ALCUNE RIFLESSIONI SULLA FAVOLA
di
Roberta Galli
La formazione, o forse in alcuni casi la deformazione scolastica, ha sempre ridotto la lettura delle favole a puri esercizi di traduzione di testi ritenuti facili per grecisti e latinisti alle prime armi.
Si impone già a questo punto una prima osservazione; se è vero che gli apologhi che vanno sotto il nome di Esopo, sono una lettura semplice, altrettanto non può essere detto delle favole di Fedro ed ancora meno di Aviano, grande ammiratore di Virgilio dalla cui opera “prese in prestito”, secondo il costume degli antichi che non aveva diritti di autore e non conoscevano il plagio come reato, non soltanto espressioni ma anche interi emistichi
La favola, del resto, è sempre stata considerata il mezzo di insegnamento, per eccellenza sia per la forma sia per il contenuto: i discipuli romani faticavano traducendo dal greco al latino, versificando la prosa o parafrasando la poesia. Ma i maestri conoscevano anche le virtù educative della sostanza se Quintiliano raccomanda alle nutrici di raccontare ai piccoli le aniles fabellae, per poi passare, quando più grandicelli, alle fabulae esopiche.
Tuttavia stimo che per capire veramente la favola, la sua tradizione, l’ immensa produzione e la sua continuità, potremmo quasi dire, immortalità, bisogna rifarsi al significato della parola e dei suoi sinonimi ed alla loro etimologia. Nella tradizione occidentale RoyoÇ, uveoÇ, efabula hanno, in origine, soltanto il significato di “parola”; questo evidenzia l’ antichità del genere che certamente preesistette la scrittura. E se non abbiamo conoscenza di favole greche appartenenti ad un’epoca anteriore al VI secolo ed attribuite ad un leggendario scrittore di nome Esopo, non è difficile immaginare che brevi racconti di questo tipo circolassero oralmente — ricordiamo che anche i poemi omerici furono “scritti” secoli dopo la loro creazione. La letteratura orientale, assiro-babilonese ed indiana avevano conosciuto e coltivato la favola da lunghissimo tempo.
La continuità della produzione favolistica ha pochi altri paralleli nella storia letteraria; infatti, oltre a favole occasionali inserite in altre opere, generalmente per spiegare o illustrare, non si contano le raccolte vere e proprie greche (Esopo e Babrio), romane (Fedro ed Aviano), medioevali, in versi e prosa, ad imitazione di quelle antiche (l’Esopo di Ademar, di Wissembourg, le compilazioni che vanno sotto il nome Romulus). I contatti che nel medioevo si svilupparono con il mondo arabo ed orientale trasformarono la favola accentuandone il contenuto didattico applicato soprattutto alla predicazione ed alla delucidazione delle Sacre Scritture: nacque la letteratura degli exempla come nel Directorium humanae vitae di Giovanni da Capua, gli Exempla di Jacques de Vitry, gli Specula di Vincent de Beauvais e laDisciplina Clericalis di Petrus Alphonsus. Si formarono anche le epopee animalesche, sempre vere e proprie allegorie, che giungeranno al celeberrimo Roman de Renart del sec. XVI.
Il periodo umanistico — rinascimentale vide una ricca e varia fioritura di favole: si riportò alla luce l’Esopo greco, si riscoprirono manoscritti di Fedro, si tradussero dal greco intere collezioni o antologie (Lorenzo Valla, Ermolao Barbaro), favole furono scritte da personaggi illustri come Francesco Filelfo, Leon Battista Alberti, Lorenzo Bevilacqua (Abstemius), Gregorio Correr, Bartolomeo della Scala, Marsilio Ficino, Giovanni Pontano, Gabriele Faerno, Leonardo da Vinci, il Fiorenzuola, il Doni… e si potrebbe continuare perché non vi fu scrittore nei secoli XV e XVI che non parlasse di favolistica o non la usasse o non producesse opere nuove.
Una delle particolarità del periodo umanistico — rinascimentale è l’ arricchimento dei protagonisti delle favole e, con la riscoperta di Platone e dei neo platonici, il passaggio ad un vasto uso del mito nella filosofia. In origine gli attori delle favole erano quasi esclusivamente animali, dotati di tutte le caratteristiche umane, positive e negative, individuali e sociali; piante, oggetti ed astrazioni erano rari nella favola vera e propria. La favola parlava soprattutto agli umili ai quali, dice Fedro, non era permesso neppure mormorare, si rivolgeva ai semplici per mostrare loro “la vita ed i costumi degli uomini” , rendere accessibile la parola di Dio. Nei miti antichi apparivano gli dei che sono allegorie di concetti astratti o rappresentazioni di una serie di virtù, vizi, attività ma anche tentativi di dare una interpretazione a ciò che non era possibile spiegare scientificamente. Il contenuto ed il linguaggio diventano più sofisticati, più dotti e su ogni fenomeno si crea un mito. Il Massone pensa subito alla allegoria legata alle stagioni, a Iside ed Osiride, Demetra e Persefone.
La favola che generalizzava, che semplificava concetti complessi, che in altre parole era essoterica, diventava, o meglio, ridiventava esoterica, si trasformava in linguaggio simbolico, manifestazione di un processo mentale che dal concreto andava verso l’astratto, dalla scienza alla filosofia. Sempre più essa rispondeva ad una delle sue più antiche definizioni “racconto inventato che rappresenta una venta Marsilio Ficino finiva la traduzione di Platone nel 1468, di Plotino nel 1492 e soprattutto il Corpus Hermeticum nel 1463. La riscoperta e la rilettura dei miti platonici, la filosofia ermetica portano I ‘uomo a guardare aldilà del mondo, a procedere oltre il fisico, il sensibile ed il tangibile sono la veste della Verità. Tutto nel mondo che ci circonda è simbolo che rimanda ad altro, tutto è manifestazione dell’invisibile.
Per il Massone l’insegnamento di Ficino è prezioso, con l’iniziazione “si schiude la favola bella” del cammino verso la luce. Ma come si può dare un insegnamento a chi non sa “né leggere né scrivere”, a chi è, etimologicamente, infante ? attraverso i segni, i simboli, le favole.
Tutto all’ interno del Tempio, nella ritualità, nelle insegne, nei paramenti, nei miti dei gradi è linguaggio allegorico che rende viva la Tradizione. Pensiamo alla leggenda di Hiram che nel R.S.A.A. si svolge attraverso vari gradi e porta con sé i principali contenuti dell’etica massonica, grande etica della vita.
Tocchiamo un altro, degli infiniti aspetti della favola: la sua morale, esplicita o implicita rivelatrice dell ‘etica umana. Nel corso dei secoli nella letteratura mitica sono stati toccati tutti gli aspetti del carattere dell’uomo, i rapporti con se stesso e con gli altri, la vita sociale, le idee politiche, le tesi filosofiche, le grandi problematiche dell’ esistenza. Eppure Fedro constatava con amarezza che la favola non apparteneva ai grandi generi letterari, era un po’ disprezzata perché considerata un semplice divertimento, o una letteratura per gli incolti . Io direi che tale la consideravano i ciechi, coloro che non volevano VEDERE, i pectora caeca di lucreziana memoria.. Così chi varca la porta del Tempio ma continua ad usare soltanto gli occhi fisici e non quelli della mente e dello spirito, considera tutto, per conseguenza logica, mera cerimonia, storia noiosa e superflua, apparati desueti e ridicoli e massone non è anche se ne riveste le insegne. ” Senza la Vista non più immaginazione, non più ideale, non più vita: l’uomo stesso senza la Vista sarebbe come un morto nella vita stessa. •