LE INSIDIE DELL’ILLUSIONE
di
Archita Gagliardi
La via spirituale, iniziatica, mistica, ermetica. esoterica, in una parola la via del risveglio è un percorso disseminato di insidie. Chi si è lanciato nella lunga alla scoperta e conquista di sé stesso rischia spesso di incontrare delle trappole che possono incastrarlo e rinchiuderlo in oscure e pericolose identificazioni. Nella sua opera, “L’ uomo perfettibile”, Robert S. de Ropp mette in risalto otto insidie corrispondenti ad otto sindromi. Vi propongo di scoprirle in voi stessi invitandovi a riconoscerle quando le incontrerete. Ma sebbene possa apparire strano, non dimenticate che queste sindromi non appartengono solo agli altri. Non dimentichiamo di guardare in noi stessi…
Prima insidia: La sindrome della parola pensata
Si presenta come una insidia raffinata e sono numerosi coloro che si lasciano prendere. Parlano dell ‘Opera e vi si riflettono, ma pensare all’Opera e parlarne non da risultato maggiore come i discorsi sull’ amore non danno la nascita ad un bambino. L’Opera esige infatti che si metta fine al dialogo interiore ma, abituati come siamo ad un incessante chiacchiera interiore. non ci sentiamo a nostro agio di fronte al silenzio. E necessario che parliamo di qualcosa a qualcuno, e se non troviamo nessuno con cui parlare ci indirizziamo a noi stessi. Questa abitudine, che consiste nel parlare dell’Opera è incoraggiata da coloro che, immaginandosi di essere sul Cammino, tendono a costituire dei gruppi. All ‘inizio questi gruppi presumono di essere utili, di permettere scambi d’ opinione, di favorire l ‘ obiettività. la sincerità e via dicendo. E raro che le raggiungano perché, nella maggior parte dei casi, i loro membri non si augurano per niente di confrontarsi alle loro debolezze.
Si proteggono contro l’eventualità di tale confronto con un complesso sistema di difesa che non hanno alcuna intenzione di sacrificare. Per aggravare ancora la situazione. coloro che dirigono questi gruppi sono molto spesso totalmente ignoranti di ogni disciplina. Quindi non sono in grado di comprendere le regole personali che reggono il comportamento dei membri del gruppo. Tra l’ignoranza del dirigente medio e il timore provato dalla maggior parte dei membri del gruppo all ‘ idea di i propri labirinti personali, ne consegue che questi gruppi si rivelano inutili.
Seconda insidia: La sindrome del discepolo
Nello stesso modo si può parlare a tal proposito della sindrome dell ‘ammirazione sconfinata, che suppone la dedizione fanatica e la fiducia cieca suscitata da un maestro o da una dottrina.
Tale dedizione priva il discepolo di ogni discernimento e abolisce ogni capacità di ragionamento obiettivo di cui può essere dotato. Ogni emozione è incentrata sul maestro che assume agli occhi del discepolo I ‘ importanza di un dio. Il maestro non può sbagliare, i suoi insegnamenti devono essere accettati totalmente ed alla lettera. Se il maestro afferma che nel cielo ci sono due lune. esse devono esserci, anche se nessuno ha mai visto la minima traccia della seconda luna. Se il maestro dichiara che una legge cosmica trasforma i pianeti in soli ed i soli in galassie, questo dovrà essere vero, anche di fronte all’impossibilità materiale. La sindrome di ammirazione sconfinata è un‘insidia potente e temibile. è all’ origine di un gran numero di disastri che la razza umana si è inflitta. L’essere umano più pericoloso non è il ladro, né lo stupratore, né il comune assassino, ma il fanatico meravigliato che, in nome di una ideologia politica o religiosa, è disposto a sterminare tranquillamente una intera popolazione perfettamente convinto della buona fondatezza delle sue azioni. Nella maggioranza dei casi, le atrocità del XX secolo sono state commesse da individui di questo tipo, la cui capacità distruttiva pare illimitata. Sono totalmente ciechi nelle loro convinzioni, incapaci di pensare obiettivamente, avendo abolito dentro di sé ogni traccia di coscienza critica. Questi fanatici hanno due punti deboli, sono creduloni ed influenzabili. Se un giorno dovesse scoppiare la terza guerra mondiale. non sarà per maldestri errori militari o per uomini politici dalle idee confuse, ma per fanatici pronti a far saltare in aria il pianeta in nome della dottrina cui aderiscono.
Terza insidia: La sindrome del falso Messia
Questa insidia è il contrario dell’ammirazione sconfinata. Chi vi cade si sente certo dj essere un maestro, capace di trasmettere ad altri verità certe ed essenziali al soggetto della vita spirituale. La categoria dei falsi Messia non comprende chi potrebbe definirsi un truffatore dello spirito. Quest’ultimo crea in modo totalmente deliberato. e nel suo proprio interesse. una falsa religione e spesso ne trae considerevoli vantaggi, comportandosi come un connerciante e venditore di suoni, assimilando la sua attività a una branca dell’industria dello spettacolo. Le vittime antitetiche di questa terza insidia sono effettivamente sincere. credono nel suo messaggio, spesso ha vissuto un • esperienza religiosa, talvolta è stato in India ed ha raccolto qualche idea da un guru, può essere un drogalo ed aver conosciuto quella che viene definita un’esperienza psichedelica. Si può dire che si sia accontentato di raccogliere alcune idee, raccontate qua e là e presentate sotto forma di “sistema”.
Chi cade in questa insidia è in maggior misura impegnato sulla via dell ‘ego, vuole adepti, e più sono numerosi più è felice. In questo aspetto si distingue dall’autentico Maestro che non tenta Inai di fare proselitismo. Al contrario. si sforza di scoraggiarli mettendoli in guardia contro le difficoltà del cammino. dicendo loro che è meglio restare comodamente “in sonno’ • che risvegliarsi a metà.
Altra caratteristica delle vittime della sindrome del falso Messia è che non si privano mai dei loro discepoli che sperano di vedere per sempre in stato di dipendenza. E per questo che le scuole create dai falsi Maestri hanno un punto comune: nessuno riesce mai a prendere un diploma, nessuno può lasciare la scuola a suo piacimento. Il falso maestro fa dei suoi allievi degli schiavi. esige obbedienza totale. scoraggia ogni pensiero ed ogni azione indipendente. Chi dovesse tentare di affrancarsi da questa schiavitù viene considerato un traditore. Il comportamento dell’autentico maestro è completamente differente. Stimola l’ allievo a costruirsi da sé. a trovare il proprio cammino, a scoprire il maestro che porta dentro sé. Non dà consigli se non quando gli sono richiesti, può presentare uno specchio ove chi vorrà vedere potrà vedere ma non forza nessuno a specchiarsi, non fa nulla per trattenere i propri allievi. se vogliono andarsene li incoraggia ad andarsene, non ci tiene a circondarsi di un gres. e di pecore ipnotizzate che aderiscono servilmente ad ogni sua parola. cerca la liberazione non la sostituzione di una forma di schiavitù con un ‘altra. Quei giochi dell’ego non lo interessano. Che abbia uno, cento o nessun allievo. che gli importa ? L’altra caratteristica del falso maestro è la vanità, che prende forme differenti: il Maestro si veste con abbigliamenti stravaganti e si orna di titoli altisonanti. si qualifica come uomo giusto. maharishi, grande iniziato. mago. Tutti i suoi adepti devono chiamarlo Maestro e devono testimoniargli il filassimo rispetto. Il maestro autentico si comporta in modo totalmente differente. Rifiuta ogni titolo e non porta abbigliamento articolare. non pensa minimamente di incoraggiare i suoi adepti a venerarlo. ma li scandalizza volontariamente comportandosi in un modo che sembra incompatibile con lo status di Maestro. Liberato dall’ego, g1i è completamente indifferente se la gente l’ammiri o meno, in quanto non ha affatto bisogno della ammirazione altrui avendo raggiunto un livello in cui non può sentire né le lusinghe né gli insulti.
Quarta insidia: La sindrome del gruppo
Si tratta di un’insidia molto pericolosa in cui interi gruppi rischiano di cadere. Gioca un ruolo importante nell ‘Opera dell ‘illusione di cui si potrebbe dire che costituisce la chiave di volta.
La sindrome del gruppo appare quando un vero Maestro muore. Allora i suoi allievi più anziani ritengono, come gli dicevano. di continuare la sua opera. Formano quindi un gruppo e si costituiscono in gerarchia. Il rango che vi occupano non dipende dal loro livello di conoscenza personale ma dal tempo che hanno consacrato all ‘opera e dal posto più o meno vicino che occupavano presso il Maestro. Tali gerarchie hanno la tendenza a fossilizzarsi, scoraggiano l’indipendenza e la libertà di pensiero e si rinchiudono in una stretta ortodossia. Tutto quanto il Maestro ha insegnato diventa sacro, anche se si comporta platealmente con delle sciocche avances per mettere alla prova la credulità di un allievo. Ogni metodo che utilizzava il Maestro deve essere trasmesso tale e quale lui l’insegnava. I garanti dell’ortodossia” non tengono alcun conto del fatto che i tempi cambiano. che gli individui si evolvono. che i metodi che hanno veri ficato l’efficacia in dato periodo rischiano di non esserlo in un altro periodo e in altri luoghi. D’altro canto. non comprendono che, sul cammino. L’ anzianità non è sinonimo di progresso spirituale. che aver consacrato quaranta o cinquant’anni all’Opera o aver conosciuto bene un tempo il Maestro, non significa necessariamente aver conquistato la libertà. Si arriva al punto in cui i ‘veterani” dell’Opera abbiano cessato molto tempo di comprenderne le finalità, Funzionano qualche volta in modo meccanico. come se avessero un pilota automatico, conoscono ogni slogans ed ogni tecnica omologata e possono citarle senza sforzo come se qualcuno pigiasse un bottone. Da queste cose sembrano di detenere un potere. ed i giovani che entrano nel movimento possono rischiare alla fine di essere soggetto di un vero lavaggio del cervello. Infatti. i membri più anziani si sono spesso trovati in un vicolo cieco, si sono impantanati avendo perso di vista i vari scopi dell’Opera. preoccupandosi dell’organizzazione politica del movimento: consacrano le loro energie alle piccole rivalità che esistono in tutti i gruppi. Lungi dall ‘essere dei Maestri, non sono altro che miserabili politicanti, Ci si può del resto domandare se ci sia qualcuno che. come si dice. possa continuare Opera del Maestro. L’ autentico Maestro perfeziona i suoi metodi. che sono conformi alle sue attitudini ed ai suoi interessi. Ma i “garanti dell’ortodossia” non comprendono che il metodo insegnato dal Maestro rischia di non essere adattato alle condizioni attuali. non riflettendo nemmeno se loro stessi abbiano compreso bene l’insegnamento del Maestro. La sindrome dei gruppo è tanto funesta per i discepoli quanto per i membri della gerarchia che dirigono l’organizzazione. E grave per i perché offre loro un modo per rifugiarsi ncll ‘errore, nel nascondiglio. nel sotterfugio. nell’inganno. Solo perché sono affiliati ad un club ritengono di essere riusciti in qualcosa. pensano di essere • ‘sul cammino”. si sentono al loro posto. Se partecipano alle riunioni del gruppo praticano gli esercizi, si sentono a loro agio. Se sono assenti per parecchio tempo si elevano nella gerarchia e diventano capi di gruppi. finiscono così con l’ immaginare di essere diventati loro stessi dei Maestri. Disgraziatamente tutte queste attività di gruppo rischiano di diventare meccaniche, hanno pochissimo o nessun effetto su coloro che si dedicano, nello stesso modo in cui la regolare frequentazione della chiesa non ha quasi mai effetto fervore religioso. Per tali praticanti andare in chiesa è diventata un’ abitudine. Ci si va la domenica, nello stesso modo in cui il sabato sera si va al o al ristorante. E estremamente difficile sottrarsi all’ insidia ciel gruppo. sta per i membri della gerarchia che ne assicurano il funzionamento sia per i neoliti che essi sono tenuti a guidare. Vi sono molti che amano questa insidia e sono felici di starci dentro, preferiscono l’opera d’illusione all’opera reale ed amano chi dice loro cosa pensare e cosa fare, ciò che risparmia ‘ero dalla fatica di pensare da sé stessi. Talvolta capita che nell’ambito di una organizzazione moribonda appaia un autentico Maestro, dotato di un potere sufficiente per liberarsi dall’insidia ed affrancare chi ne è prigioniero presupponendone il desiderio di affrancamento. E quanto è accaduto alla Società Teosofica quando Krisnamurti. che era un autentico Maestro. ha fatto scoppiare l’organizzazione che era stata da lui (l’Ordine della Stella) messa a nudo, svelando senza pietà le false apparenze su cui si fondava questa particolare opera d’ illusione. Gli mancò molto coraggio per agire così, ma il coraggio è una delle caratteristiche dell’autentico Maestro. Essendosi lui stesso prestato a rompere gli idoli, a mettere fine ai a distruggere i sistemi di credenza già confezionati. opposto agli ortodossi e diffidente delle gerarchie, è uno spirito libero il cui solo interesse è aiutare gli altri a conquistare la libertà.
Quinta insidia: La sindrome della salvezza personale
E un’insidia raffinata e pericolosa che è stata la maledizione delle tre religioni uscite da Abramo, Ebraismo. il Cristianesimo e l’Islam. E quella che li ha stimolati a trasformarsi in culti della colpevolezza, dove i credenti supplicano i loro dei di perdonarli per i loro peccati e di accordare loro ciò che si designa con il termine approssimativo di salvezza. Da cosa dovrebbero essere salvati’.
Probabilmente dall’ Inferno. dalle fiamme eterne che sono uno dei modi dannosi che i preti di queste religioni inventate per le loro pecore sono molto terrificanti per portarle dove vogliono.
La sindrome della salvezza personale poggia un grande errore. Chi ne è colpito immagina che l’io. o l’ego. sia condannato alla dannazione. Se va in cielo. è il suo “io’“ che salirà in Cielo, vivrà l’eternità attorniato da angeli che suonano l’arpa: se va all’inferno. fremerà e urlerà tra diavoli e le fiamme eterne. Perciò chi è invasato da tale assurda superstizione in di un sentimento di peccato e di colpevolezza dunque il desiderio
uori posto di accede alla salvezza individuale. . Piuttosto che un unico grande sforzo chiede una serie di piccoli sforzi ripetuti incessantemente, necessita di una pazienza infinita, la volontà di ricominciare ogni volta che sarà necessario. Innanzitutto, non può concepirsi senza chi ci si sia affrancati da ogni identificazione. in quanto proprio l’ identificazione distrugge sempre l’opera reale per sostituirla con l’ opera dell’ illusione, che è talmente insidiosa che chi si lascia fagocitare in questa insidia è incapace di comprendere dove e come è stato forviato.
. Sesta insidia: La sindrome dello sforzo supremo
Si può tratteggiare questa insidia usando anche il nome di sindrome della scalata dell’Everest. Consiste nel ritenere che I ‘ opera esige degli sforzi smisurati, analoghi a quelli dell ‘ alpinista che intraprende da solo l’ ascensione della cima più elevata del mondo. L’insidia è tanto più sottile quanto l’ idea su cui poggia non è lontana dalla verità. L’ opera necessita effettivamente di sforzi considerevoli ma sono sforzi di un genere molto particolare, che esigono il mantenimento dell ‘ equilibrio e della coscienza. Possono essere assimilati più all’abilità di un funambolo o di un giocoliere che ai tentativi accaniti che si fanno serrando i denti per realizzare delle prestazioni eroiche tali come la scalata dell ‘Everest. La sindrome dello sforzo disperato poggia su una profonda incomprensione di ciò che è la natura dell ‘ opera. La vera opera consiste nella lotta contro l’ identificazione. Per identificazione si intende lo stato in cui si è interamente assorbiti da ciò che si fa, perdendo ogni coscienza obiettiva della propria esistenza. Molta gente versa in tale condizione per tutta la vita e la nostra civiltà è concepita in modo tale che si perpetua. Ogni momento siamo incitati ad identificarci in un sogno, un progetto, una fede, un gioco, un’ ambizione, un desiderio. Questa identificazione ci è talmente abituale che facciamo fatica a credere che si possa vivere diversamente. Capita spesso che gli individui s’ identifichino in ciò che credono essere l’opera, dandole inizio in uno stato drammatico e grave, ritenendo di dover fare non solo degli sforzi, ma degli sforzi disperati, non comprendendo così che l’opera è un gioco di equilibrio che deve essere agito da un cuore leggero e con senso di distacco. Per costoro l’opera si trasforma in una sorta di prova. Tale lugubre attitudine si traduce con impressioni di tensione e di disagio. Ogni al•resto nel perseguimento degli sforzi sovrumani comporta come conseguenza un senso di colpa. La colpa, a sua volta, fa nascere reazioni auto punitive, che sono state, e continuano ad essere, uno degli aspetti particolarmente odiosi della vita di certi fanatici. Si puniscono portando il cilicio, digiunando, praticando la continenza, caricandosi di catene, impedendosi di dormire, flagellandosi, ecc. , spesso prendono l’abitudine di punire chi non prende parte alle loro credenze. Furono proprio tali eccessi che indussero il poeta romano ad esclamare: “Tantum religio potuit suadere malorum” (Tali sono i mali cui la religione può dar vita). La sindrome dello sforzo disperato può avere un altro effetto, più sottile. Gli organizzatori dell’opera, che si lasciano frequentemente prendere da questa piaga, hanno l’abitudine di riservare un periodo finalizzato allo sforzo sovrumano. Durante tale periodo, ogni cosa è concepita per rendere l’esistenza più difficile e disagevole possibile. Viene prevista la lettura interminabile di vari libri sacri, l’intensa pratica di un difficile lavoro manuale, degli speciali esercizi che si presumono contribuire alla presa di coscienza. E possibile anche che l’ alimentazione venga ridotta al minimo, così pure il tempo concesso al sonno ed al riscaldamento in inverno, e che le condizioni di vita siano, in linea generale, difficili. La parola chiave è lo sforzo incessante senza tregua. Bisogna vincere o morire.
E possibile che chi si rende conto di essere disposto a tanto trae beneficio da tali prove.
Disgraziatamente, sono numerosi coloro che accettano tale sfida senza aver la minima idea di ciò che li spinge a farlo. La prova serve allora come scusa per la gratificazione dell’ego, si instaura uno spirito di competizione tra chi riesce a soffrire di più senza lamentarsi. I guai seri cominciano nel momento in cui termina l’orgia di sofferenza che si sono imposti. Inizia la reazione, l’energia acquisita, invece di essere utilizzata in modo costruttivo viene sperperata negli eccessi cui si aveva fatto rinunzia durante il periodo di privazione. Chi ha sofferto ritiene di aver diritto di lasciarsi andare. Non ha tentato degli sforzi eroici’? Non è, pertanto, autorizzato a rilassarsi ed a godersi la vita? Così disperde tutto ciò che si è guadagnato dedicandosi a cose futili, spesso nocive. La sindrome dello sforza supremo impedisce chi né è affetto di comprendere la natura dell’autentica opera. L’opera non è eroica e non esige alcun impegno fuori dal comune, si può compararla all’ abile e paziente lavoro di chi taglia e modella un materiale difficile, la pietra’ l’avorio. Piuttosto che un unico grande sforzo chiede una serie di piccoli sforzi ripetuti incessantemente, necessita di una pazienza infinita, la volontà di ricominciare ogni volta che sarà necessario. Innanzitutto, non può concepirsi senza chi ci si sia affrancati da ogni identificazione, in quanto proprio l’identificazione distrugge sempre l’ opera reale per sostituirla con l’ opera dell ‘ illusione, che è talmente insidiosa che chi si lascia fagocitare in questa insidia è incapace di comprendere dove e come è stato favorito.
Sesta insidia: La sindrome dello sforzo supremo
Si può tratteggiare questa insidia usando anche il nome di sindrome della scalata dell’Everest. Consiste nel ritenere che I ‘ opera esige degli sforzi smisurati, analoghi a quelli dell ‘ alpinista che intraprende da solo l’ ascensione della cima più elevata del mondo. L’insidia è tanto più sottile quanto l’ idea su cui poggia non è lontana dalla verità. L’ opera necessita effettivamente di sforzi considerevoli ma sono sforzi di un genere molto particolare, che esigono il mantenimento dell ‘ equilibrio e della coscienza. Possono essere assimilati più all’abilità di un funambolo o di un giocoliere che ai tentativi accaniti che si fanno serrando i denti per realizzare delle prestazioni eroiche tali come la scalata dell ‘Everest. La sindrome dello sforzo disperato poggia su una profonda incomprensione di ciò che è la natura dell ‘ opera. La vera opera consiste nella lotta contro l’ identificazione. Per identificazione si intende lo stato in cui si è interamente assorbiti da ciò che si fa, perdendo ogni coscienza obiettiva della propria esistenza. Molta gente versa in tale condizione per tutta la vita e la nostra civiltà è concepita in modo tale che si perpetua. Ogni momento siamo incitati ad identificarci in un sogno, un progetto, una fede, un gioco, un’ ambizione, un desiderio. Questa identificazione ci è talmente abituale che facciamo fatica a credere che si possa vivere diversamente. Capita spesso che gli individui s’ identifichino in ciò che credono essere l’opera, dandole inizio in uno stato drammatico e grave, ritenendo di dover fare non solo degli sforzi, ma degli sforzi disperati, non comprendendo così che l’opera è un gioco di equilibrio che deve essere agito da un cuore leggero e con senso di distacco. Per costoro l’opera si trasforma in una sorta di prova. Tale lugubre attitudine si traduce con impressioni di tensione e di disagio. Ogni al•resto nel perseguimento degli sforzi sovrumani comporta come conseguenza un senso di colpa. La colpa, a sua volta, fa nascere reazioni auto punitive, che sono state, e continuano ad essere, uno degli aspetti particolarmente odiosi della vita di certi fanatici. Si puniscono portando il cilicio, digiunando, praticando la continenza, caricandosi di catene, impedendosi di dormire, flagellandosi, ecc. , spesso prendono l’abitudine di punire chi non prende parte alle loro credenze. Furono proprio tali eccessi che indussero il poeta romano ad esclamare: “Tantum religio potuit suadere malorum” (Tali sono i mali cui la religione può dar vita). La sindrome dello sforzo disperato può avere un altro effetto, più sottile. Gli organizzatori dell’opera, che si lasciano frequentemente prendere da questa piaga, hanno l’abitudine di riservare un periodo finalizzato allo sforzo sovrumano. Durante tale periodo, ogni cosa è concepita per rendere l’esistenza più difficile e disagevole possibile. Viene prevista la lettura interminabile di vari libri sacri, l’intensa pratica di un difficile lavoro manuale, degli speciali esercizi che si presumono contribuire alla presa di coscienza. E possibile anche che l’ alimentazione venga ridotta al minimo, così pure il tempo concesso al sonno ed al riscaldamento in inverno, e che le condizioni di vita siano, in linea generale, difficili. La parola chiave è lo sforzo incessante senza tregua. Bisogna vincere o morire.
E possibile che chi si rende conto di essere disposto a tanto trae beneficio da tali prove.
Disgraziatamente, sono numerosi coloro che accettano tale sfida senza aver la minima idea di ciò che li spinge a farlo. La prova serve allora come scusa per la gratificazione dell’ego, si instaura uno spirito di competizione tra chi riesce a soffrire di più senza lamentarsi. I guai seri cominciano nel momento in cui termina l’orgia di sofferenza che si sono imposti. Inizia la reazione, l’energia acquisita, invece di essere utilizzata in modo costruttivo viene sperperata negli eccessi cui si aveva fatto rinunzia durante il periodo di privazione. Chi ha sofferto ritiene di aver diritto di lasciarsi andare. Non ha tentato degli sforzi eroici’? Non è, pertanto, autorizzato a rilassarsi ed a godersi la vita? Così disperde tutto ciò che si è guadagnato dedicandosi a cose futili, spesso nocive. La sindrome dello sforza supremo impedisce chi né è affetto di comprendere la natura dell’autentica opera. L’opera non è eroica e non esige alcun impegno fuori dal comune, si può compararla all’ abile e paziente lavoro di chi taglia e modella un materiale difficile, la pietra non esige alcun impegno fuori dal comune, si può compararla all’ abile e paziente lavoro di chi taglia e modella un materiale difficile, la pietra, o l ‘ avorio. Piuttosto che un unico grande sforzo chiede una serie di piccoli sforzi ripetuti incessantemente, necessita di una pazienza infinita, la volontà di ricominciare ogni volta che sarà o necessario. Innanzitutto, non può concepirsi senza chi ci si sia affrancati da ogni identificazione, in quanto proprio l’ identificazione distrugge sempre l’ opera reale per sostituirla con l’ opera dell’ illusione, che è talmente insidiosa che chi si lascia fagocitare in questa insidia è incapace di comprendere dove e come è stato forviato.
Settima insidia: La sindrome del ritualismo
E una delle insidie più evidenti ed ha qualche somiglianza con la sindrome del gruppo.
Chi cade in questa trappola perde di vista il suo vero obiettivo. Invece di lavorare su sé stesso si contenta di assistere regolarmente alle riunioni del gruppo, agisce meccanicamente andando avanti con la forza dell ‘ abitudine, maturando l’ impressione di appartenere ad un gruppo e la certezza di essere realmente impegnato nel Cammino; durante le riunioni compie ogni gesto previsto, fa qualche osservazione, ascolta le conferenze, le letture, e così di seguito, ma una volta terminata la riunione dimentica l’opera. Per tale soggetto l’opera è diventata una manifestazione della sua personalità, manifestando un comportamento completamente ipocrita. Può darsi che una volta abbia avuto un senso, ma da molto tempo ha perso contatto con la realtà. Il suo lavoro poggia su un’illusione pura e semplice. è il prodotto del meccanismo che funziona senza pausa nel cervello umano per creare l’ illusione.
Ottava insidia: La sindrome della ricerca del Maestro
Si manifesta come una insidia molto riconoscibile. Chi ne è vittima passa la propria vita passando da maestro a maestro, chiedendo a ciascuno di loro di rivelargli i segreti dell’opera, non potendo o non volendo comprendere che non esistono segreti da rivelare. I segreti dell’opera sanno proteggersi, non possono essere scoperti che con la pratica tesa a raggiungere un certo livello d’ intensità e di continuità prima che il segreto possa essere scoperto. Chi cade nella insidia della ricerca del maestro non ha alcuna intenzione di lavorare intensamente e costantemente.
Aspetta che tutto gli sia servito su un piatto, se l’opera non gli si è presentata in questo modo ne deduce che il maestro è un impostore e se ne va alla ricerca di un altro. La sua ricerca non ha mai termine se non con la morte, per la semplice ragione che non vuole che abbia un esito.
Per questo soggetto la ricerca è diventata un gioco in sé. Da molto tempo ha dimenticato cosa cercava.•