LE DUE LEGGI DELLA CREAZIONE

LE DUE LEGGI DELLA CREAZIONE

di

Vittorio Vanni

Si sa che il termine Dio deriva dal sanscrito Deva, che significa “luminoso”; è evidente trattarsi della luce spirituale e non della luce fisica che non ne è se non il simbolo.

L’ Architetto è colui che concepisce, e I ‘ autore o il direttore dell ‘ opera; è evidente che non è materialmente il creatore, dato che l’architetto TRACCIA e l’operaio esegue. E’ questo concetto che induce il ricercatore ad accettare insieme le due “leggi” della creazione, con parole che non comprende, con esperienze di cui non sospetta neppure l’esistenza.

La prima Legge è da considerarsi “di chiusura” che misticizza il soggetto di cui si crede parlare.

La seconda impedisce che ci si fermi a questo punto perché questo mondo che appare a colui che lo CREA non solo più soddisfacente dell’ altro, ma più reale. Impressione menzognera, in effetti, indica una pseudorealtà particolare resa assoluta e divenuta immagine. La prima legge è in relazione alla sacra triade immutabile, discendente, bianca, eterna, chiusa e contemplante se stessa. La seconda legge è mobile, ascendente, nera, non eterna, aperta, e offre la possibilità di risalire alle cause prime. Tutto accade come se il fortuito, l’assurdo, il caso, fossero esclusi dalla realtà. E’ importante notare come sia possibile trasformare il rumore in “suono armonico”. E dalla fiamma violenta e lucida dell’emozione primaria che si effettua la sutura in “giuste immagini” di elementi disparati fra i quali esistono rapporti inauditi. Nessun ordine apparente si lascia distinguere in questo vortice indescrivibile di suoni, immagini, ricordi senza data, che escono sia dalle regioni più segrete dell’ anima che dal suo dominio meno intimo: QUELLO DEI SEGNI APPRESI. All’improvviso affiora un principio di coerenza nei suoni e nelle immagini dove gli elementi immaginativi verbali “utili” si organizzano secondo il movimento ritmico centrale “DAATH” (verbo) e secondo le forze che ne emanano, Ogni volta che nella ricerca si debba tener conto del ruolo e della posizione dell’ osservatore, ci si dovrebbe riferire non solo alla soggettività di un individuo, ma alla posizione di un essere teorico ideale utile come mezzo di misura. Lo slittamento del ruolo di questo osservatore ideale in quello della soggettività e della coscienza individuale è una delle principali fonti di malinteso e di confusione nella ricerca. Al contrario l’individuo nella sua soggettività e nell ‘esperienza della sua illuminazione interiore è il punto di partenza, anche se in seguito occorrerà comprendere come riconoscere o non riconoscere alcun interno ed esterno, attraverso l’intermediario dell’Io e del Tu e del volto dell’altro, verso un al di là dell’Essere, un infinito che apre e che annienta la totalità.

La Loggia del Cavaliere del Sole non deve essere illuminata che da un solo Lume, perché non ve n’è che uno da cui il mondo sia rischiarato, nella stessa guisa non vi è che una Loggia, cioè quella che Adamo ricevette da Di0. Il sigillante delle due leggi è simbolizzato dal numero 6 che è un numero potentissimo: rappresenta due volte il 3.

E’ il triangolo celeste, riflesso, sulla terra, è perfetto in quanto le parti addizionate fra di loro danno sempre il medesimo numero come risultato. Bisogna sempre considerare tutto ciò che ci sembra reale da ciò che è riflesso, capovolto.

Avere la possibilità di giocare a questo “gioco dei giochi” implica la conoscenza dei rispettivi limiti nei due tipi di procedimento, quello analogico e quello mistico, che utilizzano in maniera opposta le possibilità del va e vieni (ciò che è in alto non è uguale a ciò che è in basso, capovolto e sdoppiato) con il ricorso alle astuzie del linguaggio ed ai giochi sistematici tra la parola ed il silenzio.

Il  buddismo zen utilizza sistematicamente il paradosso e la contraddizione nei suoi insegnamenti, affinché risulti ben chiaro che questi non sono che una preparazione a quell’illuminazione che non può essere oggetto di discorso. L’ esperienza mistica consiste in quella fusione-separazione cui mal si adatta il linguaggio discorsivo.

Le parole non possono contenere I ‘ assoluto, ma sono indispensabili per esprimerlo, dato che tutti gli altri mezzi (simboli, gesti, etc). hanno i loro limiti. Un maestro cabalista dell’inizio del nostro secolo spiegava l’obbligo di nascondere la saggezza “segreta” rifacendosi al principio talmudico di svelare un cubito e di nasconderne due. Oppure se una parola vale qualcosa, il silenzio vale il doppio. Rabbi Yeohuda spiega il versetto 2 del Salmo 65. “Per Te il silenzio è lode con l’aforisma la migliore droga di tutte il silenzio”.

Questa espressione si colloca all’origine della prima legge, e all ‘impossibilità di fare intendere la totalità. La lode a Dio, o la lode all’infinito non è che finita, parziale e inadeguata e chi potrà cantarla? Eraclito ricorda, nel primo dei suoi frammenti: “prima di udirne, dopo averne udito, non intendono gli uomini quel Logos che è sempre e per cui tutto diviene, non ne sembrano esperti, anche se esperti”. E ancora “ascolto non danno, dire non sanno queste cose, molti che vi si imbattono travisano, né appresele comprendono. pur se lo credono”.

Così possiamo leggere nei Salmi (62, 12) “una parola Dio ha detto, in due parole io ho sentito”. Nella nostra esperienza, per cantarne la lode e amare la prima legge, possiamo, in silenzio, rispettarne il senso, l’indicazione di tutti coloro che ci hanno tramandato le loro conoscenze e ripetere con Eraclito: “umane parole, balocchi! ” Entriamo nel merito di ciò che è in basso, capovolto e sdoppiato. Non è possibile per questa seconda legge rinunziare alla spiegazione unica ed unitaria pur sapendo che l’ ambizione di ogni sistema esplicativo, che motiva e permette il suo progresso e la sua estensione a nuovi modi interpretativi, è sempre quella di fare come se fosse il solo possibile, di mirare appunto alla sezione aurea della spiegazione “VERA” unica ed unitaria.

Nasce dunque il bisogno di rendere presente il sacro nel profano, la luce NERA della notte nella luce CHIARA del giorno. Un tale bisogno permette l’interiorizzazione e la partecipazione dei rituali magici e religiosi. L’ unione, attraverso il rituale corrisponde ad un bisogno d’unione senza fusione.

E’ quella verità che non ci tocca, di cui parla Nietsche a proposito delle credenze, propone di considerare il fatto che il convincimento di una verità può essere più pericoloso della menzogna.

Egli definisce varie forme di menzogna delle quali la varietà la cui più comune è quella con la quale si inganna se stessi. L’ idea che questa legge derivi dalla cosmogonia e dal sistema esplicativo razionalizzante legato all ‘ esperienza contenuta ed individualizzata nelle tradizioni è illusoria.

Più semplicemente si tratta di un fatto compiuto, in cui questa legge esiste, dando risultati tramite lenti processi di maturazione ed evoluzione individuale, condizionati da interazioni complesse, coscienti ed incoscienti dovute alle diverse culture che abbracciano la storia, la geografia, gli usi i costumi etc. .

Queste man mano vengono razionalizzate, recuperate ed integrate in una visione globale dell’ individuo e dell ‘universo, generando le caratteristiche dei vari sistemi gnostici, intesi come “Conoscenza” totale ed assoluta delle FORZE e delle POTENZE rivelate nei vari periodi agli iniziati.

Le descrizioni quindi del reale arrovesciato in termini di mentale, sovramentale, ego, coscienza cosmica, ricorre costantemente in tutti quei tentativi di traduzione interpretativa dei sistemi orientali ed occidentali come sintesi illuminante.

Ma il “vitale” ed in particolare l’ attivo ed il passivo, la mascolinità-femminilità cosmica permane comunque dove si è generata, in India, nell ‘ antica Cina, in Giappone, nella mitologia greca, nella gnosi e nella cabala.

Quando si tratta poi di razionalizzare, di percepire, I ‘ unità del grande tutto, nell ‘esperienza interiore e quotidiana dell’Io, dell’estasi e dell’esperienza mistica in tutte le sue forme, si modella sul contenuto, usando la saggezza e l’ astuzia del serpente che si ritrova in ogni mito fallico. Si tratta della saggezza “Cochmah” della tradizione cabalistica, ossia come serpente di vita e di intelligenza allo stesso tempo.

Il termine ebraico Aroum designa sia la nudità che l’astuzia del serpente (Gen, II) e possiamo intravedere l’ azione, l’ atto della Genesi su un doppio registro, cosmico e mentale.

E ciò che Y. Elkana chiama la ragione “astuta”3. La ragione scaltra, dice, o abile è anche quella dell ‘ artista che modella la sua opera, non come un architetto pianificatore ma piuttosto come la crescita di un bambino, attraverso il gioco.

La saggezza parla di se stessa evocandosi come fosse già là, come Torah, prima della creazione del mondo, attiva come l’ artefice della creazione, o come un neonato che cresce con il Creatore, a seconda del modo di leggere la stessa parola, ma comunque giocando con gli uomini.

J. Schlanger nella conclusione del suo testo “Una teoria descrittiva della spiegazione ” dice che la spiegazione di un evento, per minima che sia, non è mai compiuta. poiché è stato necessario inserirla in un contesto che le attribuisce un significato. Ma tale contesto richiede anch’esso di essere spiegato in un contesto nel quale si inserisce; e così di seguito…

E inoltre la procedura di spiegazione soddisfa soltanto il desiderio di comprendere ed eventualmente di manipolare di chi spiega.

E’ chi spiega e non ciò che è spiegato, che subisce l’impatto della spiegazione. Ed a proposito della “Langue ebraique resituée” di Fabre d’ Olivet, la Schlanger constata: questo libro, gli storici della linguistica lo lasciano agli storici della mistica che a loro volta lo rinviano ai primi.

L’autorità della scienza e l’ autorità della Genesi, il giudizio individuale e l’ispirazione primitiva, agli occhi del Fabre dovevano rinforzarsi a vicenda.

Ma, forse giustamente, non è possibile ottenere nelle stesse pagine, attraverso lo stesso processo nello stesso movimento dello spirito, un sapere ed una saggezza. Il miglior modo di uscire da questo labirinto è nascosto nelle cose di questo o di quel sistema e quindi nell’accettare il gioco di più sistemi interpretativi differenti. Ciascuno di essi obbedirà alle regole che sono quelle della sua verità ed i suoi errori.

E così che la “distesa dei cieli” deve essere compresa come luogo di separazione tra acque dall’alto e acque dal basso (vedi tetractys) la questione diviene allora quella del ruolo di tale separazione rispetto alla nostra esperienza della luce del giorno. Questa riguarda, come abbiamo detto, le acque del basso, luogo della molteplicità delle cose visibili.

Mentre le acque dall’alto restano nell’ombra rispetto al sole per essere illuminate da una luce più potente – che c’è nascosta – quella del primo giorno, prima che il sole fosse creato nel mitico racconto dei sette giorni della creazione, come sette sono le sephire inferiori nell’albero della cabala, o nella tetractys.

La funzione della distesa dei cieli serve da schermo protettivo contro un eccesso di luce e di calore anche notturno perché l’ azione o meglio il suo effetto, si esercita nelle acque dal basso, attraverso la terra o regno (malkut) tramite uno schermo opaco che non impedisce al sole di riscaldare tutte le sorgenti (niente di nuovo si produce sotto il sole, è scritto nell’Ecclesiaste).

Partiti dall ‘ osservazione di due visioni cosmogoniche siamo giunti, tramite simbolizzazioni, ad una visione cabalistica o tradizionale dell’universo costruito o pensato ad immagine o somiglianza del corpo umano, dove lo schermo separatore fra l’alto, ed il basso funge da diaframma.

Questo diaframma separa le parti superiori dalle parti inferiori del corpo, ma non in modo che queste ultime siano luogo di una sessualità dedita alla generazione, piuttosto la parte inferiore del corpo deve venir percepita come meno vivente, meno collegata con gli infiniti rinnovamenti della vita cosmica.

L’unione fra questi due mondi, altrimenti separati. quelli della vita nella morte e della morte nella vita, nelle acque dal basso è da una parte assicurata dal sangue, luogo dell’ anima vegetativa, ed all’ altra dalla sessualità, i cui organi sono distribuiti al di sopra ed al di sotto dello schermo.

In effetti, se gli organi genitali sono in basso, a molti altri organi bisogna riconoscere una funzione erotica, compreso il cervello, come organo eterico dsecrezione dello sperma che scende poi, sempre etericamente, attraverso il midollo spinale nel basso regno

La sensazione che dietro ogni cosa che possa essere sperimentata vi sia qualcosa che il nostro spirito non può raggiungere, la cui bellezza è il sublime ci raggiungono solo indirettamente da Einstein nel “My Credo” del 1932:

“L’esperienza più bella e più profonda che un uomo possa avere è il senso del mistero. E’ il principio soggiacente alla religione, così come ad ogni seria impresa, chi non abbia mai fatto una tale esperienza, mi pare se non proprio morto almeno cieco. La sensazione che dietro ogni cosa che possa essere sperimentata vi sia qualcosa che il nostro spirito non può raggiungere, la cui bellezza è il sublime ci raggiungono solo indirettamente, come un riflesso lontano, è questo il religioso. In questo senso io sono religioso. Mi basta meravigliarmi di fronte a tali segreti e tentare umilmente di apprendere con il mio spirito una semplice immagine della struttura di tutto ciò che è”.

Ci sono dunque per noi due specie di verità, così come vengono rappresentate dall’albero della conoscenza e dall ‘ albero della vita, la verità attiva e la verità inerte. La prima verità ci viene data realmente, la seconda è solo presentimento. Il predicatore itinerante dell ‘ ordine rabbinico Maggid dice: “se vorrai raggiungere la vita eterna e non potrai che volerlo perché la conoscenza è questa volontà, dovrai distruggere te stesso prima di entrare nel Sancta santorum dovrai toglierti tutto, effettuare la spoliazione e una volta raggiunta la nudità togliere tutto quanto si nasconde sotto di essa, fino al limite del riflesso del fuoco eterno. Soltanto questo fuoco verrà risucchiato, perché si lascia risucchiare ed attraversando tutti i mondi diventerà un’ unità con il Santo”.

Anche il mito della caverna del VII libro della “Repubblica ” di Platone, illustra magistralmente il procedimento conoscitivo dell’ uomo, paragonato ad un prigioniero in una caverna nella quale si vedono solo le ombre degli oggetti proiettati sul fondo: questa è la conoscenza sensibile o l’ opinione di essa. La filosofia rappresenta l’ uscita dalla caverna: dapprima il prigioniero è abbagliato (inerzia dell’ idea) dalla luce del sole, poi riesce a scorgere la vera realtà, la conoscenza intellettiva. Quando apprendiamo il contenuto di una certa ricerca viene sempre fuori la domanda: è una cosa seria? La risposta dovrebbe essere sempre no! La serietà non è assolutamente garanzia di verità a priori: al contrario niente è più serio dei giochi della conoscenza. Le idee non devono essere serie, esse sono fatte perché si giochi, senza prenderle seriamente, ma prendendo sul serio il gioco. Nel gioco umano tutto il mondo si riflette su sé stesso, scintillano per pochi istanti tratti dell’infinito dentro il finito.

Questo stato paradossale permette di prendere sul serio la situazione dell ‘ uomo nel mondo. E. Flink, nel libro “Lejeu comme symbole du monde ” si rifà ad Eraclito per ritrovare l ‘ intuizione del mondo come potenza organizzatrice universale, il gioco come un’irruzione come un riflesso in mezzo alle cose ordinarie. Esso è meno nelle cose della metafisica, ove è relegato come al posto di copia deformata ed ingannevole che Platone assegnava all’arte ed alla poesia. Ma è anche gioco del culto dove l’ordine nascosto del mondo viene rappresentato. Il gioco è insieme umano e cosmico. Tutto è caratterizzato da un ‘ onnipotenza organizzatrice, che include il possibile come il reale, il cui effetto è ciò che egli chiama l’individuazione, cioè l ‘ apparizione e la scomparsa degli individui. E’ la stessa potenza organizzatrice che Eraclito chiamava fuoco, luce, tempo, gioco e ragione; nomi diversi per una medesima attività cosmica della quale il gioco umano è il simbolo riflesso nel mondo.

La celebre immagine del fanciullo che gioca (nel frammento 52 di Eraclito) alcuni l’hanno definita natura o Logos, altri “il tutto del mondo”. Altro da una cosa nel mondo perché per quanto grande, potente, forte e saggia possa essere la persona non è possibile immaginarla onnipotente, potente come il tutto, perché l’ onnipotenza non può essere una persona e nessuna persona può essere onnipotente. •

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