IL TEMPO
Il tempo non ha significato fuori del creato, della vita, dell’uomo; esso ha valore e sostanza ed effetto soltanto se può essere « fermato » nell’attimo che passa o in attimi successivi, e la natura e l’uomo, nel loro farsi e disfarsi, sono difatti in misura del tempo, la sua personalizzazione.
Senza di essi il tempo sarebbe parola vana, atta per lo più ad esprimere il concetto di eterno e cioè di senza tempo, come lo spazio, senza il creato, servirebbe soltanto a definire l’infinito e cioè il senza spazio. I due principii a priori kantiani altro non sono che i mezzi necessari per acconsentire all’uomo di conoscere e cioè di far valere la sua intelligenza.
Il tempo è quindi in noi, nel nostro pensiero, nella nostra trasformazione. Come tale esso è ricordo, storia; ed è pure attesa, vale a dire avvenire. Non vi sono popoli, per quanto primitivi, senza storia: la tradizione è storia ed è esperienza di cose vissute, monito e suggerimento per le cose da vivere, da fare.
Senza il creato il tempo (nato con esso, perché il creato si sintonizza, evolvendosi compiendo i suoi fatali cicli, appunto nel tempo), il tempo diventerebbe – ammesso che possa esistere da solo – pura meccanicità e uniformità: la varietà sta nel contenuto. Il tempo è dunque forma di un contenuto, che gli dà una realtà: diversamente esso sarebbe cosa astratta, idealizzata. Con la realtà esso s ‘ inserisce profondamente in tutta la gamma e le specie dell’universo, incidendo come legge inesorabile perché assoluta, a servizio del comando divino, nella vita terrena.
ln altre parole anche il tempo non si può comprendere, se non lo si accetta come realtà terrena; e cosi lo spazio, impensabile – come osservò S. Agostino prima che il mondo incominciasse ad esistere. Mentre Dio non ha dimensioni essendo infinito, ossia senza limiti, l’uomo è dimensione nel tempo e nello spazio, i due elementi a priori ritenuti da Kant indispensabili per la conoscenza empirica. Come tali, noi li afferriamo nel momento della conoscenza, anche se essi esistono indipendentemente da essa, ma pur collocando ogni nozione nello spazio e nel tempo (l’hic e il nunc di S. Tommaso), non possiamo dire di possedere e cioè di conoscere che cosa sia lo spazio e che cosa il tempo. Li usiamo, necessitano all’essere fisico per essere: li definiamo come successione di attimi, nella durata e nella distanza, le due dimensioni che regolano appunto la vita del creato. Nel nostro mondo tutto è fatto di attimi: il primo amplesso umano, fra Adamo ed Eva, durò forse pochi attimi e dette l’avvio a tutte le generazioni. Un attimo segna il destino del mondo, dell’uomo: noi viviamo di attimi, pensiamo per attimi, decidiamo – in un attimo – per il bene o per il male, per la carità o l’egoismo, per la vita o per la morte, per l’eccelso o per la bruttura. Orbene, ciò che Cartesio definiva scienza, conoscenza dell’esistenza e Vico correggeva in coscienza dell’esistenza, altro non è se non la coscienza della nostra temporaneità di fronte alla coscienza di una infinità che l ‘ha creata e determinata, poiché il più forma il meno, ma non viceversa. Tutto ciò è puro ragionamento umano, ma la ragione è tutto quanto può fare l’uomo. D’ altra parte il tempo ci costruisce e ci sfascia: prima ci aiuta e poi ci offende, ci vitupera, ci deteriora, annullando ciò che ha fatto. Vi è dunque una parabola, il cui culmine segna la svolta della azione del tempo: dapprima positiva e poi negativa. L’uomo si difende disperatamente contro il tempo, ma il suo destino è inesorabile e nulla può contro quel giustiziere del creato, che adempie con scrupolo al suo incarico. Il tempo è quindi il mezzo che serve a ricondurre in polvere ciò che è sorto dalla polvere e cioè a compiere il ciclo ineluttabile della vita nel mondo della materia: donde il « Memento homo, quia pulvis es et in pulverem revcrteris! » che si confà pienamente al nostro assunto e all’ipotesi scientifica che. tutto è nato dalla materia. Comunque tale distruzione è necessaria per l’eterna primavera del mondo: ma tant’è, tutto ciò che è nato, perisce per mano del tempo, scopa del creato, voluto da Dio insieme al mondo, a regolarne gli attimi e il destino. Altra soluzione, altra via, non esistono: noi parleremo di cicli e di ricorsi: l’Autore dell’universo ha posto i fondamenti della scienza compiendo il fenomeno scientifico più grandioso che sia mai stato dato a conoscere all’Umanità e a questa offrendo il libro scientifico più sterminato che mente umana possa, nei millenni, spaziare. Perciò, non si può non pensare che Dio abbia pure concesso all’Umanità, seguito di individui, il tempo necessario per leggere tutto il Suo libro prima di distruggerlo, in quanto. non potrebbe, per « quel » futuro, più scrivere