dal libro: “Relitti di Storia”
Archeologia Subacquea in Maremma
A cura del Ministero per i beni culturali e ambientali
- 2. Rotte, commerci e porti lungo le coste maremmane
2.1. Importazione ed esportazione di prodotti alimentari: i contenitori.
Con il termine anfora (latino amphora) si indicava anticamente sia una misura di capacità corrispondente a circa 26 litri, sia un tipo di contenitore di terracotta usato per il trasporto di merci liquide o semiliquide (vino, olio, conserve di pesce e forse di frutta). Non vi fu una sola regione del Mediterraneo, affacciata sul mare o prossima ad esso, che non produsse anfore per commercializzare i propri prodotti. L’anfora fu uno dei simboli dell’economia locale o regionale che l’avevano espressa.
La diversificazione geografica, e quindi culturale, delle aree di produzione influì sulla forma dei vasi che tuttavia conservarono per secoli caratteristiche determinate in primo luogo dalla funzionalità: un collo fatto in modo da poter essere sigillato con un tappo, una spalla più o meno ampia sopra un ventre di forma per lo più cilindrica, un fondo a puntale (per adagiare il vaso in uno strato di terra o di sabbia) oppure piatto, e infine le anse, generalmente due, di forme spesso molto differenti.
Poiché le anfore trasportavano prodotti alimentari è evidente che esse consentono di verificare il potenziale di una economia agricola e le sue capacità di commercializzazione. Non ci si accontenterà di sapere che un’anfora conteneva olio o vino ma si vorrà sapere chi produceva quell’olio e quel vino, in quale tipo di azienda agricola, con quale tipo di organizzazione della produzione, quale era lo status sociale del proprietario dell’azienda, dell’armatore navale, se queste due figure s’identificavano in una stessa persona. Tante possono essere le domande suscitate da un semplice vaso utilitario.
L’oggetto “anfora” finisce per diventare un fossile-guida indispensabile per comprendere la storia economica antica. Ed è dalle diversificazioni in termini di economia verificatesi nelle regioni italiane e nel Mediterraneo che dobbiamo partire per un esame delle merci alimentari e dei contenitori con cui queste venivano trasportate in età romana.
2.1.1. Le merci: il vino.
Il versante tirrenico dell’Italia aveva conosciuto uno sviluppo nel settore delle colture arbustive pregiate molto tempo prima della romanizzazione: le anfore etrusche, e vulcenti in modo particolare, sono state rinvenute sui fondali di molte isole dell’Arcipelago Toscano, della Corsica e, in Francia, sul litorale della Provenza e nell’interno. Queste esportazioni non si erano virtualmente mai interrotte, ma avevano avuto una drammatica flessione nel corso del V secolo.
Ripresero su vasta scala solo a partire dal IV° secolo, quando le anfore etrusche erano ormai state sostituite da anfore di un tipo completamente diverso: le anfore dette “greco-italiche” (FIG. 20, n. lA). Malgrado questa denominazione sia sostanzialmente inesatta, una lontana parentela fra le greco-italiche ed alcuni tipi di anfore delle isole greche è possibile ravvisarla. Quel che interessa, tuttavia, è che le anfore greco-italiche furono prodotte in tutto il versante tirrenico a partire dalla metà del IV° secolo e probabilmente anche in Sicilia. Il relitto di Montecristo illustra assai bene la realtà del tempo: nave etrusca o nave romana?
A giudicare dalle coppe a vernice nera che accompagnavano le anfore non sussistono dubbi: la nave, ammettendo che avesse caricato le anfore vinarie in un porto campano, imbarcò le ceramiche di accompagno nel Lazio o nell’agro ceretano. Non abbiamo dati che ci consentano di apprezzare quantitativamente il carico. A giudicare dalle dimensioni dell’ancora in ferro che armava la nave, non doveva comunque trattarsi di un piccolo natante per il cabotaggio costiero.
La storia delle anfore greco-italiche più antiche (IV°- III° secolo a.C.) si lega indissolubilmente alla romanizzazione della penisola: esse trasportarono il vino di proprietari terrieri che andavano migliorando la rendita delle loro piccole proprietà, pur mantenendosi lontani dal conseguire standard produttivi sufficienti ad una commercializzazione su vasta scala.
Con la conquista della Magna Grecia e della Sicilia, in seguito alla prima guerra punica, i Romani giunsero in contatto con realtà economiche per loro completamente nuove: non campagne popolate da piccoli agricoltori proprietari di appezzamenti a conduzione unifamiliare, che producevano quanto bastava per il consumo interno, ma paesaggi costellati di edifici complessi, circondati da colture di pregio, cioè vigneti ed oliveti (di cui parla Diodoro Siculo). La realtà agricola della Sicilia nel III° secolo a.C. doveva apparire nettamente più avanzata dal punto di vista delle tecniche e della conduzione di quella contemporanea del Lazio.
Così questa società che andava mutando profondamente ed era affamata di nuove superfici arabili non meno che di nuove tecnologie, grazie alle quali compiere quel salto di qualità ma anche “di quantità” verso una dimensione mercantile, dovette assimilare rapidamente l’esperienza siciliana. Indice delle tumultuose trasformazioni non fu soltanto la lex Claudia del 218 a.C. o il sorgere di insediamenti rurali via via più complessi nel Lazio, ma anche il nascere di un nuovo tipo di anfora greco-italica (FIG. 20, n. 1B): a partire dalla fine del III secolo la forma di questo tipo di contenitore si allunga e finisce per differenziarsi sostanzialmente dal tipo da cui derivava.
Si è certi dell’area di produzione, che interessava molti dei territori costieri della Campania, del Lazio e dell’Etruria. Nell’agro di Cosa vennero costruite fornaci presso il Portus Cosanus e ad Albinia. Queste produzioni vanno collegate alla nascita di case coloniche come quella di Giardino Vecchio (Capalbio) che, se non possono essere considerate certamente delle ville, tuttavia non si limitavano all’autoconsumo ma producevano anche piccole quantità da vendere sul mercato locale o a mercatores che le commercializzavano oltremare. Anfore greco-italiche del tipo più recente costituivano gran parte del carico del relitto più antico del Grand Congloue. Gli indici di presenza di questo contenitore nelle stratigrafie dei villaggi fortificati della Francia meridionale aumentano progressivamente nel tempo.
Dal 125 a.C. si registra un nuovo e ancor più sensibile aumento delle anfore italiche in Gallia: l’anfora greco-italica è sostituita dall’anfora detta “Dressel 1 ” (FIG. 20, nn. 2A e 2B), che ne riprende la morfologia generale.
È questo il periodo in cui si affermano le grandi ville nelle campagne, edifici confortevoli e col tempo sempre più lussuosi, ma anche aziende al centro di ricche piantagioni. I probabili proprietari della villa di Settefinestre, i Sestii, si erano grandemente arricchiti con il vino delle loro proprietà cosane nel corso della prima metà del I secolo a.C. Le anfore Dressel 1 recanti sull’orlo il loro marchio di fabbrica (SES) sono state rinvenute sia presso il portocosano, dove si trovava presumibilmente una fornace, sia in quantità nei relitti affondati presso la costa provenzale (relitto del Grand Congloue più recente, 100- 70 a.C.), nelle valli del Rodano e del Reno.
La Dressel 1 è l’anfora che rappresenta il dilagare del vino italico sui mercati transmarini dell’Occidente. L ‘espansione di questo colossale mercato, che da un punto quantitativo non sarà poi più eguagliato fino al sorgere dei traffici con le Americhe nel XVI° secolo, andò di pari passo con il diffondersi delle ville nelle regioni dell’Italia centrale tirrenica. I profitti della mercatura venivano investiti nelle campagne e i profitti ricavati dai vigneti servivano a promuovere ancora nuove azioni commerciali. Il volume dei commerci fra l’età dei Gracchi e quella di Augusto fu impressionante.
Con gli inizi dell’Impero e forse già qualche anno prima anche le province più ricche, come la Spagna, cominciarono ad esportare i loro prodotti: in particolare il vino e le conserve di pesce, che da allora divennero uno dei pilastri dell’economia iberica. In un deposito di anfore rinvenuto a La Longarina (Ostia), databile all’età augustea avanzata (10 d.C.) si rileva la presenza di contenitori vinari e oleari provenienti da varie località dell’Italia settentrionale, della Spagna e dell’Africa, oltre che contenitori con vini pregiati delle isole greche. I vini spagnoli provvedevano ormai al fabbisogno delle popolazioni galliche, che fino a pochi anni prima acquistavano esclusivamente il vino italico contenuto nelle Dressel 1. Nella prima metà del I secolo d.C. anche i territori della Gallia meridionale svilupperanno un proprio contenitore per vino, destinato ad invadere l’Italia nel secolo successivo. L ‘abolizione del divieto di coltivare vigneti in Gallia e la diffusione delle tecniche mettono le province sempre più in grado di competere con l’Italia. Già il contesto de La Longarina ci dice che le produzioni italiche, per quanto ancora nettamente prevalenti, non sono più le sole protagoniste del mercato.
Alla Dressel l si affianca, verso la metà del I secolo a.C., l’anfora detta Dressel 2/4 (FIG. 20, n. 3): gli indici quantitativi di quest’ultima in Gallia sono nettamente inferiori a quelli raggiunti dalla Dressel 1. Il panorama della circolazione delle anfore nel I secolo d.C. appare sostanzialmente equilibrato e livellato. Non vi sono più protezionismi a favore dei vini italici, non più monopoli, ma una forte tendenza alla concorrenza fra le varie aree produttrici.
Ciò vale, oltre che per il più vasto ambito mediterraneo, anche all’interno dell’Italia, considerando che nella villa di Settefinestre sono stati rinvenuti frammenti di anfore Dressel 2/4 sia cosane sia provenienti da altri comprensori dell’Etruria, del Lazio, della Campania, della Spagna Tarraconese e Betica.
Questo deve far riflettere: nel secolo precedente, sempre a Settefinestre, le anfore Dressel l erano tutte di produzione cosana, cioè locali. La circolazione dei vari tipi di contenitori si fa più variegata, più varia e più capillare, con una maggiore ripartizione delle provenienze fra l’Italia e, al momento, soprattutto la Spagna. Siamo comunque in un momento in cui un qualunque genere di merce può giungere dappertutto: è così che le anfore Dressel 2/4 giungeranno fino in India, mentre i vasi aretini giungeranno fino all’imperatore della Cina.
Le merci italiche attraverseranno fasi alterne nel corso del I secolo d.C. Ma sul finire del secolo la crisi è ormai alle porte. Ad Ostia, in età traianea, il 53,5% delle anfore vinarie risulta importato dalla Gallia, mentre soltanto il 15,7 % proviene dalle aree vinicole della costa tirrenica e 18% dalla valle del Tevere. La scomparsa della Dressel 2/4, nei primi anni del II secolo d.C. indica spietatamente che la commercializzazione dei vini tirrenici si è interrotta. Del resto, proprio in questi anni, molti dei torchi vinari delle ville vengono smantellati.
La tradizione vitivinicola delle regioni a più spiccata vocazione sopravvisse, come dimostrano le anforette a fondo piatto circolanti fra l’Etruria, la valle del Tevere e il Piceno nel II secolo d.C. (FIG. 22, n. 16). Era l’Italia che non aveva più uno spessore produttivo sufficiente a competere con le province. Produrre un vino che non esce dai limiti di un territorio è un sintomo di debolezza. Il mercato chiedeva principalmente grandi quantità di vini di media qualità. I paesaggi agrari dell’Italia medio-imperiale non avevano spazi né risorse per questo scopo (il che non vieta che producessero vini eccellenti in piccole quantità) ed era questo un chiaro sintomo di fragilità produttiva.
Per questo motivo, dal II secolo d.C. in poi, i territori della costa maremmana rappresentano una sorta di osservatorio privilegiato: tutte le merci dell’Impero raggiungevano i porti di Cosa, di Albinia, di Talamone, di Salebro, dell’Ombrone e del Giglio. Ma questo non era un segno di prosperità. Al contrario, la schiacciante preponderanza delle merci provinciali indicava che ormai la Maremma, come tante altre regioni d’Italia, era costretta a comprare fuori quello che non riusciva più a produrre a costi accettabili (come se oggi a Scansano o nel Chianti risultasse più conveniente comprare il vino della California).
Una notevole quantità di anfore ispaniche documenta il flusso di vini della Tarraconese (Dressel 2/4: FIG. 20, n. 4) e della Betica (Haltem 70: FIG. 21, n. 5) verso l’Italia a partire dall’età augustea. Il vino più conveniente, da acquistare in grandi quantità, divenne fra il I e il III secolo d.C. quello della Gallia (anfore Gauloise 4: FIG. 22, n. 15).
Fra i vini più ricercati vi erano quelli prodotti nelle isole egee: vini salati e passiti in modo particolare. Quasi a voler mantenere uno stretto legame con le tradizione passate, questi vini erano esportati in anfore che per la loro forma richiamano alla memoria alcuni dei contenitori greci di età ellenistica. Rodi e Cos, in particolare, ebbero anche nella prima età imperiale loro propri contenitori: l’anfora Camulodunum 184 (FIG. 22, n. 13) e l’anfora detta “di Cos” (FIG. 22, n. 12), ispirata allo stesso prototipo da cui era nata la Dressel 2/4 italica.
Nella tarda antichità vini vennero infine importati anche dall’Oriente (Palestina, Egitto).
2.1.2. Le merci: l’olio
I territori apuli esportarono olio nel II° – I° secolo a.C. utilizzando le anfore dette “di Brindisi” come contenitori. Ben presto, tuttavia, l’olio fu per la penisola un alimento da importare. Nel I secolo d.C. discrete quantità provenivano dalla Tripolitania (anfore Tripolitana I, II e III: FIG. 22, n. 14) . Contemporaneamente l’olio spagnolo arrivava dalla Betica nelle anfore Dressel 20 (FIG. 22, n. II) in quantità destinate ad aumentare nel II° secolo.
Nel corso del II giunsero in Italia anfore olearie tunisine: i loro indici quantitativi saliranno poi sensibilmente nei decenni centrali del secolo (anfora Africana I: FIG. 23, n. 18). Nella media e nella tarda età imperiale il fabbisogno di olio dell’Italia sarà ancora soddisfatto dalla Spagna, dalla Tripolitania e dalla Tunisia.