PITAGORA, STORIA, PENSIERO INIZIATICO E MASSONERIA La Scuola Italica Nella storia del pensiero iniziatico, la figura di Pitagora emerge per la sua eccezionale grandezza. Di ciò ebbero pienamente coscienza i suoi stessi primi discepoli, che lo celebrarono come un essere quasi divino. Scarne sono le notizie attendibili sulla sua vita. Sarebbe nato a Samo nel 571 a. C. circa, da genitori appartenenti al casato di Anceo, fondatore della colonia. Giamblico riferisce che il padre di Pitagora, recatosi a Delfi con la moglie incinta per consultare l’oracolo, ebbe preannunziata la nascita imminente di un figlio che “per bellezza o sapienza avrebbe superato quanti mai erano vissuti e che per tutta la vita avrebbe massimamente beneficato il genere umano“. Molto diffusa era la credenza che in realtà Pitagora fosse figlio del dio Apollo, che aveva voluto, fecondando la madre, far dono agli uomini di un fanciullo semidivino. Giovanetto si distingueva per la sua straordinaria sapienza, al punto di essere ascoltato e stimato come una creatura divina. Quando Samo cadde sotto la Tirannia di Policrate, Pitagora fuggì dalla città e decise, dietro suggerimento di Talete, di recarsi in oriente. Fu iniziato a Tebe ai sacri misteri, e lì visse per ventidue anni, studiando presso le scuole dei sacerdoti egiziani geometria e scienze filosofiche. Occupato l’Egitto dalle truppe di Cambise, fu fatto prigioniero e condotto a Babilonia. Vi rimase dodici anni, suscitando ovunque, in tutti, grande entusiasmo per le sue conoscenze e la sua saggezza. In Mesopotamia continuando il suo perfezionamento iniziatico, a contatto di maestri sumeri e babilonesi, visse fino all’età di 56 anni. Poi nella pienezza della sua maturitàvolle ritornare a Samo, dove non restò a lungo, nonostante vi ricevesse grandi onori e la sua fama crescesse in tutta la Grecia. Decise di recarsi in Italia, precisamente a Crotone, dove fondò una scuola che in realtà era un vero e proprio centro di studi iniziatici, in cui si faceva esperienza di vita comunitaria. Il numero dei suoi discepoli rapidamente crebbe a dismisura ed analoghi centri pitagorici si costituirono in altre città della Magna Grecia, come Sibari, Reggio, Imera, Agrigento, Taormina. Questi centri svolgevano nelle città anche un certo ruolo politico. Forse per questo motivo, a Crotone, una sommossa contro la scuola, suscitata da un certo Cilone, disperse i discepoli, alcuni dei quali rimasero vittime e furono bruciati vivi. Il Maestro, costretto alla fuga, morirà a Metaponto nel 497 a. C. a 74 anni. Per entrare appieno e capire l’essenza del pensiero iniziatico di Pitagora, non si può prescindere dal trattare della “Scuola Italica” e dell’organizzazione dell’Ordine. L’Armonia deve essere alla base di ogni organizzazione umana. Partendo da questo principio necessario, Pitagora si mostrava estremamente severo nell’accettare degli sconosciuti nel suo Ordine. Egli operava una severissima selezione di tutti i postulanti, scrutava personalmente tutte le vocazioni ed attribuiva molta importanza all’impressione fisica che gli faceva il candidato. Sapeva ed insegnava che ogni essere umano emette di continuo radiazioni viventi intorno a sé, che colpiscono gli altri esseri e risvegliano in esse simpatie o antipatie spontanee. Questa reazione naturale è indipendente dalla volontà, la si subisce, non la si provoca; del resto, tale reazione sbaglia raramente, poiché la prima impressione è spesso quella buona: l’organismo reagisce automaticamente contro ogni minaccia esterna, allo stesso modo in cui combatte i microbi con la febbre. Sono soprattutto gli occhi ad avere una considerevole eloquenza: non sono forse un vero “specchio dell’anima?” Superato il primo impatto, il Maestro faceva compiere su ciascuno di loro un’inchiesta dettagliata, che durava talvolta due o tre anni. Ecco, in particolare i punti che egli sottoponeva a verifica: Che comportamento aveva il candidato? Come trattava i suoi subordinati? Che atteggiamento assumeva nei confronti dei suoi nemici? Come si comportava verso i suoi superiori? Com’era di fronte ai suoi pari? Amava i suoi genitori? Sapeva mantenere un segreto? Non era troppo espansivo? Quali manie aveva? E quali abitudini? Che gente frequentava? Come reagiva ad un rimprovero, o a una lode, o a una prova? Obbediva facilmente? Era modesto, perseverante, lavoratore? Era disinteressato? Cercava la verità? Aveva carattere? Affermava la propria personalità? Era infatti necessario salvaguardare gelosamente l’Ordine dall’intrusione di profani avidi o calcolatori, bisognava tener lontano gli intriganti, i curiosi, tutti i professionisti del commercio e dell’interesse. Pitagora scartava d’ufficio i postulanti la cui professione era suscettibile di ispirare i loro sentimenti di crudeltà e di insensibilità. E’ per questo che proscriveva senza appello i macellai, i gladiatori, i mercenari, i cacciatori. Chiunque facesse professione di versare il sangue non era iniziabile. Non possiamo biasimare il Maestro per la sua eccessiva severità. Già ai suoi tempi, alcuni influenti politici volevano imporsi nel suo Ordine, grazie al lustro del loro nome o al peso delle loro ricchezze. Egli li scartò senza pietà e si fece in tal modo dei nemici implacabili. Il crudele Cilone, che un giorno solleverà la folla contro di lui e guiderà l’assalto al suo Tempio, era anch’egli uno dei rifiutato di Crotone; questa ferita sempre aperta, ci fa comprendere la vigilanza e la tensione del suo odio. Quando ammiriamo la qualità trascendente dei suoi discepoli, quando osserviamo in che modo essi abbiano illustrato il pensiero antico, non possiamo imputargli la sua severità: egli infatti, con una premonizione sicura, con un infallibile istinto della verità, ha scartato gli impuri, i deboli e gli empi, ha avuto la mano felice, ha distinto il buon grano dalla zizzania. Una volta ammesso al noviziato dell’Ordine, il giovane postulante veniva sottoposto a rudi prove, che avevano come scopo quello di temperare il suo carattere. Il candidato veniva trattato duramente e senza riguardi; veniva messo al servizio degli anziani; gli si imponeva un perpetuo silenzio; apprendeva a dominare la propria curiosità, a frenare ogni sollecitazione profana, a darsi alle gioie austere della meditazione. Gli veniva insegnata la Catartica o scienza delle purificazioni fisiche e morali. Questo stadio penoso durava talvolta cinque anni e veniva abbreviato solo per i soggetti eccezionali. Tale lunga attesa provocava l’effetto di renderli pazienti e docili, attivi e modesti, disciplinati nel corpo e nell’anima. La severa formazione dei novizi comportava anche una prova supplementare, che doveva apparire loro particolarmente penosa ed incomprensibile. Mentre avevano ascoltato il Maestro nei discorsi pubblici che egli aveva rivolto agli exoterici, una volta ammesso alla scuola perdevano immediatamente ogni possibilità di vederlo o di rivolgergli la parola Talvolta il maestro riservava loro la fortuna di ascoltarlo ma senza vederlo. Li chiamava per nome, dava loro consigli utili e le sue parole piene di incoraggiamento e di conforto li incitavano a perseverare nel loro cammino. Solo dopo la loro ammissione al grado esoterico il velo veniva rimosso definitivamente e i novizi, resi migliori dalla prova, si ritrovavano faccia a faccia con il loro Maestro. A tutti venivano imposte due discipline distinte. La prima, l’Echemythia, consisteva nell’obbligo di mantenere il segreto sugli insegnamenti ricevuti, sul numero e sull’identità dei membri dell’Ordine, su tutto ciò che si riferiva alla vita corrente. Ogni indiscrezione veniva punita con l’espulsione immediata. La seconda, o Kathartysis, consisteva nel rispetto verso la Gerarchia, nella sottomissione agli ordini del Maestro, nella docilità più esemplare, nel rispetto della disciplina comune, liberamente e gioiosamente accettata, nell’obbedienza più totale. Con l’imposizione di queste virtù, il Maestro evitò i due vizi che logorano le altre collettività umane: da una parte, la chiacchiera sconsiderata, la sbadataggine, l’inutile comunicazione di segreti a persone incapaci di comprenderli, la demagogia insensata; dall’altra il disordine dovuto all’indisciplina, la divisione, le agitazioni sterili, i maneggi e le sregolatezze frutto della discordia e dell’egoismo. Poiché la verità e la scienza non si acquisiscono con un’illuminazione improvvisa, Pitagora ripartì il suo insegnamento in diversi gradi di studi progressivi, gettando in tal modo le basi di una vera Università. Gli studiosi non concordano sulla denominazione di questi gradi né sul loro numero esatto. Ciò nonostante possiamo darne una nomenclatura logica basata pur sempre sulle fonti rappresentate dai testi, o meglio frammenti di testi, dei discepoli arrivati fino a noi. Gli Exoterici Il Grado Preparatorio, o Grado Zero, era aperto agli uditori Liberi che seguivano le udizioni pubbliche del Maestro. Era in seno ad esso che venivano reclutati i discepoli. In questo raggruppamento profano venivano insegnate unicamente le verità morali: il rispetto della legge, l’amore per la patria, l’altruismo, la concordia, i buoni costumi, la fedeltà coniugale, l’amicizia, il perdono delle offese. Gli Acusmatici o Ascoltatori Una volta ammessi al noviziato dell’Ordine, i migliori uditori del Maestro, da lui sottomessi alla prova del silenzio, diventavano gli Acusmatici, gli Ascoltatori, dei loro maestri. Venivano loro insegnate la psicologia, la fisiologia, gli esercizi liturgici, la meditazione, i segreti del Simbolismo. Si chiamavano anche “Oi Exo”, “quelli di fuori”, per indicare in tal modo che una cortina li separava ancora dal Tempio, nascondendo loro i Misteri. I Matematici o Mathematikoi o Scientifici Non è possibile fare della metafisica prima di avere esplorato la fisica, né della metapsichica prima di aver studiato le leggi che regolano le forze manifestate dell’universo. In questo grado veniva data agli iniziati una formazione scientifica completa, includente la fisica, l’astronomia, la geometria, la matematica, e la scienza dei Numeri. Alcuni studiosi definiscono i membri di questo Grado “Phisycoi”, “i Fisici”. I Sebastici o Sebastikoi o Ermetisti Dopo aver studiato il mondo in tutte le sue manifestazioni sensibili, gli allievi venivano infine ammessi a conoscere le ricchezze spirituali. A questo puinto venivano loro insegnati i vari Misteri dell’Ordine, che rispondevano a tutte le domande poste da esseri assetati di luce. L’origine dell’anima, la sua incarnazione, il suo destino postumo, questi erano i problemi essenziali che i Misteri risolvevano. Questo grado faceva di loro dei mediatori coscienti fa visibile e invisibile, li rendeva teologi oltre che esperti in liturgia. I Politici o Politikoi Solo dopo essere stati formati nella scienza profana e in quella segreta e dopo essere stati istruiti nei misteri del mondo e di ciò che sfugge ai nostri sensi comuni, i discepoli venivano ammessi al quarto ed ultimo grado dell’iniziazione. Si trattava di un grado teorico e pratico al tempo stesso; venivano loro insegnati da una parte i segreti dell’armonia sociale e le basi di una legislazione ideale, e dall’altra la pratica della giustizia e l’interpretazione delle leggi. I membri di questo grado compivano un apprendistato di governo nei quadri gerarchici dell’Ordine. E’ così che una parte di essi chiamati Oikonomikoi, gli Economici, gestivano i beni dell’Ordine e tutelavano i beni materiali della comunità; altri, invece, i Nomoteti, i Legislatori, dirimevano le vertenze che talvolta venivano loro sottoposte dall’esterno e adempivano a svariate funzioni amministrative in seno alla gerarchia pitagorica. Quando la Fratellanza ebbe costituito numerose filiali nel mondo ellenico, è probabile che i Politici abbiano organizzato una ulteriore classe, quella degli Ispettori, il cui compito consisteva nel sorvegliare le comunità straniere e in particolare l’ortodossia del loro insegnamento. Furono soprattutto i Legislatori che, rientrati nel mondo profano ove formarono una sorta di Ordine, stabilirono leggi in numerose città e si guadagnarono in tal modo una grande fama. I cinque gradi dell’Ordine e i quattro degli Esoterici corrispondevano non solo ad un perfetto ordinamento del programma di studi, ma rispondevano anche, con le loro cifre, ad una preoccupazione di carattere mistico: il 5 infatti rappresentava il Pentalfa, o Stella a cinque punte, perfetta immagine dell’iniziato che trionfa e che irraggia ovunque le luci acquisite; il 4, da parte sua, simboleggia la santa Tetrakthis, fonte e fondamento di ogni saggezza. Benché i vari gradi si riunissero sempre separatamente, sotto la guida di differenti istruttori, tutti comportavano un certo numero di pratiche comuni, imposte a tutti gli adepti. Uno dei riti più misteriosi dell’Ordine era il saluto al Sol levante. Alzatisi molto presto, i discepoli indossavano una veste bianca, prendevano la lira e si recavano incontro al Sole, intonando canti sacri. Quando l’astro si levava all’orizzonte, cessavano di cantare, si prosternavano a terra e rivolgevano al Sole una fervente adorazione. Non dobbiamo vedere in questa pratica una manifestazione di cieca idolatria: l’usanza aveva una origine egiziana ed era strettamente legata all’insegnamento dei Misteri. Tutto è simbolo e allegoria nello studio dei Misteri. Questi ultimi non vengono mai svelati direttamente, perché la Verità può essere rivelata solo per gradi successivi agli uomini, incapaci di percepirla nel suo insieme. Gli iniziati di tutti i tempi e di tutti i popoli hanno sempre risposto ai loro neofiti a mezzo di simboli. E’ necessario inoltre che questi insegnamenti siano progressivi e vengano trasmessi con prudenza e circospezione. Non rimane, ora, che dare alcuni cenni sulle usanze nella vita in comune all’interno dell’Ordine. I membri della Fratellanza pitagorica al loro ingresso affidavano all’Ordine tutti i loro beni; gli Economi ne prendevano possesso e li amministravano con cura. Se, deludendo le aspettative dei suoi maestri o colpito da un provvedimento di espulsione, un fratello si vedeva costretto ad uscire dalla comunità, gli Economi gli restituivano il suo contributo, ampiamente incrementato grazie ad una gestione particolarmente oculata. Dopo la cerimonia del saluto al Sole, gli iniziati facevano una passeggiata mattutina nei boschi sacri; dopo aver così comunicato con le forze nascoste della Natura, si riunivano nei loro Templi – ne esisteva uno per grado – e vi seguivano corsi e conferenze obbligatorie. Talvolta venivano invitati ad imprevisti esercizi di filosofia e di eloquenza; ciascuno dei membri presenti doveva commentare a suo modo e secondo il proprio livello i testi proposti alla sua attenzione. A mezzogiorno consumavano un pasto in comune, sedendosi in numero di dieci per ogni tavolo. Durante i pasti mantenevano il silenzio. Il più giovane faceva a voce alta una lettura di carattere iniziatico ed il più anziano ne dava in seguito un breve commento. Il pomeriggio era consacrato allo studio individuale, a passeggiate in piccoli gruppi, a corsi durante i quali discutevano le materie esaminate la mattina, con esclusione dei Novizi, sempre costretti al silenzio. Dopo vari esercizi corporei ed un bagno ristoratore, cenavano insieme ascoltando il sermone della sera, Compivano diverse libagioni agli Dei e una liturgia di chiusura. Due volte al giorno, dovevano sottoporsi ad un severo esame di coscienza e fare così il “punto” del loro progresso morale e spirituale. Questo esame veniva chiamato psicostasia o “pesa dell’anima” ed era un rito tipicamente egiziano. Se uno di loro moriva, era formalmente proibita la cremazione del suo cadavere. Veniva inumato ritualmente, avvolto in veli bianchi guarniti di foglie di mirto, d’olivo e di pioppo. Non potevano accavallare la gamba sinistra sulla destra, né radersi o tagliare i capelli in un giorno di festa. Non potevano usare il legno di cipresso per costruire le bare. Portavano esclusivamente vesti di lino, quelli di lana erano tollerati. I loro sandali non erano di cuoio ma di canna. Erano loro interdetti alcuni alimenti: non potevano ad esempio mangiare le fave, le uova erano sconsigliate e veniva loro raccomandata l’astensione di ogni tipo di carne. Non potevano portare anelli. Quanto tuonava dovevano toccare la terra. Molti di loro portava, come il Maestro, i capelli lunghi. Comunque, la loro fedeltà alle usanze dell’Ordine è attestata non solo dagli storici del Pitagorismo ma anche dai suoi avversari. Non mancarono infatti i sarcasmi e le ironie, gli scetticismi e le critiche che volevano ridicolizzare la loro Regola di vita. Ma certi spiriti di basso livello erano incapaci di comprendere la ricchezza di questo ascetismo e la sua elevazione morale. Costoro vedevano in ogni rinuncia una follia, in ogni privazione volontaria di un bene un’ingenuità. Uno di essi, Aristofone, nel suo opuscolo “Il Pitagorico” fece la seguente satira: “Bere acqua come una ranocchia, mangiare legumi e cipolle come un bruco, passare l’inverno a cielo aperto come un merlo, patire il freddo o chiacchierare in pieno giorno come una cicale, camminare a piedi nudi come una gru, non dormire come fa una civetta, tali sono le manie del Pitagorismo“ Tuttavia, accadeva talvolta che qualche membro si vedesse costretto ad uscire dalla comunità. Che lo facesse di propria iniziativa o a seguito di un provvedimento di espulsione, nei suoi confronti veniva presa una misura particolare che ha sempre meravigliato i profani. Gli adepti si riunivano in seduta speciale, e veniva loro annunciato che il nome del fratello in questione sarebbe stato radiato dal Libro matricolare dell’Ordine: lo si proclamava morto e gli veniva eretto un cenotaffio, come se avesse veramente perduto la vita. In seguito, se qualcuno degli iniziati lo incontrava per caso nelle vie della città, fingeva di non riconoscerlo più; se l’altro cercava di rivolgergli la parola, egli rifiutava di ascoltarlo o di rispondergli; lo si trattava sistematicamente come defunto; si ignorava la sua esistenza fisica, perché era morto alla vita spirituale. Questa implacabile indifferenza, questa impietosa freddezza era senza dub Ricerca di Vittorio Gnocchini |
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