SILENZIO MASSONICO
di G.L.
Verso la fine della lettera con cui il nostro M.V. ci salutava e ci offriva
spunti di riflessione prima della sosta estiva si leggono alcune righe che ci
esortano a non temere, anzi ad esercitare con coraggio e perseveranza la virtù
del silenzio. Bisognerà che accogliamo questo invito, giacché il silenzio è una
condizione preliminare e, al contempo, un raggiungimento altissimo.
Come condizione preliminare, il silenzio è la disciplina austera cui aderisce
il M. nell’ atteggiare il suo contegno nel Tempio, allo stesso modo in cui egli
coltiva la sobrietà dei gesti e misura con cautela le sue parole. Sappiamo che
per l’Apprendista il silenzio è un privilegio, ma non bisogna dimenticare che,
nutrito della consapevolezza che nasce dalla libertà, tale rimane anche per
tutti gli altri gradi. Infatti, soltanto l’interiore silenzio dei moti
dell’animo in ciascuno permette l’ascolto autentico, l’apertura sincera e
benevola alle parole del fratello. Il silenzio è un’accoglienza, un porsi in
attesa che sgombra lo spazio sacro del tempio dalla chiacchiera mondana e dalla
convulsione del tempo profano. Lungi dal dover essere una noiosa imposizione,
il teso silenzio delle bocche e delle anime contraddice la vanità del tempo
cronometrico, allo stesso modo in cui l’azione geometrica dei fratelli nello
spazio simbolico ritaglia un microcosmo ordinato dal caos dello spazio profano.
Eppure, tutto ciò è ancora soltanto una necessaria condizione, quasi una minima
norma igienica, a fronte dello sforzo che richiede l’esigente concetto del
silenzio, a chi tenti di intuirne la ricchezza. Proporre quindi qualche spunto,
offrendolo alla considerazione dei Fratelli.
Il Libro della Legge Sacra è aperto al Vangelo di San Giovanni, che inizia con
le note parole: “In principio era il Verbo”. Tuttavia, nella Chiesa
d’Oriente si venera l’icona di San Giovanni del Silenzio, in cui l’apostolo
tiene il Vangelo aperto alla prima pagina, e intanto preme le dita sulle
labbra, a significare non il Verbo ma il Silenzio. Ha occhi convergenti: il suo
sguardo è rivolto all’interno, e una creatura alata, la divina Sofia, gli sta
sussurrando qualcosa all’orecchio. I commentatori spiegano che l’icona allude
alle ultime parole del Vangelo: “Ci sono molte altre cose che ha fatte
Gesù, le quali, se fossero scritte ad una ad una, non so se il mondo stesso
potrebbe contenere i libri che si dovrebbero scrivere”. Ma io penso che si
potrebbe utilmente leggere anche un passo dalla Quinta Enneade di Plotino, che
così recita: “In qual modo la vita si diffonde ad un tratto nell’universo
e in ogni individuo? Per comprendere questa cosa è necessario che la nostra
anima contempli l’anima universale. Ora, per innalzarsi a questa
contemplazione, l’anima deve esserne divenuta degna mediante la sua nobiltà,
deve essersi liberata dall’errore e dalle cose che affascinano gli spiriti
volgari, essersi immersa in un profondo raccoglimento, deve aver fatto tacere
non solo il tumulto dei sensi ma anche tutto ciò che la circonda. Tacciano
adunque tutte le cose, la terra, il mare, l’aria e il cielo stesso”.
Questo dunque ci insegna l’icona di San Giovanni: non c’è parola, non discorso
né comunicazione, se esso non conserva memoria e rispetto di quel punto
originario da dove ne è scaturita, dal Silenzio, per l’appunto, come la Luce è
scaturita dalle Tenebre. Ed ogni parola dovrebbe essere pronunciata con umiltà,
giacché, se essa può risarcire le molte solitudini, pure ci si deve ricordare
che ogni rottura del silenzio riproduce l’apparire del molteplice dall’unità indivisa.
La parola ci ammonisce sul nostro comune destino mortale, per il quale nessun
onore è cura; il Silenzio apre la possibilità della liberazione.