PRAGMATISMO ED UTOPIA

PRAGMATISMO ED UTOPIA

sono la causa della crisi esistenziale dell’uomo del XX secolo?

di Silvio Nascimben

In un mio precedente articolo di qualche tempo fa, tentai di descrivere il particolare stato emozionale che prende chi, in una notte chiara, guardando il cielo a occhi nudi, rimane estasiato dalla grandiosità del creato e dalla bellezza dello sfavillio di luci che lassù, dall’ alto, sembrano osservare il cammino di questa nostra umanità.

Le stelle! Da sempre sono lassù, immobili. Nel silenzio più completo, quasi con distacco, esse seguono il cammino dell’ umanità, senza spiegarsi il perché della frenetica ansia che caratterizza i terrestri, perennemente impegnati nell’ ottenimento di effimere conquiste. Noi le osserviamo, ci lasciamo inebriare, per pochi istanti, dalla profondità dello spazio che è sopra di noi, guardandoci bene, però, dal considerare che lo spazio infinito è anche sotto i nostri piedi, e che la pallina su cui, un giorno antico e tanto lontano, si diffuse la specie umana – che noi chiamiamo “terra” – galleggia sospesa nel cosmo. Con tutto il suo carico umano vivente.

Le stelle, quindi, fanno parte di una grandiosa scenografia voluta da un “grande scenografo dell’universo “, oppure, misterioso ed affascinante enigma, vivono e pulsano come noi, in simbiosi con l’ Universo?

 La saggezza dei Maestri, i “grandi iniziati ci ricorda, invece, che esse racchiudono in sé la forza creatrice dell’ Universo: il calore del fuoco della Genesi che è l’ indiscussa potenza equilibratrice che tutto regola, nell’ armonia suprema che è “luce ed amore .

Quasi sicuramente, fu questo stesso amore che indusse DIO a mettere accanto all’uomo, nel mitico giardino dell’Eden, la donna: colei che avrebbe con lui condiviso gioie e dolori, non solo, ma anche la crescita interiore, cioè quella che animicamente viene definita “spirituale “

E’ stato detto – forse, a giusta ragione – che il “diavolo ” è dentro di noi perché, come personificazione, fuori di noi non esiste. Questa affermazione, di Pico della Mirandola, seppur inquietante per il contenuto, non si discosta molto dalla verità perché, e non v’è dubbio alcuno, nell’uomo è presente un qualcosa di poco conosciuto, un “daimon “, che lo spinge ad imitare, se non, addirittura, a sfidare Dio.

Potenzialmente, quindi, nell ‘uomo è presente il concetto di Dio. Nonostante ciò, egli si lascia, purtroppo, quasi sempre trascinare dalla materialità e dalle scorie involutive che bloccano la sua ascesa verso il divino, tanto da incolpare il diavolo per le difficoltà che via via incontra, nel suo progredire terreno e che in apparenza sembrano ostacoli insormontabili per il suo processo di elevazione.

Sul piano umano poi, il deperimento psichico e fisico, il processo d’invecchiamento e il travaglio legato alle passioni, procedono incessantemente la loro opera demolitrice. Alla stessa maniera di come le angosce, le aspirazioni, le speranze disattese, in altri termini tutto ciò che provoca oppressione, diventano manifestazioni del “diavolo”, così le pene che non riusciamo a scrollarci di dosso, il cui travaglio che ne deriva ci svuota di tutti gli stimoli creativi, assumono la connotazione di larve e di vampiri. Dio e il Diavolo s’ incontrano nell ‘uomo, eterno ed epico campo di battaglia. Forze opposte, di eguale intensità, si affrontano determinando, quasi sempre, una specie di “stato di animazione sospesa” in cui passato, presente e futuro, fondendosi, diventano un tutt’uno.

L’uomo del XX secolo – mi chiedo – alla luce delle recenti scoperte scientifiche, delle sorprendenti conquiste dello spazio e degli ambiziosi progetti futuri, avverte ancora in sé la presenza di Dio? L’esigenza spirituale, che in un passato non molto lontano era considerata la forza aggregante e propulsiva della natura, oggi, nell’uomo che si accinge a varcare la soglia del “terzo millennio”, è ancora presente, o si è tragicamente trasformata, ahimè, in una sfrenata ed inconsulta sfida a “Colui che creò il mondo e le altre cose…?”

L’uomo moderno, sebbene spesso in linea con quanto avviene intorno a lui, sfida l’ignoto perché è sensibilmente attratto da tutto ciò che appartiene al fenomenico e al particolarmente insolito, tralasciando, quasi sempre, quei campi di ricerca dove la sua componente psichico-mentale potrebbe consentirgli, altrimenti, di decifrare l’ermetico linguaggio del proprio “io inconscio “. Potrebbe giungere più facilmente a un importante traguardo evolutivo: la conoscenza del proprio passato.

L’uomo, diciamocelo pure, viene al mondo privo di differenziazioni psico-comportamentali: diventa adulto scontrandosi con la legge dei contrapposti ed impara a distinguere ciò che è ragionevole dall ‘irragionevole, ciò che è buono da ciò che è cattivo, il bello dal brutto. Gradualmente, egli impara a sintonizzare il suo potenziale mentale, e a predisporlo in forme psichiche e sociali, opportunamente organizzate.

Questo itinerante insieme di forme mentali e sociali, che noi chiamiamo “uomo “, pur facendo parte di un sistema globale organizzato – la società – conserva integra la sua personalità, la sua storia individuale, le tracce del suo cammino evolutivo: si protende, anzi, a prendere coscienza del suo stato di adulto, mediante la conquista di beni stabili che gli diano la costante e concreta consapevolezza di essere riuscito a trasformare il tempo in struttura materializzata. In questo edificio materiale ed ideale nello stesso tempo, albergheranno i suoi pensieri, le sue azioni, i sentimenti e, perché no, le sue ansie. La consapevolezza della stabilità e la conquista dell’autosufficienza, poi, lo faranno sentire finalmente “eterno “. Al primo accenno di sgretolamento del suo edificio, però, egli irrimediabilmente sprofonderà nella disperazione più completa. Sarà proprio la speranza a dargli la forza di rialzarsi, a predisporlo nuovamente all’ attesa – preludio di un nuovo ciclo esistenziale – di un nuovo impegno di costruttività. Ed ecco che I ‘ eterno conflitto nell ‘uomo, tra il mondo dell’utopia e quello del pragmatismo, prende il sopravvento e, connotando ogni spinta che l’essere umano riceve, lo induce a ricominciare. L’identificazione di una più idonea adattabilità al mondo che ci circonda, evidenzia ancor più l’ essenza divina che è in ogni aspetto della natura, considerato utopico da chi si identifica nel “pragmatismo “, esatto opposto dell’utopia “. Il pragmatico, infatti, tende all ‘ individuazione di una tecnica che gli consenta un più immediato stato di fruizione della condizione di benessere latente: uno schema di percezione immediata, per il conseguimento di un risultato, direi quasi, che appaghi soprattutto le attese della memoria storica di ogni essere.

Alla luce di queste considerazioni, come spiegarci il pragmatismo se non considerandolo come una “utopia” priva di “animus” , che non ha più voglia di lottare, che intende fare a meno dei colori e degli stati d’animo, ritenuti accessori superflui per il conseguimento del risultato finale..? Una mentalità adulta e pragmatica, non accetterà giammai la possibilità, ad esempio, di forme aliene di vita, su altri mondi, o che, oltre la morte, esista una vita incorporea con tutta una serie di fenomeni paranormali: tutto ciò non può esistere perché non vi è alcuna possibilità di verifica e, di conseguenza, difficilmente inseribile nella rigida struttura del pragmatismo.

L’ attesa fiduciosa dell’ uomo impegnato a farsi adulto, nell’umanità del XX secolo, è oramai uno sbiadito e lontano ricordo. Anche le componenti basilari di vita dell’uomo, come l’ amore, la giustizia, l’ amicizia, la ricerca delle verità, appaiono sempre più come surrogato di scelte ragionevoli ed utili: indubbiamente più sbrigative, e meno sofferte. Il “dubbio della ragione” si è trasformato in “diffidenza della ragione pratica”.

L’eterna ambizione di dare origine alla vita, ovverosia l’antica sfida edenica di cogliere il frutto dall’ albero della conoscenza, si riaffaccia prepotente nell ‘ uomo spingendolo verso la realizzazione di un ‘ opera più stabile e più apparentemente divina. La clonazione diventa, così, il premio ultimo che lo farà sentire immensamente eterno e infinitamente simile a Dio.

Sì. E’ questo il volto della vita che vede l’uomo, seppur con i capelli bianchi ed il volto pieno di rughe, riscoprirsi bambino, spesso privo di interesse per la sua componente spirituale, ma sensibilmente attratto dalla prospettiva di un domani migliore, più sereno e, se possibile, ricco di agi. A questo punto, sebbene il sogno faccia parte del mondo dell’utopia, “sognare” diventa, per l’uomo l’ antidoto per le sofferenze, la soluzione ideale per alimentare le speranze, e la spinta a credere nella continuità della vita, dopo la morte.

Forse, e non sarebbe male, se meditassimo un po’ più spesso sull’enormità dei nostri limiti vivremmo la dimensione umana con meno egoismo, con più umiltà e tolleranza. Potremmo, chissà, stabilire un dialogo più assiduo e leale con quella parte nascosta dell’anima, racchiusa nel profondo dell’io, in cui vengono gelosamente custoditi gli arcani codici della nostra provenienza stellare…

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