ANTISEMITISMO: IL “MEA CULPA” DEL CARDINAL MARTINI
di
Silvio Nascimben
Col tempismo di uno scattista olimpionico, il cardinal Martini, precedendo di qualche giorno il solenne gesto con cui i vescovi di Francia – avvenimento senza precedenti – hanno fatto pubblica autocritica del deprecabile atteggiamento indifferente, tenuto durante la Shoah, lo sterminio dei milioni di ebrei nei lager nazisti, ha esortato i cristiani ad inginocchiarsi dinanzi alle vittime di tanto odio, e a chiedere perdono dell’ antico peccato dell ‘ antiebraismo e dell ‘ antisemitismo.
Proprio a Darcy, il centro di raccolta degli ebrei francesi, da cui partivano i convogli verso i campi di sterminio, i vescovi di Francia percuotendosi pubblicamente il petto, hanno fatto atto di contrizione, chiedendo al buon Dio perdono, per non essersi opposti alle persecuzioni antisemitiche e, come di certo è stato, di averle vissute con la complicità del silenzio. Ma, tornando al cardinale Martini, che tra l’altro è un noto biblista, particolare significato riveste la citazione dell ‘invettiva di san Paolo – piuttosto lontana dall’ insegnamento cristico – che certamente è stata la causa dell’atteggiamento ostile dei cattolici nei confronti degli israeliti: “I Giudei non godono delle simpatie di Dio perché sono nemici di tutti gli uomini ed hanno impedito a noi apostoli, di predicare ai pagani la parola di Cristo, per la loro salvazione”.
Nonostante l’accorato appello, a non fare processi al passato ma a volgere, anzi, lo sguardo agli avvenimenti odierni, lo storico cardinale ha voluto ricordare, chissà perché poi, l’opposizione di sant’ Ambrogio alla ricostruzione della sinagoga distrutta dai cristiani e, dulcis in fundo, la lettera di Costantino: “Non dobbiamo avere niente in comune col popolo ebraico, gli assassini di Cristo”.
“Quel che interessa oggi – ha aggiunto il cardinale Martini – è la conversione. La “teshuvà “, il ritorno sui propri passi dei peccatori, in altri termini, il pentimento”.
L’ arcivescovo di Milano, poi, ha concluso evidenziando quanto importante sia il Giubileo, inteso come ecumenico appuntamento fra le grandi religioni, per il superamento di quei pregiudizi e di quelle incomprensioni, che da secoli hanno diviso i credenti.
E’ veramente strano, questo fine secolo! Sembra essere caratterizzato, più che mai, da atti di contrizione eclatanti, pentimenti lacrimevoli, esternazioni plateali di sensi di colpa, portati avanti da secoli, che certo non riabiliteranno, ahimè, le migliaia e migliaia di vittime immolate, con accanita efferatezza, nel nome di Dio, proprio da coloro che indegnamente si ritenevano, come ancor’ oggi, suoi seguaci.
L’ odore delle carni arse vive sui roghi dell ‘ inquisizione, così come I ‘ acre tanfo di morte che proveniva dai forni dei lager, l’orrore dei saponi e delle suppellettili ottenute da ossa e da pelle umana, sono ricordi ancora troppo vivi e non possono che suscitare, ancora oggi, sdegno e ribrezzo.
Coloro che, partecipi e non, ma di sicuro vigliaccamente, nulla hanno fatto per impedire il compimento del più grave peccato che l’uomo possa compiere – sopprimere un essere umano – chiedano piuttosto perdono a Dio.
La misericordia divina saprà valutare, con equità, i veri pentimenti, e non quelli esternati per ben altri scopi. Il buon Dio, statene certi, saprà soprattutto tener conto della dignità – si, proprio quella – che fu compagna, oltre al terrore, di coloro che, “le povere stelle di David’, si avviarono, silenziosamente, verso i
campi di morte.
Agorà settembre – ottobre 1997 53