BENVENUTI A CASA VOSTRA

BENVENUTI A CASA VOSTRA

 

Benvenuti a casa vostra, benvenuti nella Bellezza. Il Vascello è la Bellezza. Ma oggi i nostri labari sono abbrunati. I massoni del Grande Oriente d’Italia di palazzo Giustiniani partecipano alla commozione del Paese per la scomparsa del presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano, il presidente che nel 2010 volle onorare il XX settembre 1870 con la deposizione di una corona di alloro alla Breccia di Porta Pia. Noi, anche per questo, lo onoriamo.

 

Lo onoriamo da questo luogo che è un inno alla Bellezza, la Bellezza che si pensa, che si realizza, che si consolida. E costa fatica, tanta fatica. Le idee, il progetto, le autorizzazioni, il lavoro curato nei minimi particolari, le preoccupazioni per i tempi di realizzazione, la fatica e il sudore degli operai, autentici costruttori. Come gli scalpellini medievali che curavano il visibile e l’invisibile, qui, hanno lavorato nella Bellezza e per la Bellezza. Un lungo percorso insieme a tanti compagni di viaggio, ai membri di questa giunta che hanno navigato e navigano in un mare talvolta calmo, talvolta tempestoso, ma su un Vascello che sappiamo dove portare.

 

Chiamo sul palco il gran maestro aggiunto Antonio Seminario, il gran maestro aggiunto Giorgio Mondina, il primo gran sorvegliante Sergio Monticone, il secondo gran sorvegliante Marco Vignoni, il grande oratore  Michele Pietrangeli, il gran tesoriere Giuseppe Trumbatore, il presidente dei grandi architetti revisori Fabio Federico, il gran segretario Emanuele Melani, i consiglieri dell’ordine in giunta Adriano Tuderti e Antonio Mattace Raso.

 

E sul palco meriterebbe di salire, ma non c’entriamo, chi ha lavorato, con pioggia e sole, tanto sole, e tanto caldo, per rendere questo luogo, questo Vascello dei coraggiosi, ancora più bello. A loro va il mio grazie e il grazie di tutti noi. E’ grazie a loro se oggi siamo qui per portare la storia nel futuro. Qui, in questo fazzoletto di terra si combattè per la Repubblica Romana, qui venne ferito Goffredo Mameli, qui morì. Qui il Grande Oriente d’Italia è arrivato dopo la cacciata da Palazzo Giustiniani, per ora non risarcita come invece era stato stabilito.

 

A noi spetta il compito di portare la storia nel futuro: conservare, consolidare, sviluppare, migliorare. Per consegnare un luogo e una comunione migliori di come li abbiamo trovati.

 

Ci guardiamo intorno e vediamo le luci, la bellezza, gli alberi, i colori, la nostra presenza, oggi e domani. Ci saremo, la nostra comunione c’è e ci sarà perchè si avverte forte il desiderio di incontro, di confronto, di ascolto, di affetto, di fratellanza, di lealtà, di sincerità. Si avverte il desiderio di un abbraccio fraterno.

 

E’ per questo che esistiamo ed esisteremo.

 

E tocca a noi dare gambe al futuro, a noi che abbiamo la storia dentro, ce la siamo tatuata nel corpo. Tocca a noi perchè siamo stati capaci di attraversare pandemia e guerra e aggressioni di ogni tipo.

 

La pandemia ce la siamo lasciata alle spalle. Forse. Dico forse perchè i contagi aumentano e si rivedono le persone con la mascherina. Ma la scienza e il buon senso ci fanno sembrare un ricordo quegli anni del covid. Pensiamo, però, al senso di insicurezza e precarietà che  ha portato nella vita di ognuno, a livello personale e nella dimensione collettiva. Siamo vissuti nell’incertezza e questo ha generato paura, ansia. Abbiamo vissuto giorno per giorno, potevamo perdere la capacità di pensare con pensieri lunghi, rivolti a progetti che non si esauriscano nell’immediato. Poteva succedere e non è successo.

 

Siamo già la storia nel futuro. E questa storia dobbiamo consolidarla e svilupparla.

 

Perchè? Mi è venuto in mente quello che mi ha detto un fratello a proposito di questi anni rocamboleschi, avventurosi e pieni di insidie, affascinanti e pericolosi, però ispirati dal coraggio e dalla lealtà. Mi ha detto: “Ma voi della giunta vi rendete conto di quello che avete fatto?” Ho risposto: “No”. Ho deluso quel fratello, tanto più che sa che ho buona memoria. Ma la sua domanda mi ha stimolato a ricordare. E mi ha fatto tante domande. Le ho ascoltate e provo a rispondere ad ognuna.

 

Ma vi rendete conto che sono state fatte due Gran logge con la mascherina e il distanziamento?

 

Fratelli ordinati, rispettosi delle regole, costretti ad abbracciarsi con lo sguardo senza neppure sfiorarsi. Ma tutti in fila, composti, nel tempio e nelle presentazioni dei libri e nei convegni. Tutto in sicurezza. Per ben due gran logge mentre nel mondo si aggirava un virus dalle mille vite e forme nuove, e come le onde di un mare oscuro ora si ritira in una bassa marea, ora rimonta, rubandoci il desiderio di stare assieme e spesso anche la vita.

 

E l’impossibilità di riunirci nei templi ma desiderosi di vederci, curiosi e spaventati, attraverso lo schermo di un pc. Io vi ho visto in quei lunghi mesi, la sera, alcuni collegati da casa, con i rumori della cucina in sottofondo, altri collegati dagli ospedali per lavoro o perchè ricoverati, mentre giungevano le notizie di fratelli ammalati o passati all’oriente eterno. Ma i fratelli sono rimasti. Nelle logge si è votato. I fratelli, in maniera ordinata, sono andati nei templi e hanno fatto il loro dovere. Hanno eletto i maestri venerabili perchè nel nostro Ordine si fa così, una volta all’anno, non si prendono scorciatoie o non si concede il diritto di voto a élite di presunti illuminati o non si vota addirittura.

 

E’ stato possibile perchè siamo un’orchestra dove ognuno, più o meno bene, suona uno strumento che sempre dà due note: fa e re. Fare, ideare, pensare, costruire. E’ stato possibile attraversare la pandemia perchè siamo una squadra che sa difendersi e che sa attaccare.

 

Uno dei più grandi allenatori di basket di tutti i tempi, Dan Peterson, diceva: “Una grande difesa è un balletto, una grande coreografia degna della Scala di Milano. Idem in attacco. Per quell’ultimo tiro, quella della vittoria, dicevo ai miei: “Giocate in cinque. Fate un gioco corale. Coinvolgete tutti. Se lo fate, qualcuno sarà libero per tirare bene. Non so chi sarà libero ma sarà uno. Perchè avete giocato come una squadra e non uno contro cinque”. Ecco, il valore della squadra. Il valore della nostra squadra che si chiama Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani.

 

Ma vi rendete conto che nella gran loggia del 2022, in piena guerra, russi e ucraini si sono confrontati, il gran maestro Bogdanov in presenza e il gran maestro Anatoly dall’Ucraina?

 

Il sonno della ragione ha destato un antico demone, ed è la guerra, che Tolstoj considerava un “evento contrario alla ragione e alla natura umana”. Le generazioni future ci giudicheranno su quanto saremo stati capaci di costruire e non ameranno le nostre distruzioni, perché dietro ad ogni palazzo, ad ogni strada, ad ogni pianta, ad ogni luogo c’è la forza, la passione, il coraggio, la creatività, il lavoro di tanti anni e di tante volontà che non devono sparire con la materia, ma continuano a vivere. Auspicavo, in quella gran loggia, che le trincee da dove sparano i soldati venissero coperte di fiori, di alberi che danno poi frutti da condividere sui tavoli. Tutti assieme. Ancora non è possibile. Invochiamo, anche noi, una pace giusta.

 

Ma vi rendete conto che avete sopportato due audizioni in Commissione Antimafia?

 

Sì, ricordo bene. Faceva caldo a Roma quel 3 agosto del 2016 alle 14.30. I turisti, accaldati e sudati, invadono la città eterna e ammirano il Pantheon mentre mi dirigo a palazzo San Macuto, dove c’era l’Inquisizione e ora la commissione parlamentare antimafia presieduta a quel tempo dall’onorevole Rosy Bindi. Cerco di mettere insieme cuore e ragione per rispondere alle domande. Penso a Domizio Torrigiani, il gran maestro perseguitato, morto cieco, e prendo forza, mi rincuoro pensando che almeno per ora al confino non mi hanno mandato. Vedo un ambiente ostile, come minimo sospettoso: cinquanta, tra deputati e senatori, che vogliono i nomi, i nostri nomi, i nomi dei massoni italiani. Tutti davanti a me e so che fuori, nelle loro case, nei loro uffici, i fratelli sono dalla mia parte, ma lì ci sono io. Vogliono gli elenchi di tutti perchè sospettano infiltrazioni malavitose nelle logge. Resisto, mi convocano di nuovo, come testimone, il 18 gennaio del 2017. Non si accontentano delle mie risposte e il primo marzo del 2017 tredici finanzieri setacciano per tredici ore il Vascello e sequestrano gli elenchi dei fratelli delle logge di Calabria e Sicilia che, ad oggi, non sono usciti dalla cassaforte di palazzo San Macuto. E ricordiamo che la Corte europea per i diritti dell’uomo nelle settimane scorse ha invitato il Grande Oriente d’Italia e il governo italiano a trovare un accordo dopo che ci siamo rivolti all’Europa per protestare contro un atto persecutorio e discriminatorio.

 

Ma vi rendete conto che un tribunale della Repubblica vi ha dato ragione di fronte alla querela per diffamazione presentata da Di Bernardo che si era sentito offeso perchè avevamo detto che le sue dichiarazioni erano a scoppio ritardato dopo la fuga del ‘93?

 

E ora ci aspetta un procedimento civile, una causa civile fatta da noi contro colui che scappò e proprio il 20 settembre è iniziato il processo nei confronti di chi oggi vorrebbe ri-guadagnarsi una verginità che perse anche per l’ignavia di alcuni membri della sua giunta che si accontentavano di accompagnarlo in qualche tour all’estero.

 

Ma vi rendete conto che il tribunale civile vi ha assolto nel processo per diffamazione che ci ha fatto il magistrato Agostino Cordova perchè avevamo detto che la sua inchiesta del ‘92-93 che sconvolse il Grande Oriente d’Italia era stata un buco nell’acqua?

 

E come non ricordare che quei faldoni dell’inchiesta, sequestrati, sono ritornati al Vascello e mostrati durante la gran loggia. Quegli scatoloni che entrano al palacongressi tra due colonne stracolme di fratelli in piedi e che applaudono. Tornavano a casa, tornavano qui da dove erano stati presi durante lunghissimi giorni di perquisizioni.

 

Ma vi rendete conto che l’allora presidente della commissione antimafia Nicola Morra portato di fronte alla mediazione civile per interventi improvvidi sul Grande Oriente d’Italia ha fatto una dichiarazione pubblica di scuse?

 

Ma vi rendete conto che l’onorevole Bindi e i giornali che ci hanno attaccato, offeso e denigrato ora devono rispondere di fronte al tribunale civile dove li avete portati per difendere la dignità del Grande Oriente d’Italia?

 

Hanno provato, e provano, a ferire. Provano a colpirci in ogni modo, con ogni mezzo, lecito e illecito. Però Sant’Agostino pregava: “Oh Dio, grazie di inviarmi il dolore come maestro”. I dolori ci rendono più forti, ci riportano ai valori essenziali, ci uniscono di più tra noi. Ci ha unito la pandemia, ci hanno unito i sequestri e le perquisizioni. Il linguaggio universale della fratellanza ci dice ancora che la vita è tutta dinanzi a noi, per un tempo infinito. Guardiamo questo tiglio secolare. Quante ne ha viste. Quante ne ha subite. Eppure è ancora lì.

 

Ma vi rendete conto che avete resistito alle aggressioni di ogni tipo?

 

La partenza fu tosta. Penso alla trasmissione Otto e mezzo all’inizio di aprile del 2014, quando mi ero appena insediato e dovetti sottostare al martellamento di una volpe del giornalismo, Lilli Gruber, e di un simpatico e spregiudicato cacciatore di scoop, Roberto D’Agostino detto Dagospia. E arrivato a Roma altre tegole, altri problemi, Casa Nathan inaugurata ma con tante cose da mettere a posto, molte carte bollate, molti viaggi in tribunale per dirimere questioni, ora finalmente superate anche con vittorie giudiziarie e risarcimenti a nostro favore.

 

E l’emblema del Grande Oriente d’Italia? Lo abbiamo depositato e registrato. Non era stato fatto.

 

E poi, recente, la vicenda dell’arresto del superlatitante Messina Denaro e i tentativi di coinvolgere il Grande Oriente d’Italia perchè un nostro fratello medico è accusato di aver favorito la latitanza. Tentativi di coinvolgerci con la complicità di un calunniatore seriale che addirittura viene invitato per comparsate in televisione da cosiddetti giornalisti d’inchiesta. Dopo settimane e settimane di aggressioni mediatiche con tentativi di coinvolgere la massoneria nella copertura nella latitanza c’è voluta la procura di Palermo, il procuratore capo e l’aggiunto, per smentire il coinvolgimento della nostra comunione. Lo hanno detto a chiare note alla Commissione parlamentare antimafia. I grandi giornali, le tv, i cacciatori di scoop hanno fatto finta di nulla. Come se i magistrati che hanno avuto il merito di catturare l’ex super latitante non avessero parlato.

 

Ma il Grande Oriente d’Italia è come un’aquila, con una sola testa; quando c’è tempesta non si nasconde negli anfratti, vola sopra pioggia e vento. E così abbiamo volato sull’Italia per celebrare i 70 anni della Repubblica. Un viaggio attraverso luoghi simbolo, dalla sala del sinodo valdese a Torre Pellice alla moschea di Colle Val d’Elsa aperta alla città, a Terni e Piombino città del lavoro che manca e alle prese con una crisi che non si ferma, a Reggio Emilia città del tricolore, e Lipari, dove vennero inviati con la forza i combattenti per la libertà, tra cui il nostro gran maestro Domizio Torrigiani. E con la soddisfazione di vedere l’emblema di quei viaggi in giro per l’Italia copiato dal ministero degli Interni. Di fronte alla mia telefonata il funzionario cortese disse: “Ma non siete contenti? Vuol dire che è piaciuto”. Se fosse successo il contrario sarebbe arrivato di tutto, carabinieri, finanzieri, poliziotti e forse anche la forestale.

 

L’aquila ha volato ed ecco arrivare la Carta di Matera. I rappresentanti delle confessioni religiose si ritrovano nella città lucana, si confrontano, dialogano sotto lo stesso tetto. Ne esce un libro, un messaggio per la reciproca conoscenza e un segnale di pace tra tutti gli uomini. Anche quelli che appaiono più distanti. Ad Arezzo il vescovo viene a fare gli auguri per il compleanno di una loggia; a Terni il vescovo inaugura la casa massonica insieme al prefetto, al sindaco e al parlamentare della città. Tagliamo insieme il nastro. In fondo siamo tutti fratelli. Lo afferma in un articolo il cardinale Gianfranco Ravasi. Gli ambienti più talebani della chiesa cattolica attaccano i vescovi e il cardinale. Ma il dialogo, la riflessione c’è e continua: il teologo Vito Mancuso viene in gran loggia, a Trento, a San Galgano e Ancona.

 

E ancora il nostro fratello che fa le domande.

 

Ma vi rendete conto che in occasione del terremoto del centro Italia avete realizzato l’impianto di illuminazione del campo sportivo di Norcia? Purtroppo una delle pochissime opere concluse in tempi brevi e senza avvisi di garanzia. Fieri di aver dato luce ai ragazzi di quella città devastata dal terremoto.

 

E consegnammo decine di borse di studio a quei giovani meritevoli che ottennero la maturità con il massimo dei voti pur studiando tra una scossa e l’altra.

 

E il sostegno concreto e cospicuo alle associazioni della solidarietà e alla benemerita “Sergio Mammini” che accompagna negli studi gli orfani dei nostri fratelli.

 

Ma vi rendete conto che con i Mattoni della Fratellanza avete confortato e aiutato centinaia di fratelli in difficoltà a causa della pandemia? Per quattro anni sono stati destinati un milione e 600 mila euro all’anno.

 

E non vi siete dimenticati, nell’alluvione del maggio di quest’anno, dei coraggiosi disperati della Romagna che hanno visto case e aziende distrutte. Avete aiutato i fratelli colpiti; attraverso la Fondazione avete erogato 20 borse di studio per gli studenti delle zone alluvionate; 20 contributi per i diversamente abili. Il bene si fa e non si dice ma, in questo caso, serve dirlo affinchè i fratelli, a cui dobbiamo rendere conto, sappiano.

 

E sappiano il contenuto di una lettera che mi è arrivata qualche giorno fa. Ve la leggo:

 

“Le scrivo oggi, in una data non casuale: si tratta infatti della ricorrenza del quarto mese dell’alluvione, a Forlì, catastrofe che mi ha strappato gran parte di ciò che avevo costruito nella mia vita. Tanto personale quanto lavorativa.

 

Scrivo col cuore colmo di un’emozione che non so trasmettere a parole, né nelle parole, e di una gratitudine che non so contenere, per offrirLe -e offrire a tutta l’Obbedienza- i miei ringraziamenti più forti, decisi, sinceri, per la donazione di inizio agosto che tanto, tanto, tanto mi ha aiutato.

 

Che mi ha aiutato a sopravvivere, anzi a vivere, e a credere di poter ripartire. Come sto faticosamente cercando di fare. E come forse, probabilmente, non avrei potuto fare, senza.

 

Voglio anzitutto scusarmi per il ritardo con cui rispondo alla Sua, per me speciale e inattesa, missiva.

 

Ritardo non dovuto a leggerezza o trascuratezza. Dovuto bensì alla difficoltà di accesso agli strumenti elettronici, ora superata, alla perdita di password e codici, ora definitivamente ripristinati.

 

È così terribile sentirsi spersonalizzati.

 

Vedere smarrita in un mare d’acqua la propria storia, i propri ricordi, la propria quotidianità.

 

E ancor più difficile è stato vedere quel poco che è rimasto… vederlo toccato, sistemato, gettato, raccolto, da mani spesso sconosciute, poche volte amiche.

 

Come sentirsi privati del proprio privato.

 

Come sentirsi spogliati, inermi, in balia dell’ignoto.

 

Ma poi, seppur a distanza di mesi, ora ho capito.

 

E ho capito anche e soprattutto grazie all’Obbedienza di cui mi onoro di far parte, e al supporto dei Fratelli: credo che tutto ciò abbia avuto il senso di ricordarmi, o meglio di tenere vivo in me, il senso dell’ Iniziazione.

 

Della perdita del superfluo, del senso iniziale di smarrimento, di paura dell’ignoto.

 

Il tutto con una finalità che, ora come allora, riesco a cogliere solo dopo qualche tempo.

 

La finalità è la scoperta dei Fratelli, dell’Obbedienza, della Grande Famiglia Massonica, del Percorso Iniziatico. Della Fratellanza.

 

Fratellanza che mai, confesso, mai avrei pensato potesse palesarsi così potente.

 

Venerabilissimo, la leggo così, oggi, dopo 4 mesi, la mia (dis)avventura.

 

La leggo come una ulteriore grande prova, che è al contempo un’occasione.

 

E, sono sincero, a partire dai giorni più tormentati di maggio, sino ancora ad oggi, non ce l’avrei mai fatta senza il supporto (materiale e -ancor più immateriale, cioè fraterno) costante, continuo, saldo e prezioso dei Fratelli tutti. Dell’Obbedienza.

 

Mi scuso se sono stato prolisso.

 

Ma ribollono in me, ora che ci avviciniamo all’Equinozio, tanti pensieri e sentimenti che, grazie al Metodo, stanno trovando un nuovo Equilibrio. Per portarmi una nuova Consapevolezza, e una nuova Forza. E di questo, sarò sempre grato all’Obbedienza. A tutti i Fratelli e a ognuno insieme.

 

E poi la Fondazione Grande Oriente d’Italia, nata due anni fa e riconosciuta dagli organi dello Stato, che ha valorizzato e reso fruibili prestigiosi immobili, da Udine a Bologna, da Cosenza a Pescara, da Taranto a Pesaro. E insieme al Fai abbiamo permesso a migliaia di cittadini di visitare il Vascello, questo luogo romantico e affascinante. E qui, nelle stanze più belle, un tempo appartamento del gran maestro, sono conservati e si possono ammirare cimeli storici come un maglietto donato a Ernesto Nathan, documenti a firma di Giuseppe Garibaldi, il testamento massonico di Giovanni Pascoli e le opere di Ettore Ferrari.

 

E senza dimenticare il sostegno al comune di Radicofani per il restauro di Bosco Isabella, il giardino di ispirazione massonica nato nell’Ottocento, un autentico gioiello che ha bisogno di manutenzione e che è meta di visitatori che transitano da quella via Cassia dove imperversava Ghino di Tacco.

 

Ma vi rendete conto quanti sforzi state facendo per la giusta rivendicazione di Palazzo Giustiniani, la sede storica del Grande Oriente d’Italia strappata con la forza dal fascismo e mai restituita dalla Repubblica?

 

Nonostante che il presidente del Senato Giovanni Spadolini avesse firmato una transazione che ci assegnava 140 metri quadrati per collocarvi il museo della massoneria italiana. I suoi successori non hanno mantenuto la parola scritta. Ma quel museo lì dobbiamo farlo, lì dove migliaia di massoni sono stati iniziati, lì dove è stato ucciso il gran maestro aggiunto Achille Ballori. E il 21 novembre la Suprema Corte di Cassazione deciderà quale giudice dovrà darci le chiavi per aprire Palazzo Giustiniani. Perchè le chiavi non possono non esserci date. E’ una questione di giustizia e di rispetto delle carte firmate.

 

Ma vi rendete conto che è stata firmata una convenzione con l’Archivio centrale dello Stato che ha consentito il recupero di documenti sequestrati dal fascismo? E ora viene data la possibilità di consultarli per conoscere passaggi della nostra storia e della storia italiana che sarebbero rimasti nella polvere e passati nel dimenticatoio.

 

E non è giusto che passi nel dimenticatoio che il Grande Oriente d’Italia ha abolito nella sua costituzione la parola Razza. La senatrice a vita Giuliana Segre ha chiesto al parlamento di abolire questa parola orribile dalla Costituzione della Repubblica italiana. Noi lo abbiamo fatto.

 

E cogliamo anche questa occasione per inviare un deferente saluto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, garante dell’unità nazionale.

 

E poi gli ospiti alla celebrazioni del XX settembre e alle gran logge.

 

I giornalisti: da Ignazio Ingrao a Mario Sechi, da Alessandro Barbano a Paolo Mieli e Maria Latella, da Nico Piro ad Arturo Diaconale e Gian Marco Chiocci, da Ferruccio De Bortoli ad Andrea Purgatori, da Giancarlo Loquenzi a Fausto Biloslavo, da Fabio Martini a Francesca Fanuele, da Marco Ventura a Federico Guiglia.

 

Gli accademici: il presidente emerito della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick e Marcello Flores, Antonio Novelli e Massimo Carpinelli, Ernesto Galli della Loggia e Paolo Savona, Piergiorgio Odifreddi e Quirino Principe, Nino Cartabellotta e Andrea Carandini, Vittorio Emanuele Parsi e Alessandro Campi.

 

I politici: da Lucio Malan a Luciano Violante, da Ermete Realacci a Renato Soru, da Riccardo Nencini e Daniele Capezzone a Riccardo Mazzoni, da Francesco Rutelli a Vittorio Sgarbi.

 

Gli amministratori pubblici: da Nicola Alemanno, sindaco del terremoto di Norcia, all’allora presidente del consiglio regionale della Toscana Eugenio Giani, ora governatore.

 

Gli intellettuali: da Michele Mirabella a Gianrico Carofiglio, da Annalisa Chirico a Gian Maria Fara e Alessandro Giuli, da Melania Mazzucco a Umberto Galimberti, da Stefano Moriggi e Luca De Biase e Federico Cinquepalme, che abbiamo ascoltato stamani.

 

E gli uomini che hanno combattuto su campi difficili: Giorgio Benvenuto nel mondo del lavoro, Davide Tabarelli nell’energia e Paolo Nespoli, l’astronauta, il medico di Lampedusa Pietro Bartolo che qui raccontò il suo impegno nei soccorsi a coloro che arrivavano dall’Africa. Allora, quei barconi stracolmi di immigrati, sembravano un’emergenza ma ora è diventato un enorme problema strutturale, destinato a crescere per dimensioni e la cui soluzione non può essere lasciata al cuore grande dei lampedusani e neppure alla buona volontà del governo italiano.

 

E al Vascello e in gran loggia sono arrivati anche uomini di spettacolo: da Patrizio Rispo a Franco Ricordi e lo sportivo Andrea Lo Cicero. E stasera l’Orchestra italiana del cinema.

 

E chissà quanti me ne sono scordati. Mi scuso con loro. Ma ricordo bene tre giovani e giovanissimi. Ricordo molto bene le loro storie, differenti l’una dall’altra ma che sono rimaste nel mio cuore, nella mia mente e in quelle di tutti voi.

 

Valerio Catoia, un nuotatore paralimpico che ha salvato una bambina che stava annegando; nominato dal presidente Mattarella alfiere della Repubblica; poliziotto ad honorem. Lo premiammo anche noi, qui al Vascello.

 

Domenico Buccafurri: un ragazzo di Reggio Calabria; voleva giocare a calcio ma un problema fisico, improvviso, lo ha fermato; intelligente e sensibile, vincitore di una delle borse di studio promosse dal Grande Oriente d’Italia. Ci colpì la sua grande determinazione.

 

E poi Sara, la studentessa iraniana fuggita dal suo paese, ambasciatrice nel mondo dei problemi dei suoi coetanei. L’abbiamo aiutata. Ora ha vinto un’altra borsa di studio e può continuare a vivere in Europa invocando la libertà per i giovani iraniani.

 

Valerio, Domenico e Sara. Noi vi ricordiamo con grande affetto.

 

Ma il nostro fratello continua benevolmente a tormentare con le domande: ma vi rendete conto che dopo trenta lunghi anni finalmente è stata resa giustizia con il ripristino del riconoscimento della Gran loggia unita di Inghilterra, la gran loggia madre?

 

Nel ‘93 fu traumatica quella rottura, molti fratelli se ne andarono, altri restarono con tanti dubbi perchè poteva finire tutto, altri tennero alto il labaro del Grande Oriente d’Italia che continua a sventolare e non perchè il vento è favorevole ma perchè sappiamo come e dove condurre il Vascello dei coraggiosi. Giustizia è stata fatta. Dopo 30 anni ci è stato restituito quello che ci era stato ingiustamente tolto. Ci è stata resa giustizia. E ora ci riabbracciamo nei nostri templi con i fratelli della Gran loggia di Israele, che ci ha voluto restituire il riconoscimento che anche in questo caso ci era stato tolto ingiustamente. Ci abbracciamo con i fratelli della Sovrana gran loggia di Malta, del Grande Oriente del Brasile e delle gran logge del Minas Gerais e dello Stato di Bahia. Sono i riconoscimenti che ci sono stati dati negli ultimi mesi.

 

E prima ancora è arrivato l’ingresso, a lungo vanamente inseguito, nella Confederazione massonica interamericana, fondata nel 1947, un’organizzazione che riunisce 84 Potenze Massoniche distribuite in 26 paesi del Sud, Centro e Nord America, Caraibi ed Europa. Un’organizzazione che conta quasi 400mila fratelli che, attraverso lo scambio di idee, attività, principi ed esperienze, cerca di arricchire il pensiero dell’umanità e delle sue culture.

 

Ma vi rendete conto che il patrimonio di case massoniche in questi ultimi anni è raddoppiato? Non siamo una società per azioni e accrescere le risorse non è un esercizio per chi gestisce il bene comune, non è un esercizio di finanza, è molto altro, è molto altro. Conservare ed accrescere il tesoro del Grande Oriente d’Italia, che simboleggia il Tesoro di saggezza, è per noi massoni un dovere nel “governo della casa comune”, un dovere da percorrere senza sosta, con le scarpe nella polvere.

 

A questo punto viene da dire: “E questo è quanto”. E’ quello che abbiamo fatto. E’ un bilancio? No, non è un bilancio. I bilanci li fanno i commercialisti e a me non piacciono i bilanci consuntivi e per quelli preventivi non sono portato perchè il mio lavoro mi ha insegnato che le pagine di giornale che si pensano la mattina non sono mai quelle che si chiudono la sera e si mandano in tipografia per la stampa. E poi perchè mi piacciono le strambate. Ma, soprattutto, non mi piacciono i bilanci, perchè la vita continua, non c’è un prima e non c’è un dopo, c’è una strada che inizia e che non ha fine, non siamo una corsa ciclistica su pista dove suona la campana dell’ultimo chilometro. Quello che è stato fatto è la fase di un percorso che continua e continuerà. E’ quello che stiamo facendo, perchè la partita non è finita e stiamo operando coerenti con una battuta che un grande allenatore che aveva vinto tanti scudetti disse a un giornalista che gli chiedeva quale fosse stata la vittoria più bella. Risposta lapidaria: “La vittoria più bella è quella che verrà”. Sì, quella che verrà, perchè siamo affamati di giustizia. Amiamo la giustizia e sappiamo ben distinguere la disciplina interna dalla giustizia civile. Si occupano di sfere diverse: per questioni liberomuratorie ci sono gli organi disciplinari interni, dei reati si occupa la giustizia ordinaria. E la disciplina interna è addirittura più stringente perchè si occupa di esaminare ed eventualmente sanzionare infrazioni ai valori di lealtà, rispetto, tolleranza che non costituiscono irregolarità civili o penali ma inosservanza degli Antichi Doveri che per noi sono Eterni Valori.

 

E chi, emulo di quei cattivi compagni che uccisero il maestro Hiram, accecati da fanatismo, invidia e smisurata ambizione, scavalca o addirittura disconosce la disciplina interna, compie un atto moralmente eversivo che può mettere in pericolo l’esistenza del nostro ordine, al quale abbiamo dedicato e dedichiamo tanto tempo, tante energie, tanto amore.

 

Mi viene in mente, per analogia, Giordano Bruno quando scrive con chiarezza: “Gli dei non si adirano per una bestemmia o per un’offesa a loro indirizzata: gli dei si adirano quando si compiono azioni che provocano lacerazioni nella coesione sociale, indebolendo lo Stato, la Legge, la Giustizia”. Si arrabbiano, aggiungo, quando si provocano lacerazioni in un ordine che ha regole, mai in contrasto con le leggi dello Stato, e al quale abbiamo chiesto di aderire e al quale siamo stati ammessi dopo un severo esame della nostra candidatura e dopo aver superato prove iniziatiche che hanno un senso, un valore, che non sono rappresentazioni coreografiche. Gli dei si arrabbiano perchè si mina la solidità dell’impianto di una comunione, di un ordine iniziatico. Ripeto: quando si provocano lacerazioni in un ordine che ha regole precise ma non oppressive si mina l’impalcatura della comunione.

 

Lealtà fratelli, lealtà, un valore che è sopra a tutto. Addirittura superiore al trinomio che è nei nostri tempi, la libertà, l’uguaglianza, la fratellanza. Rivendichiamo questo nostro pensare. Parliamo chiaro perchè parlar chiaro vuol dire pensare pulito.

 

In questi anni, insieme alla giunta, ho cercato di dire quello che volevamo fare e abbiamo cercato di fare quello che avevamo annunciato. Dire quel che si fa e fare quel che si dice. Tante cose le abbiamo nascoste, è vero, a fin di bene, soprattutto all’inizio del primo mandato. Abbiamo nascosto quello che era giusto nascondere per non impensierire la comunione, per non far preoccupare i fratelli. Abbiamo preferito metterci alla stanga stando al solco. Come buoi? Non so. Preferisco dire come ciuchi. E’ un modo di dire toscano: lavorare come ciuchi. Vuol dire faticare tanto e sudare. Senza accusare questo o quello ma dire quello che si vuol fare. E farlo.

 

L’ho detto in giro per l’Italia, in quest’Italia lunga e larga e con le isole.

 

L’ho detto a Ripalimosani, un colle in provincia di Campobasso, dove un fratello di nome Michele mi ha chiesto se poteva abbracciarmi durante la fine di una tornata rituale. Capì che in quel momento avevo bisogno di un abbraccio fraterno.

 

L’ho detto a Contessa Entellina, un castello di rara bellezza, sperduto nelle campagne di Agrigento, quasi irraggiungibile ma non per quei trecento fratelli che nella tarda primavera di quest’anno sono arrivati da tutta la Sicilia per celebrare il decennale di fondazione della loggia di Santa Margherita di Belice.

 

L’ho detto a Castiglion del Lago e Albenga.

 

L’ho detto a Scalea, dove non sono stato a luglio o ad agosto ma d’inverno, quando il mare fa paura e scendi dall’auto per andare nel tempio e le scarpe affondano nel fango ma l’affetto di fratelli ritrovati ti fa dire: “Ne valeva la pena”. In fondo per riparare le scarpe ci sono i calzolai, artigiani come noi, noi artigiani del pensiero.

 

L’ho detto a Lamezia e a Soveria Mannelli.

 

L’ho detto a San Galgano, più di una volta, in quell’abbazia senza tetto che, nel ricordo di monaci sfarfalloni e spendaccioni che furono costretti a vendere la copertura, ci rammenta che dobbiamo essere misurati, parchi. Che i soldi dei fratelli vanno ben utilizzati e ben rendicontati.

 

L’ho detto a Portoferraio e Radicofani.

 

L’ho detto a Enna, quando in una profonda notte d’inverno, insieme ad avventurosi compagni di viaggio ci siamo ritrovati in mezzo a un bosco in una strada fangosa e senza sfondo.

 

L’ho detto a Castelvetrano e Campobello di Mazara, a Licata, dove non ho avuto paura di andare perchè l’Italia è una e una sola, indivisibile.

 

L’ho detto a Olbia e Alghero.

 

L’ho detto a Saliceto, un borgo nel verde della provincia di Cuneo, dove si sente il rumore delle foglie ma non quello delle persone perchè è quasi disabitato e si anima di fratelli una volta all’anno per una tornata rituale. L’ho detto a Foligno e a Saluzzo, a Ventimiglia e Abano, a Labro e Decollatura.

 

L’ho detto a Bolzano e Trento, a Gorizia e a Rieti. Ma queste sono quasi metropoli.

 

L’ho detto a Paterno, in Basilicata, nella terra che nell’Ottocento era ricca di logge e ora di tanta umanità e di due officine che tengono alto il labaro del Grande Oriente d’Italia.

 

L’ho detto al San Bernardo, dove da 45 anni la loggia di Aosta organizza un’agape all’insegna dell’amicizia e del buon umore.

 

Ecco, ho messo in fila alcuni luoghi, forse tra i più piccoli, dove sono stato in questi anni ma dove ci sono fratelli. E dove ci sono fratelli non esistono luoghi grandi o piccoli. Esiste la nostra fiamma, esiste il Grande Oriente d’Italia, una comunione di fratelli che sentono forte il senso di appartenenza fisica a un labaro, a un sistema di valori, a un rituale, a un tempio, che sanno di aver scelto di anteporre la forza secolare della socialità al distacco della frenesia contemporanea.

 

E in questo correre per l’Italia ho visto tanti fratelli, ho incrociato i loro sguardi, ho ascoltato i loro pensieri, le loro malinconie, le loro preoccupazioni, i loro problemi, le loro stravaganze, le loro gioie. Ho indagato la loro bellezza interiore ma non ho avuto il tempo di ammirare la bellezza dei luoghi, delle opere d’arte, delle meraviglie che la nostra nazione mette in mostra ad ogni ogni angolo. Ho visto però, e mi rincuoro così, la bellezza dei fratelli, di ciascuno di voi, nei templi ben fatti e in quelli sgretolati, in quelli con arredi di pregio e in quelli danneggiati dall’umidità e a tutti, per concludere, dedico il pensiero che mi ha trasmesso proprio uno di voi:

 

“Se ci riconosciamo figli della Luce, se ad essa tributiamo le nostre speranze, se ad essa affidiamo noi stessi per migliorare, per costruire, mattone su mattone, le nostre cattedrali, se celebriamo anno dopo anno le nostre feste di Luce, di rigenerazione e di rinascita, non facciamoci mai mancare il coraggio delle scelte, ispirate da coraggio, fierezza e responsabilità e delle nostre promesse che rinnoviamo ogni volta che solchiamo i nostri templi”.

 

Fratelli, non facciamoci mai mancare il coraggio delle scelte, ispirate da coraggio, fierezza e responsabilità e delle nostre promesse che rinnoviamo ogni volta che solchiamo i nostri templi.

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10 Dicembre 2023

 

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