Gli Apocrifi di Tommaso
Se c’è un testo, tra quelli scoperti nella biblioteca gnostica di Nag Hammadi che ha rimesso in discussione tutto il sistema esegetico del Nuovo Testamento quello è, senza alcun dubbio il Vangelo di Tommaso che sembra corrispondere alla ipotetica
fonte palestinese Quelle di almeno tre dei quattro Sinottici.
1 Tuttavia, benché l’assenza della narrazione della Passione e Resurrezione, oltre che una consistente documentazione, lo collochino tra i testi più utilizzati nel Manicheismo, esso presenta solo vaghe esposizioni della dottrina gnostica (astinenza sessuale, rifiuto dei beni materiali, vegetarismo etc.) tanto che molti studiosi, pur ammettendone la diffusione in quella sede, ne individuano le origini nell’encratismo
protocristiano e lo considerano un generico prototipo della corrente religiosa evangelica raccolta da Taziano il Siro nel Diatessaron.2
Altro discorso è invece per gli Atti di Tommaso, opera conosciuta fin dall’antichità e giuntaci in parecchi codici siriaci e greci, ma probabilmente redatta ad Ed essa agli inizi del III secolo. Divisi in tredici capitoli e chiusi da un inno da cantare a voci alterne3
espongono il viaggio dell’Apostolo nelle Indie, gli
episodi inerenti alla evangelizzazione di quei popoli
e il suo martirio. Nel racconto, le cui scene sono
collegate con conseguenzialità narrativa, si alternano
lunghi brani omiletici in cui Tommaso espone la sua
dottrina basata su riferimenti biblici ed evangelici, ma
soprattutto sul dualismo encratitico tra spirito (bene)
1 Composto certamente sul modello dei Logoi, tra il 90 e il
130 d. C.) come dimostra il confronto del testo siriano con i
frammenti greci ritrovati ad Ossirinco, precede per datazione
la stesura dei Sinottici. Cfr. Nicholas Perrin, Tommaso,
l’altro vangelo, Queriniana, Brescia 2008. Per la cosiddetta
fonte Quelle sulla quale sarebbero stati elaborati i Vangeli
si veda: Santiago Guijarro, I detti di Gesù, Carocci, Roma
2016.
2 Cfr. Nicholas Perrin, Tommaso, l’altro vangelo, op. cit.
Sull’argomento si veda anche: Eliana Stori, Vangelo di
Tommaso e Diatessaron : traiettorie parallele. Il Diatessaron
e i problemi della ricerca, in Adamantius (Annuario di
Letteratura Cristiana Antica e di Studi Giudeoellenistici) n.
18, Morcelliana, Brescia 2012.
3 Ad un versetto aperto da “Lode al Padre” segue sempre
uno che inizia con “Gloria al Figlio”. Per gli Atti di Tommaso
si veda: Luigi Moraldi, Apocrifi del Nuovo Testamento,
vol. II, op. cit.
e materia (male), sulla astinenza sessuale e sul rifiuto
del matrimonio, sulle nozze mistiche dell’anima con
Dio (il simbolismo figurato della camera nuziale), ed
infine sul disprezzo dei beni terreni.4
Curioso, ma attinente al gusto fantastico della letteratura
medio-orientale è il modo con cui l’Apostolo si
ritrova missionario in India, terra verso la quale non
si sentiva portato: “Non ho forza sufficiente; sono debole.
Inoltre io sono Ebreo e come posso istruire gli
Indiani?”5
Ad inviarcelo, con uno stratagemma, è Gesù stesso
(con il quale Tommaso ha un rapporto esclusivo poiché
ne è il “gemello – δίδυμος”, tanto da essere spesso
scambiato nell’apparenza fisica con Lui) che, profittando
dell’arrivo in Siria (la regione meridionale negli
Atti) di un mercante indiano che cerca un abile
costruttore, glie lo vende come schiavo.6
***
L’inno della Perla
All’interno degli Atti e precisamente al capitolo IX,
tra i versetti 108 e 114, è inserito l’Inno della Perla o
Canto dell’apostolo Giuda Tommaso nella terra degli
Indiani, componimento lirico in 105 strofe che narra,
con un linguaggio simbolico e figurato, l’avventura di
un giovane principe che, giunge dall’Oriente in Egitto
per trovare una preziosa perla, sepolta in fondo al
mare, da riportare al re suo padre, al fine di condivi-
4 Riguardo gli Encratiti (continenti) si veda: Ugo Bianchi
(a cura di), La Tradizione dell’enkrateia: motivazioni ontologiche
e protologiche (Atti del Colloquio Internazionale,
Università cattolica del Sacro Cuore, Milano, 20-23 aprile
1982), edizioni dell’Ateneo, Roma 1981.
5 Atti di Tommaso, I,1, op. cit.
6 “Nostro Signore lo vide camminare per la strada e gli
domandò: ‘Vuoi tu acquistare un costruttore?’ Quello gli
rispose: ‘Sì’. Nostro Signore gli disse: ‘Ho uno schiavo
che è costruttore. Te lo vendo!’. Gli mostrò Tomaso, che si
trovava alquanto distante, si accordò con lui sul prezzo di
venti pezzi d’argento e scrisse l’atto di vendita, così: ‘Io,
Gesù, figlio del falegname Giuseppe, del paese di Betlemme,
in Giudea, certifico di aver venduto il mio schiavo
Giuda Tomaso a Habban, commerciante del re Gudnafar’.
Terminato l’atto di vendita, Gesù prese Giuda e lo condusse
al commerciante Habban. Appena lo vide, Habban gli
domandò: ‘Costui è il tuo padrone?’. Giuda gli rispose:
‘Sì, è il mio padrone’. Allora il commerciante Habban gli
disse: ‘Egli ti ha venduto a me completamente’. E Giuda se
ne restò zitto” Atti di Tommaso, I,2, op. cit. .
L’inno della Perla
o l’esoterismo iniziatico della ricerca del sé
di Maria Concetta Nicolai
19
Inno della Perla
dere con lui il regno. Molti studiosi, tra cui Mircea
Eliade, basandosi sul lirismo descrittivo della composizione,
avanzano l’ipotesi che esso sia un testo gnostico
precristiano di origine iranica, riutilizzato negli
Atti in un secondo tempo.7
Al riguardo però è appena il caso di far notare che
anche altri brani dell’apocrifo sono intrisi di vena eligiaca
come l’accorato discorso che il principe Carisio
rivolge alla sua sposa Migdonia che, convertita da
Tommaso, ha deciso di vivere castamente e rifiutare
i rapporti sessuali inerenti il matrimonio, e che qui si
riporta a modo di esempio: “Ti prego, Migdonia, la
tua vista non torturi più la mia anima, non affliggere
oltre il mio cuore con l’affanno per te. Io sono Carisio,
lo sposo della tua giovinezza, sono il tuo vero
sposo, onorato e temuto da tutto il paese. (…) In cuor
mio ricorderò la tua bellezza e tacerò. Dovrò pensare
alla tua casta condotta e non dire nulla? E chi è colui
che si lascia privare di un così divino ed eccellente
tesoro? Posso forse sopportare la perdita delle tue
amabili bellezze, che furono sempre con me? La tua
dolce fragranza è tuttora nelle mie narici, il tuo bel
colorito è tuttora davanti ai miei occhi! Anima mia,
che mi vogliono sottrarre! Mio occhio splendente con
il quale io vedo, che mi vogliono cavare e portare via!
Mio corpo gentile, di cui ero fiero, che essi maltrattano
e vogliono portarmi via! Mio braccio destro, che
vogliono amputarmi! Mia bellezza che viene distrutta!
Mio conforto, con il quale essi mi tormentano!
Mia gioia che viene mutata in tristezza! Mia pace,
che mi è diventata afflizione! Mia vita, che si è mutata
in morte! Mia luce che si è tinta di tenebre! (…) Oh,
se qualcuno mi privasse di tutte queste mie glorie e
delle mie ricchezze, purché mi desse un’ora dei tuoi
anni passati Migdonia! Oh, se qualcuno mi accecasse
un occhio, purché i tuoi occhi si posassero su di
me come una volta! Oh, se qualcuno mi amputasse il
braccio destro, purché io ti potessi abbracciare con il
sinistro! (…) Figlia mia, mia diletta Migdonia, ricorda
che tu mi piacesti più di tutte le donne dell’India,
ch’io ti scelsi quando avrei potuto prenderne tante
altre di classe più elevata della tua. Veramente, non
mento, Migdonia, no! Per me in tutta l’India non c’è
una donna come te. Quale bellezza e quale ornamento,
quale eleganza e quali nobili qualità io perdo!”8
***
A favore della tesi che l’Inno della perla sia un te-
7 Mircea Eliade ne ipotizza l’origine iranica, durante
l’impero partico e pertanto ne fissa la composizione intorno
al 225 d. C. nella lingua locale che proprio in quegli anni
assumeva un carattere letterario. Cfr. Mircea Eliade, Mito e
realtà, ed. Borla, Torino, 1993
8 Atti di Tommaso, X, 113-114, op. cit.
sto precedente, riutilizzato in questo contesto, gioca
anche il fatto che esso è collegato al racconto solo
da due brevi frasi esplicative poste all’inizio ed alla
fine, e che non contenga nessun accenno al Cristianesimo.
9 Per il resto riassume tutti caratteri principali
9 L’inno che è introdotto dalla frase: “Tutti quelli che
erano in prigione, vedendolo pregare, lo supplicarono
di pregare anche per essi. Dopo aver pregato,
Giuda, si sedette e prese a cantare quest’inno”
(IX,108) e chiuso da “L’inno dell’apostolo Giuda
Tomaso, pronunciato quand’era in prigione, è terminato”.
20
athanor
del simbolismo gnostico a cominciare dal viaggio che
il giovane principe intraprende partendo “dall’Oriente,
nostra casa” dove vive “lieto della ricchezza e del
fasto dei genitori”. Suo padre lo equipaggia di tutto
quello che può occorrergli durante il cammino, un fardello
prezioso ma adeguato alle sue forze.10 Si tratta,
fa notare Hans Jonas, delle qualità pneumatiche che
lo collegano all’Uomo primordiale (Nous) al quale lo
accomuna anche la veste e il prezioso mantello di porpora
che ha momentaneamente dismesso. La meta da
raggiungere è l’Egitto, terra, nell’immaginario ebraico
e persiano, dedita al culto dei morti, alla magia e pertanto
simbolo di mondo materiale e di ignoranza.11
La stessa metafora negativa hanno il serpente e il mare,
il primo rappresentazione del tempo (kronos) connesso
alla materia, il secondo visto come luogo oscuro e
privo di luce. Il dragone che si morde la coda “rettile
figlio di un rettile, danneggiatore figlio di un danneg-
10 “Oro di Beth-Ellaye e argento della grande Gazak/
rubini d’India e agate di Beth-Cashan,/ mi provvidero di
diamante che può frantumare il ferro”. (Inno della Perla,
6-7-8)
11 “Tutti gli ignoranti sono Egiziani’, proverbio gnostico,
citato da Ippolito di Roma, Philosophumena, V, 16, 5.
giatore. Sono figlio di colui al quale è stato dato il
potere su tutte le creature, che egli tormenta” aveva
già fatto la sua apparizione negli Atti, scontrandosi
con Tommaso che lo soggioga e lo obbliga a restituire
la vita ad un giovane vittima del suo veleno.12
Il mare delle acque nere, in questo caso è il Mar Rosso
che “rappresenta il mondo multiforme della generazione
mortale nel quale è affondato il dio uomo e dalla
cui profondità egli invoca il Dio supremo, l’Uomo Primordiale,
il suo modello originale non caduto”.13
Giunto in Egitto, terra “in comunione con l’impuro” il
giovane, nonostante le precauzioni adottate, indossa le
loro vesti, beve il loro vino e cade nel torpore, nel sonno
e l’ebrezza, dimenticando lo scopo per cui è giunto
fin là. Il passo esprime alcuni principi fondamentali
della gnósi: innanzi tutto la condizione di straniero
(ma in un modo o in un altro essi si accorsero ch’io
non ero un loro compatriota) e la mimesi che il giovane
subisce indossando un abito che non è suo (indossai
le loro vesti affinché non mi avessero in avversione),
quindi l’alienazione del proprio sé ottenebrato
dalla dimenticanza (Io dimenticai che ero figlio di re)
e dal cambiamento di status (e fui al servizio del loro
re). Il richiamo di fondo è però “la necessità sacrificale
imposta al salvatore di rivestirsi dell’afflizione dei
mondi per esautorare i poteri del mondo, cioè come
parte del meccanismo stesso della salvezza”.14
Il giovane Principe, che ha iniziato il suo viaggio nella
parte attiva di salvatore della perla, a questo punto
si trova nella condizione passiva di essere salvato. Il
Salvator salvandus, proprio della visione docetista,
straniero ed esiliato nel mondo, in cui rischia di dimenticare
persino la sua anima, è salvato dalla Lettera,
variante del Messaggero e della “chiamata dal
di fuori”, temi tra i più diffusi nella letteratura e nella
liturgia gnostica.15
La scena è immersa in una dimensione solenne: “Nel
12 Atti di Tommaso, III, 30-33.
13 Ippolito di Roma, Philosophumena, V, 8, 15. op. cit.
14 Hans Jonas, Lo gnosticismo, op. cit.
15 A titolo di esempio si riporta un passo delle Odi di
Salomone, apocrifo gnostico giudaico vetero testamentario
del II secolo, giuntoci in siriaco: “Il suo pensiero divenne
come lettera;/ il suo volere scese dall’alto. / Esso fu inviato
come freccia dall’arco, / scoccata con vigore./ Molte mani
verso la lettera si affrettarono, / per afferrarla, prendere e
leggerla./ Ma essa fuggì via dalle loro dita/ e furon di essa
intimoriti e del sigillo su essa, / poiché non avevano nessun
potere di sciogliere il suo sigillo. /La forza sul sigillo era
a loro superiore. /Dietro la lettera però andarono quelli
che l’avevan veduta, / per sapere dove si sarebbe posata, /
chi l’avrebbe letta o chi l’avrebbe ascoltata”. (Ode XXIII,
6 -109. Cfr. Paolo Sacchi, Apocrifi dell’Antico Testamento,
Utet, Torino 2013.
21
Inno della Perla
nostro regno fu fatto un proclama affinché tutti venissero
alla nostra porta/ re e prìncipi dei Parti e tutti
i dignitari dell’Oriente”. Viene redatto un piano di
intervento, sottoscritto da tutti i dignitari presenti, e
l’incipit del messaggio ha un tono ufficiale: “Da tuo
padre, re dei re, e da tua madre, signora dell’Oriente,/
da tuo fratello, nostro secondo, a te nostro figlio, che
sei in Egitto, salute!” per poi toccare, via via, altre
sfumature, dall’esortazione perentoria “Su, alzati, dal
tuo sonno e ascolta le parole della nostra lettera!”
all’ammonimento “Ricordati che sei figlio di re! Considera
la schiavitù a cui sei sottoposto!”, alla esplicitazione
dell’autorità “Questa è una lettera che il re ha
sigillato con la sua destra/ per custodirla dai malvagi,
dai figli di Babel, e dai selvaggi demoni di Sarbug”,
fino alla affettuosa blandizie “Pensa alla tua veste e
ricordati dell tuo magnifico mantello/ che porterai e
che ti adornerà. Il tuo nome fu letto nella lista degli
eroi/ e con tuo fratello, nostro viceré tu sarai nel nostro
regno!”.
La lettera – messaggero, che assume le sembianze di
un’aquila e pronuncia il suo discorso, diviene il perno
su cui gira tutto l’Inno. Con il nome di suo padre,
di suo fratello e di sua madre, di cui essa è latrice,
il giovane principe addormenta il serpente nero e si
riprende la perla nascosta negli abissi marini. Il dualismo
che oppone la “luce che conosce” alla “tenebra
che non sa”, altrove descritto in un immenso scontro
cosmico di alterne vittorie, qui è sinteizzato in pochi
cenni determinanti (sonno mortale inflitto al nemico
e il gesto della mano che si riappropria di quello che
gli appartiene), a riprova che l’inno intende cantare
il simbolismo del Messaggero, nella doppia figura di
lettera, testimone dell’autorità paterna, e del principe,
inviato dall’Oriente a recuperare il tesoro della perla
in fondo al mare, sulla cui riva, però, si è seduto da
straniero dimentico.16
Anche alla perla l’inno dedica solo poche ed essenziali
parole poiché nel sistema gnostico essa è la metafora
condivisa dell’anima soprannaturale. In questa
concezione rilegge l’imperativo evangelico “Non
date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle
davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro
zampe e poi si voltino per sbranarvi”.17
La perla, ossia la scintilla della conoscenza sepolta
nell’oscurità materiale dell’ignoranza, custodita
in questa prigione dal Uroboro del tempo, rivela
16 Il passo del recupero della perla, quasi fosse un dato del
tutto naturale e scontato, una volta che la lettera ha ricordato
al giovane le parole di suo padre e la sua identità, è
ridotto ad un unico gesto espresso con due parole: “afferrai
la perla”.
17 Matteo 7,6.
la sua natura santa solo quando viene riconquistata.
“In altre parole – scrive Han Jonas – il destino del
messaggero ha tirato a sé tutte le caratteristiche che
potrebbero adeguatamente descrivere il destino della
Perla, mentre nell’inno la Perla stessa rimane un
puro oggetto e come tale non è punto descritta. Qui
essa è talmente solo simbolo di un compito dalla cui
esecuzione dipende il destino stesso del messaggero,
che essa è quasi del tutto dimenticata nella storia del
suo ritorno, e della sua consegna al Re si fa appena
cenno”.18
Come si è detto, infatti, il punto focale di tutto il racconto
è il Messaggero nelle sue varie accezioni: Giovane
principe, Straniero, Salvatore, tanto che la perla
acquista una varietà di valori a seconda dello status e
delle azioni del primo. È lo scopo del suo pericoloso
viaggio quando si avvia verso l’Egitto, è sepolta in
18 Hans Jonas, Lo gnosticismo, op. cit.
22
athanor
fondo al mare, quando egli giace intorpidito, è infine
la sua anima ritrovata e ricongiunta alla sua immagine
spirituale dopo che l’ha sottratta al serpente-tempo.
Compiuta la sua missione, dietro la sua guida luminosa,
il giovane eroe riprende il viaggio di ritorno: “La
mia lettera, la mia destatrice, trovai davanti a me sul
cammino/ e come essa mi destò con la sua voce così
la sua luce mi guidava./Essa che abita nel palazzo
con la sua forma irradiò la sua luce davanti a me,/
con la sua voce e con la sua guida mi spinse ad accelerare
il passo, / e con il suo amore mi sospinse”.
Il suo compito finisce con l’arrivo dei due tesorieri
che recano la veste e il mantello con i quali il re vuole
che sia rivestito suo figlio che ha risposto alla chiamata
ed ha superato la prova. “Io più non ricordavo il
suo modello avendo fin dall’infanzia abbandonato la
casa di mio padre,/ma subito, non appena lo ricevetti,
mi parve che l’abito fosse diventato uno specchio di
me stesso./ L’osservai molto bene e con esso io ricevetti
tutto/ giacché noi due eravamo distinti e tuttavia
avevamo un’unica sembianza”.
La veste è dunque il doppio trascendentale dell’uomo
pneumatico, l’aspetto che l’eroe ha recuperato, scendendo
nella oscurità e strappando la perla al serpente
nero. La sua descrizione è fantastica e su ognuna delle
gemme e dei colori citati, si potrebbe trarre un riferimento
simbolico: “la mia veste ricamata, adorna di
splendidi colori,/ di oro e berilli, di rubini e agate,/ di
sardonici dai colori diversi. A casa sua su,
in alto, fu abilmente lavorata/ con fermagli
di diamante erano unite tutte le giunture,/
l’immagine del re dei re era interamente ricamata
e dipinta su di essa,/ e come pietre di
zaffiro rilucevano le sue tinte”.
A questo primo ritorno all’unità del pleroma
si associano anche i due tesorieri inviati
ad incontrarlo: “erano due, ma in un’unica
sembianza poiché lo stesso segno del re su
di loro era tracciato”. Questo doppio speculare,
è “il contributo più profondo della religione
persiana allo gnosticismo e alla storia
delle religioni in genere”. Esaminando i
vari significanti semantici dei fonemi con i
quali il concetto è indicato nella letteratura
religiosa iranica, ritrova il medesimo significato
trascendente dell’anima in Paolo di
Tarso che lo esprime con il termine pneuma
(lo spirito in noi, l’uomo interiore, l’uomo
nuovo).19
“È significativo – aggiunge Jonas – che Paolo,
il quale scriveva in greco e non ignorava
certamente la terminologia greca, non usi
mai in questo senso il termine psyche, che
pure fin dal tempo degli Orfici e di Platone
aveva significato il principio divino in noi.
(…) Evidentemente il significato greco di psyche, nonostante
tutta la sua dignità, non era sufficiente ad
esprimere la nuova concezione di un principio che
trascende ogni associazione umana e cosmica”.20
In altre parole il doppio speculare che l’Inno introduce
è applicabile anche all’uomo pneumatico che,
come alter-ego cosmico del Salvatore, recupera le
“corazze di luce” date in pasto agli Eoni durante il
combattimento primordiale, per ricostituire la sua
identità orignaria. Il concetto, con tutta evidenza, si
presta alla interpretazione analitica che ne daranno
Sigmund Freud e la Scuola junghiana. Per il primo la
discesa nel mare oscuro è l’immagine della regressione
fetale, con la quale il paziente cerca di ripristinare
lo stato psichico precedente il fenomeno patologico,
mentre il doppio è il residuo perturbante di un tempo
19 Tra i significanti semantici presi in esame da Jonas si
citano: Daena nell’Avesta con il significato di religione,
essenza interna, io spirituale. Nel Kephalaia, Grev, che può
tradursi con il sé vivente, persona metafisica e vero soggetto
trascendente della salvezza. In mandeo Mana esprime il
nome della divinità suprema e dell’ego spirituale, detto anche
Adamo nascosto. I Naasseni chiamano Uomo o Adamo
sia il dio supremo sia ovviamente il suo corrispondente
caduto nel mondo. Cfr. Hans Jonas, Lo Gnosticismo op. cit.
20 Ibidem.
23
Inno della Perla
psico-mitologico “in cui vigevano
l’onnipotenza dei pensieri,
e il subitaneo appagamento
dei desideri”, che l’inconscio
reclama per superare una realtà
in cui ha smesso di credere.21
Per Carl Gustav Jung la riunificazione
del sé ad un modello
originario unico diviene “l’unicità
dell’individuo imperituro
che esiste sempre”, concetto
in cui sintetizza varie accezioni
del pensiero gnostico, che
considera un sistema adatto a
sostenere l’equilibro spirituale
dell’individuo.22 Nel simbolismo
della conquista della
perla “quella cosa minuscola,
quell’individuo unico, quel
piccolo sé, che è piccolo come
la punta di un ago eppure, proprio
perché è così piccolo, è
anche più grande del grande”,
legge, infine, il processo di ricomposizione
del sé attraverso
il superamento della immobilità
(torpore) imposta dalla
adesione alle convenzioni sociali.
23
Ritornando al racconto dell’Inno
della Perla, il momento
della rivelazione (gnósi) è
rappresentato dalla veste, che
una volta indossata, si anima e
parla: “Vidi che in tutto il suo
essere pulsavano i moti della
conoscenza/ e che si preparava
a parlare,/ udii il suono degli
accenti che bisbigliava con se
stesso”. Il discorso che segue,
pronunciato in prima persona, ha il tono del racconto
in cui l’anima del giovane principe dichiara le proprie
origini e le proprie qualità: “Io sono colui che è
operoso nelle azioni, quando mi educavano presso il
padre/ io mi compresi e percepii che la mia statura
21 Cfr. Sigmund Freud, L’Io e l’Es, in Opere, vol. IX, Bollati
Boringhieri, Torino 1989
22 Carl Gustav Jung, L’uomo e i suoi simboli, Tea edizioni,
Milano 2007. Per la speculazione di Jung sullo gnósicismo
si rimanda al capitolo I sette sermoni dei morti, in Ricordi
sogni e riflessioni, Rizzoli, Milano, 1992.
23 Carl Gustav Jung, Libro Rosso (Novus liber), Bollati
Boringhieri, Torino 2010.
cresceva in proporzione del suo lavoro”; considera
la veste la forma con cui si è presentato dinanzi al
re suo padre: “Mi adornai con la bellezza dei suoi
colori/ e mi avvolsi interamente nella mia toga, dalle
tinte sgargianti,/ l’indossai e mi recai su alla porta./
Chinai il capo e adorai la maestà del padre mio che
mi aveva mandato/ ed egli mantenne quanto aveva
promesso”, ed infine narra la scena di letizia che ha
accolto il suo ritorno: “alla sua porta mi associai con
i suoi prìncipi:/egli si rallegrò di me e mi accolse ed
io fui con lui, nel suo regno,/mentre lo lodava la voce
di tutti i suoi servi”.
24
athanor
Quando ero bambino e abitavo nel regno
della casa di mio Padre e mi dilettavo della
ricchezza e dello splendore di coloro che mi
avevano allevato, i miei genitori mi mandarono
dall’oriente, nostra patria, con le provviste
per il viaggio. Delle ricchezze della
nostra casa fecero un carico per me: esso era
grande eppure leggero, in modo che potessi
portarlo da solo.
Mi tolsero il vestito di gloria che nel loro
amore avevano fatto per me, e il manto di
porpora che era stato tessuto in modo che si
adattasse perfettamente alla mia persona, e
fecero un patto con me e lo scrissero nel mio
cuore perchè non lo potessi scordare: “Quan
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