IL MASSONE GENNARO ARCUCCI…

La tradition d’édifier des tours humaines date vraisemblablement du Moyen Âge. Elle perdure en Catalogne, où elle donne lieu à de grands rassemblements festifs. Les castells, c’est-à-direles « châteaux », sont constitués d’une base compacte de participants, à partir de laquelle des équipes de quatre hommes, appelés « casteliers », grimpent pour former une tour de quatre à neuf étages.Un enfant entame ensuite l’ascension du castell jusqu’au sommet.

IL MASSONE GENNARO ARCUCCI

MARTIRE CAPRESE DELLA

REPUBBLICA PARTENOPEA DEL 1799

di

Domenico d’Alessandro

Nacque a Capri dal dottor fisico Costanzo Arcucci e da Caterina Romano di Sorrento la notte antecedente il 5 gennaio 1738, giorno in cui venne battezzato nella chiesa di S. Sofia di Anacapri. Gli furono imposti i nomi Gennaro, Ignazio, Giuseppe, Michele e nonanche Felice come compare sulla lapide commemorativa apposta nella piazza di Capri. Il padre Costanzo, figlio di Giuseppe era nipote di Tommaso Aniello, entrambi medici. Dei tre fratelli: Michele, Giuseppe e Francesco, solo il primo fu perseguitato e salvato dal comandante della nave Sea Horse che lo condusse in Africa. Per la sua gracilità il padre voleva che abbracciasse la missione del sacerdozio. A soli 20 anni, conseguì la laurea in Medicina come attesta Francesco Serao. Sottoscrisse scrivendo: “Io Gennaro Arcucci della Terra di Anacapri, Provincia di Salerno”. Il 14 Marzo prestò giuramento.

Fu compagno di studi ed intimo amico di Domenico Cirillo, al quale affidò la cura e l’educazione del fratello Michele. Ebbe la docenza di filosofia e scienze all’Università di Napoli avendo modo di frequentare gli spiriti più eletti quali Mario Pagano, Francesco Conforti, Eleonora Pimentel Fonseca, Ettore Carafa e l’ammiraglio Caracciolo, tutti personaggi che seguivano con interesse le fasi della Rivoluzione Francese ed il suo movimento rinnovatore unitamente agli illustri giuristi come Gaetano Filangieri, Giuseppe Palmieri, Giuseppe Maria Galanti, Domenico Forges Davanzati. Seguì per anni la vasta e multiforme attività intellettuale della borghesia convinto che essa, come forza economica e sociale, potesse avere un ruolo determinante per I ‘affermazione dei principi di libertà, giustizia e uguaglianza di tutte le classi sociali. Abitò a Napoli in via S. Severo dopo il matrimonio con la nobildonna signora Mastelloni. La parentela acquisita con questa famiglia arricchì i suoi contatti con illuministi anche europei che erano in contatto con Emanuele Mastelloni che fu ministro della Repubblica Napoletana. Esercitò la sua professione in molti ospedali di Napoli, principalmente in quello degli Incurabili, dispensando sempre una grande benevolenza alle vedove ed alle madri. Nei mesi estivi ritornava a Capri nella sua casa di via Fuorlovado e dove aveva diverse proprietà e vigneti a Truglio. Produceva circa sessanta botti di vino all’anno, alla maniera di Borgogna, che aveva denominato “Lacrima di Tiberio”: il primo vino doc di Capri che fu apprezzato dai buongustai e dai primi viaggiatori stranieri. Nelle vacanze capresi approfondiva le ricerche storiche sulle dodici ville augusto-tiberiane invogliato dagli scavi del 1777-78 eseguiti da Girardi e da Hadrawa nel 1786-87. Queste sue ricerche furono pubblicate a Torino nel 1820. L’opera, come molti altri suoi scritti, è andata perduta e resta solo una menzione di una nota di un libro di Cornelio Tacito, nella quale si legge: “Duodecim villarum loca detegere sategitante viginti annos Arcutius Medicus”. Riferisce il D’ Ayala di aver trovato un opuscolo titolato: “Januari Ignatii Arcutii in X lib. III Galeni caput commentarius opere elaboratus in solenni cathedrale petitione III Kalen. Octobris 1777′, ma anch’esso è sconosciuto. Sono invece conservati presso la biblioteca del Museo di S. Martino due suoi proclami: “Il Commissario Bonificatore” e “Il Miseno Trasfigurato”. Era intimo del vescovo mons.. Saverio Gamboni, malgrado questi fosse in buoni rapporti con la Corte e confessore della regina Carolina quando questa veniva a Capri. Fu anche amico di mons. Michele Natale, vescovo di Vico Equense, condannato a morte il 20 agosto del 1799. Amava intrattenersi ad Anacapri con Francesco Mazzola, anch’egli repubblicano. Dopo la restaurazione il Mazzola ebbe I ‘ indulto e si ritirò per sempre a vita privata. Nel 1827 il sovrano che era ritornato sul trono, trovandosi a Capri, pensò di fargli visita, ma il Mazzola, avutane notizia, appese alla porta un cartello con la scritta: “Impedito”. Proclamata la repubblica il 27 Gennaio 1799, Gennaro Arcucci venne inviato a Capri il 3 Febbraio nella qualità di Commissario Bonificatore. Dai concittadini non ebbe I ‘ accoglienza entusiastica che lui pensava, devoti com’erano i capresi al re Ferdinando IV che aveva scelto l’isola come suo luogo di vacanza e di caccia, ospite del baronetto inglese sir Nathalie Thorold, proprietario del Palazzo, oggi detto Canale. In Piazza venne piantato l’albero della libertà, un albero vivo, perché la libertà potesse piantare le sue radici. Era sormontato dal berretto frigio, simbolo della liberazione, e parato di fasce tricolori e della bandiera nazionale. Si recò poi nella Cattedrale di S. Stefano dove fu cantato il Te Deum e dove gli fu anche offerto un fascio di fiori alla fine della cerimonia religiosa. Il vescovo mons. Gamboni dispose che in tutte le chiese della diocesi venisse esposto il SS. Sacramento per otto giorni onde implorare la divina benedizione sulla  Repubblica; che all ‘orazione “pro-Rege” fosse sostituita quella “pro-repubblica”; che gli ecclesiastici di ogni ordine, comprese le suore dei Monasteri di S. Teresa di Capri e S. Michele di Anacapri, si fregiassero del tricolore; che tutti si recassero a porgere gli ossequi al Commissario Arcucci. Il Can. Arciprete Don Salvatore Ferraro fu incaricato di predicare a favore della Repubblica. Per questo motivo mons. Gamboni fu condannato a 15 anni di esilio ed alla confisca dei beni, mentre al can. Ferraro, che come Cancelliere della Cura Vescovile di Capri aveva controfirmato l’editto emanato dal vescovo, venne concesso I ‘indulto il 30 maggio 1800. Come primo atto commissariale, Arcucci, fece dimettere dalle loro cariche regie il Governatore, il Giudice ed il sindaco Don Carlo Arcucci. Dispose anche che fossero rimossi in tutti i luoghi gli emblemi di Sua Maestà. Si recò poi ad Anacapri ed operò lo stesso. Fece esporre il SS. Sacramento secondo l’editto del vescovo Gamboni. Dopo la benedizione intrattenne il popolo perorando la causa della democrazia. Disse che egli “lavorava da ben nove anni per la liberazione della sua patria, per riscattarla dalla schiavitù monarchica, per rivendicare le offese fatte al popolo, per affermare la ver sempre disprezzata”. Lesse la lista dei municipalisti da lui nominati. Emanò un editto ordinando che fossero dati alle fiamme i quadri dei reali e le bandiere. Fece issare sulla piazza lo stendardo tricolore, ed un altro sul diruto castello di Barbarossa. Caduta la repubblica il 13 giugno del 1799, Gennaro Arcucci fu arrestato e rinchiuso prima nel carcere di Portanova, poi in quello di S. Maria Apparente. Riferisce D’ Ayala che “pareva alla moglie poter riuscire a salvarlo, sperando veder soddisfatta la grande sollecitudine che a pro dell’Arcucci dimostrarono tutte le famiglie ragguardevoli di Napoli; e salito al trono il nuovo Papa Pio VII, pareva a tutti avessero dovuto scemare tante ire e tante vendette di sangue”. Il 14 marzo del 1800 comparve in giudizio, fu condannato a morte e trasferito nel carcere del mercato. Ricevette il confronto delle monache del Monastero di S. Giuseppe dei Rufi. Il 18 marzo prese i sacramenti con la fede di generoso figlio di Capri e con la rassegnazione del martire. I revv. Padri della Congregazione dei Bianchi lo accompagnarono al patibolo proteggendolo dagli insulti che la popolazione riservava ai condannati. Prima dell ‘esecuzione disse ai suoi carnefici: “Poco mi potete togliere di vita”. Fu sepolto nella Congregazione del Carmine Maggiore Sulla sua tomba, secondo ancora il D’Ayala, furono incise le parole: “Homo atiqua virtute ac fide”. Il suo nome figura anche nella prima tavola di marmo dei martiri del 1799 apposta sul portone di Palazzo S. Giacomo, sede del Comune di Napoli. Gli furono confiscati i beni: i poderi di Capri siti a Fontana e Fuorlovado, le case di S. Angelo a Napoli, un vitalizio sul fondo “Parate” ed il vino trovato nei cellai di Capri, fu venduto.

Di fronte a tanto patriottismo ci piace ricordare quanto Vincenzo Cuoco liricamente ha scritto: “Noi abbiamo sofferto gravissimi mali, ma abbiamo dato anche grandissimi esempi di virtù. La giusta posteriorità oblierà gli errori, che come uomini hanno potuto commettere coloro, a cui la repubblica era affidata: tra essi però, si ricercherà invano un vile, un traditore. Ecco, ciò forma la loro gloria. In faccia alla morte nessuno ha dato un segno di viltà. Tutti l’han guardata e con la istessa fronte con cui avrebbero condannati i giudici del loro destino”. Il 18 marzo del 1900, centenario della morte, l’Amministrazione Comunale di Capri fece affiggere, nella Piazzetta, la lapide commemorativa che figura all ‘altezza del gran caffè.

L’attualità dei valori del 1799

Ciascuno deve ricercare la “verità” autonomamente perché è così che si forma la coscienza delI ‘uomo, dell ‘uomo non sovrano o suddito, ignorante o istruito, ma dell’uomo vero, l’unico essere capace di esaltare con la propria intelligenza le sue capacità. La ricerca inizia con la conoscenza di se stessi, delle proprie origini. E come andare alle origini di ciascuno di noi se non conosciamo, innanzitutto, il nostro ambiente di vita, la città natale e la sua storia, la cultura dei “nonni” nostri? Se è vero che “scienza senza coscienza è dannazione dell’anima”, è altrettanto vero che ciascuno deve ricercare da se il significato delle cose, la ragione vera che muove i processi della storia. Ebbene gli uomini del 1799, tra i quali il caprese Gennaro Arcucci, spesero la loro vita per la ricerca della vera ragione che muove le cose. La seconda metà del ‘700 vide il fiorire in Europa di quel fenomeno intellettuale conosciuto come “Illuminismo”, l’andare alle origini della cultura occidentale interpretando tutto secondo ragione. Ovviamente taluni esagerarono pretendendo di fare della ragione una religione vera e propria. Noi, lasciando da parte questi estremi, vediamo che i centri più importanti dell ‘Illuminismo furono Napoli e Parigi, che con Londra erano le città più popolose d’Europa e le meglio attrezzate culturalmente. Un ruolo assunto da Napoli come per vocazione naturale, non a caso è l’unica colonia della Magna Grecia ad essere divenuta metropoli, l’unica a conservare, anche nel fisico del suo “Centro Antico”, I ‘originario tracciato urbanistico ippodomeo, ispirato dal grande architetto di Mileto, allievo di Pitagora, del quale ci parla Aristotele. A Parigi Voltaire, Diderot, D’alembert, diedero vita all ‘Enciclopedia, un opera scientifica da aggiornarsi nei secoli e nelle varie nazioni in modo da costituire nel futuro la summa della cultura dell ‘umanità.

A Napoli si curò di tracciare i caratteri dello “Stato Moderno”. E’ così che nacque la “Scienza della Legislazione” di Gaetano Filangieri, un ‘opera presto conosciuta ed apprezzata in tutti i paesi del vecchio continente e nel nuovo mondo. Un grande entusiasmo vi fu nei giovani napoletani ed in quelli che dalle province del regno accorrevano a Napoli a studiare:

* come medici, tra questi l’Arcucci ed il più famoso Domenico Cirillo;

* come allievi della scuola militare della “Nunziatella”, ove tra i professori vi era I ‘insigne Pasquale Baffi, maestro di tanto uomini insigni, martire del 1799, albanese d’origine e anche questo potrebbe oggi avere un significato;

*come giuristi, sotto la guida del grande Antonio Genovesi, una cattedra la sua che fu la prima in Europa a trattare di economia politica, la prima ove le lezioni si svolgevano in italiano e non in latino.

E ciò mentre la città di Napoli viene descritta come uno sporco formicaio. “Gli abitanti erano circa 500.000, di cui 25.000 nobili, 15.000 ecclesiastici e 3.000 giureconsulti. ‘

La stessa aristocrazia lungi dall ‘essere una guida della società costituisce il peso maggiore che grava su essa. Michelangelo Schipa, da Croce definito il più rigoroso storico della Napoli di quei tempi, così la descrive: “La stessa aristocrazia fu quale era stata nel corso del vice-regno, in generale oziosa ed ignorante, pretenziosa e dissipatrice, fastosa e sguaiata, più che in ogni altra parte del mondo, indecorosamente insensibile a certi doveri che la presenza del re riuscìforse a fare meglio osservare

E’ stato detto che le rivoluzioni sono esplosioni di idee che seguono mutazioni nel corso del divenire dell ‘umanità e che ogni esplosione si verifica, naturalmente, ogni qualvolta un ostacolo si pone innanzi al moto impresso dall ‘accelerazione precedente. L’esplosione provocata dagli intellettuali francesi e napoletani fu ostacolata dall ‘ assolutismo di due Re, uomini del tutto diversi ma dalla comune vocazione alla fuga dalle responsabilità e dal popolo, da qui I ‘esplosione naturale concretizzatasi nella rivoluzione francese e nella repubblica napoletana del 1799. E’ da ricordare che:

  • Gaetano Filangieri, maestro di tanti uomini del ’99 è colui al quale si rivolgeva Franklin nel periodo dell’elaborazione delle leggi e della stessa Costituzione degli Stati Uniti d’America.
  • le leggi varate durante la repubblica x Napoletana sono ancora oggi i pilastri dell ‘ordinamento giuridico italiano;
  •  lo stesso spirito del 1799 aleggia nei deliberati del Parlamento napoletano del 1821 , il primo liberamente eletto in Italia, sorto per merito dei sopravvissuti al 1799, come Guglielmo Pepe, che assieme ai giovani patrioti riuscirono ad ottenere la “Costituzione”.

Questi passaggi non sono la democrazia modernamente intesa ma quelli attraverso i quali “naturalmente” vi si arriva.

I legislatori del 1799 si posero l’obiettivo di trasformare la plebe in popolo non solo in diritto ma anche e, principalmente, nella maturazione della coscienza civica dei cittadini. Si cercò di spiegare il significato delle nuove leggi in dialetto e dagli altari durante la messa. L’obiettivo non fu raggiunto. I napoletani, la massa, durante I ‘esecuzione delle pene capitali, applaudirono il boia e non gli insigni uomini che immolarono la vita: non v1 era stato il tempo perché si istruissero!

Eppure quel patrimonio intellettuale rimane valido tuttora. Quegli uomini sono apprezzati ancora oggi ma, purtroppo, meno del secolo scorso e di quanto oggi sarebbe necessario per realizzare in Italia il moderno stato di diritto. Si pensi, per un attimo, alla grande battaglia di Mario Pagano contro la validità della confessione estorta all’imputato quale mezzo di prova e la si raffronti al silenzio di tanti verso la moderna pratica del procedere in base alle accuse di criminali “pentiti”. Viaggiatori a Napoli furono i più grandi intellettuali del ‘700 e Goethe è solo uno fra i tanti. E non si può dire che vennero solo per le bellezze del sito perché quando Gaetano Filangieri si ritirò a Cava dei Tirreni i maggiori intellettuali europei andarono fin lassù per conoscerlo. Franco venturi, il più insigne studioso del “Settecento Riformatore” li definì “i pellegrini alla Cava”. Gli scambi culturali non avvenivano soltanto in una direzione, anche i napoletani erano viaggiatori all ‘estero per studio, valga per tutti l’esempio di Domenico Cirillo a Londra per lezioni di medicina. Quanto questi intellettuali siano avanti agli uomini del proprio tempo lo possiamo dedurre dalla diffidenza dei napoletani nei confronti della scienza medica ancora viva a fine Ottocento, quasi un secolo dopo la morte di Domenico Cirillo. Axel Munthe, il famoso medico cui dobbiamo S. Michele di Anacapri, racconta che quando apprestava una medicina ad un malato si sentiva dire: “dottòpecchè nun I ‘assaggiate primme vuie”. La maturità di un popolo cresce gradualmente e quello stesso che aveva applaudito il boia a Piazza Mercato, sessant’anni dopo, accorse a fiumana, nelle strade di Napoli, ad acclamare Garibaldi perché i valori risorgimentali del Generale erano amni a quelli degli uomini del 1799.Accorsero perché avevano capito e fatto propri quei valori e non per strappare un regno al figlio di una Regina di Casa Savoia, peraltro considerata a Napoli “regina santa”, per  offrirlo ad un re Savoia, sia pure “galantuomo”. Oggi assistiamo ad una rivisitazione della storia, si cercano le colpe dei Savoia per rivalutare i Borbone. Sono analisi storiche apprezzabili quando non scadono nell ‘agiografia, ma non bisogna dimenticare che quella tra i Savoia ed i Borbone è una diatriba tra zii e nipoti per un regno più o meno vasto, nello scontro il modo di governare e lo stesso popolo rivestono un ruolo secondario. E’ in questa logica che “nipote” di Ferdinando di Borbone diventò persino Napoleone dopo il matrimonio con Maria Luisa d’Austria, che era figlia di Teresa, la primogenita del Re di Napoli. Oggi viviamo una evoluzione convulsa. Il destino del mondo è tanto profondamente in discussione che tutto cambia, modi di credere, di vivere, di pensare, di esprimersi. Tutto è precario e sembra naufragare nelI ‘infido mare del nozionismo, del “sapere” senza “conoscenza”, nel quale la società sta naufragando. ln questa metamorfosi del mondo che segna quest’epoca di transizione dal “neolitico” allo “psicozoico” è possibile il “saltus” lungo il “philum” dell’evoluzione. Si vedono più storie camminare a velocità ineguali: la storia dei fatti cammina più rapida, quella della società e dell ‘economia più lenta, quella della coscienza e della morale sempre in ritardo con le altre, resta quasi immobile. Ecco, alla vigilia del terzo millennio, nel terzo millennio, i giovani hanno il compito di condurre a compimento quest’ennesima mutazione nel corso del divenire della storia dell ‘Umanità . E’ certo che essi saranno capaci di sollevare gli spiriti portando la storia della coscienza e della morale al passo di quelle dei fatti e dell ‘economia.•

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