo concepimento essa fu al centro di una querelle non indifferente, che coinvolse vari attori, tra i quali l’omonimo Presidente, il Segretario di Stato Jefferson, e ovviamente l’urbanista che ne redasse il piano, L’Enfant: poiché
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si stava progettando una città ex novo, si voleva che fosse al contempo simbolo degli Stati Uniti e simbolo della Nuova Civiltà, una sorta di esempio programmatico dell’era moderna, repubblicana, illuministica e massonica; non scordiamoci infatti quanti fratelli contribuirono e influenzarono la Costituzione Americana* e la nuova capitale doveva esserne l’incarnato, la sua rappresentazione materica.
La nuova capitale, non potendo cadere in nessuno degli Stati, fu collocata in un Distretto speciale (District of Columbia) di dieci miglia per lato: il 1 5 aprile del 1791 fu posta la prima pietra di confine, e la cerimonia fu eseguita con un complesso rituale con tanto di sfilata massonica, al termine del quale la posa fu eseguita dal Venerabile della Loggia. E ne furono posate molte altre, ben quaranta, a formare un enorme quadrato (o rombo) simbolico, it cui significato esoterico è evidente nella loro funzione di pietre miliari, di landmarks appunto: capisaldi di un’invisibile recinto sacro, il Distretto, Tempio del Governo Federale; ma anche principi inamovibili che garantiscono l’essenza stessa dell’Istituzione, della Nazione tanto quanto dell’Ordine Iniziatico.
Avanguardia e Tradizione
La sottile linea dell’esoterismo tuttavia attraversa la storia dell’architettura ancora una volta, e in tempi più recenti: dalla fine dell’Ottocento e nel primo Novecento, latente e quiescente nelle istanze avanguardiste del Movimento Moderno.
Singolare come, nonostante il movimento delle avanguardie sia, dal punto di vista stilistico, volutamente di rottura con la Tradizione, esso invece contenga in nuce una forte valenza esoterica che ci riconduce ancora una volta a una visione esoterica dell’Arte e al concepimento della costruzione della Cattedrale dell’Umanità.
Già a partire dall’Art Nouveau, gli influssi esoterici in
architettura sono ben evidenti, e non è un mistero l’appartenenza alla
Massoneria di un personaggio di spicco come Victor Horta. Altro teorico cui si
devono influenze su molti architetti avanguardisti è l’architetto teosofo
J.L.M. Lauweriks, che fu chiamato da Peter Beherens (che nel 1922 progettò la
sede massonica di Monaco di Baviera) a insegnare alla scuola di Darmstadt, la
famosa Colonia Artistica d’avanguardia dove si svolgevano complessi
rituali di influsso esoterico-iniziatico e ispirati da una concezione di corporazione artistica, quasi medioevale. E proprio dalle logge dei costruttori medioevali prendevano spunto le nuove associazioni artistiche previste dal Novembergruppe, che infatti si chiamavano Bauhütte, che vuol dire appunto “loggia”. E poi come non ricordare Rudolf Steiner, il quale a sua volta fu autore in campo architettonico del famoso Goetheanum, il cui nome è un omaggio al grande scrittore romantico (e massone) Goethe.
Un’ondata di misticismo accomuna tutte le istanze espressionistiche, nella speranza di un rinnovamento sociale e spirituale; l’architettura, attività edificatrice per eccellenza, diventa meta suprema: l’edificazione della Cattedrale di Cristallo corrisponde, come in Massoneria, all’autoedificazione per il bene dell’umanità.
In verità l’Espressionismo non inventa nulla: l’esoterismo, ben lungi dall’essere inventato o re-inventato allora, è presente senza soluzione di continuità nella cultura tedesca, e non solo tedesca.
Tutto si coagula nella “Tradizione” grazie ai gangli con la Massoneria, i’ Rosacrocianesimo, la Teosofia, l’Antroposofia, che convergono su posizioni simili verso il finire dell’Ottocento: lauweriks, Steiner, Beherns, la Colonia di Darmstadt.
L’Espressionismo non è un revival, però recupera le
istanze storiche a livello di ispirazione: modelli di comportamento che diano
un senso alla figura dell’architetto. Sarà questo il tema, nell’architettura
moderna, che esprimerà il filone sotterraneo della “Tradizione”,
quello della Cattedrale dell’Umanità, ovvero il Tempio del Bene e del Progresso
dell’Uomo.
Tentiamo una definizione: Architettura Idealizzante ed Ideologica
Crediamo che, dovendosi prevedere una sorta di conclusione, o forse meglio un tentativo di estrapolare un fil rouge comune a tutti gli exempla architettonici appena visti, un’affermazione possa essere riassuntiva anche se non certo esaustiva: l’architettura, che di sua stessa natura è legata indiscutibilmente alle origini della Massoneria, ha nei tempi moderni subito, in alcuni autori e in talune correnti artistiche, un feedback significativo dalle istanze massoniche o filo-massoniche o che comunque sono state ispirate dalla Libera Muratoria. E tale influenza, come è d’uopo nella storia della Massoneria, trae fondamento da entrambe le correnti che da sempre la sostanziano e la sostengono, ovvero quella
illuministico•progressista (che è eterno modello della corrente della Aufklàrung) e quella tradizionale-esoterica (che nelle sue frange più estreme ha dato vita alla corrente della Schwârmerei), e che qui, nel campo antico (direi “primitivo” nel senso etimologico del termine) dell’Architettura finalmente si uniscono in un coro unanime. Quello, cioè, di un’Architettura che non esiteremmo a definire idealizzante ed ideologica: ovvero essa è, e rimane talvolta sulla carta nelle sue Utopie, un modello ideale di creazione, di edificazione, di trasformazione dal Caos all ‘Ordine, simbolo e simulacro defl’autoedificazione dell’Uomo, dei Valori e delle Virtù umane e civili, che esso ha riconosciuto e a cui si sforza di elevare Templi; che questi “parlino” per lui (ed a lui), in eterno. È quindi la testimonianza fatta di materia, ovvero “concreta”, del profondo spiritualismo ed idealismo che risulta parte essenziale dell’Uomo e della sua Storia.
Un trait d’union iniziatico: il Compagnonaggio
II Compagnonaggio al giorno d’oggi pare essere probabilmente l’unica realtà lavorativa dove l’avviamento al mestiere è una vera e propria Iniziazione, cioè riveste anche un’importanza spirituale. Naturalmente ai grandi studiosi di storia massonica la cosa non è certo sfuggita; tra questi René Guénon, il quale nelle sue opere ha sempre sostenuto la cosiddetta “teoria del tronco comune”, ovvero che entrambe le realtà derivino da un unico antenato. ln effetti le somiglianze e le vicinanze sono tantissime: basti ricordare che anche i Compagnoni hanno una tradizione legata al Tempio di Gerusalemme, a Salomone e a Hiram, su cui poi si innesta la figura di Maître Jacques, collega di Hiram ed anch’egli partecipe ai lavori del Tempio, che dopo lungo viaggiare per- il mondo si ritira in Provenza, dove finisce ucciso da cinque discepoli compagnoni traditori?
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Nondimeno, abbiamo rappresentazioni e allegorie molto esplicite, nei brevetti o nel Rô/e (sorta di piedilista) di società compagnoniche operanti in alcune città francesi, in cui fanno bella mostra di sé emblemi e simboli propriamente massonici. Ma, come giustamente fa notare Mathonière3, molte di queste forme simboliche ed espressive strettamente massoniche, così come le prime tracce della leggenda dell’uccisione di Maître Jacques da parte dei cattivi compagnoni, paiono comparire in documenti pervenutici risalenti a non prima del Sette-0ttocento.
Questo, insieme alla notoria “doppia appartenenza” di molti compagnoni francesi in quei due secoli, spinge Mathonière e altri studiosi a mettere fortemente in dubbio l’affermazione categorica di Guénon, propendendo per una non necessaria identità dei due rami (massonico e compagnonico) nel passato, e spiegando le clamorose somiglianze simbolico-allegoriche con un’operazione di influenza massonica massiccia, diremmo quasi una “massonizzazione”, dovuta alla diffusione enorme che le logge e gli ideali muratori ebbero in quel periodo, anche tra le classi artigiane. Secondo tale ipotesi non si può parlare di un “tronco comune” tra le due istituzioni iniziatiche, ma eventualmente di «…substrati culturali in tutto o in parte comuni e/o simili» 4 Onestamente, ci pare che tale contro-ipotesi sia quasi un tentativo di voler dare un risalto maggiore al compagnonaggio, cercando di sollevarlo dall’appiattimento in cui in effetti la presunta identità protostorica con l’ordine massonico sembra averlo gettato, schiacciato da un’ingombrante coinquilino che calamita forse troppo le attenzioni, quale è la Massoneria.
Una cosa però è certa, la scarsità delle fonti e fa disparità di approfondimento che esiste tra Libera Muratoria e compagnonaggio non permettono al momento di tirare alcuna conclusione e lasciano giustamente interrogativi irrisolti.
A nostro avviso, questa distinzione finisce per divenire, a secoli di distanza dai fatti storici, una questione de lana caprina: quello che a noi interessa fondamentalmente è proprio quel substrato culturale, legato all’Arte della Costruzione, quel senso del Sacro che da tempo immemore ha sempre contraddistinto l’Architetto ICostruttore, figura iniziatica già per sua stessa natura: mestiere che era probabilmente particolarmente ricettivo nei confronti della Tradizione Occidentale, come poi delle istanze Illuministiche. In questo senso, il Compagnonaggio, col suo inscindibile legame, ancor oggi, con la parte “operativa”, rappresenta una prova “vivente” di come il salto verso la Massoneria moderna non sia spiccato casualmente da un universo, quale quello architettonico-muratorio, denso da sempre di spunti filosofici
Una conferma dell’esistenza del GADU: la Sezione Aurea
La Geometria, una delle Sette Arti Liberali, nonché materia attinente la sfera del Sacro e della Creazione divina, è sempre stata un punto imprescindibile della figura dell’Architetto /Costruttore e del substrato culturale protomassonico. Non poteva quindi mancare un accenno al numero che forse più sembra svelare, nelle sue varie ed incredibili manifestazioni, la presenza del GADU dietro alla bellezza del Creato, una sorta di matrice divina che si nasconde come ossatura geometrica sotto fa materia.ll Numero Aureo (in matematica Q) dalla sua scoperta ha rappresentato un punto cruciale nella storia non solo della matematica, ma anche del pensiero dell’uomo; non sappiamo con esattezza se fosse conosciuto anche in civiltà precedenti, ma certamente è giunto a noi tramite la defi nizione della “proporzione estrema e media” di Euclide.
La definizione euclidea ci dice che un segmento AB è diviso in due parti AC e CB, secondo la proporzione estrema e media, quando AB:AC=AC:CB; cioè risulta diviso secondo quello che è stato definito Rapporto Aureo, o Sezione Aurea. Tale rapporto è espresso con il numero (P = 1 ,61803398…, con infinite cifre decimali prive di sequenze ripetitive. Quindi Q è un numero ‘irrazionale’! anzi come qualcuno ha detto, il più irrazionale dei numeri irrazionali.
Quando il concetto dei numeri irrazionali fu sviluppato, nella Grecia classica, anche in termini filosofici pose un serio problema epistemologico al pensiero umano tutto: il mondo, la realtà, non era così più nettamente finita e misurabile.
Si narra, secondo fonti storiche incerte, che il concetto di incommensurabilità creò enormi angosce in particolare ai Pitagorici, che considerarono questa cosa la manifestazione di una imperfezione cosmica, una imprecisione di origine divina. Invero, come vedremo più avanti, il Numero Aureo potrebbe invece racchiudere, forse, la chiave per la lettura defla perfezione e della meraviglia che il Creatore ha nascosto nelle pieghe più profonde del creato. Gli esempi in natura si sprecano, e soprattutto si trovano in campi ed in ordini di grandezza lontanissimi tra loro. La conchiglia di tipo Nautilus si sviluppa lungo un certo tipo di spirale, la spirale logaritmica, che ha una connessione geometrico-matematica strettissima con il Rapporto Aureo. Questo tipo particolare di spirale si ritrova, magicamente, nella disposizione delle foglie delle piante (fitlotassi), dei semi di girasole, nella macroarchitettura
delle galassie… Matematicamente, la geometria della Sezione Aurea è strettamente legata alla Serie di Fibonacci, ed alle sue incredibili proprietà numeriche: ogni numero della serie, diviso per il predecessore, è una sempre più accurata approssimazione di (P. Lélenco delle implicazioni matematiche dovute alla connessione tra la serie di Fibonacci e il Numero Aureo, è veramente lunga. Basti pensare che una serie lunghissima di matematici e scienziati del passato vi si sono imbattuti, e stupiti di conseguenza (pensiamo a Luca Pacioli ed al suo trattato “De divina proportione”).
Ma allora una domanda si pone necessaria: se «p è manifestazione del Lògos, del Dio come Principio Ordinatore e Regolatore dell’Universo, come si interpreta la sua presenza dal senso metafisico a quello fisico? Qui forse ci viene incontro lo stesso nome di Leonardo Fibonacci, che in realtà aveva altro cognome ma che passò alla storia, grazie alla sua scoperta, come ‘*Figlio dei bonacci” (da cui Fi l bonacci), cioè *’figlio di una buona disposizione’! Cioè fu colta da subito una cosa fondamentale: le proprietà matematiche, che sono astrazione pura, nella reaftà corrispondono, con buona approssimazione, a proprietà fisiche del mondo reale. Quando l’esperienza ci fa notare che la fillotassi delle piante si organizza in un certo modo, quando il girasole, la mela e la conchiglia seguono una determinata geometria, il messaggio che traspare è che evidentemente quella è, in natu ra, la “buona disposizione! cioè probabilmente la migliore per Io sviluppo della vita.
E fi il Grande Architetto dell’Universo ha dato prova delle sue capacità matematiche, che noi ancora non riusciamo a comprendere appieno e probabilmente non ci riusciremo mai; ecco che ne esce una visione della realtà come di un qualcosa che sussiste sopra (e grazie) a una matrice divina, da leggere in filigrana e non solo con gli occhi della ragione, ma anche con quelli dell’intuizione. Ecco come mai l’uomo da millenni considera quindi sacra la Geometria, e perché ha sempre rivestito un carattere sacrale l’atto del costruire, e quindi l’Architettura. E nel momento in cui riconobbe la matrice divina nel Numero Aureo/ ne constatò la sua bontà e al contempo la sua bellezza (secondo un principio caro agli antichi Greci, Kalòs Kai Agathòs): ciò che è buono, funzionale, è anche bello. Cioè la bellezza figlia della proporzione, e quindi dell’armonia, intesa come manifestazione accidentale dell’Armonia Celeste. E se la Bellezza e l’Armonia sono manifestazioni del Divino e dell’atto creativo di Dio, anche l’Uomo, fatto a sua immagine e somiglianza, quando crea e costruisce tende a riconoscere le leggi e le proporzioni che egli interpreta attraverso il suo intelletto grazie all’astrazione matematica.
L’uomo ha così replicato le forme e le proporzioni della Natura nelle sue opere, cosicché spesso ha utilizzato in particolare nell’Epoca Classica, la Sezione Aurea; non a caso la lettera greca (P, corrispondente alla nostra F, è stata utilizzata per indicare il Numero Aureo in onore di Fidia, il grande architetto e scultore greco. Ma egli, e con lui gli autori di meraviglie artistiche ed architettoniche dell’antichità, lo utilizzarono davvero e con coscienza? Molti studiosi oggi Io mettono in dubbio, sostenendo che spesso si è trattato di voler trovare (P in tutti i modi da parte di chi si era invaghito di una teoria da dimostrare, e con i numeri, si sa, si può giocare quanto si vuole… Questo non significa che in molti casi non sia effettivamente stato utilizzato consciamente il Rapporto Aureo in un edificio, però ci deve indurre a valutare con attenzione le tesi, soprattutto quando si ha a che fare con i numeri, che, Io sappiamo, li possiamo sempre manipolare e far tornare a piacere…
Un grande architetto del Novecento, Le Corbusier, sviluppò un sistema proporzionale che chiamò “Modulor”, ovvero la figura stilizzata di un uomo, ogni parte del corpo seguendo la Serie di Fibonacci. Secondo il suo autore, il Modulor permetteva di conferire dimensioni armoniose a tutto ciò che si progetta, dalla cassettiera al palazzo, fino agli spazi urbani, diventando un sistema di standardizzazione con una matrice di armonia naturale che potremmo definire quasi “deistica”.
Per una conclusione: nessuna conclusione?
A fine di questo excursus proviamo a tracciare una possibile conclusione a un’indagine che forse ha spaziato in campi apparentemente distanti, ma che invece sono strettamente correlati ad un’unica visione d’insieme, forse così ampia che la si coglie meglio osservandola da una certa distanza.
Il rapporto tra Massoneria ed Architettura è un qualcosa di viscerale, e non solo per la vexata quaestio delle origini della nostra istituzione, ma a ben vedere, in senso lato ovviamente, essa sprofonda nelle pieghe mirevoli della storia dello scibile umano, laddove lo studio della Geometria, della Fisica e della Matematica tornano al primo interrogativo se Dio si manifesta attraverso la Bellezza del Creato, o se forse è l’uomo che comunque ha bisogno e desiderio di trovare tutta intorno a sé la traccia della scintilla divina, e così si prefigura la divinità, a propria immagine e somiglianza, con in mano un enorme compasso con cui traccia l’armoniosa curva dell’Universo; il GADU quale noumeno di quella cosa in sé inarrivabile e che trascende la ragione umana.
Anche per tutta la complessità dei temi trattati, ma non solo, rimane così volutamente del tutto aperta questa conclusione, che forse tale non è, e non deve essere, visto che il Tempio, come sempre, è ancora in costruzione.
Lasciamo però le ultime righe per un aneddoto su Louis Kahn, uno dei più grandi architetti del XX secolo: americano di origini ebraiche, in realtà si sentiva apolide e spinto da un’universalità che comunque non gli fece dimenticare l’influenza della mistica ebraica, secondo cui il Messia non è ancora venuto, e quindi la presenza di Dio la si può intravedere nelle sue Opere.
Ma in fondo l’Opera di Dio è anche l’Opera dell’Uomo che, nel suo atto creativo che lo congiunge alla divinità, crea l’Opera per Dio, come fece Hiram con il Tempio.
Questo è l’aneddoto, tratto da un racconto autobiografico: da piccolo, in Estonia, era fortemente attratto dalla luce (e le sue opere architettoniche tuttora Io testimoniano), e da qualunque cosa la emettesse, compresi dei tizzoni ardenti, fino al punto, una sera, di metterseli sul grembiule, che prese ovviamente fuoco, ed egli si bruciò così il volto, rimanendo parzialmente sfigurato per tutta la vita.
Non sappiamo se Louis Kahn fosse un Libero Muratore, non avendo trovato notizie in merito, e personalmente ne dubitiamo molto, ma (ed è ciò che più conta) quello che trasmettono la sua architettura e le sue parole sono comunque sensazioni che si collocano su una lunghezza d’onda profondamente universale. Egli amava dire: «Amo gli inizi. Gli inizi mi riempiono di meraviglia. lo credo che sia l’inizio a garantire il proseguimento». Che prosegua, con forza e vigore, fa costruzione del Tempio…