FEDE E CONOSCENZA

FEDE E CONOSCENZA

G.L.R.I Rivista Massonica DE HOMINIS DIGNITATE XVIII
Nel libro delle Costituzioni della GRLI, a pagina
6, si legge: “La prima condizione per essere am-
messo all’Ordine è la credenza in un Essere Su-
premo”. Tale concetto ritorna in diversi passi del
rituale Emulation ed è enfatizzato laddove si dice
di riporre in Lui la propria fiducia.
Credere e fare affidamento in un Essere Su-
premo è ciò che comunemente si chiama fede. La
tavola di tracciamento di 1° grado ce lo ricorda ad
ogni tornata rituale con i simboli della scala di
Giacobbe e delle figure che su di essa si muovono
a rappresentare, per l’appunto, la fede e le sue
“compagne” speranza e carità.
L’Emulation, inoltre, richiama più volte la no-
stra attenzione sull’importanza dell’istruzione e
dello studio. L’apprendista appena iniziato riceve
lo strumento relativo all’istruzione (lo scalpello)
ed è invitato a servirsene, usando su di esso la
forza della volontà, rappresentata dal maglietto.
Il compagno di mestiere è sollecitato ad ap-
profondire i “misteri occulti” della natura. I liberi
muratori devono, secondo la propria inclinazione,
coltivare le “arti liberali”: queste danno gli stru-
menti immateriali con i quali ampliaree condivi-
dere la conoscenza.
Anche in ragione di questi richiami del rituale,
ho sempre pensato che fede e conoscenza debba-
no essere in certo qual modo collegate, almeno
dal punto di vista massonico. D’altronde, perché
mai il pensiero della creatura non dovrebbe avvi-
cinarla al suo Creatore? Perché accettare il pre-
giudizio, oggi diffusissimo, che il pensiero non
possa andare al di là dell’apparenza o del mero
fenomeno1? Che cosa, se non questo, tentavano di
fare i grandi pensatori del passato, coloro che
hanno posto le basi della nostra cultura edella
nostra civiltà, da Pitagora in avanti?
Certamente tale collegamento non è così evidente
nel mondo profano. Che Dio esista o no può sog-
gettivamente sembrare cosa di poco conto. La vi-
ta di un ateo può essere molto simile a quella di
un credente: entrambi nascono e muoiono, gioi-
scono e soffrono, possono aver fortuna o sfortu-
na.
Il mondo va come va tra una guerra e un ter-
remoto, una crisi economica e un disastro am-
bientale. Nessuna entità superiore sembra volerlo
dirigere, nessuna provvidenza sembra volersene
occupare. E poi la scienza è del tutto agnostica
(almeno finora) e la filosofia ha da tempo abban-
donato ogni tentativo di inoltrarsi nella metafisi-
ca della “cosa in sé” kantiana.
La fede sembra, al giorno d’oggi, completa-
mente scollegata dalla conoscenza della natura
(la “fisica”secondo Aristotele); essa è, piuttosto,
chiusa nell’ambito esclusivo della religione; se ne
può certamente discutere con un sacerdote, ma
non con uno scienziato. La filosofia, d’altronde,
sembra aver gettato la spugna rispetto
all’indagine sull’esistenza di Dio o di un’anima
immortale. Forse non a torto, considerato che il
pensiero filosofico ha raggiunto nel corso dei se-
coli risultati diversi e inconciliabili, esemplificati
in modo efficace dalle tre principali e tradizionali
tendenze del pensiero occidentale – materialismo,
scetticismo e idealismo – ognuna delle quali nega
convintamente le altre.
Tuttavia, fidando in quel collegamento, vorrei
proporre un tentativo di affrontare con spirito
massonico (cioè usando le arti liberali e lo studio
dei misteri occulti della natura e della scienza) le
questioni inerenti all’Essere Supremo, a costo di
andare controcorrente rispetto al mainstream
della mentalità odierna; anche perché quegli
strumenti sono in perfetta armonia con le radici
del pensiero occidentale.
Inizierò da quelle arti del quadrivio che meno
sono cambiate nelle loro basi e nel loro metodo
durante la loro storia ormai plurimillenaria:
l’aritmetica e la geometria, unitariamente intese
come matematica. Nei quattromila anni che ci se-
parano dai primi testi di matematica dell’antico
Egitto, come il papiro di Rhind2, c’è stato un note-
vole progresso in questo campo, tuttavia gli as-
siomi3 di base non sono per niente cambiati.
Erano e restano assunti non dimostrabili, ma
riconoscibili come evidentemente veri. Su di essi
c’è – e c’è stata – universale concordanza. Su tutto
Fede e Conoscenza
ovvero le nevi del Kilimangiaro
di Cesare Pirozzi
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il resto gli esseri umani sono in disaccordo ma su
questo no. La matematica è l’unica costruzione
mentale comune all’intera umanità indipenden-
temente dall’area geografica e dagli orientamenti
culturali, filosofici, religiosi o politici. Essa si è au-
tonomamente sviluppata in culture diverse e in
diverse parti del mondo, sempre arrivando a ri-
sultati identici4. Il suo linguaggio simbolico è uni-
versale, quasi fosse sopravvissuto alla confusione
della biblica torre di Babele. Sembra, per certi
versi, connaturata alla mente umana se non, addi-
rittura, alla neurofisiologia umana. O, forse, agli
archetipi di una mente universale o ad innate ca-
tegorie.
Io non so se si possa sviluppare una matemati-
ca diversa, ma non c’è nessun interesse a tentare
di farlo, poiché il linguaggio matematico del tipo
tradizionale si è dimostrato in grado di esprimere
perfettamente le leggi che governano i fenomeni
fisici. Con un’equazione possiamo conoscere la
traiettoria del proiettile di un cannone
(y=ax2+bx+c: la parabola cartesiana) oppure la
traiettoria di un oggetto che, lanciato dalla terra,
colpisca il piccolo nucleo di una cometa dopo un
viaggio nello spazio durato 12 anni (la sonda Ro-
setta dell’ESA); come pure il moto dei pianeti
(x2/a2+y2/b2=1: l’ellisse di Keplero), il rapporto
tra energia e materia (il famoso E=MC2 della rela-
tività) o la probabilità che un ago, cadendo su un
foglio a righe, ne colpisca una, posto che sia di
lunghezza pari all’intervallo tra le righe (tale pro-
babilità è funzione di π, un numero irrazionale
ma anche trascendente5). Vi è, in altre parole, una
corrispondenza tra gli astratti calcoli matematici
e gli eventi del mondo fisico a tutti i livelli: da
quelli più accessibili a quelli meno immediati co-
me la cosmologia e la meccanica quantistica.
Einstein ha dimostrato la duplice natura cor-
puscolare ed ondulatoria della luce, senza altro
mezzo che carta e matita e, ovviamente, con l’uso
del pensiero logico-matematico6. Con gli stessi
strumenti ha elaborato la teoria della relatività.
Le conferme sperimentali sono venute successi-
vamente7 ed hanno corroborato l’idea che
l’accoppiata mente umana/matematica possa
trovare le leggi che regolano i fenomeni della fisi-
ca, cioè della natura nella sua più ampia accezio-
ne: non possiamo, dunque, non pensare che la na-
tura e la mente umana usino il medesimo lin-
guaggio. È chiaro che il nostro pensiero procede
per successive approssimazioni – ad esempio, dal
modello di Keplero, a quello newtoniano, a quello
relativistico dell’universo – accostandosi sempre
più alla realtà delle cose. Esso individua le fun-
zioni matematiche che meglio esprimono la realtà
e, talvolta, anticipano quel che troverà conferma
nella concretezza della rilevazione o della speri-
mentazione scientifica in un secondo tempo.
La nostra mente, che ha creato (o, forse, sco-
perto) la matematica, dai “conti della serva” ai più
sofisticati teoremi, è per così dire in perfettibile
sintonia con l’universo. E l’universo si muove con
le stesse regole matematiche, cui noi progressi-
vamente ci accostiamo.
Un aspetto ancor più curioso della matematica
è che alcune sue espressioni, elaborate quasi per
gioco o per risolvere problemi speciosi – come la
serie di Fibonacci o il rapporto estremo e medio
di Euclide, più noto come rapporto aureo – si rive-
lano utili a risolvere problemi concreti dopo seco-
li o millenni dalla loro invenzione (o, forse, sco-
perta). Per esempio, Euclide non poteva sapere
che il disegno delle spirali galattiche è perfetta-
mente costruibile con la sua “proporzione estre-
ma e media”. Proporzione che, essendo espressa
da un numero irrazionale, non potrà mai essere
definita, perché la serie infinita dei suoi decimali
richiederebbe l’eternità per essere enumerata;
ma può, al contrario, essere trovata con il solo
uso di squadra e compasso, cioè con gli strumenti
più tipicamente “muratori”. Cartesio, dimostran-
do che quel tipo di spirale è “equiangolare8“, non
sapeva che il falco pellegrino disegna una perfetta
spirale di tale tipo quando piomba sulla preda,
perché così, mantenendo sempre lo stesso angolo
tra la sua direzione e la preda, non la perde mai di
vista9. Eulero non poteva immaginare che la sua
più famosa equazione sarebbe servita, più di due
secoli dopo, come modello matematico per la teo-
ria delle stringhe10.
Per tali motivi alcuni ritengono che il mondo
non potrebbe esistere, se una mente matematica
non lo avesse messo in opera. E che la matemati-
ca non sia propriamente un’invenzione
dell’uomo, ma la scoperta delle leggi che il Grande
Geometra ha imposto al creato. O ancora che la
matematica rappresenti il punto di contatto tra la
realtà sensibile e gli eterni archetipi di cui
quest’ultima è l’ipostasi o, per dirla con Platone,
l’ingannevole ombra.
È interessante, a questo proposito, la storia di
Srinivasa Aiyangar Ramanujan, un bramino tamil
vissuto tra il 19° e il 20° secolo. Questi divenne
così famoso per il suo genio matematico da essere
chiamato – giovanissimo – a insegnare al Trinity
College di Cambridge ed essere nominato mem-
bro della Royal Society, pur essendo soltanto un
autodidatta, privo di titoli accademici, provenien-
te dalla lontana India. Le sue intuizioni erano fol-
goranti e geniali e, spesso, la loro dimostrazione
veniva faticosamente ottenuta solo in un secondo
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tempo. Ma apparivano giuste da subito in ragione
della loro “bellezza matematica”11.
I suoi teoremi sono applicati oggi in aree diffi-
cilmente immaginabili quando era in vita. Ebbe-
ne, egli asseriva che la dea Namagiri, cui era de-
vota la sua famiglia, gli apparisse durante i riti e
gli mostrasse la soluzione scritta di complessi
problemi matematici. A lui non restava che leg-
gerli. «Un’equazione per me non ha senso, se non
rappresenta un pensiero della Dea» soleva dire12.
Prima di sorridere di queste sue affermazioni,
forse è bene comprenderne il senso profondo:
che vi è una facoltà intuitiva pronta ad agire
quando la nostra coscienza si collega alla più ele-
vata sfera dello spirito. Ramanujan lo otteneva
mediante il rito: il che è, a ben guardare, la fun-
zione propria ed essenziale del rito.
In sostanza la matematica, antica arte del qua-
drivio ed oggi base irrinunciabile del progresso
scientifico, ci porta a pensare che l’uomo non sia
soltanto ciò che mangia, ma appartenga anche ad
una dimensione superiore; rivela che l’intera u-
manità, indipendentemente dal tempo e dallo
spazio, condivide la stessa capacità intellettiva,
basata su comuni categorie; e suggerisce che sia
capace di parlare lo stesso linguaggio del Grande
Architetto dell’universo.
Ecco come lo studio delle arti liberali (la ma-
tematica, in questo caso) puòfarci avvicinare alla
“credenza di un Essere Supremo” e dell’anima
immortale. Ancor più interessanti nei confronti di
queste riflessioni sono i risultati della fisica mo-
derna e le ipotesi che ne derivano.
Negli ultimi anni, nella sua costante ricerca dei
costituenti fondamentali della materia,il progres-
so scientifico si è trovato di fronte a un parados-
so: che la materia non esiste come tale, ma è co-
stituita da elementi di natura evanescente, capaci
di comportarsi come onde di pura energia e di
avere comportamenti che annullano il tempo e lo
spazio, ma dipendono dalla presenza di un osser-
vatore13.
D’altronde, già dalla prima metà del secolo
scorso, il concetto tradizionale di materia era sta-
to messo in discussione da alcuni tra i più grandi
scienziati dell’epoca. Ecco alcune loro significati-
ve affermazioni:
“Gli stessi atomi o le particelle elementari
non sono reali. Essi formano un mondo di
potenzialità o possibilità, piuttosto che un
mondo di cose o di fatti”
Werner Heisenberg14
“Non esiste la materia come tale. Tutta la
materia ha origine ed esiste soltanto in virtù
di una forza. Dobbiamo presupporre dietro
questa forza l’esistenza di una mente conscia
ed intelligente. Questa mente è la matrice di
tutta la materia”
Max Planck15
Come si vede, i padri della fisica moderna era-
no perfettamente consci che l’apparenza fenome-
nologica della materia è molto diversa dalla sua
realtà essenziale, la quale è tutt’altro che materia-
le; ma anche che tale realtà è accessibile alla
scienza, cioè al pensiero umano.
Sembrerebbe che stia venendo meno la vec-
chia e tranquillizzante ipotesi materialista (da
Democrito in avanti) secondo la quale la materia
esiste di per sé ed è eterna. Come pure più mo-
derne ipotesi16, per le quali la conoscenza si ap-
plicaesclusivamente al fenomeno (ciò che cade
sotto la nostra osservazione per mezzo dei sensi
o degli strumenti), mentre il noumeno è per sua
(o, piuttosto, nostra) natura inconoscibile.
La scienza sta vieppiù superandoi suoi tradi-
zionali confini; partendo da una ricerca
nient’affatto filosofica ma ancorata al metodo
scientifico e sperimentale, sta progressivamente
andando oltre i limiti fenomenologici della realtà.
Essa, infatti, inizia ad avere conoscenze sulla cosa
in sé, addentrandosi – involontariamente – nel
campo della metafisica.
Proprio così, voglio ripeterlo a scanso di equi-
voci: negli ultimi decenni la fisica (sia con teorie
sostenute da una inappuntabile coerenza mate-
matica, sia con dati sperimentali) ci avvicina a
comprendere proprio l’essenza, la cosa in sé sot-
tostante ai fenomeni.
Già si sapeva che la materia non è, semplicemen-
te, fatta di atomi, cioè delle particelle materiali
indistruttibili ed eterne care a Democrito, padre
del materialismo. Si sapeva altresì che i classici
costituenti dell’atomo – protoni, neutroni ed elet-
troni – non sono ancora particelle elementari,
bensì a loro volta composte da quark, che non
hanno esistenza autonoma: esistono soltanto nel
contesto degli adroni17, non sono se non in quan-
to parti di un insieme.
Poi, una serie di esperimenti basati sul metodo
sperimentale della “doppia fenditura” ha dimo-
strato che i corpi materiali non sono per niente
diversidalle onde. Non soltanto i fotoni (bosoni
privi di massa, di cui è fatta la luce) possono
comportarsi sia come corpuscoli sia come onda,
come già dimostrato da Einstein; ma anche ogget-
ti più decisamente materiali, dotati di massa e vo-
lume noti – come gli elettroni18, i neutroni19 e ad-
dirittura intere complesse molecole (fullarene20,
porfirine e ftalocianine21) con massa fino a 1298
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AMU22- presentano la duplice natura di corpi e
di onde. I fisici si sono divertiti a coniare il termi-
ne “wavecles” (una buffa crasi tra waves e parti-
cles, che potremmo tradurre “onduscoli”) per in-
dicare questa diversa realtà così lontana dal sen-
so comune.
Come non bastasse, sembra proprio che questi
“onduscoli” possano scegliere se essere onda o
corpo materiale (sempre che “materiale” abbia
ancora un senso) in relazione alla presenza o
all’assenza di un osservatore. E che possano al-
tresì orientare la scelta di un “onduscolo” gemello
istantaneamente, qualunque sia la distanza che li
separa, come annullando il tempo e lo spazio. Ta-
le fenomeno di “entanglement” è stato più volte
inoppugnabilmente dimostrato con complessi e-
sperimenti non soltanto a livello subatomico23,
ma anche su corpi macroscopici, ben più grandi e
complessi24.
Inoltre, nella ricerca di una teoria unificante
tutte le diverse interazioni e forze della natura –
da quelle su scala cosmica, come la gravità e
l’elettromagnetismo, a quelle su scala subatomica
tipiche della meccanica quantistica – si è giunti a
ipotizzare che i costituenti ultimi della materia al-
tro non siano che vibrazioni, onde di energia non
materiali nel senso classico del termine: le cosid-
dette “stringhe”25.
In altre parole, i concetti di materia, spazio e
tempo hanno perso il loro significato tradizionale.
L’esperienza che ne abbiamo quotidianamente è
del tutto ingannevole, rispetto ad una soggiacente
e diversa realtà, ormai scientificamente provata
al di là di ogni dubbio.
La scienza, ricercando i “segreti occulti della
natura” con l’aiuto del rigore matematico, ha sco-
perto ciò che era teorizzato da alcune scuole filo-
sofiche: che la nostra vita ordinaria si svolge
nell’ingannevole rete dell’apparenza, e che questa
è ben diversa dalla vera realtà, che sfugge alla no-
stra diretta osservazione. Ma anche che
l’intelletto può vedere al di là dell’apparenza e
scoprire tale più vera essenza: il noumeno di Pla-
tone, la natura delle cose secondo la fortunata e-
spressione di Lucrezio, das Ding an sich secondo
la definizione di Kant.
“Credo che la fisica moderna ha definitamen-
te deciso in favore di Platone. Infatti, le più
piccole unità di materia non sono oggetti fi-
sici in senso ordinario; sono forme, idee che
possono essere espresse non ambiguamente
soltanto nel linguaggio matematico”:
ecco come un grande scienziato esprime il senso
filosofico delle moderne scoperte scientifiche26
Inoltre, si sta facendo strada un’ipotesi piutto-
sto sconcertante: che il modello teorico che me-
glio si adatta alle nuove prospettive sui costituen-
ti ultimi della materia (le “stringhe”) sia quello di
una simulazione, cioè di una realtà virtuale basa-
ta su un codice binario come lo 0/1 dei nostri
computer.
L’ipotesi, secondo alcuni studiosi, è l’unica
possibile sulla base delle conoscenze attuali: il
mondo, la natura, la vita altro non sarebbero che
un’immensa simulazione, un immenso program-
ma informatico di portata cosmica27.
Nasce da qui la necessità imprescindibile di
ipotizzare l’esistenza di un “Grande Informatico
dell’Universo”, cioè di qualcuno che abbia svilup-
pato la simulazione: perché si può pensare, con
Democrito, che la materia sia eterna, ma non che
un programma – oltretutto di indicibile comples-
sità – si faccia da sé. Che lo si chiami Grande Ar-
chitetto o Essere Supremo, la sua esistenza è di-
ventata inevitabile conseguenza di una teoria
scientifica, non di un costrutto filosofico né, tan-
tomeno, di una tradizione religiosa: vi è un punto
di vista rigorosamente scientifico che porta alla
necessità di un’intelligenza creatrice, che faccia
esistere l’universo, la materia, gli esseri viventi.
Corollario altrettanto importante è la presenza
di un testimone, senza il quale le possibilità non
si coagulano in realtà concreta. D’altronde, nes-
suna realtà virtuale esiste senza i due elementi:
chi l’ha creata e chi ne fruisce. Come possiamo
constatare nella nostra esperienza quotidiana,
nessuna realtà virtuale esiste senza un suo “svi-
luppatore” né senza un suo utilizzatore, come
nessun videogioco si fa da solo né si gioca da solo.
In sostanza, dalla ricerca di una teoria che uni-
fichi tutte le forze che agiscono in natura e spie-
ghi come funziona la materia, siamo arrivati ad
ipotizzare l’esistenza dell’Essere Supremo non
più per fede, ma per la necessità logico-
matematica di un modello scientifico che, al mo-
mento, sembra essere assai convincente. Cioè a
partire dallo studio dei “misteri occulti della na-
tura” (la fisica delle particelle subatomiche) con
gli strumenti delle arti del quadrivio (la matema-
tica).
Come corollario della “simulation hypothe-
sis28” (così è denominato il modello teorico su e-
sposto), emerge una concezione molto interes-
sante dell’uomo e del suo ruolo. Infatti, coloro che
prendono parte ad un gioco di simulazione lo
modificano ad ogni mossa: sebbene il campo di
gioco sia – in qualche misura – predeterminato,
esso si modifica continuamente per effetto del
comportamento dei giocatori. Al giocatore com-
pete comunque un ampio margine di libertà di
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movimento tra le molteplici alternative che il gio-
co propone ed alle quali corrisponde l’aprirsi di
scenari alternativi. Si deve concludere, quindi,
che vi sia una costante (e determinante) intera-
zione tra tutti partecipanti al gioco tra di loro e
con la realtà virtuale che va sotto il nome di mon-
do, vita, fenomeno o come altro lo si voglia chia-
mare.
Ecco come le arti del “quadrivio” e la scienza
moderna forniscono indizi ed ipotesi favorevoli a
quella “credenza nell’Essere Supremo” di cui par-
la il rituale e, in più, un’interessante ipotesi sul
ruolo dell’uomo nel creato: è la sua presenza di
osservatore che determina l’apparenza del mon-
do fisico; è la sua interazione col mondo che ne
determina l’evoluzione.
Tuttavia, il riconoscimento concettuale
dell’esistenza dell’Essere Supremo non equivale
alla fede. Questa è credenza più affidamento, vo-
lendo usare la terminologia “emulation”. Ha, per
così dire, una connotazione esistenziale. È per
questo che molte persone, sebbene l’esistenza di
Dio possa apparire come un’ipotesi probabile dal
punto di vista scientifico, preferiscono credere
all’improbabile. Il motivo di tale contraddizione
non ha nulla di assurdo, è anzi ben comprensibile.
Cercherò di spiegarmi con alcune metafore.
In linea di principio, il nostro io cosciente può
essere paragonato allo spot di luce che inquadra
un attore sul palcoscenico.
Non è un paragone peregrino, perché lo stesso
termine “persona” ha a che vedere con il teatro;
deriva, infatti, dalla maschera che gli attori del te-
atro romano indossavano per caratterizzare il lo-
ro “personaggio”: dal latino per-sonare (parlare
attraverso) o dall’etrusco persu (personaggio
mascherato)29. Secondo il senso etimologico del
termine, la mia “persona” altro non è che la mia
maschera, cioè il mio ruolo nella scena della vita:
il personaggio che incarno – provvisoriamente –
vivendo.
Attorno a quel cerchio di luce più intensa, si
diceva, c’è un buio che gli occhi dell’attorenon
riescono a penetrare. Ma, in realtà, al di fuori del
cerchio c’è tutto il resto del mondo. Più di un se-
colo di studi nell’ambito della psicologia e della
neurofisiologia hanno dimostrato che la mente
umana ordinaria conosce solo una parte esigua di
sé stessa. Tutto il resto, che chiamiamo inconscio,
è invisibile ma del tutto reale e si manifesta ir-
rompendo nel più piccolo cerchio di luce della co-
scienza sotto forma di sogno, lapsus, nevrosi, os-
sessione, allucinazione; ma anche come intuizio-
ne, idea improvvisa, ispirazione, creatività.
L’inconscio non è solo sub-conscio, costituito
cioè da elementi inferiori, dimenticati e rimossi.
È, piuttosto, un insieme profondo e vasto, che
circonda la nostra mente conscia da ogni parte,
come il “buio” attorno al riflettore d’un teatro.
Come non siamo consapevoli del nostro inconscio
“freudiano”, così pure non siamo consapevoli del-
la nostra anima: il contatto si è perso con la nasci-
ta o, forse, con il consolidarsi della ragione.
Non stupisce, dunque, che chi non ha mai avu-
to esperienza al di fuori del ristretto spot di lu-
cein cui vive (la consapevolezza ordinaria) non
riesca ad accettare quella realtà che i suoi occhi
non vedono e considera irreali le esperienze di
chi, invece, è riuscito ad andare oltre.
Nel 1848, Johannes Rebmann fu il primo euro-
peo ad osservare che il monte Kilimangiaro,
nell’Africa equatoriale, era ammantato di neve.
Nessuno gli credette, soprattutto tra i geografi
e nell’ambiente accademico; anzi, lo dileggiarono
e lo umiliarono. Tutti sapevano perfettamente
che all’equatore fa caldo e non può esserci la ne-
ve. Ci vollero 14 anni ed ulteriori esplorazioni
perché una verità così banale ed empiricamente
evidente venisse finalmente accettata.
Il pregiudizio è forte e, in fondo, gli increduli si
sentono sicuri di sé, dalla parte del buon senso e
della buona fede.
Ma le terre sconosciute non esistono soltanto
materialmente, nel nostro o in altri pianeti. Per
certi versi, anche l’uomo è una terra incognita.
Chi siamo, qual è la nostra origine, perché siamo
quel che siamo: queste ed altre domande hanno
così tante risposte diverse, che non possiamo non
ammettere la nostra ignoranza. È abissale il diva-
rio tra chi sostiene che siamo quel che mangiamo,
frutti mal cresciuti di un’evoluzione basata sul ca-
so e sulla selezione naturale (che, poi, è come dire
sulla crudeltà e sulla sopraffazione) e chi sostiene
che abbiamo un’anima immortale e che la nostra
evoluzione è frutto di un disegno divino. In fondo,
tutto ciò assomiglia al vecchio dibattito sulle nevi
del Kilimangiaro: chi le ha viste giura che esisto-
no, gli altri sostengono che è impossibile. Solo che
la discussione sulla natura umana dura da mil-
lenni e non è destinata a finire presto, per quanto
ne sappiamo.
Voglio dire che la fede non può, alla fine, na-
scere dalla sola ragione, sebbene questa possa
indicarci una strada. Nasce, in ultima analisi,
dall’aver avuto un contatto, anche se fuggevole,
con la propria realtà spirituale: dall’aver visto,
almeno da lontano, le metaforiche nevi equatoria-
li. Anche questo richiede una ricerca, che è simbo-
licamente rappresentata nel rituale Emulation
dall’elevazione a maestro muratore. Quella morte
simbolica esprime, a mio modo di vedere, il con-
tatto con la realtà oltremondana dello spirito.
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Quel simbolico rinascere con l’aiuto dei fratelli
rappresenta la nuova consapevolezza della pro-
pria essenza spirituale che il rito aiuta a ritrovare,
un po’ come un rito aiutava Ramanujan a prende-
re contatto con l’intelligenza superiore intuiti-
va.Tale consapevolezza è il risultato della via ini-
ziatica, ma non certo la sua conclusione; è, anzi,
l’inizio di una vita nova sempre in attesa di ulte-
riore perfezionamento.
Vi è, dunque, una complessa via massonica che
può guidare – o, per lo meno, indurre – l’adepto ad
una più profonda ricerca del sacro, qualunque sia
la sua confessione religiosa. Non vi è, in questo,
alcun sincretismo né alcuna pretesa di privilegia-
re alcuna delle diverse vie religiose. Si tratta, in-
fatti, di un invito ad usare il pensiero, sia come ri-
flessione personale che come approfondimento
scientifico e culturale;e a scoprire nel profondo
del cuore quella scintilla spirituale che il continuo
lavorìo della mente, costantemente attratta e in-
vasa da mille diversi pensieri e necessità, tende a
rendere invisibile e dimenticata.
E’ questa la conoscenza di sé promessa dagli
antichi riti misterici e solennemente dichiarata
nel “Γνώθι σαυτόν”, scritto sul frontone del tem-
pio di Apollo a Delfi.
Ma un quarto elemento sta a fondamento di
questa “via massonca”, ed è costituito dall’etica.
Senza un comportamento morale è assai diffi-
cile che ci si possa accostare ad una personale e-
sperienza spirituale o che, comunque, si possa
volgere verso l’alto lo sguardo dell’intelletto. È,
questa, quasi una legge di natura ed è la necessa-
ria premessa a tutte le vie iniziatiche o spirituali,
in tutte le culture. D’altronde, se la massoneria è
una via per uomini liberi, nessuno è più schiavo
di chi sia succube di inclinazioni immorali, di ten-
denze inferiori ed egotiche.
In questa prospettiva, l’etica non è soltanto il
fondamento necessario della vita sociale e civile,
ma diventa la premessa necessaria a qualunque
esperienza di gnosi.
Essa acquista, inoltre, cruciale importanza in
una “simulation hypothesis”, dove la vita sembra
essere la risultante dell’interazione tra lo “svilup-
patore” (il Creatore) e i “giocatori” (le creature).
In virtù di tale interazione, diventa ancor più evi-
dente come le azioni ed i comportamenti umani
siano centrali e determinanti per la realtà in cui
viviamo.
1In filosofia, ciò che appare, che è conoscibile attraver-
so i sensi, e che può non corrispondere alla realtà og-
gettiva
(http://www.treccani.it/vocabolario/fenomeno/)
2è il più esteso papiro egizio di argomento matematico
giunto fino a noi. Contiene tabelle di frazioni e 84 pro-
blemi aritmetici, algebrici e geometrici con le relative
soluzioni. (Carl B. Boyer, Storia della matematica, O-
scar Saggi Mondadori, 1990)
3verità o principio che si ammette senza discussione,
evidente di per
sé(http://www.treccani.it/vocabolario/assioma/)
4J. Mazur: Storia dei simboli matematici. Il potere dei
numeri da Babilonia a Leibniz, Il Saggiatore, 2015
5numero reale o complesso che non è soluzione di al-
cuna equazione algebrica irriducibile a coefficienti in-
teri (http://www.treccani.it/enciclopedia/numero-
trascendente_%28Enciclopedia-della-
Matematica%29/)
6La scoperta gli valse il Premio Nobel nel 1905; fu ot-
tenuta “a tavolino”, senza il supporto di un laboratorio
sperimentale
7La prima “prova provata” della relatività generale fu
l’osservazione della deflessione della luce attorno al
sole, avvenuta tre anni dopo la pubblicazione di quella
teoria(F. W. Dyson, Eddington, A. S., Davidson C., A de-
termination of the deflection of light by the Sun’s gra-
vitational field, from observations made at the total e-
clipse of 29 May 1919, in Philos. Trans. Royal Soc.
London, 220A, 1920, pp. 291–333)
8Una spirale logaritmica, spirale equiangolare o spirale
di crescita è stata descritta la prima volta da Descartes.
In natura si trova nei bracci delle galassie, nei bracci
dei cicloni, nella forma delle conchiglie nautilus, nella
fillotassi.(da
https://it.wikipedia.org/wiki/Spirale_logaritmica)
9I falchi si avvicinano alla loro preda secondo una spi-
rale logaritmica: il loro angolo di vista migliore forma
un certo angolo con la loro direzione di volo, e questo
angolo è l’inclinazione della spirale. M. Livio, La sezio-
ne aurea, BUR 2002
10Particelle, stringhe e altro di Warren Siegel, Di Renzo
Editore (2008)
11«Perché i numeri sono belli? È come chiedere perché
la Nona Sinfonia di Beethoven sia bella. Se tu non capi-
sci il perché, non te lo può dire qualcun altro»(K. De-
vlin: Do Mathematicians Have Different Brains? in The
Math Gene: How Mathematical Thinking Evolved And
Why Numbers Are Like Gossip, Basic Books 2000)
12RobertKanigel, The Man Who Knew Infinity: A Life of
the Genius Ramanujan. Washington Square Press,
1991
13L. M. Lederman, C. T. Hill: Fisica quantistica per poe-
ti, Bollati Boringhieri, 2013
14Heisenberg, 1994, citato in: Effetto Heisenberg: la ri-
voluzione scientifica che ha cambiato la storia
a cura di Anna Ludovico. 2001, Armando Editore
15Citazione da un discorso tenuto da Max Planck a Fi-
renze nel 1944, dal titolo “Das Wesen der Materie”.
Fonte: Archiv zur Geschichte der Max-Planck-
Gesellshaft, Abt. Va, Rep. II Planck, N. 1797.
16Carlo Sini, La Fenomenologia. Garzanti, 1965
17http://www.treccani.it/enciclopedia/quark/
G.L.R.I Rivista Massonica DE HOMINIS DIGNITATE XVIII Pagina | 64
18“L’esperimento più bello di sempre” (The double-slit
experiment, in Physics World, 1º settembre 2002)
19H. Rauch, W. Treimer, U. Bonse, Test of a single
crystal neutron interferometer, in Physics Letters A,
vol. 47, nº 5, 22 aprile 1974
20A. Zeilinger, M. Arndt, L. Hackermüller, S. Uttentha-
ler, K. Hornberger, E. Reiger, B. Brezger, Wave Nature
of Biomolecules and Fluorofullerenes, in Physical Re-
view Letters, vol. 91, nº 9, 28 agosto 2003
21AA.VV., Real-time single-molecule imaging of
quantum interference, «Nature Nanotechnology», 7,
2012, pp. 297-300
22unità di massa atomica unificata (amu, dall’inglese
atomic mass unit), detta anche dalton (Da), pari a 1/12
della massa dell’atomo di carbonio
(https://it.wikipedia.org/wiki/Unit%C3%A0_di_mass
a_atomica)
23Aczel Amir D., Entanglement. Il più grande mistero
della fisica, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2004.
24 K. C. Lee, M. R. Sprague, B. J. Sussman et al.: Entan-
gling Macroscopic Diamonds at Room Temperature.
Science 02 Dec
2011, pp. 1253-1256
25 “String Theory”, J. Polchinski, Cambridge University
Press (1998).
26Werner Heisenberg: Das Naturgesetz und die Stru-
ktur der Materie, 1967
27Bostrom, Nick (2003). “Are You Living in a Computer
Simulation?”. Philosophical Quarterly. 53 (211): 243–
255.
28Illustrata in modo rigoroso e convincente
nell’omonimo documentario visibile su:

29http://www.treccani.it/vocabolario/ricerca/person

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