L’esoterismo di Dante Alighieri 2° PARTE
(di Alberto Canfarini)
L’inferno
Dante all’età di trentacinque anni prende coscienza dei suoi peccati commessi sia nella vita civile, sia in quella militare e decide di mettere ordine nella sua coscienza rettificandola percorrendo la via iniziatica.
Il Poeta inizia la narrazione della Divina Commedia dicendo: (1)
(Nel mezzo del cammin di nostra vita.
mi ritrovai per una selva oscura,
chè la diritta via era smarrita).
Il poeta cerca di risolvere la selva oscura delle sue passioni da solo, ma il suo tentativo di salire sull’erto colle fallisce, perché fu cacciato indietro da una lontra, un leone e da una lupa.
E’ chiara l’allusione che il mondo iniziatico è regolato da precise norme. La prima prescrive la necessità di avere una guida che ha già percorso la strada.
Virgilio si propone d’accompagnarlo nel difficile percorso che gli farà ritrovare la giusta via e per incoraggiarlo gli dice che lo ha inviato Beatrice.
Da qui inizia il viaggio iniziatico di Dante che arriva alla porta dell’Inferno e su di essa legge queste parole spaventose: (2)
(Per me si va nella città dolente,
per me si va nell’etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore:
fecemi la divina potestate,
la somma sapienza e l’primo amore.
Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro:
Lasciate ogni speranza, voi, ch’entrate)!
La fervida immaginazione di Dante ci presenta l’Inferno come un cono composto da una serie di cerchi che degradano sempre più stretti verso il basso, con la punta verso il centro della terra.
Il Poeta narra, che quando Lucifero si ribellò a Dio, precipitò sulla terra creando una enorme cavità a forma d’imbuto che formò L’Inferno.
La terra che si ritrasse, emerse nell’emisfero australe e formò la montagna del purgatorio in mezzo alle acque di questo emisfero.
Secondo il sistema tolemaico l’altro emisfero era ritenuto completamente coperto dalle acque, perciò Dante afferma che il Purgatorio è una montagna in mezzo al mare australe.
I due poeti entrano nell’anticamera dell’Inferno dove trovano gli “ignavi”qui vi sono le anime tristi di coloro che vissero senza infamia e senza lode e non sono sottoposti ne a pene ne a premi.
Virgilio dice a Dante: (3)
(Non ragioniam di lor, ma guarda e passa).
Il poeta non se lo fa dire due volte, perché aveva una pessima opinione per le persone che non hanno il coraggio di schierarsi mai, la coerenza con le sue idee lo portarono a morire esule per non tradire le sue idee politiche.
Dante e Virgilio seguitano il cammino e arrivano sull’Acheronte, dove il nocchiero Caronte traghetta le anime verso l’Inferno.
Si scatena un terremoto, si vede una luce accecante ed il poeta cade tramortito, poi rinviene al colpo di un tuono.
Entra nel primo cerchio il Limbo, dove risiedono gli eroi e gli uomini virtuosi dell’antichità che hanno fatto grandi cose per l’umanità, ma non sono stati battezzati.
Finalmente i due poeti entrano nell’inferno dove incontrano il gigante Minosse, il giudice che assegna ad ogni anima la sua pena che dovrà scontare per l’eternità.
Se il poema si legge in modo analogico, sotto il velo appaiono le passioni più pesanti della natura umana, esse sono le tendenze più oscure dell’anima che ne impediscono la salita verso l’Empireo e trattengono l’essere nel mondo duale.
Questa condizione non consente di percepire l’armonia che scaturisce dalla visione della vetta, della conoscenza metafisica “l’Uno”, di conseguenza dovranno rimanere in eterno nel dolore e nelle tenebre.
Dante nel poema propone l’osservazione delle passioni su personaggi storici, dimostrando di conoscere la regola iniziatica che prescrive d’effettuare l’osservazione e la rettifica della propria coscienza, con distacco, come un freddo osservatore, senza giudicare.
Così nell’inferno dantesco sfilano tutte le potenzialità negative che gravano come zavorra, come un pesante fardello l’anima umana.
Virgilio è la guida che accompagnò negli antichi misteri, Enea agli inferi ed al termine del viaggio gli fu donato il ramo d’oro d’Eleusi, simbolo dell’avvenuta purificazione e della riconquistata immortalità, ottenuta con il rito della morte e resurrezione iniziatica.
Nel secondo cerchio Dante trova i lussuriosi, che sono puniti con un vento violentissimo che li travolge.
Nel terzo cerchio vi sono i golosi che sono immersi nel fango puzzolente e flagellati da una pioggia senza termine, inoltre c’è Cerbero, il terzo guardiano dell’inferno che li azzanna.
Nel quarto cerchio Dante trova gli avari ed i prodighi divisi in due gruppi condannati a scontrarsi in eterno ed a rinfacciarsi gli errori, condannati anche a far rotolare grossi massi di roccia.
Nel quinto cerchio incontrano il fiume Stige dove sono puniti gli iracondi e gli accidiosi, i primi sono immersi nella palude dello Stige, i secondi sono costretti a rimanere sommersi senza potersi rialzare.
Virgilio e Dante sono traghettati dal quarto guardiano che si chiama Flegias.
Passati sull’altra sponda dello Stige, nel sesto cerchio incontrano la città di Dite, dove vi sono le anime consapevoli dei loro peccati.
I due poeti vogliono entrare nella città ma sono fermati dai demoni, dopo diversi tentativi riescono ad entrare grazie all’aiuto dell’Arcangelo Michele.
In questa città vi sono gli epicurei e gli eretici che giacciono in tombe infuocate e che Dante apostrofa “coloro che l’anima col corpo morta fanno” qui vi sono molti personaggi famosi.
Virgilio e Dante scendono nel settimo cerchio dove trovano il fiume Flegetonte nel quale scorre sangue bollente.
Il settimo cerchio è composto da tre gironi dove sono puniti i violenti.
Nel primo girone sono puniti i violenti contro il prossimo, immersi nel fiume di sangue bollente.
I tiranni sono immersi fino agli occhi, gli omicidi fino al collo, i predoni fino al petto.
Il secondo girone è posto oltre il fiume, che i due poeti attraversano con l’aiuto del centauro Nesso e quì trovano i violenti contro se stessi, i suicidi, che sono trasformati in piante secche e tormentati dalle arpie.
In questo secondo girone vi sono anche gli scialacquatori, morsi in eterno da cagne.
Nel terzo girone in una pianura resa infuocata da una pioggia di faville di fuoco, sono puniti i violenti contro Dio e la natura, sdraiati i bestemmiatori, seduti gli usurai, in continua corsa i sodomiti.
I due poeti scendono in un baratro portati dal mostro Gerione che ha la testa umana ed il corpo formato da parti di diversi animali.
Nell’ottavo cerchio scontano la loro pena i fraudolenti.
L’ottavo cerchio è formato da dieci bolge a forma circolare e concentriche.
Nella prima bolgia vi sono i ruffiani ed i seduttori che corrono in cerchio sferzati dai demoni.
Nella seconda bolgia gli adulatori ed i lusingatori immersi nello sterco.
Nella terza bolgia i simoniaci collocati in fosse a testa in giù con i piedi in fiamme e poi schiacciati nel terreno quando arrivano nuovi peccatori.
Nella quarta bolgia i maghi e gli indovini che devono camminare con la testa storta all’indietro perché nella vita hanno preteso di vedere il futuro.
Nella quinta bolgia i barattieri sommersi nella pece bollente ed uncinati dai diavoli.
Nella sesta gli ipocriti coperti di cappe di piombo dorate all’esterno.
Nella settima bolgia vi sono i ladri con le mani legate da serpenti che si trasformano gradatamente in rettili.
Nell’ottava bolgia i consiglieri fraudolenti tormentati da fiamme a forma di lingue.
Dante più scende nell’Inferno e più si rende consapevole della difficoltà del viaggio iniziatico che sta compiendo.
Fa sue le parole d’Ulisse, che per convincere i compagni a compiere l’impresa di superare lo stretto di Gibilterra pronunciò “l’orazion piccola”: (4
(O frati, dissi, che per cento milia
perigli siete giunti all’occidente,
a questa tanto piccola vigilia.
de’ nostri sensi, ch’è del rimanente,
non vogliate negar l’esperienza,
di retro al sol, del mondo senza gente.
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e conoscenza).
Dante uomo del medioevo che considerava la terra al centro dell’universo con tutti i pianeti che gli giravano intorno, non vide l’impresa d’Ulisse come un tentativo di scoprire l’ignoto, ma condannò l’impresa, come una violazione delle leggi divine e collocò Ulisse all’inferno.
Nella nona bolgia vi sono gli scismatici ed i seminatori di discordia che vengono colpiti a colpi di spada con ferite che si rimarginano e poi vengono nuovamente straziati.
Nella decima bolgia sono puniti i falsari che hanno falsificato cose, persone, denaro o parole.
I falsari di cose puniti dalla lebbra, quelli di persone dalla rabbia, quelli di monete dall’idropisia, quelli di parole dalla febbre.
Sono malattie che cambiano, deturpano, falsificano l’immagine dei peccatori, come loro durante la loro vita vollero contraffare la verità.
Dante riserva il nono ed ultimo cerchio o pozzo dei giganti ai traditori e Virgilio gli dice: (5)
(Ecco Dite, dicendo, ed ecco il loco
ove convien che di fortezza t’armi).
Come non paragonare queste parole con il simbolo d’Ercole dei tempi massonici quando l’apprendista deve affrontare le proprie passioni, il superamento delle prove ed ha necessità della forza o della volontà simboleggiata dal semidio.
Quest’ultimo cerchio è diviso in quattro settori dove regna il ghiaccio, nel punto più stretto risiede Lucifero, che con il suo enorme corpo muovendo le grandi ali tutto gela.
Il primo settore prende il nome di Cocito, vi sono i giganti che hanno sfidato le divinità superiori e sono condannati all’immobilità nel pozzo, vi sono anche i traditori dei loro parenti, immersi nel ghiaccio con la faccia rivolta in giù.
Il secondo settore si chiama Antenora, vi sono i traditori della patria, immersi nel ghiaccio con il viso rivolto in su.
Il terzo settore si chiama Tolomea, vi risiedono chi ha tradito gli ospiti, sono immersi sotto il ghiaccio con il viso verso l’alto e gli occhi congelati.
Il quarto settore prende il nome di Giudecca, vi sono chi ha tradito i benefattori, sono interamente immersi nel ghiaccio.
In questo ultimo settore vi sono anche quelli che Dante considera i massimi traditori, Cassio, Bruto e Giuda, sono maciullati in eterno dalle tre bocche di Lucifero.
Il poeta nella parte più profonda dell’inferno o della sua coscienza trova Lucifero, che con le sue ali tutto ghiaccia, la cristallizzazione, sono le forze negative luciferine, che rendono incapaci d’usare la mente, l’intuizione ed il proprio arbitrio. Lucifero é il simbolo dell’io egoico, gravato dalle passioni più pervicaci, che va affrontato, rettificato altrimenti si è sempre in catene, si è sempre schiavi delle nostre passioni, che vanno superate con maturità per poter vedere nuovi lidi, è la “Nigredo alchemica”.
Sorge spontaneamente la domanda, perché Dante nella parte più profonda dell’inferno sostituisce il fuoco con il ghiaccio?
E’ una ulteriore conferma che la parte più segreta della Divina Commedia è stata scritta in chiave alchemica.
In alchimia viene detto: (Il fuoco che congela e l’acqua che arde).
Con il fuoco che congela non si intende, non implica l’idea del freddo, per congelamento si intende l’azione di rendere fisso il volatile ed è l’azione che compie il Fuoco spirituale interiore.
Con l’acqua che arde si intende il Solvente universale, le Acque corrosive che costringono l’anima al risveglio, causando reazioni nelle forze del corpo, prodotta dall’acqua, che Dante ci propone sotto forma di ghiaccio.
Gli elementi alchemici, per la comprensione, Dante li offre tutti, l’inferno che rappresenta il crogiolo alchemico che con il suo calore cuoce gli elementi, la nostalgia di una perduta condizione divina, che stimola l’adepto a recuperarla percorrendo la via iniziatica e praticando una serie di rettifiche dalle quali ne scaturisce la ripresa di coscienza della sua natura divina.
Dante descrive Lucifero con tre facce, una nera, una bianca ed una rossa, sono i colori dell’alchimia, che ha il potere di tramutare anche le energie infernali.
Il piombo che diviene argento ed infine “Oro”, simbolo della riconquistata immortalità, che si può riacquistare solo tramite una vera iniziazione tradizionale.
Il poeta descrive la sua morte iniziatica dicendo: (6)
(Com’io divenni allor gelato e fioco,
nol dimandar, lettor, ch’io non lo scrivo,
però ch’ogni parlar sarebbe poco.
Io non mori’, e non rimasi vivo):
Chi ha subito l’iniziazione e l’ha compresa ed assimilata, credo che può considerare questi versi, una magistrale pennellata di un grande spirito, che ferma nella mente un momento magico.
E’ un morire a se stessi in quanto individualità, vuol dire morire per vivere, lasciare il mondo di morte per rinascere ad una Vita migliore, non più in preda delle brame dell’io egoico, ma indirizzata alla ripresa di coscienza di quella Componente spirituale ed eterna che alberga in noi.
Dante in questo poema tratta il tema della luce come emanazione divina, di conseguenza l’inferno viene trattato come un luogo dove manca la luce.
Le tenebre che pervadono la cavità infernale vengono descritte dal poeta con questi versi: (7)
(Oscura e profonda era e nebulosa,
tanto che, per ficcar lo viso a fondo,
io non vi discernea alcuna cosa).
Virgilio conferma dicendo: (8)
(Or discendiam qua giù nel cieco mondo).
L’Inferno è invaso da un buio quasi totale, che si può definire con il termine crepuscolo, Dante dice: (9)
(Quiv’ era men che notte e men che giorno).
Una volta domato Lucifero, Virgilio e Dante s’aggrappano al suo folto pelo e passano il centro della terra.
Finalmente sono giunti all’uscita del budello infernale ed arrivano nel Purgatorio dove s’espande una luce naturale e Dante può dire: (10)
intrammo a ritornar nel chiaro mondo)
(11) (E quindi uscimmo a riveder le stelle)
Cosa vuol dire s’aggrappano a Lucifero; è l’opera di trasmutazione della materia, il piombo che diviene Argento, esso non viene scartato ma trasmutato, questa è la regola iniziatica in possesso di tutte le vere scuole iniziatiche, le energie vengono convertite da negative in positive.
E’ la stessa natura luciferina che vinta dalle forze divine, dalla luce, diviene strumento di redenzione per l’uomo.
Una volta uscito dall’inferno Dante si volta e vede Lucifero capovolto, quest’immagine simboleggia l’avvenuta purificazione alchemica delle energie.
Il Purgatorio
Dante inizia la narrazione del Purgatorio con questi versi: (1)
(Per correr miglior acqua alza le vele
ormai la navicella del mio ingegno,
che lascia dietro a sè mar si crudele.
E canterò di quel secondo regno,
dove l’umano spirito si purga,
e di salire al ciel diventa degno).
Questi versi alludono alla fase alchemica dell’Albedo che sta per iniziare, la decantazione, la purificazione dell’anima, il piombo che si trasforma in argento.
L’adepto finalmente può fare una scelta, se continuare a vivere sul braccio orizzontale della croce seguitando a dedicarsi alle conquiste di questa terra o intraprendere la difficile via verticale, la scalata della montagna, che lo può portare verso la liberazione, verso il risveglio della componente sacra ed immortale del suo essere.
I due poeti usciti dall’Inferno si trovano nell’emisfero australe agli antipodi di Gerusalemme; nel periodo storico di Dante questo emisfero s’immaginava interamente ricoperto d’acqua, perciò Dante afferma che il Purgatorio è una montagna circondata dal mare contornata da una spiaggia dove arrivano le anime che devono salire il monte per espiare i loro peccati.
Il Purgatorio se visto in chiave religiosa ha la funzione di riflessione, pentimento ed espiazione, se osservato da un punto di vista iniziatico è il luogo dove si compie il lavoro d’introspezione e di rettifica, è il V.I.T.R.I.O.L. che la massoneria sembra avere ereditato dai Rosacroce.
Virgilio e Dante arrivati nell’arenile, incontrano Catone Uticense guardiano del Purgatorio.
Questa montagna ha la forma di un cono molto ripido, composto da dieci ripiani circolari.
I primi tre ripiani costituiscono l’antipurgatorio dove le anime sono trattenute fino a quando non è stata decisa la loro pena.
Nel primo ripiano, devono sostare le anime che sono state scomunicate e qui rimangono per un periodo trenta volte superiore a quello della scomunica.
Nel secondo ripiano vengono trattenute le anime che si sono pentite prima di morire e devono attendere per un periodo eguale a quello della loro vita.
Nel terzo ripiano o valletta dei principi, sostano per un periodo pari alla loro vita le anime troppo prese dalla gloria del mondo e che si pentirono prima di morire.
I due poeti chiedono ad un anima penitente quale è la via più agevole per entrare nel Purgatorio e si propone per guidarli Sordello concittadino di Virgilio.
Il Purgatorio è composto da sette cornici che rappresentano i sette peccati capitali ed al termine finalmente le anime possono avere accesso al Paradiso terrestre.
All’ingresso del Purgatorio c’è un angelo posto su tre gradini, con i tre colori alchemici, il nero, il bianco ed il rosso, come Lucifero all’inferno. L’angelico guardiano, con la spada incide sulla fronte di Dante sette “P” che rappresentano i sette peccati capitali, Superbia, Invidia, Ira, Accidia, Avarizia, Gola, Lussuria ed il poeta dice: (2)
(Sette P nella fronte mi descrisse
col punton della spada, e: Fa che lavi,
quando se dentro, queste piaghe,disse.
Cenere o terra che secca si cavi,
d’un color fora col suo vestimento,
e di sotto da quel trasse due chiavi.
L’una era d’oro e l’altra era d’argento:
pria con la bianca, e poscia con la gialla
fece alla porta si ch’io fui contento.
Quantunque l’una d’este chiavi falla,
che non si volga dritta per la toppa,
diss’elli a noi, non s’apre questa calla.
Più cara è l’una; ma l’altra vuol troppa
d’arte e d’ingegno avanti che disserri,
perch’ell è quella che il nodo disgroppa).
L’angelo spiega a Dante che per aprire la porta del Purgatorio, occorrono due chiavi, una d’oro e l’altra d’argento, la prima è la più preziosa, ma proprio quella d’argento che rappresenta “l’Albedo” determina l’apertura della porta perché vuole troppo d’acume e d’ingegno.
Ogni cornice è custodita da un angelo che rappresenta la qualità opposta al peccato, sono gli angeli dell’Umiltà, della Misericordia, della Mansuetudine, della Sollecitudine, della Giustizia, della Astinenza, della Castità.
A Dante al termine di ogni ripiano gli viene cancellata una P, dall’ala dell’angelo che è a guardia di quella cornice, segno che quella particolare espiazione o rettifica è stata compiuta.
Deve avvenire quella trasmutazione interiore totale che gli farà convertire il piombo in argento e poi in oro nell’interno del suo atanor o della sua coscienza.
L’adepto che procede in questo percorso, gradualmente alleggerisce il proprio fardello e si prepara a ricevere la luce spirituale che risveglierà in lui quella Natura divina che aveva dimenticato e che deve tornare a governare il suo essere.
Alla base del Purgatorio vi sono la anime che hanno commesso le colpe più gravi e man mano che si sale vi sono le colpe più lievi.
Questa è una precisa indicazione di tutte le vie iniziatiche. Sulla via le difficoltà, gli ostacoli, gradualmente vanno diminuendo con il procede del processo di purificazione della propria anima.
Le sette cornici equivalgono ai sette gradi di molte società iniziatiche, come i misteri di Mitra e Dante dovrà compiere l’opera di decantazione della sua anima se vorrà proseguire il cammino verso il Paradiso.
Egli è sempre guidato da Virgilio come deve essere qualsiasi adepto che riceve l’iniziazione.
Virgilio è l’Illuminato che conosce la via, la guida non può avere una cultura libresca, ma deve avere già percorso realmente la strada.
Nella prima cornice vi sono i superbi che espiano camminando e portando pesi molto pesanti.
Nella seconda gli invidiosi che indossano un cilicio e hanno le palpebre degli occhi cucite con fil di ferro.
Nella terza trova gli iracondi che sono puniti camminando nel fumo.
Nella quarta vi sono gli accidiosi che devono correre gridando esempi di sollecitudine e di accidia che viene punita.
Nella quinta vi sono gli avari ed i prodighi, che per espiazione sono legati e piangono bocconi.
In questa ultima cornice si scatena un terremoto e si unisce ai poeti l’anima di Stazio che dopo cinquecento anni di espiazione ora può raggiungere il Paradiso.
Nella sesta cornice vi sono i golosi, che Dante descrive come magrissimi che devono soffrire fame e sete.
Nella settima espiano i lussuriosi ed i sodomiti che sono puniti camminando nelle fiamme.
Dante scioglie i legami che lo tengono ancorato al mondo, con dolcezza senza reprimere quelle energie che lo appesantiscono.
Nel Purgatorio il poeta osserva le passioni, le pene di altri esseri umani, è un modo criptato per far comprendere a chi può capire, che questa è una delle componenti iniziatiche fondamentali, che prescrive di osservare nel profondo del nostro essere con distacco, come un freddo osservatore senza giudicare e sciogliere i legami che lo tengono ancorato al mondo, con dolcezza senza reprimere quelle energie che vanno tramutate. Come molto tempo prima aveva insegnato Ermete Trismegisto nella sua Tavola di Smeraldo:(Separerai la terra dal fuoco, il sottile dallo spesso, lentamente con grande cura).
Dante usa questi personaggi per indicare la rettifica interiore che sta compiendo su se stesso: con Manfredi verifica gli effetti devastanti dei rancori, delle inimicizie, con Jacopo del Cassero scopre come i ricordi pietrificano la coscienza nel passato, con Bordello come la polemica politica può incatenare, con Casella come può legare la stessa bellezza del mondo, che la metafisica definisce illusoria e temporanea.
Gradualmente il poeta si distacca dalle passioni, dai legami di sangue, dai pregiudizi, dal sentimentalismo oscurante, che cristallizza la mente ed il cuore nei meandri della vita passionale e materiale.
Un altro ostacolo da superare sono le chiacchiere della personalità dialettica che occupa in continuazione lo spazio della mente con pensieri rivolti a cercare consenso all’esterno o di sopraffare le idee altrui. A volte siamo invasi da pensieri pericolosi e subdoli come quelli involontari, che senza chiedere il permesso invadono la nostra mente all’improvviso come degli ospiti indesiderati, che interrompono l’attenzione dai pensieri volontari sui quali eravamo concentrati.
La tecnica del silenzio interiore insegnata fin dall’antichità, è il solo modo per riportare la serenità nella nostra mente e nella nostra coscienza, ora l’ospite di riguardo, che con passi sempre più sicuri sta compiendo il suo ritorno a casa, troverà l’accoglienza che merita.
Attenzione, nel lungo e difficile percorso iniziatico, la purificazione deve avvenire realmente, altrimenti andiamo incontro al pericolo della contro iniziazione, diveniamo maghi di Lucifero.
Gli alchimisti per verificare se era avvenuta la realizzazione dell’albedo, per controllare se il piombo si era trasformato in argento, ponevano l’adepto di fronte alla prova del drago.
La prima fase alchemica è la separazione, l’anima liberata dal corpo (sale) deve affrontare una energia tremenda che cerca d’ imprigionare l’anima.
Sono gli antichi legami, è l’io egoico sempre in agguato, l’adepto non si deve distrarre, altrimenti rischia di perdersi nel mondo dell’occulto tenebroso.
Con la prova del drago possiamo verificare se si è determinata la totale purificazione della coscienza, se siamo al servizio del Sacro, o se siamo ancora ghermiti dagli artigli di Lucifero.
La liberazione è vicina, la Gnosi si va gradatamente realizzando perché non trova più ostacoli, la parte migliore della mente e del cuore sono pronti, ora si deve compiere l’iniziazione del Fuoco spirituale che Dante compie al termine della settima cornice attraversando un cerchio di fuoco, ma indugia, ha paura, e Virgilio lo incoraggia dicendo: (3)
(Credi per certo che, se dentro all’alvo
Di questa fiamma stessi ben mill’anni,
non ti potrebbe far d’un capel calvo.
E, se tu credi forse ch’io t’inganni,
fatti ver lei, e fatti far credenza
con le tue mani al lembo de’ tuoi panni.
Pon giù omai, pon giù ogni temenza.
volgiti in qua, e vieni oltre sicuro;
ed io pur fermo, e contra coscienza.
Quando mi vide star pur fermo e duro
turbato un poco, disse: Or vedi, figlio
tra Beatrice e te è questo muro).(4)
(Non aspettar mio dir più, ne mio cenno.
Libero, diritto, sano è il tuo arbitrio,
e fallo fora non fare a suo senno;
perch’io te sopra te corono e mitrio
Dante finalmente trova il coraggio d’affrontare la prova del fuoco, ormai la Luce divina ha iniziato ad illuminare il suo essere, l’iniziando è divenuto cavaliere Kadosch, che riunisce corona e mitria, potere temporale e spirituale, realizzando completamente l’Albedo, l’anima è candida pronta per il matrimonio alchemico, quando la Luce divina irradierà l’intero essere trasformandolo nel colore dell’Oro.
Nel Paradiso si perviene in una realtà dove la luce s’espande ed illumina il cosmo, divenendo sempre più intensa e soprannaturale, Dante man mano che sale da cielo a cielo arriverà all’Empireo, sede eterna di Dio, dove nasce un fiume di Luce divina che poi s’irradia per tutto l’universo.
Uscito dal Purgatorio Dante arriva sulla riva di un fiumicello che gli sbarra la strada. Sull’altra riva compare una donna bellissima che illustra al poeta il luogo dove si trovano e gli toglie diversi dubbi.
Matelda cammina su una sponda e Dante sull’altra nella stessa direzione. All’improvviso compare una processione di beati con candide vesti ed al termine un carro trionfale tirato da un grifone. Si sente un tuono ed il carro e la processione s’arrestano.
Mentre gli angeli e i beati acclamano, scende dal cielo Beatrice e si siede sul carro, in quel momento Virgilio scompare.
Beatrice rivolge a Dante aspri rimproveri per i suoi trascorsi, e mentre Dante piange, Beatrice gli spiega dettagliatamente le sue colpe.
Matelda lo purifica con le acque del Letè e lo presenta a Beatrice pregandola di mostrarsi svelata.
Dante cade in ammirazione di Beatrice e s’addormenta, al suo risveglio la vede attorniata da sette donne.
Beatrice annunzia a Dante che presto verrà colui che libererà la chiesa e l’Italia dai malvagi, poi lo fa bagnare nelle acque dell’Eunoè che lo ricreano, finalmente è pronto per salire verso le stelle.
Ora Dante entra in comunione spirituale con Beatrice e descrivendola dice:
(…..Il santo rivo ch’esce da fonte onde ognin Ver deriva).
Il poeta è arrivato al Paradiso terrestre ed è pronto per innalzarsi con Beatrice verso le stelle, trascende i limiti della condizione umana e s’innalza in una sfera di fuoco.
Il Paradiso
La lettura in chiave esoterica del Paradiso è quella che richiede una maggiore preparazione per i contenuti esoterici, alchemici e spirituali, che sono velati da allegorie.
Dante nel Paradiso spiega la realizzazione della Rubedo, che rappresenta il matrimonio alchemico del mercurio con lo zolfo, ossia dell’anima purificata con lo spirito.
Questo matrimonio è possibile perché nel Purgatorio è avvenuta l’Albedo, il piombo è diventato argento, l’anima si è separata dal corpo pesante, nel senso che non è più schiava delle passioni.
Dante dopo aver rivolto una preghiera ad Apollo, il Dio sole, deve iniziare il percorso finale verso l’Empireo.
Quest’ultimo viaggio inizia con una caratteristica basata principalmente sulla capacità di saper vedere la luce come emanazione di Dio e dice: (1)
(Nel ciel che più della sua luce prende
fu’io, e vidi cose che ridire
ne sa ne può chi di là su discende);
Il primo animale citato è l’aquila, che come è noto riesce a fissare il sole, Beatrice supera anche l’aquila nel fissare la luce dell’astro, anche Dante tenta di guardare il sole, ma deve desistere perché i suoi occhi non resistono, allora fissa il suo sguardo negli occhi di Beatrice che imperturbabile resta ferma a fissare quella Luce divina.
Per Dante la possibilità di vedere la gloria di Dio dipende da Beatrice, la donna, che come dice: (2)
(Ma ella, che vedea il mio disire,
incominciò, ridendo, tanto lieta,
che Dio parea nel suo volto gioire:)
Il poeta parla delle belle immagini fatte dagli artisti o dalla natura, che sono niente in confronto al piacere divino che gli procurò Beatrice quando gli rivolse il suo viso ridente.
E conclude dicendo: (3)
(Quella che ‘mparadisa la mia mente)
Negli occhi di Beatrice Dante vede la Luce divina, scorge Dio che gli appare come un punto luminoso in mezzo a nove cerchi che sono corrispondenti ai nove cieli, ma superiori per il grado di virtù che li sostanzia.
Mentre contemplano lo splendore dei cerchi, Beatrice illustra a Dante le gerarchie celesti secondo le spiegazioni che Dio concesse a Dionigi Areopagita.
Prima categoria: (Serafini, Cherubini, Troni), seconda categoria: (Dominazioni, Virtù, Potestà), terza categoria: (Principati, Arcangeli, Angeli), inoltre gli spiega perché la Luce aumenta man mano che si avvicina al centro dove risiede Dio.
Si stabilisce un triangolo, la luce del sole, gli occhi di Beatrice e quelli di Dante. Questa luce riflessa da Beatrice, da l’inizio all’ascesa del poeta verso il cielo, egli inizia a varcare le possibilità umane.
Ora accompagnato da Beatrice, colei che da beatitudine, s’innalza attraverso una sfera di fuoco, verso i nove cieli vincendo la forza di gravità.
La sua guida rappresenta la Verità, l’Illuminazione prodotta dall’Intuizione superiore che si realizza con la conoscenza iniziatica.
Il poeta quando s’accorge che sta volando, chiede spiegazione alla sua guida e lei gli risponde: (4)
(Maraviglia sarebbe in te, se privo
d’impedimento, giù ti fossi assiso,
com’a terra quiete in foco vivo).
Non c’è pertanto da meravigliarsi se rimossi gli ostacoli che prima l’impedivano, Dante ora non possa volare.
Infatti sarebbe un miracolo, se puro come è diventato da ogni scoria di peccato, fosse rimasto ancorato alla terra.
I primi sette cieli prendono il nome dai pianeti del sistema solare, Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove e Saturno.
Gli ultimi due sono formati dalla sfera delle stelle fisse e dal Primo mobile. Questi nove cieli sono contenuti nell’Empireo dove le anime del Paradiso risiedono nella candida Rosa e hanno la possibilità di contemplare Dio.
Dante definisce l’Empireo, la sede di Dio, essa è immobile, perfetta ed eterna, dalla quale partono i movimenti che si comunicano ai nove cieli.
I pianeti assumono una caratteristica astrologica che li caratterizza; per esempio nel cielo di Venere ci sono gli spiriti che hanno saputo amare.
Questo percorso non è solo un viaggio attraverso i pianeti, ma anche attraverso le dimensioni.
Ora nel Paradiso i pianeti rappresentano la purificazione che si è determinata, la Rubedo che si va gradualmente concretizzando.
In questa fase Dante è sotto l’effetto del Fuoco divino e nel suo transitare da pianeta a pianeta, da cielo a cielo, cerca di comunicare le mutazioni che stanno avvenendo nella sua coscienza, è un momento traumatico, di rottura di un livello per passare in un stato di coscienza superiore.
E’ un momento di coinvolgimento e di trasfigurazione totale del suo essere ed il poeta passa dal sonno, all’estasi ed alla temporanea cecità.
Prima d’iniziare il viaggio dei cieli, Dante conoscendo bene i pericoli e le difficoltà di questo percorso, lancia un avvertimento a chi si accinge a seguirlo sulla via dell’iniziazione: (5)
(O voi che siete in piccoletta barca,
esiderosi d’ascoltar, seguiti
dietro al mio legno che cantando varca,
tornate a riveder li vostri liti:
non vi mettete in pelago, che, forse,
perdendo me, rimarreste smarriti).
Il primo cielo è quello della Luna, dove Dante nel suo poema pone le anime che non hanno adempiuto completamente ai loro voti, non per scelta ma perché costretti.
Dante ci comunica che il cielo della Luna, con la sua luce bianca simboleggia la fase alchemica dell’albedo pienamente realizzata.
Le intelligenze angeliche che presiedono questo cielo sono gli Angeli di terza categoria.
Nel secondo cielo di Mercurio Dante pone le anime che sulla terra si sono impegnate per l’amore e la gloria, come l’imperatore Giustiniano che riordinò le leggi nel grande Corpus Iuris.
Il poeta li descrive come spiriti che risplendono, cantando e danzando. Il poeta dal rinnovato Mercurio acquisisce la conoscenza che farà scaturire la saggezza.
Gli Arcangeli di terza categoria presiedono questo cielo.
Nel terzo cielo di Venere impera l’amore e vi appartengono coloro che seppero amare e si muovono armoniosamente in senso circolare.
Venere dona al poeta la capacità di riflettere all’esterno l’amore che ha conquistato in se stesso.
I Beati di terza categoria guidano questo cielo.
Nel quarto cielo del Sole impera la sapienza. Qui risiedono i Dotti della chiesa che espandono splendore mentre cantano e danzano in circolo. Il sole dona al poeta la sapienza, la conoscenza delle cose divine.
Presiedono questo cielo i Potestà di seconda categoria.
Nel quinto cielo di Marte vi sono le anime di quelli che morirono combattendo per la fede.
Marte gli elargisce la volontà, senza la quale un iniziato non può sperare di conquistare traguardi così elevati. Esse formano una croce greca ed al suo centro c’è Cristo, che per primo morì per dare fede all’umanità.
Le Virtù che presiedono questo cielo, sono angeli di seconda categoria.
Nel sesto cielo di Giove impera la giustizia, è abitato dalle anime dei re, principi e sapienti che hanno guidato con saggezza ed equità gli uomini. Essi volano e formano delle lettere luminose che compongono la frase: (Diligite iustitiam qui indicatis terram) Amate la giustizia voi che giudicate il mondo, frase ispirata dal primo libro della sapienza “Sophia Salomonos” nato sotto il patronato del saggio re d’Israele Salomone, come i libri Qoelet e il Cantico dei cantici.
Questi libri esprimono un elogio alla sapienza biblica con lo scopo di difendere la cultura e la fede ebraica dalle tentazioni della cultura pagana ellenistica.
Dante da Giove acquisisce la capacità di riflettere la luce della Giustizia divina ed infatti da questo pianeta rivolge l’accusa al papa Bonifacio ottavo, di indegnità morale.
Il poeta sottolinea l’antitesi fra il giudizio umano, fondato sull’apparenza e quello divino, che ricerca la sostanza delle cose reali.
Dante condanna aspramente Bonifacio ottavo, che secondo il suo giudizio ha ottenuto il pontificato con l’inganno ed afferma:(esercita il suo ministero in modo di suscitare l’allegrezza di Satana).
Le Guide che amministrano questo cielo sono quelle di seconda categoria delle dominazioni.
Nel mondo di Saturno il poeta entra in una nuova dimensione, dove le energie negative cristallizzate del vecchio Saturno non riescono ad entrare.
Il settimo cielo di Saturno è dedicato alla meditazione, qui vi sono le anime che si sono dedicate alla contemplazione del divino.
Dante le pone su una scala celeste del colore dell’oro, impegnate a salire e a scendere, la scala è talmente alta che non si vede dove termina.
Le intelligenze dei Troni guidano questo cielo e sono i Beati di prima categoria.
Finalmente sta per nascere l’Uomo divino che salendo una scala d’oro perviene alla Rubedo, alla conclusione dell’Opera alchemica.
Dante percorsa la scala arriva all’ottavo cielo, quello simboleggiato dalle stelle fisse ed ha delle visioni, la Luce del Cristo, il sorriso di Beatrice, la Luce della Gnosi.
Il cielo delle stelle fisse è il luogo dove vi sono le anime trionfanti, sono come delle lucerne dalle quali s’espande la luce di Cristo. Qui risplende anche Maria con vicino l’Arcangelo Gabriele che gli volteggia intorno cantando.
In questo cielo Dante viene esaminato sulle tre virtù teologali.
- Pietro lo esamina sulla fede, S. Giacomo Maggiore sulla speranza, S. Giovanni sulla carità.
Questo cielo è presieduto dai Cherubini di prima categoria.
Il nono cielo è detto cristallino, o Primo mobile perché mosso direttamente da “Dio”
e trasmette il movimento ai cieli sottostanti.
Qui risiedono le gerarchie angeliche che appaiono distribuite in nove cerchi di fuoco che girano intorno ad un punto piccolissimo ma luminosissimo.
Sopra al Primo mobile c’è l’Empireo, che è immobile perché perfetto ed eterno. Questo centro dell’universo fa ruotare i cieli sottostanti con movimento rotatorio che partendo dal Primo mobile con una rotazione molto veloce gradualmente rallenta fino ad arrivare alla terra.
Questa è la sede di Dio, degli Angeli e della Rosa, dei Beati dell’antico e nuovo testamento.
Questo cielo è amministrato dalla gerarchia del Serafini di prima categoria.
Dante vede Beatrice “bella com’egli non l’aveva mai vista”, arrivati nella sede di Dio il poeta sente aumentare le proprie facoltà.
Vede un fiume di luce tra due rive piene di fiori e faville di luce. La visione cambia, il fiume diviene una scalinata circolare. I fiori si trasformano in Beati ed occupano mille gradini, le faville si trasformano in angeli volanti.
Mentre Dante contempla la rosa mistica, in un lampo vede i tesori di Dio; quando il poeta si volta per porgere una domanda a Beatrice non la vede più e trova al suo posto S. Bernardo, colui che ha emanato la regola dei templari.
Il Santo spiega al poeta la distribuzione dei Beati nella rosa mistica, che da Maria scendono formando una divisione tra i Beati del vecchio e del nuovo Testamento.
L’Arcangelo Gabriele vola vicino a Maria e S. Bernardo indica a Dante le più eccelse anime della rosa.
Il Santo chiede alla Vergine Maria di purificare Dante da ogni residuo d’impedimento terreno e di concedergli la contemplazione della visione di “Dio”.
Maria fissando lo sguardo su S. Bernardo gli fa comprendere che ha accolta la supplica.
Il Santo invita Dante a guardare verso l’alto e poi scompare perché ormai il poeta non necessita più di una guida, il suo animo è pronto alla contemplazione divina.
Fissa lo sguardo verso la Luce, ma non riesce a penetrarne l’essenza, allora invoca l’aiuto di Dio.
Dopo aver affermato che non ricorda quasi niente della visione ricevuta, dice d’aver visto L’Essenza divina come una luce intensissima.
Nel profondo di quella luce tutto ciò che è diviso e separato per l’universo, appare congiunto nell’Unità di Dio, legato da un vincolo d’amore e dice: (6)
(Nel profondo vidi che s’interna,
egato con amore in un volume,
ciò che per l’universo si squaderna);
Dante afferma che è insufficiente il suo parlare, con le parole, non può descrivere quello che ha visto in un attimo, tuttavia prosegue la narrazione affermando che in quella luce ha visto tre cerchi, di tre colori diversi, tre corone luminose che simboleggiano la Gloria di Dio, che opera come il potere eterno che lavora per l’Armonia dell’universo.
Il secondo cerchio é il Figlio, che si riflette nel primo il Padre ed il terzo é lo Spirito santo, che viene riflesso da entrambi come fuoco ed escama: (7)
(Nella profonda e chiara sussistenza
dell’alto lume parvermi tre giri
di tre colori e d’una contenenza;
e l’un dall’altro come iri da iri
parea reflesso, e ‘l terzo parea foco
che quinci e quindi igualmente si spiri).
Dante fa un’altra escamazione: (8
E’ tanto, che non basta a dicer poco.
O luce eterna, che sola in te sidi,
sola t’intendi, e da te intelletta
e intendente te ami e arridi)!
Il Poeta ribadisce che Dio è Uno e Trino, risiede solo in se stesso e comprende il Padre, il Figlio e lo Spirito santo che spira da entrambi, il poeta focalizza l’attenzione sul secondo cerchio, quello del Figlio, perché in essa vede una immagine che assume la forma umana.
E’ il mistero dell’incarnazione, che il poeta non potrebbe comprendere come “la quadratura del cerchio” se non fosse stato illuminato dalla Grazia divina.
Dante spiega con una similitudine che si era impegnato come fa il geometra, che con tutte le sue facoltà si concentra per trovare l’esatta misura del cerchio, ma non la trova, così lui voleva trovare il mistero della coesistenza in Cristo della natura divina e quella umana e dice: (9)
(Dentro da sé, del suo colore stesso,
mi parve pinta della nostra effige;
per che ‘l mio viso in lei tutto era messo.
Qual è ‘l geometra che tutto s’affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’egli indige),
Il poeta prosegue dicendo che le penne, ossia le ali della sua fantasia o intuizione, non potevano farlo volare così in alto se la sua mente non fosse stata colpita da una folgorazione divina, che illuminando il suo essere gli consentì di comprendere il mistero dell’incarnazione di Dio ed esclama: (10)
(Ma non eran da ciò le proprie penne:
se non che la mia mente fu percossa
da un fulgore in che sua voglia venne.
All’alata fantasia qui manco possa);
L’aiuto di Dio gli apre l’accesso al mistero più grande e può comprendere pienamente, con il risveglio dell’intuizione superiore, il mistero dell’incarnazione divina.
Al poeta dopo aver compiuto un volo così alto gli vennero a mancare le forze, ma ormai il suo desiderio di conoscenza e la sua volontà si muovevano come una ruota che gira con movimento uniforme, armonizzata e mossa dalla Volontà e dall’Amore di Dio che imprime il movimento al sole e le altre stelle e dice: (11)
(Ma già volgeva il mio disio e ‘l velle,
si come rota ch’ igualmente è mossa,
l’amor che muove il sole e l’altre stelle).
Alcuni commentatori della Divina Commedia dicono che Dante nel trentatreesimo canto del Paradiso ha fallito, perché non è riuscito a spiegare i misteri della Trinità e dell’incarnazione divina.
Ritengo che questi ricercatori, con il metro della sola cultura, hanno formulato un giudizio che non rende giustizia a Dante.
Il Poeta in questo lungo viaggio iniziatico ci può solo parlare, con un linguaggio allegorico, delle illuminazioni e delle visioni che ha ricevuto.
Dio si può rappresentare con l’immagine della luce, con quella del fuoco, si possono usare i termini corona luminosa, focolare misterioso, ma rimane quel Dio non manifesto, senza nome, purissimo Spirito che regna in eterno nell’universo, non si può e non si deve andare oltre, altrimenti si rischia di sminuire, di ridurre, di umanizzare il divino. Nel libro dell’Esodo, Dio rispose a Mosé: “Io sono colui che sono”.
Dio si è rivelato con un verbo, che rifiuta le definizioni riduttive, la sua Essenza non può essere usata dall’uomo per i suoi interessi.
Il poeta comunque comunica, a chi può comprenderli, due messaggi fondamentali per la comprensione dei misteri, che desidero ribadire: dice che con la coscienza rinnovata ed illuminata dalla folgorazione divina, gli è stato permesso di “ficcar lo viso per la luce eterna” ed in quella visione ha compreso il mistero dell’Unità e Trinità di Dio “Nel profondo vidi che s’interna, legato con amore in un volume ciò che per l’universo si squaterna”.
Già Ermete ha affermato: (……….. per la meraviglia di una cosa unica).
Molto tempo prima del cristianesimo fin dagli albori delle civiltà, l’umanità ha concepito il divino con il concetto dell’Unità e della Trinità di Dio, rappresentato con le peculiari caratteristiche, significati e diversità derivanti dalle differenze dottrinali, tipiche di ogni religione.
Si notano queste similitudini nelle divinità indoeuropee, nella religione Egiziana con Osiride, Iside e Horus; nella Trimurti dell’ induismo con Brama, Shiva e Vishnu, che spesso viene rappresentata come una divinità con un solo corpo e tre teste, questa figura divina è riconducibile allo stesso ed unico Dio, Brahman.
Dante riferito al mistero dell’incarnazione afferma “Dentro da se del suo colore stesso Mi parve pinta della nostra effige”. Il Poeta con questa frase, ci dona con una magistrale pennellata, l’immagine che poteva esprimere solo una mente geniale, per descrivere in modo velato il mistero più grande, infatti nella Genesi viene detto: (Dio ha fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza).
Ricordiamoci che il poeta era un uomo del medioevo, vincolato dalle regole della segretezza, non poteva descrivere nella Divina Commedia il metodo iniziatico detto: (Real Segreto) che consente di riprendere coscienza e risvegliare il Se o l’Aziz, nomi che secondo le diverse tradizioni si riferiscono a quella componente sacra ed immortale donata da Dio agli uomini.
Dante ha superato i limiti umani in lui si è realizzata “l’Anima Mundi” l’energia divina che s’irradia in tutto l’universo e che rappresenta il fuoco segreto dell’alchimista, ora il poeta è arrivato alla fase finale del percorso alchemico, la Rubedo.
Dante con la guida di Virgilio, Beatrice, S. Bernardo ed il dono dell’Illuminazione divina, ha tracciato la via, scesa agli inferi nel profondo della coscienza, prendendo consapevolezza delle forze luciferine, del piombo che alberga in noi, la Nigredo.
Risalita sulla montagna del purgatorio, la purificazione, la rettifica, la decantazione alchemica, l’Albedo, che tramuta il piombo in argento.
La salita al Paradiso terrestre ed il volo sublime attraverso i cieli e l’arrivo all’Empireo, sede divina, la Rubedo, ora l’Argento finalmente è divenuto Oro ed non è più suscettibile di mutazioni.
Si deve perdere la falsa identità che abbiamo di noi stessi, non identificarci più soltanto con l’io mortale, tornare alla consapevolezza e se possibile al risveglio del “Se”, o della nostra Natura originaria.
Termino questa ricerca con la convinzione che ormai, l’anima del sommo Poeta era in completa e perfetta armonia con la volontà di Dio
Alberto Canfarini