DARWINISMO E EVOLUZIONE
di
Silvio Nascimben
“L’evoluzionismo è solo un’ ipotesi e la fede non è contraria. Non deve essere letta, però, in chiave materialista”. Con questo messaggio di Karol Wojtyla, alla Pontificia Accademia delle Scienze, viene ufficializzato il “darwinismo” e con esso tutte le teorie evoluzionistiche che fino ad oggi erano bandite dalla Chiesa.
In verità, già nell ‘enciclica “Humani generis”, fu Pio XII ad affermare che il concetto di evoluzionismo era una “ipotesi seria” e non in contrasto con la fede cristiana, se non adottata come dottrina. Alla luce delle dichiarazioni di Giovanni Paolo II “che se ad originare il corpo umano è la materia vivente, e solo Dio può conferire all ‘ essere l’ anima spirituale”, di notevole interesse sono state le dichiarazioni di filosofi, scienziati, teologi e storici, concordi tutti, in buona sostanza, nel riconoscere lo storico ritardo con cui la Chiesa arriva, ancor oggi, ad ufficializzare le conquiste della scienza, nonostante l’eclatante scalpore che fece la riabilitazione di Galileo.
Ma cosa si intende per “darwinismo”?
Per darwinismo non deve intendersi il solo concetto di evoluzione della specie, concetto già enunciato nel Settecento e successivamente condiviso da J.B. Lamarck, nell’Ottocento, ma la spiegazione meccanicistica delle mutazioni spontanee, proposta da Darwin, e della loro ereditarietà. Sebbene l’interpretazione darwinista sia stata molto contrastata, all’epoca della sua enunciazione, è oggi riconosciuta dalla scienza ufficiale.
Nel gioco dell ‘evoluzione, la teoria darwinista nega l’ intervento di qualsiasi fattore “interno” ridu cendo l’immenso complesso delle mutazioni avvenute, nel corso dei millenni, ad un processo automatico di mutazioni, piuttosto complesso, che dà origine ad esseri viventi, in possesso di più adatti requisiti all’esistenza.
La teoria della adattabilità della sopravvivenza, secondo il principio evoluzionistico di Darwin, deve sostenere, però, l’impatto con strutture complicate che hanno creato non poche perplessità nei biologi. A causa della loro persistenza in varie specie viventi, essi sono stati costretti a considerare la presenza, nel processo evolutivo, di un principio “interno”. Un’altra considerazione, che ha messo in crisi la teoria “darwinistica”, è la “non adattabilità” all ‘ ambiente che spesso non è in stretto rapporto con la “mutazione” più favorevole alla sopravvivenza. E’ il caso, ad esempio, di alcune mutazioni avvenute in alcuni rettili: gli arti anteriori divenuti “ali”. Pur nell ‘ adempimento di un miglior adattamento ambientale, la loro mutazione non è certo avvenuta dall’oggi al domani, bensì nel corso di millenni e con trasformazioni frazionate, dirette nella stessa direzione, che si sono successivamente addizionate presentando un arto che da zampa era diventato ala. La teoria darwinistica, a questo punto, va a farsi benedire perché nell’ affermazione del principio della “più favorevole adattabilità all ‘ ambiente”, non riesce a spiegare lo “status quo” di un essere vivente, il rettile, durante i millenni necessari alla completa trasformazione.
Non disponendo di arti, ormai lontani dalla originaria identità e prossime “potenziali ali”, quindi imperfette e inservibili, come ha potuto, il mutante, superare le non poche difficoltà di sopravvivenza e di ridotta adattabilità all’ ambiente, per le sopravvenute mutazioni? Il verificarsi di questo particolare stato di inadattabilità, nell’uomo non avrebbe creato, come del resto è già avvenuto, situazioni al limite dell ‘estinzione per la sua innata predisposizione alla suddivisione dell’umanità, fin dalle origini, in classi sociali, selezionando gli intelligenti, i forti, coloro che erano più validi, e schiavizzando i più deboli, coloro che, non più utili, andavano eliminati per non intralciare il processo selettivo della specie.
Stessa considerazione, in contrasto col concetto di Darwin, è che per effetto delle mutazioni evolutive spesso il figlio non è più intelligente del padre, ovvero più forte e, quindi, più valido.
L’accettazione di questi principi, nonché la dimostrazione della impossibilità del passaggio della cellula vivente all ‘uomo, per sole mutazioni casuali, sia pure dopo milioni di anni, dimostrata dai matematici con il calcolo delle probabilità, comporterebbe una radicale rivoluzione della concezione della vita e della impossibilità della sua ricostruzione scientifica, mediante il processo meccanicista.
La unica e grande verità è che l’essere vivente vuole vivere ed è pronto, per la sopravvivenza, a sfruttare ogni occasione propizia pur di vivere al meglio, nel suo ambiente.
La verità, che nessuno potrà giammai confutare, è l’ansia che scaturisce dall’attaccamento alla sopravvivenza, propria degli esseri viventi e, oserei dire, dei non viventi a causa della natura originaria, come la forza di gravità. Molto significativa fu la risposta di Edison, a chi gli chiese cosa fosse l’ elettricità: “Non lo so, ma funziona”. Potremmo, a questo punto, concludere che scienza non è che “la scienza di utilizzare le cose, di cui si ignora la natura originaria, e farle funzionare”. L’Uomo, stanco ormai di favole e di quelle leggende, che ebbero origine in un periodo molto confuso dell’umano genere, allora immerso in un mare infinito di ignoranza e superstizione, sebbene siano servite a frenare la violenza e i ben noti istinti umani di sopraffazione e di egoismo, si ritrova alle soglie del 3° millennio con un bagaglio di irrisoluti interrogativi. Pur plaudendo alla ennesima tardiva “conciliante assoluzione” della Chiesa, nei confronti di coloro che in nome della “scienza” hanno sfidato i suoi dogmi, l’Uomo del nostro secolo, volgendo lo sguardo al cielo, continua a chiedersi: “Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?”•
Tutta la saggezza del mondo… si riduce alla fine a questo, insegnarci a non temere la morte… Chi insegnasse agli uomini a morire insegnerebbe loro anche a vivere.
Montaigne
Da “Pensieri che vibrano