L’IMPERO ROMANO FU MINATO DAL PIOMBO ?

Gli archeologi e gli sto­rici hanno probabil­mente amplificato l’effettiva importanza di questi fatti, soprat­tutto in relazione al ruolo svolto dall’in­tossicazione da piom­bo «saturnismo» nel mondo classico. Fra le cause di esposizio­ne prolungata a dosi di piombo sufficienti a produrre la malattia conclamata, solo poche po­tevano essere presenti nell’ antichità classica, nessuna in epoche preceden­ti. L’ingestione di bevande o di cibi inquinati è la principale di esse.

In effetti, il piombo è stato largamen­te impiegato nella costruzione degli acquedotti urbani già nel mondo ro­mano. Tuttavia vi sono motivi di per­plessità al riguardo, in quanto all’in­terno di tubazioni del genere si forma­no rapidamente patine di sali di piom­bo assai poco solubili in acqua, cosic­ché la quantità di piombo che poteva effettivamente passare ad inquinare le acque potabili era scarsa.

Resta aperta la questione dell’even­tuale contenuto di piombo nel vino romano. È probabile l’impiego in epoche classiche di recipienti di piom­bo, o internamente rivestiti da una pellicola di piombo, per la fermenta­zione del vino; inoltre sali di piombo venivano forse aggiunti al vino già fermentato, probabilmente per addol­cirne il sapore. In alcune regioni eu­ropee è tutt’oggi in uso la pratica di immergere frammenti di piombo me­tallico nel vino, al fine di evitarne la rifermentazione.

Tutto ciò rendeva potenzialmente molto elevato il con­tenuto plumbeo del vino romano. Esistono, ovviamente, anche confer­me sperimentali a questo modo di ve­dere. Ad esempio, l’analisi dei vini prodotti in Inghilterra fra il 1770 ed il 1805 d.C. ha dimostrato l’esistenza di contenuti di piombo a livelli ampia­menti tossici. In un classico esperimento eseguito nel 1883, Hoffmann produsse dei vini fermentati seguen­do fedelmente le descrizioni che vari scrittori latini ci hanno lasciato a pro­posito della vinificazione delle uve. La susseguente analisi dei vini così otte­nuti dimostrò un contenuto di piom­bo variabile fra 380 e 781 milligram­mi per litro di vino, a seconda delle metodiche di preparazione delle be­vande: questi livelli di inquinamento sono largamente tossici.

È certo che l’inquinamento alimen­tare da piombo interferisce con la corretta funzionalità del rene, in quanto esiste una interferenza con il metabolismo dell’ acido urico e degli urati, cosicche è nota una «got­ta saturnina», o «gotta secondaria». Sappiamo che nell’Inghilterra geor­giana (XVIII-XIX secolo d.C.) dila­gava questo genere di gotta, legata al grande consumo di bevande alcoliche fermentate.

D’altra parte, studi accu­rati degli scritti di Paolo Egineta ci consentono di ammettere che una got­ta del genere in quasi tutta l’Europa produsse delle «epidemie» anche at­torno al VII secolo d.C. Abbiamo ele­menti per credere che la situazione non sia stata granché diversa in epo­ca romana.

Fortunatamente, il piombo è dosabi­le nelle ossa. Due ricercatori inglesi (Waldron e Wells) hanno recentemen­te esaminato il contenuto di piombo in ben 759 scheletri provenienti da 15 differenti siti ed appartenenti a sog­getti vissuti nell’arco di tempo com­preso fra il 1600 a.C. ed il Medioevo. I livelli più bassi sono stati dimostra­ti nelle ossa più antiche ed è stato os­servato un generale incremento tem­porale del contenuto osseo di piom­bo.

Tuttavia, le ossa dei campioni di popolazioni vissute durante i periodi romano-bretone ed anglo-sassone hanno mostrato un contenuto di piombo anormalmente elevato. Cer­tamente, questi dati concordano con l’idea dell’inquinamento dietetico da piombo legato al vino ed alle acque potabili urbane.

Un ulteriore elemento ambientale, pe­rò, potrebbe avere avuto un ruolo: l’impiego di stoviglie di peltro o di al­tre leghe metalliche contenenti piom­bo. Che un fattore del genere potesse contribuire a determinare livelli tos­sici di piombo alimentare sembra or­mai dimostrato: in un cimitero colo­niale americano le inumazioni dei ric­chi proprietari erano separate da quel­le degli schiavi impiegati nelle pianta­gioni; nelle ossa della classe padronale è stato trovato molto più piombo che in quelle degli schiavi. Ciò potrebbe essere una coincidenza, ma è più ve­rosimilmente da mettere in relazione con l’uso quotidiano di stoviglie di peltro, che solo i ricchi potevano permettersi.

Da questo complesso di indizi non ha mancato di emergere l’ opinione che il diffondersi del saturnismo nelle clas­si dirigenti, più agiate, dell’antica Ro­ma abbia contribuito al declino dell’Impero.

Ma vi sono ancora molte perplessità che avvolgono l’intera questione ed esistono dubbi metodologici rispetto all’interpretazione del contenuto plumbeo delle ossa di scavo. Ad esem­pio, è stato dimostrato che il piombo ambientale (quello contenuto nel ter­reno di inumazione) tende ad accumu­larsi nella parte superficiale delle os­sa sepolte.

Ancora, la quantità di piombo sche­letrico è in funzione diretta della lunghezza dell’esposizione, cioè della du­rata della vita.

Questa ed altre circostanze non sono state tenute in conto da tutti i ricer­catori e costituiscono oggi un motivo di perplessità interpretativa. Ciò non­dimeno, vi sono pochi dubbi riguar­do alla validità di un dato sperimen­tale, tanto importante quanto preoc­cupante: le ossa dei Peruviani del 1600 d.C. contengono una quantità di piombo che è mediamente 1/1000 di quella contenuta nelle ossa degli Ame­ricani e degli Inglesi attuali.

Non vi è alcun dubbio che ciò è collegato an­che all’enorme incremento del piom­bo atmosferico, causato dall’inquina­mento industriale e dalla combustio­ne delle benzine.

 

 

 

 

 

 

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