LA LUCE SPLENDE NELLE TENEBRE, MA LE TENEBRE NON L’HANNO ACCOLTA

LA LUCE SPLENDE NELLE TENEBRE, MA LE TENEBRE NON L’HANNO ACCOLTA

                                                                      di Lorenzo Ferrante

Dal prologo del Vangelo secondo Giovanni leggiamo questo potente quinto versetto che ha sempre destato altissimo fascino. Al tempo stesso, spulciando le varie speculazione sulle molteplici interpretazioni inerenti all’ultimo verbo della frase, risulta naturale la voglia di ricerca su altrettanti passi della Bibbia.

In altre versioni, infatti il versetto viene trascritto come:

la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno “vinta”

Ci si chiede quindi se le tenebre abbiano mai accolto o sono state vinte dalla luce.

L’eterno conflitto tra le due antagoniste sembra ricadere dunque sulla scelta dell’uomo, perché Giovanni si rivolge proprio all’uomo e lo esorta a fare una scelta, redarguendolo e informandolo.

Pertanto, la frase in questione potrebbe significare che coloro i quali hanno ripudiato la Grazia che ci è stata offerta da Dio, non hanno potuto neppure capirla, non la potranno accogliere, e non riusciranno neanche vincerla.

Occorre lasciare spazio a delle personalissime riflessioni in quanto Iniziati. Tutto rimanda al concetto di luce e ombra, di chiaro e scuro, di bene e male e si possono trovare nel tempo, nel tempio, nel rituale e nei ripetuti confronti coi fratelli svariate riposte: dal tappeto alle luci, dal binomio sole-luna alla penombra che tutto amplifica.

Ma cosa rende magico ed evidenzia tutta questa aurea esoterica? Cosa si nasconde tra le fughe del bianco e del nero? Cosa sfuma tra la luce e le tenebre?

La risposta, per chi ha camminato sotto il cielo stellato calpestando i tasselli del nostro pavimento, è stata sempre lì a portata di sguardo e appare in maniera quasi impercettibile nel concetto di “ombra”.

L’eterno scambio tra la luce e il buio, il loro alternarsi e il mescolarsi crea le ombre che ammorbidiscono le fonti luminose e che attanagliano le tenebre.

Da questa speculazione partorita da mille domande il passo verso la ricerca di una delle più alte espressioni artistiche pittoriche è breve: le opere del Merisi.

Caravaggio, pseudonimo di Michelangelo Merisi è stato un pittore italiano vissuto a cavallo tra Cinquecento e Seicento ed è considerato uno dei più grandi artisti della storia dell’arte occidentale. Il suo stile pittorico, segnato da un forte realismo e da un travolgente impiego della luce, sovvertì il panorama artistico e andò ad influenzare tutta la successiva arte barocca.

Caravaggio descrive nelle sue opere un mondo pieno di vita ma anche di morte, di forme di realtà, dove non vi è una netta divisione tra ciò che è vivente ed è in moto e ciò che è immobile e appare privo di vita.

Questa visione per così dire “naturale” ha le sue radici alla fine del Cinquecento, con la scoperta della ricerca materiale e con la nuova visione della magia, non come semplice dominio dell’esistente, ma come manifestazione panteistica del divino, come materia del movimento e di quelle forze apparentemente immutabili che vibrano energie e

suoni, per nulla oscure a chi, come trasmette Pitagora, predispone la mente a carpire il sovra-sensibile.

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Caravaggio, ‘la cui vita tormentata riproduce al massimo l’espressione palpitante della forza del vivere, sintetizza ed esprime al meglio questa ricerca, radicando nella sua epoca con l’essenza del suo vissuto, un rovesciamento in ambito ermetico/alchemico che raramente viene colta dai profani e spesso è sottaciuta e scarsamente valorizzata anche dagli studiosi.

Per capire chi è stato e cosa ha voluto trasmettere il Merisi si deve fare un excursus della sua vita unitamente ad alcune sue opere osservando il tutto con lo sguardo di un Iniziato.

Nella sua rocambolesca vita tra Roma, Napoli e infine Siracusa il Merisi ha conosciuto personaggi illustri, uno su tutti il cardinale Francesco Maria del Monte, che l’ha Iniziato all’arte alchemica aiutandolo alla comprensione dei simboli attraverso la decodificazione dei messaggi per mezzo delle conoscenze criptiche e Iniziatiche proprie dell’ermetismo e dell’alchimia, intese nella pienezza del loro significato magico e immaginifico.

I suoi viaggi artistici e i periodi che marcano le sue opere, scandiscono e definiscono questa visione rinnovatrice. Le esperienze a Roma segnano il modo di esporre temi mitologici, contenendo le conoscenze alchemiche legate al periodo idealista: i due “Bacco”, la “Medusa”, e l’opera “Il Ragazzo morso dal ramarro”, esprimono ampliamente la potenzialità conoscitiva dell’ermetismo delle dottrine ad esso connesso.

Il dipinto venne realizzato su tela tra il 1595 ed il 1596 ed è oggi conservato presso la Fondazione Longhi a Firenze. Ritrae un giovanissimo ragazzo, soggetto privilegiato dal Merisi che, nell’atto di cogliere della frutta, viene morso al dito della mano da un ramarro. Caravaggio fissa il momento di una scenetta di genere trasformando il morbido efebico che si libera del simbolo infestante della natura fertile, in un giovane che diviene vittima di quello stesso simbolo: la piccola muraiola si ribella e morde il suo oppressore.

Il ramarro e la lucertola, nella pittura antica, simbolicamente, hanno la funzione di risvegliare gli uomini dal torpore del vizio quindi dai metalli della vita profana, riportandoli sulla strada della piena coscienza e della virtù. Questo minuscolo rettile, “sacro” per chi si accosta all’arte alchemica, ha la funzione e il compito di risvegliare e difendere l’iniziato dal grande serpente del male, ponendolo nelle condizioni di superare anche la difficoltà, ricordando e rievocando il simbolo potente dello zolfo e il fenomeno della “trasformazione” per mezzo del fuoco.

Questo quadro esprime al meglio il momento dell’attimo in cui il tempo, quinto elemento alchemico collegato alla scelta, modifica per sempre la scena unitamente al dipinto della Medusa.

Cogliere quell’attimo significa cogliere l’elemento più misterioso e presente insito nella trasformazione in cui tutto diviene e muta e tutto questo viene realizzato grazie all’uso magistrale dei colori e delle ombre.

Anche questo dipinto venne realizzato circa nel 1598 ed è oggi conservato presso la Galleria degli Uffizi di Firenze.

Il dipinto sullo scudo rappresenta uno stimabile saggio delle sue capacità prospettiche riuscendo ad azzerare gli effetti della convessità del supporto. La luce, proveniente dall’alto, proietta l’ombra della testa sul fondo verde dello scudo. Chi la osserva ha quindi l’impressione che l’ombra venga proiettata su di un fondo concavo e dunque che la testa di sopra vi fluttui. Il volto di Medusa è raffigurato nell’attimo dell’urlo, come un punto all’interno di un cerchio, scaturito dall’improvviso taglio della testa, dalla quale sgorga un fiotto di sangue. Gli occhi dilatati ed allucinati, la tensione nel corrugamento della fronte, la bocca spalancata che mostra i denti con il fondo oscuro dell’interno, sono esaltati anche in questo dipinto dalla luce calda e improvvisa. La luce evidenzia perfino l’orrore prodotto dalla capigliatura di serpi.

Simbolo dello scorrere vitale, Medusa, spinge a non opporre resistenza ai cambiamenti. Come una bestia che si addentra nel profondo degli abissi, invita a perlustrare la parte più profonda dell’Essere. Mostra l’importanza di abbandonarsi al fluire della vita.

Medusa nei poemi omerici viene infatti individuata tra le Ombre dell’Ade nell’Odissea.

Ritornando al concetto iniziale da cui siamo partiti ovvero l’ombra, bisogna aggiungere che per Caravaggio e, ancor più per lo sguardo attento di un Iniziato, non è meramente fisica, ma la stessa ha una valenza allegorico-simbolica: la sua funzione incentrata su scambio di luce e buio, è quella di evidenziare il sacro e il profano come non aveva mai fatto nessun altro pittore; dà modo quindi al Merisi di sperimentare il processo stesso della Illuminazione.

L’ombra, e di conseguenza la luce e le tenebre, mettono a fuoco una tematica che prima di allora avevano ricevuto scarsa attenzione, confinate al solo ornamento estetico e simbolo di profusione/privazione: la novella pittura conferisce alla natura morta il segno della vita che fugge lasciando dietro di sé il ricordo del nuovo e del bello, ma che a sua volta diviene nutrizione di quello che ancora ha da essere.

Nel rituale Emulation durante la lettura della seconda esortazione dell’elevazione a MM, il MV istruisce il candidato recitando: “Permettete ora che io vi faccia osservare che la luce di un MM è l’oscurità visibile, che serve soltanto per esprimere quell’ombra che avvolge le prospettive del futuro. Essa è quel velo misterioso che l’occhio della umana ragione non può penetrare, senza l’aiuto di quella Luce che proviene dall’alto. Tuttavia, anche solo con questo barlume di Luce, potete percepire di essere proprio sul bordo di una bara, nella quale voi siete appena ora simbolicamente disceso e che, quando questa vita transitoria sarà giunta al suo termine, nuovamente vi accoglierà nel suo freddo grembo”

In ogni sua tela Caravaggio coglie l’istante come fusione trasfigurata, come le ombre accompagnano la mediazione, di vita e di morte, l’attimo esatto dove i due contrari si incontrano per trasformarsi in altro, per divenire, in costante metamorfosi della condizione di diversità e passaggio.

Il Tempio per noi massoni, alla stregua della visione di quinto elemento per Caravaggio, diviene il tutto in eterna trasformazione nella sua totale presenza, permanente e stabile, sebbene il passaggio dalla Colonna di Settentrione a quella di Meridione per l’iniziato, non deve e non può significare un punto di arrivo, piuttosto qualcosa di affine ma estremamente differente: un punto di non ritorno. Aver trovato la Luce nell’oscurità significa aver preso coscienza di Sé, ma la lotta con il proprio Io durerà per l’intera vita in un eterno viaggio.

Questo viaggio infinito e ben noto ad ogni Iniziato è proprio il viaggio che ci ha di recente spiegato il nostro Illustrissimo e Venerabilissimo GM nella sua ultima allocuzione dove, spiegando la seconda Lezione Emulation, dice: “Il Viaggio del Libero Muratore può essere definito come l’approfondimento interiore (o riflusso del Sé finito) in direzione del suo Principio divino. E’ un ritorno interiore, alla reintegrazione del Sé individuale, finito e frammentario, nell’Infinitudine del Sé Divino. Esso è soprattutto la ricerca di una gnosi, una conoscenza che non resta mai allo stato di conoscenza teorica, e che è invece una conoscenza salvatrice, che necessita della Grazia, giacché avvia l’uomo spirituale, l’uomo interiore, sulla strada della liberazione e della salvezza. Mediante tale viaggio, la filosofia, la gnosi, è trasmutata in una saggezza divina, etimologicamente una theosophia”

Continuando con l’analisi di altre opere importanti e suggestive del Merisi non si può non citare “Amor vincit Omnia”. Uno dei quadri più apprezzati e conosciuti che ritrae l’Amore o Cupido nel suo aspetto tradizionale ovvero quello di un ragazzetto dotato di ali con in mano le frecce.

Il significato classico dell’opera vuole simboleggiare l’amore che vince su tutto anche sulle arti rappresentate dagli strumenti delle attività umane ossia un violino e un liuto (musica) un’armatura (guerra) una coroncina (potere) una squadra con compasso (disegno) una penna con fogli (letteratura) dei fiori e alloro (natura). Cupido sovrasta tutti questi oggetti sorridendo e si pone in movenza cruda calpestandoli quasi per esprimere il suo potere in maniera beffarda. Ma l’occhio attento di un Iniziato non può

del cupido non sono candide come quelle di un angelo ma piuttosto scure come quelle di un falco o di un’aquila e l’espressione del fanciullo, a metà tra innocenza e furbizia, lascia trapelare qualcosa di intangibile, un velo appena appoggiato sulle palpebre di coloro che sanno vedere. Anche gli oggetti presi singolarmente rapiscono l’occhio attento per la loro anomalia: al liuto e al violino mancano delle corde, l’armatura è incompleta, la piuma è sporca di inchiostro, la squadra è sovrastata da una punta del compasso e il ginocchio sinistro del cupido, appoggiato su un drappo bianco, è piegato. Nel nostro secondo grado durante la lettura al passaggio al grado di compagno di mestiere, il MV indottrina il candidato, prima ancora di mostrargli gli attrezzi da lavoro dicendo: ” …come nel Grado precedente apprendeste i principi della Verità Morale e della Virtù, ora vi è permesso di estendere le vostre ricerche ai misteri occulti della Natura e della Scienza”. Proprio come Giordano Bruno, Caravaggio vede l’universo animato e animante della forza dello spirito. Afferra le essenze che apparentemente confondono il tutto e rivela una realtà nascosta agli ignoranti e ai superficiali.

A Napoli Caravaggio entra in contatto con gli animi e gli spiriti più capaci dell’esoterismo, precisamente nella facoltà di studi scientifici presso il centro collegato a San Marcellino, chè diventa il suo punto di connessione con persone di grande livello tra cui Alessandro di Sangro, principe di San Severo, che porrà in quella zona, conoscendone le energie e il passato, la cappella di famiglia oggi sappiamo essere stato un vero e proprio tempio massonico. Questa è la nuova condizione cui ricorre il Merisi: ripropone      il percorso   alchemico       del colore sfumato nelle        ombre come processo di elevazione coscienziale dentro le sue raffigurazioni basso un unicum con la vita stessa.

L’ultima tela di Caravaggio che assume ed esprime al massimo questi concetti è la morte di Santa Lucia a Siracusa.

Il Seppellimento di Santa Lucia è un dipinto olio su tela esposto sull’altare del Santuario di Santa Lucia al Sepolcro a Siracusa.

Realizzato più tardi dell’ottobre del 1608, dopo l’avventurosa evasione dal carcere di Malta dove era rinchiuso per l’omicidio di un cavaliere dell’ordine, arrivò a Siracusa dove grazie all’amico pittore siracusano Mario Minniti, ottenne di poter dipingere per il Senato siracusano.

Il seppellimento di Santa Lucia ritrae appunto Lucia, la luminosa, la Luce, che viene raffigurata apparentemente morta, ma in realtà sta svolgendo la sua funzione del tutto alchemica e trasforma intorno a sé tutti coloro che in quest’attimo di eternità sfuggente e ferma, evolvono alla ricerca della luce, mutando dentro e fuori di sé e per sempre, l’attimo di eternità in esperienza esistenziale. Lucia, che per sua natura è duplice, nasconde sia la pudicizia ma anche la lussuria, perché protettrice di coloro che hanno perduto la retta via e possiede tutti gli attributi cari ad Iside, la divina, madre e vergine allo stesso tempo. E’ perciò colei che svela e vela contemporaneamente, quindi rivela.

Ecco perché Santa Lucia ha la grandezza di donare la vista e viene rappresentata nel quadro con i propri occhi posti ben in vista. Caravaggio fonde la via dell’ambivalen

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