SUL “CONOSCI TE STESSO”
Maestro Venerabile, Fratelli carissimi,
in una delle ultime tornate, dopo l’intervento di alcuni Fratelli, mi pare che sia emerso il dubbio sulla opportunità del nostro lavoro di Loggia, sul “conosci te stesso”.
E veramente necessario questi lavoro?
Alcuni di noi sono spinti a rispondere affermativamente a questa domanda. Ma quali sono le argomentazioni che rendono i essi così sicura questa risposta?
Indubbiamente, come prima cosa, deve avere molto peso la convinzione che essi hanno di trascorrere la vita in compagnia di quella entità che noi chiamiamo “se stessi”, senza avere la possibilità di conoscerla minimamente. Molti di noi, al contrario, sono convinti di conoscere se stessi, almeno in parte. Altri invece credono decisamente di conoscere perfettamente tale entità.
In che maniera quelli che ritengono di conoscere se stessi sono giunti a tale conclusione?
Certamente posso dire per esclusione, perché io faccio parte di quella schiera. Noi abbiamo cioè continuato ad eliminare, via via, tutte le affermazioni di questo tipo “Ecco, io posso finalmente identificarmi con questa entità”. Nessuna, perciò, delle entità con le quali ci siamo, via via, identificati ci è sembrata e ci sembra adatta per il rappresentare il “noi stessi”.
Eppure, a prima vista, sembra impossibile che non debba esistere un qualche cosa che sia adatto per rappresentare noi stessi. In ultima analisi, ognuno di noi, durante la sua esistenza è pur riuscito a comporre una immagine di se stesso che risponde alle sue esigenze. Alcuni di noi sono così convinti di possedere la “vera” immagine di se stessi che, ogni tanto, specialmente quando si trovano in difficoltà, conversano con codesta immagine, chiedono ad essa consiglio ed accettano le sue decisioni, come se queste provenissero effettivamente da qualche cosa di soprannaturale. Ma è vera questa convinzione o è frutto di una illusione, costruita dalla mente, che in noi tutto decide e tutto vuole?
Ecco che si vengono a costituire due opposte tendenze, due opposti partiti. Da una parte, un gruppo di noi è convinto di conoscere perfettamente il “se stesso”, e di non avere il minimo dubbio su tale argomento. Dall’altra parte, un altro gruppo afferma che il “se stesso” non può essere identificato con alcunché di materiale, e che diventa perciò impossibile una ricerca su di un piano comunemente mentale, poiché crede che qualsiasi immagine mentale di se stessi sia frutto della mente e, come tale, un’illusione.
Queste due posizioni opposte devono essere chiarite.
Non possiamo continuare per secoli nella disputa, rafforzando con esse le avverse posizioni. A noi si addice una chiara analisi dei fatti, alla luce della ricerca appassionata, con piena coscienza di causa, senza fanatismi o facili conclusioni di tipo enciclopedico.
E possibile fare tale ricerca?
Per conto mio il problema si può presentare così: esiste un’entità che noi chiamiamo noi stessi. Questo almeno mi sembra vero. Ognuno di noi crede nell’esistenza di tale entità. Può questa entità essere modificata, controllata, dominata, voluta in un certo modo, piuttosto che in un altro?
Se tale è la natura, essa è di origine mentale. Essa può subire perciò tutte le modifiche che sono alla portata del nostro desiderio, delle nostre aspirazioni. A questo livello, tale entità può essere totalmente conosciuta, nella stessa maniera in cui può essere conosciuta l’archeologia o la chimica. Ma se questa conclusione non ci soddisfa e se tutto quello che noi siano come entità sociale, economica, politica, religiosa non ci soddisfa, perché in qualche modo siamo portati a ritenere che il “noi stessi” possa esistere come entità non voluta dalla mente e che abbia una esistenza prima della nostra nascita e dopo la nostra morte, allora dobbiamo ritenere che questa entità è di natura extra sensoria e perciò extra mentale.
Questa entità risulta quindi essere di tipo super o extra, per cui ogni nostro intervento per un suo eventuale dominio o modificazione non può essere attuato. E anche il tipo di approccio cui dobbiamo ricorrere per fare la sua conoscenza deve essere di un tipo speciale, non comunemente alla nostra portata. se noi decidiamo per il primo tipo di noi stessi (per intenderci, di tipo mentale), allora il nostro comportamento sociale sarà del tipo autoritario, insofferente, altero, con un certo disprezzo per coloro che non sono riusciti ad attuare un’esistenza “degna”.
Certamente un uomo così fatto sarà portato alla lotta, all ‘incomprensione, all ‘odio o ad un tipo di beneficenza distaccata e piena di sussiego.
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Se noi decidiamo, invece, per il secondo tipo di “noi stessi”, il non intervento, l’incapacità di comprendere un’entità di tipo extra sensorio ci porterà alla ricerca, alla comprensione, alla tolleranza, alla visione distaccata del mondo. Questo è per me il problema, tracciato in grandi linee, vagamente delineate, secondo uno schema del tutto insufficiente e provvisorio. Molte convinzioni relative alla nostra esistenza si fondano sulle conclusioni di questa ricerca.
Saremo noi in grado di trovare una risposta sufficiente?
Forse no; ma se una tale risposta esiste, non può essere certamente cercata sui libri.
Comunque nell’ambito di questa Loggia i termini opposti esistono. Conosciamo o non conosciamo noi stessi?
Se tutti noi fossimo convinti di conoscerci, questa ricerca sarebbe ovviamente inutile e sprecheremmo il nostro tempo se ci soffermassimo a considerare simili oziose argomentazioni. M hanno veramente tanto coloro che affermano di non conoscere se stessi? L’unico modo per saperlo è di intraprendere una ricerca e di guardare a fondo nella questione, poiché accantonandola la si evita e non la si risolve. Date queste premesse, ritengo più che giustificata la ricerca sul conosci te stesso.
TAVOLA DEL FR.’. A.’. B.’.
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