LA VIRTÙ DEL SILENZIO, IL PREGIO DELLA PAROLA, LA SPERANZA DELLA LOGGIA
di g.l., presentato in loggia
cari fratelli, ho dopo aver sentito la tavola del primo sorvegliante durante la
scorsa tornata ho avvertito il bisogno di riflettere. le parole che egli ha
rivolto al nostro nuovo fratello, appena iniziato, sul significato del
silenzio, meritano un approfondimento. innanzitutto, perché si tace? ognuno di
noi pratica l’astinenza dalla parola per motivi diversi e in modi diversi.
c’è chi tace per pudore, per l’umano sentimento di non saper esprimere
adeguatamente quanto gli preme, perché teme il giudizio altrui. ma se tra
fratelli non partiamo dal presupposto che le nostre parole, quando dette con
animo sincero, saranno ascoltate e accettate, dove e quando potremo parlare?
c’è chi tace perché ritiene confusamente di non aver nulla da dire. chi lo
pensa, commette sicuramente un errore, se è vero che in ognuno di noi si
custodisce un tesoro di emozioni, desideri e timori, che deve essere portato
alla luce e offerto agli altri. lo sforzo di comprendere se stessi e il nostro
stare al mondo è il primo dovere di ogni essere umano, prima ancora che di ogni
libero muratore.
se chi tace per pudore non ha fiducia nei fratelli, chi tace perché pensa di
non aver nulla da dire non ha fiducia in se stesso e nel proprio valore. non
pensiamo con ciò che la parola sia un pregio in sé. conosciamo fratelli che non
parlano mai, eppure ci insegnano moltissimo col solo loro contegno, col calore
della loro attenta vicinanza. dentro di loro c’è sicuramente il senso alto e
prezioso del silenzio, che non è privazione ma custodia gelosa: come colui che
ama bada con cura di non parlare dell’amato con persone e in luoghi volgari,
per non deturparlo, così quel fratello tiene rinchiuse nello scrigno del
silenzio le cose dello spirito. il senso del segreto risiede anche in ciò,
forse: non in un obbligo esterno, ma in un’esigenza interiore che distingue tra
sacro e profano, che sa cogliere nel fratello – quando lo è – il compagno
capace di aprire l’anima e di accogliere quanto gli viene affidato, dato con
fede, e di serbarlo come suo.
se poniamo mente solo a questa prima grossolana distinzione tra il parlare e il
tacere, fermandoci quasi ai limiti della psicologia, e al tempo stesso corriamo
con la mente ai traguardi ultimi che ci indica la libera muratoria, ci può
cogliere un senso di sgomento e di pessimismo. e tuttavia siamo qui, a provare
ancora, di nuovo, perché ognuno di noi, chi è stato iniziato nel cuore, ha
capito che questa via, questa loggia, valgono la nostra fatica e la nostra
speranza.