LUCE – FOTONI E ONDE RADIO
di
Mimmo Martinucci (IN3WWW)
Premessa
La Luce è il simbolo eterno della Conoscenza. Mai simbolo fu più appropriato. Senza la luce, infatti, non ci sarebbe modo di apprendere, per immagini, quanto ci circonda e le bellezze della sinfonia ineffabile dell ‘universo, “gustando ” l’opera immensa del suo Grande Architetto.
Per lunghi anni la scienza ha tenuto un atteggiamento incerto nel definire la luce: corpuscoli chiamati fotoni, oppure oscillazioni elettromagnetiche. Da non molti anni questo dualismo nel definire la luce è cessato. E’ ormai accertato che si tratta di corpuscoli dotati di velocità costante e da uno “spin” (rotanone intorno all ‘asse di spostamento) legato alla frequenza. L’energia posseduta da un fotone è pari alla Costante di Plank (6,626 x 1 0-34 joule/sec, oppure 6,626 x 10-26 erg/sec) per la frequenza.
Ciò significa che un fotone componente la luce rossa ha meno energia di un fotone componente la luce viola (frequenza più alta). L’intero spettro del visibile va dalla frequenza del rosso (3,8 x 1 0 14 Hz) a quella del violetto (7,9 x 10 14 Hz), occupando lo spazio, in lunghezza d’onda, tra 790 e 380 millimicron, ossia tra 7900 e 3800 Angstron. La velocità nello spazio è costante per tutti i tipi di fotoni (nel vuoto assoluto è, secondo le ultime rilevazioni, di 299,792.8 km/s).
Il campo elettromagnetico, COME CAMPO DI ENERGIA PURA, è stato messo da parte.
Einstein, con la formula ormai nota a tutti “E=mC2” (L’Energia è equivalente alla massa per la velocità della luce al quadrato), esclude in modo assoluto che ci possa essere una energia, senza la presenza di una massa in movimento. Per “Energia” bisogna intendere la capacità di una forza a compiere un lavoro.
L’Ing. Montefinale, nel prezioso volume “Mondo senza fili”, scrive: “Einstein ha chiamato l’onda elettronica “un’onda di probabilità”. La realtà fisica che indichiamo come onda non può identificarsi né con le particelle, né con la grandezza fisica (come potrebbe essere la distanza dalla posizione di riposo di una corda vibrante). Si tratta piuttosto della probabilità che una particella si trovi in questo o in quel punto dello spazio”. E lo stesso Einstein, nel volume “La teoria della relatività” (Edizioni Newton-Roma 1980), così scrive: “E’ pertanto evidente che le onde di probabilità sono ancora più astratte del campo elettromagnetico e del campo gravitazionale che esistono e si propagano nel nostro spazio tridimensionale” ln un primo tempo si è affermato che, al di sotto dell’infrarosso (estremo inferiore della luce visibile), non potevano esserci fotoni, perché non vi erano effetti fotochimici o fotoionizzanti, propri della luce. Quando però si è appurato che, per avere questi effetti, erano necessarie particolari energie (Vedi tabella l), è sorto il dubbio che non era questo un motivo sufficiente per negare l’esistenza di fotoni a frequenze più basse di quelle dell’infrarosso.
La abbastanza recente fisica delle particelle ha accertato che, pur conservando come molto attendibili le formule del campo elettromagnetico, questo era pur sempre una convenzione che andava integrata da un altro concetto. Non esiste energia pura nell ‘universo (quando verrà trovata, sarà trovato DIO), ma solo energia cinetica applicata alla materia, avvertita dai nostri sensi in maniera differenziata.
Un fascio di fotoni, nello spettro dell’infrarosso, colpendo il nostro corpo, stimolerà i circa 200 recettori per centimetro quadrato, che si trovano sulla nostra pelle, i quali, in 16 centesimi di secondo, provocheranno, nel cervello, la “sensazione del calore” (che è solo una sensazione mentale). Il fenomeno è però molto più complesso e fa parte della fotochimica dell’organismo.
Per rivelare la presenza di un fascio di fotoni, con frequenza superiore all’ infrarosso, quasi tutti gli organismi viventi (regno animale) sono dotati di un ricevitore, più o meno selettivo (l’occhio), che distingue le diverse frequenze (colori), dando la “sensazione” mentale dell ‘immagine, funzione dei fotoni provenienti da un oggetto, le cui frequenze riflesse sono legate al tipo di materiale di cui è composto. Al buio, infatti, nessun fotone colpisce l’occhio e tutto è nero (sensazione mentale corrispondente alla assenza di fotoni). Per fasci di fotoni con frequenza inferiore all ‘infrarosso, l’organismo umano non ha in dotazione alcun apparente sistema di rivelazione. Non va dimenticato però I ‘influenza degli stessi, quando la quantità diventa considerevole, sull’agitazione molecolare che essi provocano nell’organismo vivente. Tale agitazione molecolare provoca, per attrito, calore che può raggiungere temperature elevate, fino alla rottura delle stesse molecole: basti pensare all ‘uso della radiofrequenza per le fusioni e le saldature della plastica, la marconiterapia e la cottura dei cibi (forni a microonde).
In tutti questi casi però, si tratta sempre di energia meccanica trasmessa dai fotoni alle cellule e alle molecole di cui è formato qualsiasi organismo vivente e non.
Un altro esempio, che noi tutti conosciamo, è I ‘uso dei raggi X per fotografare la struttura ossea di un corpo: si tratta sempre di fotoni, questa volta a energia molto alta (al di sopra dell’ultravioletto), che riescono ad attraversare i tessuti viventi, senza apprezzabili attenuazioni, se non in presenza di materia più densa (le ossa) ed “impressionare” una lastra fotografica, modificando la struttura fisica dei sali di argento depositati sulla stessa lastra.
Il fotone ha una massa?
Non potremo mai misurarla direttamente, perché non sarà mai possibile fermarne uno.
Howard M. Georgi (Docente al Dipartimento di Fisica all ‘Harvard University di Cambridge – MA/ USA), così scrive ne “La nuova Fisica” (Edizioni Bollati-Boringhieri -Torino 1992):
“In una teoria quantistica relativistica le forze sono associate allo scambio di particelle. La forza elettromagnetica che si esercita tra due particelle cariche (che è poi l’unica forza di cui abbiamo parlato finora) è mediata dallo scambio di fotoni, i quali hanno una loro energia e una loro quantità di moto e si muovono (ovviamente) alla velocità della luce.
Ma non è possibile assegnare loro una massa, in quanto non c’è modo di rallentarne uno per misurarla. Vengono emessi e assorbiti da particelle cariche in movimento.”
E’ possibile risalire alla sua massa, in modo abbastanza preciso, calcolando la forza di impatto.
Che il fotone abbia una massa lo si può dedurre dal funzionamento di una cellula fotovoltaica. Il fotone “scalza” letteralmente un elettrone (il modo è più complesso, ma il risultato è questo) dall ‘orbita di un atomo costituente la molecola di arseniuro di gallio (materiale di cui è composto la cellula fotovoltaica), provocando una differenza di potenziale. Ora, non si può imprimere alla materia un ‘accelerazione (elettrone che salta dalla propria orbita), senza che una “forza” esterna non intervenga. Infatti ogni corpo conserva il suo stato di quiete o di moto fintanto che una forza esterna non intervenga a modificarne lo stato. Lo stesso fenomeno avviene per la fotoionizzazione dei gas (la ionosfera ne è l’esempio più grande) e la fotosintesi clorofilliana.
La Fisica ci dice che la forza “F” è data dal prodotto tra la “m”, massa, e l’accelerazione “a”, secondo la formula F=m.a. Se la massa è zero, non esiste forza. Da ciò deriva che non esiste accelerazione se questa non è applicata ad una massa. Non si può cioè trasmettere a distanza una forza, se l’accelerazione non viene applicata ad un corpo reale. Quindi il fotone, portatore di una forza, ha necessariamente una massa.
Esaminiamo, per concetti e non per formule e teorie, la “propagazione della luce” nello spazio che, per pura ipotesi, considereremo vuoto.
Propagazione della luce
Sia data una sorgente luminosa “SL” puntiforme che irradi 8 miliardi di fotoni al secondo in tutte le direzioni. Consideriamo solo una porzione di questa sfera luminosa nello spazio pari ad un ottavo (900 al centro della sfera). In questa porzione di spazio vengono irradiati 1 miliardo di fotoni al secondo.
Comportamento dei fotoni
Riflessione, Rifrazione, Diffusione, Cambio di frequenza, Effetto Doppler
Riflessione – I fotoni, particelle cariche di energia proporzionale alla frequenza, si riflettono, rimbalzano cioè, proprio come farebbe una palla da biliardo, con le stesse leggi della meccanica. Basti pensare agli specchi, che sono l’esempio più classico. Ma rimbalzano anche su tutti i corpi.
E’ proprio questo il motivo per cui … noi vediamo tutto ciò che ci circonda.
Che la luce contenesse un’energia immensa, lo avevano capito già i greci ed i romani, quando costruirono gli specchi ustori: una soluzione casalinga del… raggio della morte.
Alcune sostanze riflettono pressoché tutte le frequenze dello Spettro radio del visibile, altre ne riflettono alcune, altre ancora le assorbono completamente. Da qui il nostro cervello, a seconda della frequenza riflessa e ricevuta, ci dà la “sensazione” mentale del colore che, in realtà, non esiste in assoluto. Chi ha avuto a che fare con le parabole, sa bene che se queste non sono brunite, antiriflettenti cioè, rischia di fondere l’ illuminatore, quando la parabola è centrata dal sole. I fotoni infatti, per la particolare conformazione della parabola, colpendola, si riflettono con un angolo tale, su tutta la superficie, per cui si convergono in un punto unico, detto appunto fuoco, concentrando una quantità enorme di energia sufficiente a fondere anche un metallo. Al contrario, se nel punto detto fuoco, in una parabola portata a lucido o dipinta uniformemente di bianco, si pone una lampada che illumini uniformemente la sua superficie, dalla parabola stessa si dipartono i fotoni, in un fascio parallelo all’asse della parabola. E questo, sempre per effetto del fenomeno della riflessione.
Rifrazione – E’ la riflessione non lineare che avviene quando la luce attraversa strati di gas o liquidi a differente densità. Si pensi all’immagine che ci rimanda la parte di un bastone immersa nell’acqua. Sembra fuori asse rispetto alla parte che rimane al di fuori dell ‘acqua. E’ anche per questo fenomeno che, per effetto della diversa densità dei gas che compongono l’atmosfera, gli astri ci sembrano posti in una posizione che non è quella reale nello spazio. Gli astronomi lo sanno bene e ne verificano lo scostamento, almeno per alcune stelle, in occasione delle eclissi di sole e, recentemente, con telescopi posti in orbita, fuori dall ‘atmosfera terrestre.
Diffusione – E’ il fenomeno che si verifica quando un fascio di fotoni attraversa strati di gas o di materiali semitrasparenti, o di pulviscolo. A causa della diversa e non regolare posizione nello spazio delle molecole che compongono i materiali attraversati, negli stessi si hanno riflessioni multiple, con deviazione della direzione in modo casuale. Infatti, pur non essendo sorto ancora il sole, noi vediamo ad est la luce diffusa dagli strati atmosferici. Anche la luce delle stelle ci sembra tremolante e non puntiforme, a causa della incostante diffusione che ha la luce nell ‘ attraversare I ‘atmosfera terrestre. Il grande telescopio Abble, è stato posto in orbita fuori dell ‘atmosfera terrestre, proprio per ovviare al problema creato dalla diffrazione e dalla diffusione della luce, se non ci fosse l’atmosfera, passeremmo dal buio completo alla luce, in modo repentino. Un po’ come succede sulla luna, dove manca I ‘atmosfera. Montefinale, nel suo eccellente volume “11 mondo senza fili”, Ediz. C&C, dà un esempio molto chiaro: ” Una forma familiare di diffusione luminosa è quella prodotta da fascio di un proiettore rivolto verso il cielo (aeroporti in tempo di guerra…o discoteche in tempo di pace !). Noi vediamo detto fascio in virtù dello sparpagliamento di raggi prodotto in tutte le direzioni, e quindi verso il nostro occhio (ricevitore nello spettro del visibile), dai corpuscoli presenti in sospensione nell’atmosfera e dai gas componenti l’aria. Ciò non avverrebbe se l’aria fosse un mezzo omogeneo o vi fosse il vuoto.”
Cambio di frequenza dei fotoni – Se un fascio di fotoni colpisce un qualsiasi oggetto, cede parte della sua energia, per poi venirne riflesso. Così come succede ad una palla di biliardo che, colpendo una sponda, si “riflette” con lo stesso angolo di impatto, cedendo parte della sua energia alla sponda colpita.
Ora si sa che I ‘energia del fotone è data dal prodotto tra la Costante di Plank per la frequenza propria del fotone
Se il risultato del prodotto, che è I ‘energia, diminuisce, significa solo che è diminuita la frequenza, essendo la Costante di Planck, appunto, una costante. La diminuzione della frequenm è piccola, ma c’è. (Effetto Compton)
Effetto Doppler – E’ il fenomeno per cui una sorgente di energia, di origine oscillatoria, sembra diminuire la sua propria frequenza, se è in fase di avvicinamento all’osservatore, mentre la aumenta, in fase di allontanamento. Gli astronomi utilizzano questo fenomeno per conoscere se una stella si allontana o si avvicina, rispetto a noi, verificando la tendenza dello spettro luminoso da essa emanato. Questo fenomeno è valido, non solo per lo spettro del visibile, ma per tutto lo spettro elettromagnetico, fino a 0 Hertz. Infatti possiamo conoscere, ad occhi chiusi, se un’auto si sta avvicinando a noi o se ne sta allontanando. In fase di avvicinamento la frequenza del rombo del motore diventa sempre più acuta, fino ad assumere la sua propria frequenza, quando ci passa davanti, per poi abbassarsi di frequenza e scomparire, in fase di allontanamento.
La costante di Planck
Alcune quantità possono variare in modo continuo (ad esempio le distanze da un punto di riferimento), altre invece in modo discontinuo, cioè per frazioni non ulteriormente riducibili (ad esempio il numero di operai in una fabbrica). Queste frazioni si suole chiamarle “quanta”, dal latino “quantum”, quantità esprimibili numericamente. L’elettricità, originariamente, fu ritenuta un fluido, come la corrente. Ma sappiamo bene che essa è costituita da particelle chiamate elettroni.
L’elettrone ha infatti una massa pari a 2000 volte più piccola della massa dell’idrogeno.
L’elettrone può essere, perciò, definito come il quanto elementare dell ‘elettricità, oppure il numero uno come il quanto elementare dei numeri interi.
Isaac Asimov, nel suo “Cronologia delle scoperte scientifiche” (Edizioni PAN srl – 1991), descrive in modo succinto, ma chiaro, come si è arrivati alla scoperta della costante di Plank.
Kirchhoff (nel 1860) aveva fatto notare che un corpo nero (in grado di assorbire tutte le radiazioni elettromagnetiche da cui fosse investito) avrebbe emesso radiazioni di tutte le lunghezze d’ onda se riscaldato. Così, un corpo cavo, provvisto di un forellino, avrebbe assorbito tutte le radiazioni che fossero entrate attraverso il foro, poiché non vi sarebbe stata praticamente riflessione e la radiazione non sarebbe potuta uscire. Se un tale corpo fosse stato riscaldato, dal foro sarebbero uscite radiazioni di tutte le lunghezze d’onda, poche nei valori estremi e con un massimo in qualche valore intermedio. Più alta fosse stata la temperatura, più breve sarebbe stata la lunghezza d’onda del valore di picco.
Numerosi fisici provarono a mettere a punto equazioni matematiche della distribuzione delle lunghezze d’onda in una tale radiazione di corpo nero. Sia Rayleigh che Wien presentarono delle equazioni nel 1900, ma quelle di Rayleigh funzionavano solo per le lunghezze d’onda grandi, e quelle di Wien solo per quelle piccole. Nessuno dei due riuscì ad elaborare un’equazione che desse la distribuzione su tutta la gamma. Poi un fisico tedesco, Max Karl Ernst Ludwig Planck (1858-1947), produsse un’equazione che ci riusciva.
Per derivare tale equazione, Planck dovette ipotizzare che l’energia venisse emessa non in modo continuo, ma in parti discrete (o quanti, o pacchetti), e che le dimensioni di ciascuna parte fossero inversamente proporzionali alla lunghezza d’onda. Così, poiché la luce violetta ha lunghezza d’onda pari alla metà della luce rossa, la luce violetta verrebbe fornita in parti di dimensioni doppie, e pertanto con il doppio contenuto di energia, rispetto alla luce rossa.
Planck chiamò i pezzetti di energia “quanti”. Calcolò il rapporto fra energia e lunghezza d’onda (o fra energia e frequenza, poiché la frequenza è pari a I diviso per la lunghezza d’onda), utilizzando un valore molto piccolo, (6,626 x 10-34joule) chiamato costante di Planck, che rappresenta la “granuloslta dell ‘energia. Poiché la costante di Planck è estremamente piccola, I ‘energia ha scarsissima granulosità e, in moltissime circostanze, questa non è avvertibile, cosicché le leggi della termodinamica si sono potute dedurre come se l’energia fosse un fluido continuo, privo di granulosità. Il problema della radiazione di corpo nero era il primo in cui tale granulosità fosse stata presa in considerazione.
Da principio non vi furono prove dell ‘esistenza dei quanti, se non il fatto di rendere possibile I ‘equazione per la radiazione di corpo nero. Perfino Planck stesso sospettava che i quanti fossero solo un artificio matematico privo di significato fisico. Nondimeno la teoria dei quanti, come si chiama oggi, si rivelò tanto importante che tutta la fisica prima del 1900 si chiama fisica classica e tutta la fisica dopo il 1900 si chiama fisica contemporanea. Per la sua opera, Planck ricevette il premio Nobel per la fisica nel 1918.
E le onde radio?
Tutto ciò che è stato detto per la luce, che è solo una porzione dello spettro elettromagnetico, vale per TUTTO lo spettro elettromagnetico. Infatti, l’unità del campo elettromagnetico è il FOTONE.
B. Russel, nel volume “Analisi della Materia”, riporta quanto il Lewis, già nel 1926, scriveva sulla rivista “Nature”: “11 fotone non è la luce, ma svolge un ruolo essenziale in ogni processo di radiazione…Tutta I ‘energia radiante è trasportata da fotoni: la sola differenza tra la radiazione emessa da una stazione radio e da un tubo a raggi X è che la prima emette un numero enormemente maggiore di fotoni, ciascuno dei quali trasporta una quantità di energia molto più piccola; tutti i fotoni sono intrinsecamente identici
Molto semplificando, I ‘emissione dei fotoni da parte di un corpo è proporzionale alla sua temperatura o alla corrente che lo attraversa. Come già detto, i fotoni sono tutti intrinsecamente uguali, salvo l’energia di cui sono dotati, che è proporzionale alla loro frequenza.
In un conduttore percorso da corrente continua, a causa della sua resistività ed alle dimensioni molecolari, si avrà emissione di fotoni nello spettro del visibile, via via che la temperatura aumenta. Basti pensare ad una lampada alimentata con corrente continua, variabile da O al massimo, quando cioè, per la temperatura pari a quella di fusione del conduttore, il filamento “brucerà”, interrompendo il flusso di corrente.
Se invece un conduttore è percorso da corrente alternata, si avrà emissione di fotoni ad ogni salto di elettrone da un ‘orbita all ‘altra. Per correnti elevate, e sempre a causa della resistività del materiale di cui è composto il conduttore, si avranno emissioni di fotoni nello spettro dell ‘infrarosso (sotto forma di calore) e, se la corrente sale ulteriormente, anche nello spettro del visibile.
Si può affermare, dunque, che un elettrone si muove da un’orbita ad un’altra di un atomo, emettendo un fotone, la cui energia è pari alla differenza delle energie delle differenti orbite (Bhor e Rutherford). Per poter far cambiare il livello di energia di un elettrone (la sua orbita), bisogna dare o sottrarre energia all ‘elettrone stesso: questo si ottiene facendo percorrere il conduttore da una corrente elettrica, applicando cioè una differenza di potenziale al conduttore.
Se un fotone, invece, colpisce un elettrone, questo acquista energia (proporzionale alla frequenza del fotone) e si sposta di un “quanto” (o gradino o orbita), posizionandosi su un’orbita più esterna. Tale “movimento” genera una “corrente elettrica”, la cui frequenza è pari a quella posseduta da fotone. Il processo è notevolmente più complesso, ma la descrizione sommaria è sufficiente a dare l’esatta idea del fenomeno.
Riconsiderando tutte le nostre nozioni, alla luce della vera essenza delle nostre onde radio, come onde costituite da fotoni, riusciremo a comprendere molto meglio tanti fenomeni rimasti sempre un po’ al buio. Le nostre antenne radio emettono fotoni e captano fotoni: questa è una realtà che dobbiamo necessariamente tenere presente, quando parliamo, specialmente, di antenne e di propagazione.
Come si calcola il numero di fotoni emessi da un’antenna
Si trova prima l’energia posseduta da un fotone alla frequenza desiderata, con la formula:
E (Joule) = h (Costante di Planck) •v (Hz); il numero di fotoni si ottiene con la formula:
W Joule di un fotone.
Esempio: “Quanti fotoni vengono emessi da un’antenna cui sono applicati 100 W alla frequenza di 14,000 Miu?”
Ej = 14 x 106 x 6,626 x 10-34 = 93 x 10-28 joule;
100 / 93 x 10-28 — – a oltre 1028 fotoni al secondo, corrispondenti al numero 1 seguito da 28 zeri! ! !
Un’antenna, cui vengano applicati 100 W alla frequenza di 14,000 Mhz, emette una quantità di fotoni, al secondo, pari a oltre 10.000.000.000.000.000.000.000.000.000. (Diecimila milioni di miliardi di miliardi!)•