IL SIMBOLISMO MASSONICO: L’ALCHIMIA
di
Bruno Marini
La Massoneria ha inserito nel suo simbolismo tutte le varie culture esoteriche occidentali. Il simbolismo ermetico, che nella ritualità di origine inglese è riservato all’ elevazione al grado di maestro, (in termini comunque meno accentuati che nel rito francese), ha avuto la sua esaltazione nel gabinetto di riflessione, la cui simbologia è nettamente ermetica.
Non è mai sufficiente ribadire che l’ermetismo è la filosofia della trasmutazione interiore dell’uomo, così come l’alchimia è la tecnica di tale trasmutazione. Niente a che vedere, quindi, con la trasmutazione elementare dei metalli, ne con la protochimica, confusione probabilmente voluta, in quanto permise comunque all’ermetismo di sfuggire alle persecuzioni che il cristianesimo praticava nei confronti di filosofie e spiritualità che non poteva controllare.
L’ermetismo, già prefigurato dai presocratici come teoria fisica universale e già elaborato in Platone, trovò poi la sua più matura espressione negli gnostici e nei neoplatonici ellenico-egiziani.
La conoscenza, anche se sintetica, dell ‘ ermetismo è necessaria alla comprensione dell ‘ aspetto simbolico e metafisico della Massoneria. Queste brevi note possono costituire una prima sintesi di una tematica indispensabile a tutti i Fratelli.
Le fasi del processo alchimistico, secondo quanto ha menzionato ERACLITO, sono quattro:
LA MELANOSI (INNERIMENTO)
LA LEUCOSI (IMBIANCAMENTO)
LA XANTOSI (INGIALLIMENTO)
LA JOSI (IRROSSAMENTO)
Questa quadripartizione fu chiamata quadripartizione della filosofia. Più tardi, nel XV-XVI secolo, i colori dell ‘ Opera furono ridotti a tre, poiché la Xantosi, la così detta Citrinitas, cadde – con la semplificazione del processo alchemico – in disuso, essendo considerata una fase interna alla Josi.
La quadripartizione originaria era un esatto equivalente della quaternità degli elementi, di tutti gli elementi, mentre la volgarizzazione dell’ alchimia intese la separazione e la distinzione di quattro elementi: terra; aria; acqua; fuoco; e di quattro loro qualità: caldo; freddo; umido; asciutto; e ridusse a soli tre colori le fasi dell’ Opera: nero; bianco; rosso.
La grande confusione speculativa sulla trinità e sulla quaternità prodotta nel medio evo viene spiegata da Saint Martin, nel suo libro “Degli errori e delle verità”:, nel seguente modo:
“…chi non sa, in effetti, che tutti i movimenti e tutte le rivoluzioni possibili dei corpi, si fanno in progressione geometrica quaternaria, sia ascendente che discendente? Chi non sa che questa legge quaternaria è la legge universale del corso degli astri, quella della meccanica, della pirotecnica, in poche parole di tutto ciò che si muove nella regione corporea ?… Non indurremo dunque nessuno in errore, dando la progressione geometrica quaternaria, come il principio della vita degli esseri, o assicurando che il numero di ogni azione è quattro, per quanto sconosciuto sia questo linguaggio..
Questo grande filosofo conosceva (alla fine del XVHI secolo !) anche la legge del numero e dell ‘estensione: effettivamente, per quanto possa apparire nuovo, non posso dispensarmi dal confessare che I ‘estensione e la linea circolare sono una stessa cosa; cioè, che vi è estensione attraverso la linea circolare e reciprocamente non vi è che la linea circolare che sia corporea e sensibile; e infine, che la natura materiale ed estesa può essere formata soltanto da linee che non sono rette, o, ciò che è la stessa cosa, che non vi è una sola linea retta nella natura…
Il Rupescissa, notevole alchimista, attribuisce a ogni sostanza quattro qualità: caldo o freddo e umido o secco, secondo gradi d’ intensità ascendente dall’uno al quattro, come aveva già insegnato Galeno.
Per gli antichi la Melanosi era lo stato iniziale, o qualitativo, della prima materia, o magma in decomposizione, e ogni cosa si raffigurava come presenza o assenza di luce, cioè di calore: il caldo secco, cioè il massimo di luce, veniva denominato Fuoco; il caldo umido, in cui vi è minor luce sacrificata in ragione dell’umidità, veniva denominato Aria; il freddo secco in cui si attenua ancora la luce veniva denominato Terra; infine il freddo umido o luce quasi estinta veniva denominato acqua. Così in ragione della dualità LuceTenebra veniva concepita la creazione quaternaria. L’ antica alchimia considerava la materia indistruttibile e la raffigurava allegoricamente con il simbolo dell’Uroboros, il serpente che si mangia la coda e sempre si rigenera. Le tre proprietà della materia, – che non sono le tre fasi dell’Opera ma ad esse corrispondono analogicamente – erano simbolizzate da tre componenti: Sale, Zolfo, Mercurio. Affermavano che la materia prima non contiene alcun corpo in atto ma li rappresenta tutti in potenza. La materia fu differenziata dapprima in Zolfo e Mercurio, non come due principi separati ma bensì complementari fra loro; più tardi a questi due principi ne aggiunsero un terzo, il Sale al quale non fu mai attribuita eccessiva importanza. Il Sale era considerato un tramite tra lo Zolfo ed il Mercurio, come lo spirito vitale tra il corpo e l’anima. Queste astrazioni servivano a designare le proprietà della materia primigenia:
“O meraviglia, lo Zolfo, il Mercurio e il Sale, mi permettono di vedere tre sostanze in una sola materia!”
Nella prima fase dell’opera, Melanosi o Nigredo, si procedeva all ‘unione degli opposti (Zolfo-Mercurio); questa operazione veniva chiamata con vari nomi: coniunctio, matrimonio, coitus. Seguiva poi la morte del prodotto dell’unione: mortificatio; calcinatio; putrefactio, ed il suo conseguente innerimento. Dalla Melanosi si passava alla Leucosi (albedo o imbiancamento).L’anima contenuta nella materia, depurata dalle scorie prodotte dal corpo fisico, veniva ricongiunta nuovamente al vecchio corpo morto, quel corpo prodotto dall’unione, per “vivificarlo”, così come nel rituale di Maestro si “rivivifica” Hiram.
A conclusione di questa operazione veniva raggiunta la prima fase dell’Opera: la dealbazione che seguiva alla putrefazione (tinctura alba). L’operazione era assimilata alla resurrezione che segue la morte, esempio storico la resurrezione di Lazzaro, il prediletto dal maestro, così come il bianco, simbolo della vita pura, viene, nell’Opera, dopo il nero, simbolo della morte. Gli antichi per spiegare le loro conoscenze parlavano per analogie; in questo caso si riferivano ai colori nella natura: dal nero al bianco dicevano non esistono differenziazioni, opposizioni, dicotomie, ma solamente infinite sfumature di luce perché in natura il colore non esiste! Chi profondamente ama la luce, del colore ha varia esperienza, come nell’opera artistica, che a volte l’ha raffigurata come uno spruzzo di puntini, o definito la luminescenza infittendo soltanto le ombre circostanti.
L’ albedo è, in certo qual modo, l’alba che man mano si rischiara; questo passaggio veniva denominato Xantosi. Nella fase della Xantosi (citrinitas) i colori dal bianco al giallo venivano definiti allegoricamente “Il Re e la Regina” che solo in questa fase potevano celebrare le loro nozze chimiche. Dalla loro unione nascerà il rosso Rubedo, il risultato finale dell’Opera. In questa fase dell’Opera si distilla, si distilla, scrive Paracelso, fino a cavarne un’acqua chiara: il primo elemento (alba). Quando questa incomincia ad ingiallire si distilla a fuoco ardito; ne proviene un’acqua gialla (citrinitas), l’elemento dell’aria. Proseguendo, stilleranno gocce rosse: il fuoco della rossa Iosi.
Si dirà allegoricamente che se la Luna è l’anima e il Sole lo spirito, il loro congiungimento è la meta suprema. Due uomini mirano il bersaglio, uno colpisce il segno, ha colto il significato del simbolo, l’altro non lo colpirà mai. Il simbolo dell’Opera compiuta è un triangolo con il vertice rivolto verso il basso, la cui base è sormontata da una croce: la dodicesima lama dei Tarocchi.
La grande Opera ha un triplice fine: nel mondo materiale la trasmutazione dei metalli per farli giungere alla perfezione; nel microcosmo il perfezionamento dell ‘essere umano; nel mondo sovraceleste la contemplazione della divinità.
Il corpo umano dunque quell ‘Atanòr filosofico nel quale si compie l’ elaborazione delle sue virtù.
Lo pseudo Ermete così si esprime:
…poiché l’ Opera è con voi e presso di voi, così che, se la troverete in voi stessi, dove è continuamente presente, l’avrete sempre, ovunque voi siate, per terra e per mare.” •