Il relitto di Baratti
L’amore per il vino: a proposito delle anfore vinarie ritrovate sul relitto
Per i Romani della tarda età repubblicana e dell’Impero, il vino era divenuto ormai un elemento fondamentale dell’alimentazione. Negli agglomerati urbani e nelle campagne le classi abbienti potevano permettersi il lusso di acquistare vini pregiati provenienti da ogni parte dell’Italia e della Grecia, che fino al 146 a.C., momento in cui divenne provincia romana, deteneva il primato per i vini di qualità. I soldati bevevano normalmente una bevanda chiamata posca, formata da una miscela di acqua e aceto, mentre gli schiavi che lavoravano nelle campagne utilizzavano in sostituzione del vino una bevanda chiamata lora, che si otteneva facendo filtrare acqua sui sedimenti rimasti dopo la spremitura. Si sa dagli autori che vi erano numerose qualità di vino.
Naturalmente i vini invecchiati, non quelli di annata, erano i più pregiati. A questo proposito è interessante notare come siano attestati alcuni casi di anfore, in cui le iscrizioni segnalano non solo la data della vendemmia ma anche quella in cui il vino era stato messo nell’anfora, dopo un periodo di invecchiamento, che poteva durare anche 5 anni.
Esisteva un preciso legame tra la gerarchia sociale e quella dei vini. Emblematico a questo riguardo è il caso, narrato da Plutarco, di Marco Antonio che, durante le persecuzioni effettuate da Mario, si era rifugiato a casa di un amico, coraggioso ma plebeo. Quest’ultimo, non rassegnandosi a fargli bere il vino d’annata – considerato troppo popolare per un personaggio di quel livello – nell’adoperarsi per procurare del buon vino, alla fine fa scoprire il rifugio di Marco Antonio .
Le anfore di terracotta, rivestite all’interno con uno strato di pece bollente, erano considerate di norma i contenitori più adatti al trasporto del vino ed impermeabili all’aria più delle botti di legno. Come chiusura erano provviste di un tappo di terracotta oppure di sughero, a volte rivestito di pozzolana. Le anfore rinvenute nel carico del relitto B o del Pozzino nel Golfo di Baratti appartengono al tipo IA della tipologia elaborata per questo tipo di contenitori da Dressel. Queste anfore sono oggi considerate in genere i primi contenitori da trasporto che possono essere definiti più propriamente romani.
Esse sostituiscono, infatti, tra il 145 e il 135 a.C. le anfore del tipo detto «greco-italico», che avevano dominato i mercati del Mediterraneo dalla fine del IV° sec. a.C. in poi. È probabile che questa sostituzione debba essere messa in relazione anche con le nuove esigenze di trasporto e di commercio, nonché con la diversa natura dei destinatari dei vini.
Il grande sviluppo delle esportazioni di vino italico, riscontrato fino dalla seconda metà del I sec. a.C., è stato infatti, messo in rapporto con le straordinarie possibilità offerte dal mercato della Gallia. Ricerche recenti sottolineano la necessità di approfondire anche gli aspetti metrologici (misure lineari, peso, capacità) di queste anfore, di fondamentale importanza per gli antichi nell’ adozione o meno di un determinato tipo .
La Dressel IA doveva rappresentare un contenitore pesante e molto robusto – che senza dubbio Plinio avrebbe classificato, lodandolo, sotto l’etichetta della firmitas contrapponendolo alla tenuitas – particolarmente adatto per affrontare non solo i viaggi marittimi, ma anche i più accidentati percorsi terrestri. I luoghi di produzione delle anfore Dressel I A sono stati individuati lungo tutta la costa tirrenica dell’ Italia centrale e forse anche in parte di quella meridionale.
Alla fine dell’Ottocento Dressel, studiando alcuni frammenti di anfore di questo tipo che recavano iscrizioni dipinte, riconobbe i nomi dei vini di Fondi, del Cecubo, del Falerno e probabilmente anche di quello di Formia e di Reggio, vini famosi menzionati anche nelle fonti antiche. Studi recenti hanno localizzato alcune delle produzioni di questo tipo di anfore anche nell’Etruria settentrionale, a Cosa e ad Albinia, oltre che in Campania, ad esempio, a Mondragone. Per il momento, in attesa di ricerche più approfondite e dei risultati delle analisi, è possibile in via di ipotesi attribuire – sulla scorta di un primo esame delle argille ed anche in considerazione degli stretti legami che univano Populonia alla Campania, e a Pozzuoli in particolare – alla Campania le anfore di questo tipo, rinvenute nel relitto del Pozzino .
Tra il materiale del carico della nave sono stati recuperati anche un ‘anfora intera e due frammenti di anse, con bolli impressi a rilievo, pertinenti ad un’anfora dello stesso tipo, sicuramente prodotte nell’ isola di Rodi, oltre ad alcune lagynoi ascrivibili anch’esse alla produzione rodia o più genericamente greco-orientale. Tra i vini greci i migliori erano, secondo la testimonianza di Plinio, quelli prodotti nelle isole di Chio, di Lesbo e di Taso, mentre quelli di Rodi e di Cos, pur costituendo qualità eccellenti, erano pur sempre considerati vini non ordinari.
Plinio nella sua Naturalis Historia, classificava i vini in tre categorie: vina generosa, vina generosa transmarina e vini salsi genera. Il vino di Rodi rientrava in quest’ultima categoria poiché, come sappiamo da alcuni autori antichi, esso veniva prodotto con un ‘ aggiunta di acqua di mare prima della fermentazione.