LA MASSONERIA IN ITALIA NELL’ETÀ DEL ROMANTICISMO

LA MASSONERIA IN ITALIA NELL’ETÀ DEL ROMANTICISMO

(IL CLIMA INTELLETTUALE, MORALE E SPIRITUALE NELL’ITALIA DELLA PRIMA METÀ DELL'(ÀTOCENTO)

 di  P.  P.

La costituzione del primo Grande Oriente d’Italia (G.O.I.) avvenne il 20 giugno 1805. Dopo si registrò Luna forte diradazione delle Logge; mentre, viceversa, s ‘aprì il periodo fiorente della proliferazione delle vendite carbonare e di altre società iniziatiche gemmate dalla Libera Muratoria. Un successivo rilancio della Massoneria si ebbe tra il 1859 e il 1861, anche se essa si mostrava divisa in tre rami: il cavourriano Grande Oriente d’Italia con sede a Torino (1859); il garibaldino Grande Oriente di Palermo (1860); il Grande Oriente di Napoli (1861).


Anche in Italia sul finire del ‘700 si era effettuato il tentativo di tradurre in azione le idee nuove importate dalla Francia rendendo manifesta la volontà di rinnovamento con sentimenti di fiducia talvolta ingenua e con atteggiamenti spesso di passiva imitazione di ciò che veniva d’oltralpe. Nel primo decennio dell’Ottocento tali sentimenti e atteggiamenti cominciavano a mutarsi assumendo spesso forme opposte di critica e di reazione. In particolare nei diversi centri culturali della penisola si diffondeva un senso di crescente allontanamento nei confronti dei maestri stranieri un tempo ammirati ed acclamati e tutto questo si manifestava nella forma di un progressivo distacco dal razionalismo settecentesco che aveva fatto tabula rasa dei valori della tradizione. Ora agli inizi dell ‘Ottocento tale razionalismo cominciava ad essere visto come eccessivo e sovvertitore e, per converso, la rivendicazione sempre più decisa dei valori della tradizione finiva col rispondere alla necessità di porre un argine al razionalismo stesso o, almeno, ai suoi eccessi. ln questo contesto, nel nostro paese, si iniziava a prendere concretamente il senso della propria nazionalità, in particolare rivalutando la religione che con la sua tradizione, con la sua struttura, con le sue istituzioni secolari, poteva sembrare l’istituzione più schiettamente nazionale, l’unica sopravvivenza intatta nel mutevole corso della nostra storia e della nostra civiltà.

Il pensiero italiano di questo periodo si trovava posto di fronte alle due istanze opposte: quella trascendentistica/fideistica da un lato e quella immanentistica/razionalista dall’altro. E queste istanze (trascendenza e immanenza, principio di autorità e libero esame), alla fine non potevano non urtarsi creando così nuovi problemi, nuovi indirizzi che portarono alla sostanziale mancanza di vita nelle Logge sino alla metà del secolo.

Il grande movimento dell’Illuminismo aveva voluto porre in atto la civiltà dei lumi ma seguendo il corso stesso degli eventi poté sembrare che la rivoluzione si chiudesse in completo fallimento; il secolo dei lumi tramontava nelle stragi del Terrore, il sogno di libertà e la visione idilliaca settecentesca dell’uomo buono

per natura si erano mutati nella tirannide e nella guerra perpetua di Napoleone. Il tentativo del secolo dei lumi di respingere il passato lasciava sempre più forte il dubbio che non bastasse il puro e semplice raziocinio per creare un edificio durevole. Tante cose, idealmente ben congegnate, offendevano profondamente gli affetti e le consuetudini degli uomini, fossero la costituzione civile del clero, la legge sull’eguaglianza delle tombe o i regni costituiti ex novo da Napoleone. (Un solo esempio preso da Foscolo: il culto delle tombe sarà una illusione ma sono le illusioni come queste che costituiscono il vissuto stesso dell ‘uomo). Di conseguenza anche la religione liberata dall ‘arroganza dell’altro clero, dall ‘esoso fiscalismo delle decime, dagli intrighi dei gesuiti, ritrovava nuova vita come un albero potato dei vecchi rami, rigermogliando vigorosamente.

Il senso di appartenenza alla nazione si contrapponeva al cosmopolitismo astratto sfruttato dalla Francia napoleonica. Il grande vigore verso lo studio della storia dei popoli e la ricerca dell’origine delle nazionalità moderne portava all’interesse per la storia del medio evo a cui tendeva anche il risveglio religioso. Veniva rivalutata la tradizione non più considerata come archetipo immobile ma come ispirazione per ampliare il mondo dello spirito. Per questi concetti si sentiva che la vita non era un vano, capriccioso arbitrio, ma che era retta da una legge superiore ispirata ad un valore perenne tendente ad attuare un progetto nell ‘ambito di una libertà non intesa quale arbitrium indifferentiae, cioè come mera facoltà di scelta ma come determinazione autonoma.

Romanticismo da vedere non solo come moto letterario o come semplice moto culturale, ma come profonda trasformazione della forma mentis degli atteggiamenti, della sensibilità, dell ‘apprezzamento degli uomini e delle cose.

Con l ‘avvento del Romanticismo si rivendicavano i diritti della fantasia (l ‘intuizione) e della spontaneità (il cuore) contro quelli dell ‘intelletto (la mente) e si rivendicava il valore della storia e della tradizione contro I ‘esclusivo imperio della ragione.

Gli illuministi, grazie alla ragione erano convinti di potere sciogliere ogni dubbio, di potere dare una risposta esatta ad ogni domanda. I romantici avvertivano i limiti della ragione: sentirono cioè che la sola ragione non era in grado di spiegare tutto (chi siamo? da dove veniamo? dove andiamo? quale il senso della vita?); in particolare nessuna teoria razionale e scientifica riusciva a spiegare in modo soddisfacente l’origine di alcuni sentimenti, di alcuni stati d’animo che derivavano dalle zone più profonde e misteriose della mente e dell’anima. Gli illuministi, sempre grazie alla ragione erano sicuri di potere risolvere tutti i problemi e di potere costruire una società felice e perfetta. Invece i romantici avevano dubbi sulla possibilità della ragione di liberare l’uomo dal dolore e dalle imperfezioni; essi si rendevano conto che esisteva una frattura insanabile fra ideale (un mondo bello, sereno, felice, senza problemi e senza dolore) e realtà (il mondo in cui effettivamente si viveva, pieno di problemi, contraddizioni, dolore…).

Ne confronti dei sentimenti mentre l’Illuminismo aveva posto la ragione al di sopra di tutto i romantici, anche se riconoscevano alla ragione una validità conoscitiva, esaltavano l’emozione, lo stato d’animo, l’intuizione ritenendo l’animo come sede interna, profonda, misteriosa di tutte le pulsioni spirituali, affettive, sentimentali.

Per quanto riguarda poi il valore da attribuire al singolo individuo, molti illuministi ritenevano che tutti gli uomini fossero uguali perché tutti provvisti di ragione; per i romantici, invece, ogni uomo era diverso dagli altri perché provava sensazioni, stati d’animo, sentimenti diversi dagli altri. Ogni individuo, infatti, aveva dei sentimenti privati, una sua specifica condizione esistenziale, una sua “anima”.

Così nella valutazione dell ‘importanza della storia gli illuministi non si erano curati molto del passato spesso ritenuto un mero cumulo di errori; i romantici, invece, nutrivano un appassionato amore per la storia vista nel suo perenne e dialettico divenire. In particolare i romantici rivalutavano il medioevo perché quel periodo aveva segnato il trionfo della spiritualità e soprattutto perché nel medioevo erano nate le moderne nazioni europee.

Infatti a proposito dell ‘ idea di nazione mentre gli illuministi avevano avuto tendenze cosmopolite, i romantici davano un ‘enorme importanza alle origini etnico-geografiche degli uomini. Ogni individuo, per i romantici, doveva molto alle abitudini, agli usi, ai costumi, alle tradizioni del luogo di nascita e questo amore per le proprie radici (etniche, storiche, politiche, culturali…) portava gli intellettuali romantici a studiare e ad esaltare le tradizioni popolari come le antiche fiabe, leggende, saghe e tradizioni popolari. Il romanticismo, in pratica, creava ed esaltava il concetto di nazione (a cui erano strettamente correlati, ovviamente, i concetti di popolo e di patria). E in nome di questi ideali i popoli oppressi o dominati da potenze straniere (italiani, polacchi, greci…) iniziavano a combattere per la loro libertà e indipendenza.

Naturalmente non sarebbe pensabile dare una definizione univoca ed unitaria del romanticismo (come del resto di qualunque movimento di pensiero e idee) considerando che il romanticismo tedesco è diverso da quello inglese; quello francese è diverso da quello tedesco ed inglese; quello italiano è assolutamente diverso da quello francese, tedesco… Per non parlare poi del fatto che autori dello stesso paese (e dello stesso periodo) interpretavano il romanticismo in maniera assai diversa: Manzoni e Leopardi, ad esempio, sono i nostri più grandi [1]autori romantici, ma si rifanno a filosofie, concezioni estetiche e poetiche diametralmente opposte.

Esisteva anche un romanticismo reazionario: molti intellettuali, delusi per il fallimento degli ideali illuministi e della Rivoluzione Francese, delusi per il dispotismo napoleonico, stanchi dopo anni di sommosse, guerre, caos… auspicavano un periodo di pace, di quiete, di ordine sociale c politico; per questo rivalutavano la religiosità tradizionale (dogmatica ed oscurantista), la monarchia assoluta (ultramontanismo) ed invocavano la repressione di ogni velleità riformista e democratica.

Ma esisteva anche un romanticismo liberale che esaltava le libertà individuali e sociali, che si batteva per la libertà dei popoli oppressi e che si rifaceva, se mai, al cristianesimo evangelico delle origini. Così come esisteva un romanticismo democratico rappresentato da coloro che lottavano per un’Italia libera, unita, repubblicana e democratica. Esistevano romantici che predicavano l’impegno sociale e politico, e romantici che praticano il disimpegno totale; romantici che si ponevano alla testa dei popoli e romantici che si chiudono vittimisticamente in se stessi; romantici che inseguivano la realtà e romantici che fuggivano da essa… Segni talmente contrastanti e opposti da rendere difficoltoso qualsiasi tentativo di sintesi. Una esemplificazione di questa complessa situazione potrebbe essere portata dalla figura di Joseph De Maistre.

Mentre per una definizione dell’essenza romanticismo si potrebbe ricordare un pensiero del poeta Novalis2.


“Quando conferisco a ciò che é comune un senso più elevato. all’ordinario un aspetto misterioso, al noto la dignità dell’ignoto, al finito un’apparenza infinita lo romanticizzo”. Il mondo deve essere “romanticizzato” vedendo nel particolare un valore universale e, viceversa. riconoscendo che l’universale si esprime sempre  nel particolare. Ma per “romanticizzare” la realtà comune occorre guardarla con gli occhi dell’intuizione più che con quelli della ragione, tanto impiegati nel periodo illuministico. La compiuta realizzazione dell’uomo è pertanto l”‘indiarsi”, la complessa risoluzione nell ‘Uno-tutto, nella quale l’individuo esplica il suo infinito valore. e, allo stesso tempo, l’infinito si determina come individuo: con ciò si realizza completamente l’essenza del romanticismo.

Ma dopo questa lunga riflessione sul periodo romantico torniamo alla nostra storia, quella della Libera Muratoria. Da un lato in coincidenza con la sconfitta di Napoleone l ‘importanza della massoneria ridotta da lui a mero instrumentum regni e usata per lo più per favorire carriere ad alto livello, viene meno. Dall’altro anche le Logge che non si erano asservite al regime napoleonico, in questo frangente storico, non rappresentano lo strumento più adatto per continuare l’azione in senso liberale e nazionale. In Italia, pur nella scarsezza di dati certi, probabilmente la maggioranza dei liberi muratori militò nelle file della opposizione liberale e patriottica ai regimi restaurati rifiutando l’ideologia stessa della Restaurazione. Si può reputare veritiera, estendendola a tutto l’arco di tempo che va dal 1815 al 1859, la valutazione che della presenza massonica dava un confidente della polizia pontificia in un suo rapporto del 1817: “Vi sono molti massoni in Roma, Fermo, Perugia ma ora sono inoperosi e rimangono come un venerabile avanzo di antichità per i suoi ammiratori”

Non fu infatti produttivo di risultati il tentativo fatto intorno al 1820 da FRANCESCO SAVERIO SALF1 [2]di ripristinare in Italia una Massoneria profondamente riformata; e cosi pure non ebbe sbocchi pratici l’iniziativa presa nel 1 822 dal Buonarroti[3]di rilanciare la Massoneria puntando su di un drastico snellimento dei

suoi rituali. Non bastava essere contro l’antico regime (ora restaurato) e a favore del progresso ma bisognava anche individuare le forze capaci di creare un nuovo ordine e concertare piani d’azione adeguati alle reali possibilità della società italiana. Questa consapevolezza della nuova realtà certamente presente in molti liberi muratori fece si che la vita nelle Logge si assopisse o addirittura cessasse per dar vita ad altre forme di pensiero ed azione più adatte per il conseguimento del disegno politico che caratterizzerà il nostro Risorgimento e per questo si generarono nuove aggregazioni, in parte sicuramente derivate da preesistenti Logge ed una di questa fu senz’altro la Carboneria.

ln tutte le società segrete che operano nella Restaurazione, sembrano alternarsi una corrente <<fredda», razionalistica, e una vena «calda», romantica e in qualche modo religiosa, anche se di una religiosità spesso eterodossa che spiega ad esempio perché la simbologia della Carboneria così ostentatamente si richiami a simboli religiosi esplicitamente cattolici: per esempio, alla Passione di Cristo e ai santi.

La maggior parte dei massoni, magari entrati sonno», andò tuttavia a costituire, nella Penisola o fuori di essa, l’ossatura di una complessa e frastagliata rete di gruppi  e di relazioni latomistici, non formalmente massonici, che influiranno in seguito su una parte cospicua delle élite culturali e politiche italiane. A questo proposito non si può sottacere la forte impostazione anticlericale che caratterizzò una cospicua parte dei liberi muratori italiani dovuta, in estrema sintesi, al convincimento che il più grande ostacolo per la realizzazione del progetto unitario fosse l’esistenza del potere temporale della Chiesa a ciò fortemente ostile. Per questo è stato sostenuto che la Massoneria in Italia, a causa della questione romana, fu anticlericale nella misura in cui il potere temporale fu antiunitari5 .

CONCLUDENDO: tutte queste considerazioni aiutano a comprendere come, nonostante l’assenza di un’organizzazione sul territorio, la massoneria in Italia rinacque quasi improvvisamente alla vigilia dell ‘Unità e si ramificò poi rapidamente in tutta la penisola.


[1] Il conte Giuseppe De Maistre può essere preso come l’esempio dell’antitesi dello spirito giacobino e poi carbonaro; nato nel 1 853 a Chambéry fu educato dai padri Gesuiti con i quali rimase sempre in buoni rapporti. Studiò teologia, diritto ed economia a Torino ed iniziò la carriera di magistrato. Entrò a far parte prima della Loggia “Tre mortai” e poi della Loggia “Perfetta sincerità”. Quando scoppiò la rivoluzione il governo piemontese mise al bando le logge massoniche ritenute pericolose e sovvertitrici. De Maistre uscì dall’ordine ma molto dopo precisò le sue convinzioni nella “Memoria al Duca di Brunswick” in cui contestava energicamente la tesi che le logge fossero covi di complotti rivoluzionari sostenendo che la Massoneria non era che la scienza dell’uomo, lo studio della sua origine e del suo destino (chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo) e che tutto ciò non conduceva certamente al sovvertimento dell ‘ ordine costituito.

– Pseudonimo del filosofo e poeta tedesco Friedrich Leopold von Hardenberg (1772-1801). Fu uno dei maggiori animatori del circolo romantico di Jena.

[2] Letterato e patriota italiano (Cosenza 1759 – Parigi 1832). Sacerdote, nel 1792 entrò nella Società patriottica napoletana e si rifugiò quindi, lasciata la condizione ecclesiastica, a Genova e a Milano. Proclamata la Repubblica napoletana, fu segretario del governo provvisorio. Di principi massonici, fu consigliere di Gioacchino Murat. Nel 1815 si ritirò definitivamente in Francia; rimase tuttavia sempre attento agli avvenimenti italiani; per es., nel 1831 stilò con Filippo Buonarroti il testo di un proclama che avrebbe dovuto servire a un movimento insurrezionale a cui stavano interessandosi alcuni fuorusciti italiani.

[3] Uomo politico rivoluzionario (Pisa 1761 – Parigi 1 837); esule volontario in Corsica poco dopo lo scoppio della Rivoluzione fran-

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