IL MAESTRO INTERIORE
di
Corrado Balacco
E’ inutile andare a cercare maestri fuori di noi: il vero maestro è quello interiore. Non è sbagliato avere desideri, voler vivere fino in fondo la propria esistenza: è invece sbagliato avere desideri troppo limitati, troppo piccoli.
“Non è sbagliato il desiderio ma la sua piccolezza”.
E’ giusto voler accrescere la propria esperienza, la propria conoscenza, ma bisogna avere l’intelligenza e il coraggio di andare oltre, fino all’ origine dei desideri, dove si potrà capire quale sia la nostra più profonda e autentica esigenza.
Il mondo è una proiezione della nostra mente: dobbiamo convincercene per essere liberi. Ciò che vediamo e percepiamo è come la pellicola di un film realizzato da noi stessi. Dobbiamo fermare questo film, rompere l’incantesimo (“vedi il film non sei il film”), scoprire al di là delle apparenze, della fantasmagoria delle immagini, quel puro essere-coscienza-beatitudine che è sempre stato lì, immobile come roccia, in paziente attesa che la finissimo con i nostri giochi di illusionismo.
“Ciò che la mente ha fatto la mente deve disfare”.
Il realizzato non ha paura di nulla e vive imperturbabile, perché è già morto in vita, ovvero è sempre stato vivo. “Nella mia terra nessuno è stato e nessuno muore”. Qualunque cosa accada sul palcoscenico dell’esistenza, egli è consapevole che si tratta di una rappresentazione esteriore. L’osserva con distacco, felice di essere al di là dell’esperienza, felice di essere un te amo sotto anestesia?
Dunque la consapevolezza non è costante, può esserci o non esserci; è intermittente e può mancare del tutto. Ma quando è assente, come facciamo a mantenere il senso dell’ego? “Da che cosa dipende questo senso di identità se non da qualcosa che è al di là della coscienza”, qualcosa che persiste anche nelle lacune, negli intervalli, in cui l’io non è presente?
Chi ci sveglia al mattino? Basterebbe approfondire questi interrogativi per renderci conto che il senso dell’identità non ci viene né dal corpo, né dalla mente e che, se ci liberiamo da queste identificazioni, scopriamo un ‘ altra identità.
“La liberazione non è mai della persona, è dalla persona”.
Nascita e morte non sono solo idee della mente; per l’atman esse non esistono, come non esiste il concetto di Dio trascendente nato chiaramente dalla paura. Il Sé non prova paura verso la morte e accetta con distacco quest’ esistenza. “Tu sei il Dio del tuo mondo, e siete entrambi stupidi e crudeli”. In qualche momento della nostra storia, non si sa come, ci siamo dimenticati della nostra vera identità; così ha avuto origine la sofferenza, da cui cerchiamo di liberarci inseguendo il piacere, senza capire che l’ autentica beatitudine non può che trovarsi al di là del dolore e del piacere, in un luogo appartato e inattaccabile. Ma la mente non può stare ferma, la mente deve produrre concetti, idee, definizioni, separazioni, desideri, inizi e fini, in una parola I ‘ intera gamma dell’ esperienza, convinta che I ‘ esistenza e la coscienza siano tutt’uno. Solo I ‘ illuminato sa che non è così, che non c’è una consapevolezza al di là della coscienza fenomenica e della vita-morte. Però egli ha osservato, ha indagato, è andato a fondo, si è posto delle domande senza illudersi che le risposte venissero dalle parole.
Viviamo perché abbiamo desiderato, in un certo momento, di venire al mondo, e questo significa che dobbiamo portare sulle nostre spalle un karma. E’ stato lui, il desiderio del passato, il karma, a plasmare il nostro destino, imprigionandoci tuttavia in “una condizione insostenibile e dolorosa”. Non sappiamo di essere intrinsecamente liberi, ignoriamo di poter uscire di scena, di poterci mettere a guardare noi stessi come in uno spettacolo, di poterci servire del mondo per scavalcarlo e andare oltre. Eppure niente ci impedisce di essere consapevoli qui e ora: basta assumere un atteggiamento di pura testimonianza, di osservazione senza partecipazione.
Nessuno può aiutarci in questo compito. Non esistono maestri esterni, “amare e adorare Dio è ancora ignoranza”, ognuno deve risvegliare il maestro che ha in sé, perché ognuno è il creatore del proprio mondo. Anche i grandi illuminati del passato, i grandi Salvatori hanno fatto ben poco per noi. “Sono venuti e sono andati: e il mondo arranca”. Non ci rimane che procedere soli, con coraggio e pazienza: “nessuno fallisce sempre”. La guida migliore è dentro di noi. Non c’è bisogno di seguire né la via della rinuncia (quella della yogi), né la via dell’ adorazione (quella del bhogi, del bhakta); ogni forma di esperienza comporta un dualismo. Non dobbiamo cercare qualcosa di separato e contrario.
“Non hai bisogno di esperienza, ma di libertà da tutte le esperienze”. La realtà non è uno sperimentare qualcosa, ma un essere, perché noi siamo già reali. Come dice la Chàndogya-upanisad, “ogni cosa è animata da un’essenza sottile, da un’unica realtà, che l’atman. E quello che sei tu” (tat tvam asi).
L’uomo ha un fine preciso: la liberazione della sofferenza, dalla stato di limitazione, della vita fenomenica, il che può avvenire solo attraverso un’espansione della coscienza.
“Per essere libero nel mondo, dovrai essere libero dal mondo”
Tutto ciò che si oppone a questa liberazione-espansione contrasta inutilmente le direttive dell’evoluzione cosmica e, prima o poi, né sarà schiacciato. Chi invece si armonizza con questa linea evolutiva, svilupperà una serenità senza sforzo, raccogliendone i frutti. Ma dobbiamo essere seri nella nostra determinazione; la serietà è la “chiave d’ oro” di ogni realizzazione. Visto che abbiamo messo tanta energia nel diventare schiavi, mettiamone altrettanta per demolire la prigione. Ci siamo alienati dalla realtà alimentando un gran numero di illusioni, ora dobbiamo smettere di nutrirle. “I vecchi solchi del cervello devono essere cancellati”. Non dobbiamo ripetere sempre le stesse esperienze senza imparare nulla, senza procedere di un passo, così finiremo per morire con il desiderio di vivere ancora. L’unica vera tecnica di meditazione è l’ approfondimento e l’ allargamento dell’ autoconsapevolezza. Non si tratta di fare qualcosa, ma soltanto di essere. La via non è graduale: si arriva alla meta di colpo, con un ex-cessus mentis.
Arrestiamo l’ immaginazione, il ricordo, la conoscenza, il desiderio, e scopriremo che siano sempre stati noi stessi, anche senza saperlo. Potremo utilizzare la ripetizione di un mantra del nome di Dio, potremo adottare una respirazione quieta e profonda che renderà la nostra mente “pura, stabile e adatta alla meditazione”, ma è inutile impegnarsi in pratiche acetiche, in rinunce, in ritiri solitari in cui si resta in preda alle “chiacchiere senza fine della mente”, si può tranquillamente vivere tra la gente; lavorare, amare, piangere, ridere. ma dall’ alto del proprio Sé distaccato e intangibile, ricordando senza posa che si è.
Soltanto
a questo punto l’ inconscio può fluire nel conscio, la persona si fonde con il
testimone, questi con la consapevolezza, che a sua volta s’ immerge nel puro
essere, senza perdita dell’identità ma solo delle sue limitatezze.