IL BRESCIANO GIUSEPPE ZANARDELLI

                IL BRESCIANO GIUSEPPE ZANARDELLI

Fratelli famosi:

Il bresciano Giuseppe Zanardelli, giurista e uomo di governo. Quella che, a giusto titolo, è ricordata nei libri di storia come la “Leonessa d’Italia” può andare fiera di due tra i più illustri propri figli: all’inizio del Millennio, Arnaldo, il cui nome rimane indissolubilmente legato alla natia Brescia, e, ottocento anni dopo, Giuseppe Zanardelli.

Se il primo giganteggia dall’alto della propria fede incrollabile nella purezza della religione, reale ed unico potere spirituale solo se separato ed affrancato da quello temporale, il secondo, vissuto agli albori del Risorgimento che egli contribuisce a rendere movimento unificatore del giovane Stato italiano sovrano ed indipendente, profonde i tesori della propria scienza giuridica al servizio di un moderno Corpus iuris nazionale, in particolare nel settore penale, mentre in campo politico si rivela uno dei più convinti assertori del cavourriano Libera Chiesa in Libero Stato.

Giuseppe Zanardelli ad appena 22 anni partecipa alla rivoluzione del 1848 e l’anno seguente, durante le gloriose Dieci Giornate di Brescia, si comporta da valoroso infliggendo, proprio l’ultimo giorno, insieme ad altri pochi giovani compagni, una cocente umiliazione ad un consistente contingente delle truppe del Generale austriaco Haynau, obbligate alla resa benché molto più numerose e meglio armate.

Costretto a rifugiarsi dapprima in Toscana e, qualche anno dopo, in Svizzera non avendo mai rinunciato alle sue idee unitarie ed a cospirare, nel 1859 però da Lugano passa a Como presso Garibaldi che lo invia a Brescia in missione speciale.

Simile tempra di patriota e di uomo libero e di buoni costumi non può non accostarsi alla Libera Muratoria che tanti meriti vanta nell’affrancazione dei popoli delle dominazioni politiche, militari, confessionali: basti pensare all’opera determinante del Gran Maestro Giuseppe Garibaldi e delle migliaia di Massoni che hanno fatto l’Italia e versato il loro sangue per la libertà degli oppressi ovunque nel mondo. E’ infatti significativo della sua volontà di elevarsi spiritualmente per meglio servire gli altri che il Nostro venga iniziato il 29 febbraio 1860 all’età di 36 anni, appena un mese prima della sua elezione il 25 marzo 1860 a deputato per il Collegio di Gardone Val Trompia, soppresso il quale, sarà deputato di Iseo.

L’attività politica sempre più intensa, culminata nella nomina a Ministro dei lavori Pubblici nel Gabinetto Depretis nel 1876, poi degli Interni nel marzo 1878 nel gabinetto Cairoli suggeriscono al Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia dell’epoca, Giuseppe Mazzoni, creatore nel 1877 della Loggia “Propaganda”, di affiliarvi Giuseppe Zanardelli, così come Agostino Bertani, Nicola Fabrizi, Giovanni Bovio, Emilio Cipriani, Quirico Filopanti, Giuseppe Ceneri, Oreste Regnoli, Gaetano Tacconi, Giacomo Sani, Pietro Ripari, ai quali le occupazioni profane e professionali o politiche e l’opportunità di lungimirante discrezione impediscono di frequentare i regolari lavori di Loggia.

Ciò non impedisce al Nostro di raggiungere il 33° grado, il massimo della gerarchia del Rito Scozzese Antico ed Accettato. E dal maggio 1881 al maggio 1883 nel quarto Gabinetto di Agostino Depretis, lo Zanardelli ricopre la carica di Ministro di Grazia e Giustizia; in tale qualità, riesce con grande fermezza e alto senso di dignità nazionale, a far respingere la domanda austriaca di estradizione per i compagni di Guglielmo Oberdan.

Altro martire massone per l’unità d’Italia. Nell’ultimo Gabinetto Depretis e nei tre Gabinetti Crispi, dall’aprile 1887 al febbraio 1891, Zanardelli è di nuovo Guardasigilli ed è in quel periodo che le sue qualità di giurista e di uomo di pensiero rifulgono attraverso l’elaborazione e la promulgazione del nuovo codice penale, approvato il 1 gennaio 1890, che, a tacer d’altro, resterà pietra miliare nella civiltà giuridica universale.

L’Italia, infatti, prima tra tutte le Nazioni europee, con tale strumento ha decretato l’abolizione della pena di morte, prevista dallo Statuto Albertino, in applicazione delle teorie individualistiche propugnate da Rousseau, da Kant, e dai Massoni Filangeri, Montesquieu, ma soprattutto da Cesare Beccaria, per i quali, conformemente al pensiero liberomuratorio, l’individuo è il fine di tutta la vita e di tutta l’attività sociale.

Quarantun anni più tardi Alfredo Rocco, Guardasigilli del Regime, interprete della reattiva concezione autoritaria fascista, che considerava l’uomo non più come fine ma come mezzo, ripristinerà la pena capitale come “segno della riacquistata virilità ed energia del nostro popolo e della totale liberazione della nostra cultura politica e giuridica dall’influsso di ideologie straniere alle quali l’abolizionismo si ricongiunge direttamente” (dalla Relazione al Re per il Codice Penale del 1931).

La Costituzione democratica dell’Italia repubblicana ha giustiziato definitivamente la pena capitale riabilitando la versione illuminata di Zanardelli, formatosi alla scuola del Diritto romano da lui fatto oggetto di vera e propria venerazione, così come traspare dal discorso pronunciato come Guardasigilli il 14 marzo 1889 alla presenza del Re e della Regina in occasione della posa della prima pietra del monumentale Palazzo di Giustizia di Roma quando afferma che “in Roma e letterati di gran fama, e storici insigni, ed incomparabili capitani furono in pari tempo dotti giuristi che si illustrarono nelle lotte del Foro.

                               Ne venne che il diritto romano, oggetto di studio e di culto universale, fu recato ad una tale perfezione, da essere giustamente chiamato la ragione scritta”.

Né meno nobili sono le parole dello Zanardelli dedicate all’erigendo Tempio di quella Giustizia che egli non si limita a definire “la suprema guarentigia di tutti i diritti, l’invocata proteggitrice delle persone e dei beni dei cittadini e nel fulgore della sua indipendenza, la sicura vindice di ogni libertà” a significare l’altezza di questo superiore principio egli affermava infatti non bastare il motto inciso nel grande vestibolo del palazzo di Giustizia di Vienna, Justitia regnorum fundamentum, poiché perspicuamente intuisce che “la giustizia, idea e sentimento, impeto e ragione, scienza e coscienza, è il fine stesso delle civili società anzi il fine dell’umana esistenza, sicchè nos ad justitiam esse natos potè dire esattamente il grande oratore e filosofo di Roma Cicerone”.

Nessuno quindi più degnamente e con maggiore legittimazione del giurista massone Giuseppe Zanardelli, rievocatore delle glorie italiane eguali nel campo del diritto, può chiedere ai reali di collocare la prima pietra del Palazzo di Giustizia poiché “dagli esempi del passato i giovani devono prendere gli auspici dell’avvenire; a queste memorie devono attingere quelle virtù che Vico chiamava carattere particolare della gente romana, la fede nei propri destini”.

Simile idealista, che, con raro senso dello Stato, ha dedicato tutto se stesso fino al termine della sua vita al reggimento della cosa pubblica anche come Presidente della Camera dei Deputati e Primo Ministro, non può avvilire in una sterile contrapposizione, della quale sono invece caparbi protagonisti non pochi laici e massoni del tempo, tra i più illustri Giovanni Bovio, la querelle nata all’indomani della Breccia di Porta Pia e poi, della promulgazione della Legge delle Guarentigie che sostanzialmente abolisce il potere temporale del clero suscitando fiere proteste tra i cattolici animati da propositi di rivincita

L’orientamento del giovane Stato italiano, proteso a trasferire allo Stato i beni patrimoniali della Chiesa. È infatti frutto della concezione laica ed anticlericale ispirata anche dalla Libera Muratoria del tempo, troppo a lungo perseguitata e scomunicata. Giuseppe Zanardelli, dal canto suo, si rende promotore instancabile, fin dal 1865 in seno al Consiglio comunale e dal 1868 in quello provinciale bresciani, dello stanziamento di ingenti fondi per la realizzazione di quel monumento di bronzo, oggi ancora campeggiante a Porta Venezia nella piazza che lo ricorda, dedicato al concittadino Arnaldo del cui pensiero di fustigare fin dall’XI secolo della corruzione e del temporalismo della Chiesa di Roma egli è profondo conoscitore ed ammiratore. Tuttavia, ancorchè il “Corriere della Sera” del 14 agosto 1882 riferisca che il Ministro Zanardelli è stato applaudito fragorosamente quando ha detto che quella solenne inaugurazione è la sintesi della rivoluzione italiana, che qualche anno dopo, nel corso della seduta del 10 giugno 1887 alla Camera dei Deputati, in risposta all’interrogazione del Deputato Giovanni Bovio, timoroso che un passo dell’Allocuzione del 23 maggio indirizzata da Papa Leone XIII al Sacro Collegio possa far sospettare l’esistenza di trattative per una riconciliazione tra la Chiesa di Roma ed il Governo italiano, da più parti auspicata pur da opposte e contrastanti angolazioni, il Guardasigilli Zanardelli, da grande statista non meno che da Massone amante della propria Patria, nel rassicurare l’On. Bovio sull’esistenza di tali trattative le proprie dichiarazioni del 1883 come Ministro per i culti nella stessa aula. “Io dichiarai allora, a nome del Governo, di essere alieno da ogni persecuzione grande o piccola, di essere penetrato del massimo spirito di tolleranza, e mi piace udire che tale tendenza ha l’approvazione anche dell’On. Bovio:

ma, se da una parte ciò dichiarai, ed aggiunsi di essere pieno di rispetto per la libertà di coscienza, pieno di rispetto per i Ministri della religione e per il loro augusto Capo, quando esercitano il loro alto ministero spirituale, dichiarai in pari tempo che mi sento l’animo acceso da una cura vigile e gelosa per l’incolumità delle prerogative dello Stato, per le sacre necessità della Patria. Certamente io non desidero dissidi, non desidero il divorzio, la lotta tra la religione e la Patria.

Io vorrei un clero patriottico il quale sia animato dal sentimento della salute e della grandezza della Nazione, il quale si guardi dal suscitare discordie sociali.

Ma, affinché questi scopi non soffrano offesa io, consapevole che l’Italia, fra tutte le Nazioni d’Europa, è quella la quale colle sue leggi ha dato più ampia libertà alla Chiesa, queste leggi ho il dovere, cui non posso venir meno, di far sì che siano fedelmente e scrupolosamente osservate. Io assicuro l’On. Bovio che, quando su questo stesso tema dei rapporti tra Chiesa e Stato mi si presentano questioni discutibili, sono amico di ogni soluzione serena, equanime, liberale, conciliativa, se così volete chiamarla, ma nel medesimo tempo non posso certo consentire che lo Stato abdichi ai propri intangibili diritti, i propri immutabili doveri, abdichi la propria indeffettibile missione di luce, di progresso, di civiltà”. Giuseppe Zanardelli, dunque, è stato un grande statista, nemico del trasformismo e del compromesso, ma rispettoso nel medesimo tempo delle prerogative dello Stato così come della missione della Chiesa tanto più autorevole ed efficacemente esercitabile quanto più circoscritta alla sfera spirituale, quella stessa che l’altro grande bresciano Arnaldo le assegnava con tanta veemente passione rimanendone tuttavia trucidato ed arso.

Ma le sue ceneri si sono posate sulle Pandette di Zanardelli nutrendone tuttavia il sublime spirito di tolleranza che per sempre nella storia d’Italia e dell’Umanità illuminerà Arnaldo e Giuseppe, purissimi paladini della libertà e dell’amore fraterno.

Virgilio Gaito, Ex Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia.        

GRANDE ORIENTE d’ITALIA PALAZZO GIUSTINIANI

USEPPE ZANARDELLI

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