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Il Tricolore: 200 anni, 1797 —1997
di
Blasco Mucci
Non rampare di aquile e leoni, non sormontare di belve rapaci, nel santo vessillo, ma i colori della nostra primavera e del nostro paese, dal Cenisio all’Etna; le nevi delle Alpi, l’aprile delle valli, le fiamme dei vulcani. E subito quei colori parlarono alle anime generose e gentili, con le ispirazioni e gli effetti delle virtù onde la Patria sta e si augusta: il bianco, la fede serena alle idee che divina l’anima nella costanza dei savi; il verde la perpetua rifioritura a frutto di bene nella gioventù de’ poeti; il rosso, la passione e il sangue dei martiri e degli eroi. E subito il popolo cantò alla sua bandiera ch ‘ella era la più bella di tutte e che sempre voleva lei e con lei la libertà: ond’è che ella, come là dice la scritta, “piena di fati mosse alla gloria del Campidoglio “…
(Giosue Carducci, commemorazione a Reggio Emilia, il 7 gennaio
1897, del Primo Centenario del Tricolore)
Premessa
Parigi: quattordici luglio 1789. Il vecchio castello medievale della Bastiglia, utilizzato come prigione politica, viene assalito e espugnato dagli insorti guidati da Camillo Desmoulins, da Georges Danton, da Antonio Giuseppe Santerre e da altri capi rivoluzionari. Crollano con esso le fosche leggende che per secoli ne avevano puntellato l’immagine, ma crolla soprattutto il simbolo di quell’ assolutismo che aveva, per secoli, dominato tirannicamente il popolo. Così afferma Adolfo Omodeo: “Dal momentaneo entusiasmo provocato dall’avvenimento, nacque il tricolore francese, per la fusione della bianca bandiera della monarchia con i colori di Parigi: il rosso e il turchino. ” (“L’età del Risorgimento italiano”; Messina-Milano, 1930, pag. 94). Da questo momento la bandiera quale simbolo del potere di un principe scompare, nasce la bandiera espressione della nazionalità. Il tricolore francese, “figlio del popolo “, apre la strada.
Le notizie degli straordinari avvenimenti francesi scuotono l’Europa. Gli ambienti culturali italiani, influenzati dalle illuministiche pagine dell’Enciclopédie e avvezzi da decenni a polemizzare sui numerosi giornali letterari nazionali e d’ oltralpe, cercano sulle Gazzette le informazioni più aggiornate ed esaurienti.
Le notizie dell ‘ appena iniziata e già vittoriosa Rivoluzione giungendo in Italia, accrescono le speranze dei novatori, ansiosi di ripetere anche nella nostra Penisola le esperienze europee. Giacobini e Fratelli massoni — esistevano da tempo in tutti gli Stati italiani attivissime Logge massoniche — si organizzano in “club” clandestini per prepararsi al “grande giorno”. Emissari francesi li favoriscono e li consigliano. Portano da Parigi i tesü del Ça ira, del Reveil du peuple souverain e della Marseillaise, i canti fatidici che, insieme al tricolore, guidano il nuovo esercito rivoluzionario. Paü•ioti e principi sono in attesa: i primi impazienti, i secondi preoccupati.
Nel 1790 Pietro Verri scrive: “I princìpj sociali sono sviluppati nel centro d’Europa; la luce dilatasi rapidamente; il popolo milanese sarà fra pochi anni illuminato E rivolgendosi negli stessi giorni ai suoi concittadini, che in qualità di decurioni governano la capitale lombarda, li incita a leggere i giornali che parlano degli avvenimenti francesi: “Svegliatevi! Non è più tempo di arrogarvi soli la rappresentanza della città. Ogni cittadino al paro di voi ha diritto di eleggere e di essere scelto in servigio della patria (…). Se vi accontentate di essere schiavi purché abbiate dei schiavi sottoposti a voi, sarete voi i nemici della patria. Se scegliete questo partito, vi annunzio in breve la vostra rovina “.
Particolarmente sensibili ai princìpi rivoluzionari laici d ‘oltralpe sono i borghesi ma anche i contadini e i braccianti di Reggio Emilia, i quali — costretti a subire le prepotenze. di un patriziato locale esausto e sprovvisto ormai di valori intellettuali ed economici — covano secolari risentimenti contro la dinastia degli Estensi che governa il loro territorio. Pertanto, tra il 30 aprile e il 2 maggio 1791 , in occasione della prevista 41