LE INIZIATIVE DELLA LOGGIA LEONESSA-ARNALDO N.951:
Tra passato e presente alla ricerca dell’uomo
Nel mese di giugno 2000 la Loggia Leonessa-Arnaldo n.951 ha organizzato due giornate di studio presso il Parco Archeologico di Naquane in Valcamonica sul tema I Camuni e i loro riti.
Il consenso alla manifestazione è stato notevole ed anche la stampa locale si è voluta occupare dell’avvenimento.
Numerosi ed interessanti sono stati gli argomenti trattati durante i lavori congressuali, dei quali presentiamo qui una sintesi.
“Istintivo è nell’uomo il desiderio di fissare i suoi pensieri, i suoi sentimenti, l’immagine degli oggetti che più hanno colpito la sua fantasia in una forma che risulti concreta, che possa essere vista e che possa essere compresa dai suoi simili”.
“Le incisioni rupestri della Valcamonica ” – Emanuele Suss – 1958″
Nell’anno 738 dell’era romana, 16 prima dell’era volgare, il console Pubblio Silio conquistando Vannia, l’odierna Cividate Camuno, trasmetteva inconsapevolmente alla storia il ricordo degli antichi abitanti di questa vallata.
Roma, infatti, denominati gli stessi come “Kemuni” ossia adoratori della divinità celtica del dio dei boschi (roccia 70 di Naquane), li annetteva all’impero e concedeva agli stessi la cittadinanza.
Molti furono i culti che vennero introdotti dai “conquistatori” romani: nella Civitas camunnorum fu innalzato il tempio a Giunone, in Esine si adorò Ercole, a Breno si adorò il Dio Sole, a Bienno si adorò la Dea Luna, come si tramanda in un medaglione argenteo ritrovato in loco, rappresentata seduta sopra un cocchio volante tirato dai cervi (l’animale sacro dei camuni).
Ancora oggi rimane vivo nella dizione toponomastica locale il ricordo di questi eventi, basti pensare che il manufatto della vecchia strada statale che supera, a meridione di Breno, il corso del fiume Oglio è denominato come “ponte della Minerva” stante la presenza di un sacello dedicato a questa divinità ora inglobato nella struttura della vecchia chiesa della “Madonna”. Dove non arrivò l’attività edificatoria cristiana a distruggere o a trasformare preesistenti luoghi di culto fu la tradizione popolare a conservarne la sacralità identificando molte alture o “Koren” (termine celtico che indica un luogo roccioso sopraelevato) come “dei Pagà”, ossia rocce dei pagani.
Questi luoghi furono per molto tempo circondati da un aurea diabolica tenacemente messa in opera dal clero cattolico che inibì al popolo di conoscere queste rocce istoriate con misteriose rappresentazioni animali, simboliche ed antropomorfe.
L’inquisizione fece ardere in valle molti roghi per punire coloro che celebravano strane credenze o solo si avventuravano per i “Koren dei pagà”.
Così infatti ci ricorda Padre Gregorio di Vallecamonica nel suo libro “Curiosj trattenimenti continenti ragguagli sacri e profani de’ popoli Camuni” edito in Venezia nel 1698: “Furono nell’anno di grazia 1518 abbruciate molte infelici donne che fatto han morir homini infiniti con polvere avuta dal demonio e sparsa in aria a provocar procelle”.
Nei luoghi impossibili da bandire al popolo della valle e dove si scorgevano incisioni antiche sulle rocce furono aggiunte, in epoca medioevale, croci, immagini del Cristo o di santi per velarne il primordiale contenuto e sviare il pensiero degli osservatori verso la nuova religione.
Così queste manifestazioni incisorie dei nostri progenitori rimasero mute testimonianze di un mondo scomparso fino agli inizi del 1900 quando il Prof. Marro, egittologo torinese, Senatore del Regno, iniziò ad occuparsene in occasione delle sue vacanze estive in Valle. Ma questa oramai è storia dei nostri giorni e, per utilità, vorremmo lasciarla alla voce dei profani che ci condurranno, svolgendo un ampia analisi stilistica e cronologica dell’arte rupestre, nella visita di domani alle incisioni di Naquane.
E’ tempo dunque di lavorare massonicamente su alcune tematiche care alla nostra Comunione.
Lasciamo il compito di introdurci nella tematica alle parole della Prof. Cristina Citroni del Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Universita degli Studi di Bologna:
“In questa analisi – afferma la stessa in un suo scritto – si vogliono leggere alcune incisioni rupestri della Val Camonica alla luce del loro significato simbolico, cioè si tenta di vedere nelle immagini rappresentate concetti e pensieri, più che semplici disegni – «fotografie» della realtà quotidiana”. Si ipotizza cioè che le figure rappresentate: cervi, oggetti, armi, ecc., alludano anche a qualcosa d’altro, a un significato metaforico, forse ad un sapere segreto – ma non irraggiungibile (a che scopo, infatti, fare tanta fatica per incidere sulla roccia?) – celato nel simbolo evocato dall’immagine. In quest’ottica si ritiene che parte delle incisioni camune rappresentino simboli di iniziazione sciamanica verso la conoscenza e l’autorealizzazione.
Le incisioni neolitiche, ossia le più antiche che si possano incontrare a Capo di Ponte, parlando decisamente un linguaggio archetipale, inteso nell’accezione di universale, ci forniscono una visione “trascendentale” del mondo e dell’uomo molto diffusa nelle culture preistoriche.
Sulla roccia 50 del parco nazionale di Naquane si trovano rappresentati vari simboli perfettamente orientati, ossia posti verso est:
– il disco solare rappresentato sulla sommità della roccia;
– una serie di oranti, ossia di figure antropomorfe rappresentate con le braccia alzate nell’atto dell’invocazione e le gambe divaricate nell’atto della danza propiziatoria;
– una serie di oranti con struttura corporea incompleta, cioè mancati di testa e di organo sessuale;
– una serie di coppelle, ossia di cavita semisferiche ricavate nella roccia, poste accanto al simbolo solare per raccogliere “simbolicaniente” offerte alla divinità.
Sulla stessa roccia, qualche migliaio di anni più tardi, verrà rappresentata una scena di culto solare totalmente diversa per la tecnica incisoria utilizzata e per la tipologia delle figure: due guerrieri armati ritualmente che circondano un sacerdote che sorregge un disco solare.
Unitamente ad una figura di labirinto “a tria”, ossia a quadrati concentrici, simile a quello in uso come gioco presso l’esercito romano e rappresentato inciso sui piani stradali nelle vicinanze dei concentramenti legionari.
Abbiamo volutamente richiamato alla vostra attenzione questo esempio anticipandovi, immaginariamente, la visione della roccia 50 per trovare noi stessi un ideale “quadro di loggia” sul quale leggere i simboli e sul quale lavorare.
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Torniamo dunque al nostro “quadro di loggia” ossia alla roccia 50.
Su di essa individuiamo innanzitutto il simbolo solare, rappresentato con una circonferenza con due diagonali, posto verso oriente, ai piedi del quale e verso il quale si rivolgono tutti gli oranti.
E’ la rappresentazione plastica del culto più diffuso nell’antichità, e del quale anche nella nostra ritualità si trova traccia, con l’abbinamento della figura dell’orante vivente e dell’orante incompleto, simboleggiante o la parte spirituale dello stesso uomo in preghiera oppure una presenza di un’entità spirituale estranea allo stesso.
Da notare che il simbolo solare rappresentato in questa forma su questa roccia è il frutto di un’evoluzione già successiva al primordiale simbolo costituito da un semplice disco con una coppella, semisfera scavata al centro del disco stesso e quasi originata dall’azione della punta stessa del compasso, strumento utilizzato correntemente dai sacerdoti-incisori (paragonabili ai nostri maestri d’arte) per tracciare la presenza della divinità.
Successivamente il simbolo solare si evolverà in forma di svastica fino ad assumere la forma di una particolare svastica, contenente sempre più coppelle o semisfere adatte a contenere oggetti sacrificali, denominata anche “rosa camuna”, simbolo utilizzato per stemma dalla regione Lombardia.
Il simbolo solare spesso viene sostituito, come nel caso delle rappresentazioni divine sui capitelli o sui menhir, ossia sulle tavole di pietra levigata delle rocce a superficie verticale, con le corna del cervo ovvero dell’animale sacro dei boschi per i celti.
Non a caso sulla roccia 70, a pochi passi dalla roccia 50, venne eseguita l’incisione del dio Kernunos rappresentato con corpo da orante e sulla testa le corna di cervo e con un serpente avvinghiato al braccio e con ai piedi un piccolo orante in adorazione: lo stesso schematismo cultuale utilizzato qualche millennio prima nel neolitico.
Sulla sommità delle costruzioni lignee utilizzate per luoghi di culto o per abitazioni verranno poste le corna del cervo o il disco solare, uso seguito fino a pochi decenni fa anche dai contadini o dagli allevatori locali che erano soliti porre sulla facciata o sulla porta principale della loro “baita” corna di bovide o di capride.
Nella località “Koren del Valento” roccia o “Brik”, termine celtico che indica una località rocciosa particolarmente scoscesa, il culto solare rappresentato da un disco con raggi esterni e con coppella interna, viene affiancato ad una scena di aratura per simboleggiare l’intima interconnessione tra la fecondità naturale del sole che illumina e che riscalda e la dea madre terra che viene fecondata dall’azione dell’aratura umana perché possa donare nuovi frutti.
In alcuni casi all’azione di aratura viene abbinata la rappresentazione del rapporto sessuale tra gli zappatori che seguono l’aratro, trainato da bovidi, quasi a simboleggiare o a comparare la fecondità della dea madre terra con la fecondità femminile.
Non a caso può essere citato il rito invaso tra alcune tribù autoctone di aborigeni australiani che, agli antipodi, celebravano i riti propiziatori dell’agricoltura simulando un rapporto sessuale con il terreno da coltivare.
Né a caso può essere tentato l’abbinamento tra le scene di iniziazione femminile rappresentate su varie rocce del parco nelle quali si vedono gruppi di oranti femminili, caratterizzati da una coppella posta fra la divaricazione delle gambe – simbolo forse della fecondità alla pari dei pendagli circolari concentrici dei menhir camuni che, simili nella forma al disco solare, rappresentavano la fecondità maschile – danzanti attorno ad un orante femminile steso per terra.
In valle a Sonico esiste ancora la roccia della fertilità, interamente coperta da coppelle, ove fino a qualche decennio fa le giovani spose o le sterili erano aduse , segretamente, recarsi per propiziarsi una prole.
La presenza o la frequentazione del popolo alle rocce sacre era testimoniata in due forme: l’incisione sulle stesse delle orme dei piedi (anche il passo è fondamentale per i camuni dato che per salire sui “Brik” ove vi sono le “Marmitte dei Giganti” – ovvero delle enormi coppelle – vi erano gradini scavati nella roccia o pietre nel numero rituale del tre – numero che nel suo multiplo di sei o di nove rappresenta i terreni coltivati e fecondi nell’unica grande mappa topografica della preistoria che si trova sul contrafforte opposto al parco nella località di “Bedolina”) o l’incisione delle orme delle mani sugli altari megalitici (come avvenne presso la chiesa delle Sante ai piedi del Parco che ingloba un altare preistorico ove le mani incise sono state volgarmente contrabbandate per le mani di tre santi che, secondo una leggenda cristiana, avrebbero dovuto fermare un masso che rotolando a valle stava per travolgere l’abside della chiesa.
La civiltà dei camuni con la sua arte incisoria, non unica né univoca nell’arco alpino (vedasi le incisioni delle alpi marittime del monte Bego, le incisioni della Val Pellice, le incisioni della Valtellina, le incisioni di Lagundo nel Tirolo del Sud …) sono un valido tratto d’unione (quasi come le scene di oranti uniti in danza – molto simili alle nostre catene d’unione) tra realtà culturali e cultuali delle popolazioni celtiche centro-europee e quelle mediterranee ove è pur presente l’arte rupestre (vedasi le incisioni del deserto sinaitico ai piedi dell’Har Karkom oppure quelle dell’altopiano dei Tassili nel Sahara settentrionale, o nella penisola iberica o per arrivare addirittura sulla costa atlantica con le incisioni della valle del Tago nei pressi di Lisbona).
Esse rappresentano realmente verità concettuali non semplici e non immediatamente comprensibili, essendo le stesse velate dalla simbologia o dall’allegoria, che riportano l’uomo alle origini ancestrali uniche e prive di divisioni culturali, religiose o razziali.
Esse parlano allo spirito dell’uomo perché si liberi da tutti quelle incrostazioni culturali che lo dividono dalla natura, grande madre e massima opera del Grande Architetto dell’Universo.
Esse indicano ai Massoni la strada della ricerca continua delle verità umane velate o rappresentate dai simboli.
Cavaliere che si esibisce in una prova di abili
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PALAZZO GIUSTINIANI