NOTE SU PITAGORAIL LABORATORIO
N. 34
GENNAIO-FEBBRAIO 1998Pitagora è un personaggio circondato da un alone di mistero e di ammirazione, che è stato preso a modello etico, intellettuale e spirituale da generazioni di uomini, ma è un modello sfaccettato, tanto nebuloso sotto certi aspetti, quanto nitido e ineccepibile sotto tanti altri. Per questo, certi lati della vita e dell’insegnamento mi pare che offrano ancora motivo di riflessione.
Pitagora nacque a Samo, dal tagliatore di pietre Mnesarco e visse in un arco di tempo che si può inquadrare fra il 580 ed il 490 a.C. Sembra che abbia viaggiato moltissimo, entrando in contatto con la cultura e la sapienza di molteplici popoli. I suoi insegnamenti, come quelli di altri grandi maestri, non furono mai scritti da lui, ma diffusi e tramandati solo oralmente. Tuttavia, si può ritenere che la sua dottrina si sia mantenuta integra fino alla metà del V sec. a.C. quando, secondo Polibio, cominciarono le persecuzioni. L’episodio più grave fu l’eccidio di Crotone, dove furono arsi vivi tutti gli adepti presenti e si salvarono, perché assenti, soltanto Lisida che si recò a Tebe e Archippo che andò a Taranto, dando origine a quelle scuole iniziatiche. Fin qui la dottrina di Pitagora può considerarsi sufficientemente pura, perché le interpretazioni personali dei discepoli erano ancora rare, essendo fortissimo l’ossequio all’autorità del Maestro: il famoso “ipse dixit”. Poi Filolao, scrivendo, ruppe lo “arcanum pitagoricum”.
Il primo pitagorismo trasse origine sicuramente dal mondo della Scienza dei Misteri. Dato che la sua dottrina spaziava da un campo all’altro delle conoscenze e del pensiero, si ritenne che Pitagora fosse stato iniziato ai Misteri Greci, ma anche a quelli di molte aree del mondo conosciuto. In Siria, per esempio, in Egitto per la metempsicosi, dai caldei e dai fenici dai quali forse derivò le sue teorie sui numeri e sugli astri. Poi anche dai sacerdoti di Zaratustra per quanto riguarda il dominio della catarsi, le norme sulla verità e la purezza. Infine avrebbe avuti contatti con indù, traci, druidici e con i cretesi presso i quali, una volta ammesso ai Misteri Cabirici, sarebbe avvenuta la sua “catabasi”.
È difficile indagare a fondo su tutte queste vicende, ma cerchiamo di individuare la nota caratterizzante del pitagorismo: ha abbracciato in unica sintesi domini di conoscenze diverse, applicando princìpi e sapere iniziatico all’ambito della natura, della musica, della matematica, della scienza e altro, fino a proporre una speciale forma di vita ed ispirare un ben definito ideale politico. Allora, nel determinismo della dottrina pitagorica, più che all’influenza di tante e diverse iniziazioni e più opportuno dar valore agli studi che Pitagora fece presso la “scuola italica” con Anassimandro e Talete, perché forse lì, nacque quell’aspetto caratteristico di applicazione, anche alla realtà visibile, alla natura, del metodo sperimentale, proprio nel campo dell’interiorità, solo alle iniziazioni ed ai misteri.
La Tetractis pitagorica costruita secondo il teorema di Talete
La vita dei pitagorici si svolgeva essenzialmente nei centri iniziatici, il primo dei quali fu fondato da Pitagora a Crotone e da questo si diffusero in altre città della Magna Grecia. Abbiamo notizie abbastanza sicure sulla struttura ed il funzionamento di tali scuole, mirate a creare comunità di adepti e di sapienti, in cui erano ammesse pure le donne, anche se il matrimonio non era incoraggiato. L’insegnamento mirava, prima di tutto, all’elevazione morale degli adepti, per mezzo della rinunzia alla passione e della purificazione del corpo. Da qui le numerose, severe limitazioni: il silenzio nei suoi diversi significati, l’esame di coscienza giornaliero, la comunità dei beni, l’astensione dalle carni, almeno di alcuni animali, la proibizione di certi vegetali ed altre. La vita ascetica era rivolta all’elevazione dell’anima che se, durante la temporanea unione al corpo, si manteneva immune da corruzione, poteva tornare subito alla sua origine divina e godere della beatitudine suprema: la contemplazione dell’armonia universale. Invece, se si era contaminata di colpe gravi, la condanna era ugualmente immediata, la dannazione definitiva. Ma se le colpe erano più lievi, l’anima usufruiva di prove di appello con reincarnazioni in animali e vegetali, per poter risalire alla sfera divina: da qui l’astensione dei pitagorici da violenze sugli animali e da sacrifici cruenti. Questa dottrina presuppone ovviamente trascendenza e immortalità dell’anima, che è considerata il principio armonizzatore e regolatore delle varie parti e funzioni del corpo, ma che ha anche un’entità autonoma: è “il Numero che muove se stesso”.
L’ammissione era selettiva: erano richieste particolari qualificazioni, tra cui un esame fisiognomico, capace di garantire, attraverso certi caratteri fisici, la predisposizione di un candidato a precisi orientamenti spirituali ed intellettuali. Gli ammessi erano divisi in due gruppi: gli exoterici e gli esoterici. Nel primo gruppo si distinguevano tre gradi: Uditori, Parlatori, Matematici. Nel primo grado – importantissimo – vigeva la disciplina del silenzio. L’adepto doveva solo ascoltare, mai parlare né per discutere, criticare, chiedere spiegazioni. Doveva solo accettare ciò che udiva sulla base dell’autorità del Maestro. Da qui la formula “àutos épha” o “ipse dixit”. Questo è il punto fondamentale dell’intero insegnamento pitagoreo: per un primo momento, le verità devono essere solo ammesse, poi mediante una maturazione silenziosa, verificate, riconosciute per esperienza personale e la sapienza, piano piano, viene acquisita sulla base della propria convinzione diretta, non della dialettica altrui: così diviene patrimonio intimo ed indelebile dell’iniziato. Questo periodo di meditazione autonoma, associato all’osservanza di certe regole di vita, durava dai due ai cinque anni. Accedendo al secondo grado, quello dei Parlatori, il discepolo poteva parlare per domandare, discutere ed esprimere le proprie opinioni. Ma solo nel grado dei Matematici avveniva la partecipazione effettiva alla conoscenza, appresa solo per trasmissione orale, con il linguaggio simbolico.
Il teorema di Pitagora
A questo punto va valutato il significato del termine “Matematica”. Per Pitagora, come poi per Platone, vuole essere una preparazione, un avviamento ad usare lo sguardo interiore rivolgendolo, dalla contemplazione delle cose naturali e mutevoli a ciò che realmente esiste, sempre uguale a se stesso. Si deve anche considerare che non si trattava di una sola scienza, ma di un complesso di scienze “fisiche”, oltre la matematica, la musica, la scienza dei ritmi degli astri, la gnomonica, la cosmologia. Scienze che avevano dell’umano e del divino allo stesso tempo, con un duplice aspetto, interiore ed esteriore, non di carattere empirico, ma metafisico. Erano il punto intermedio, il ponte idoneo al trapasso dall’exoterismo all’esoterismo, alla fase realizzativa iniziatica.
Ma tornando al cammino esoterico, quando l’allievo era giunto ai Matematici aveva da superare un’altra serie di prove, prima di essere ammesso al rapporto diretto con il Maestro, prima di poterne “vedere il volto”: infatti, fino a quel momento, ne udiva solo le parole restandone separato da un tendaggio. A questo punto del rituale, dal simbolismo ben evidente, l’iniziato riceveva la dignità di “Perfetto o Compiuto” (Teleiios) e di “Colui che è da venerare” (Sebastikòs). In tale fase sorgeva “il vincolo del silenzio”, non quello didattico, educativo del novizio, ma come sacro impegno di non comunicare ad alcun prezzo l’insegnamento esoterico. Chiunque trasgredisse l’impegno del silenzio, in qualunque fase del cammino esoterico si trovasse, moriva moralmente e, nella scuola, gli si faceva un cenotafio. Gli esoterici avevano segni simbolici di riconoscimento ed il più importante pare che fosse il Pentagramma.
I pitagorici non vivevano distaccati dal mondo. Gli adepti potevano restare nella scuola e dedicarsi unicamente alle discipline iniziatiche o tornare nella vita ordinaria svolgendo un’attività qualunque, ma restando indelebilmente realizzati. Pitagora espresse anche la sua concezione della politica: il potere doveva essere in possesso di uomini sapienti e questi erano gli iniziati, che ricevevano proprio come ultimo, l’insegnamento dell’esercizio dei pubblici poteri in modo da sapere instaurare un regime non tirannico, ma a carattere oligarchico, su sfondo teocratico e sapientale.
A questo punto è opportuno esaminare il concetto di “numero”, elemento base della dottrina di Pitagora, per il quale il numero non è solo un’entità aritmetica quantitativa, ma anche un principio metafisico qualitativo, è una fase armonica ed inducente armonia, regolando come legge assoluta l’universo e quanto in esso accade. Il numero è l’essenza di tutte le cose, la legge universale che tutto armonizza e governa. Ricordiamo anche, che secondo Pitagora è nella “armonia” che si conciliano tutti gli “opposti”, che incontriamo ovunque e che si configurano proprio come opposizioni numerali. Per esempio, i concetti di illimitato e di limitato sono, da un punto di vista numerico, una semplice opposizione di pari e dispari, opposizione questa che, esaurirebbe la serie dei numeri, senza l’eccezione dell’unità, detta “pariimpari”, perché unita ad un pari dà un dispari e viceversa. Questa “dottrina degli opposti” è fondamentale per i pitagorici. Essi ne individuarono dieci coppie, videro che i due membri costituenti non erano perfettamente uguali e stabilirono che l’ordine dell’universo veniva assicurato da “l’Armonia” che, sotto l’aspetto cosmogonico era l’armonia delle sfere celesti ruotanti attorno al “fuoco centrale”, mentre sotto l’aspetto etico era “l’Anima”, forza unificatrice e ordinatrice delle discordanze della materia corporea. L’anima, in quanto numero che muove se stesso, è forza autonoma ed assume, in una scala di valori metafisici, ordinati sul grado di armonicità, una posizione intermedia e mediatrice fra il numero inferiore della realtà corporea ed il numero superiore dell’Armonia Superiore della monade divina.
La sezione aurea
È quindi con la combinazione della dottrina degli opposti con quelle dell’armonia e del numero che si compone l’unità della filosofia pitagorica, perché l’armonia in cui i contrasti si annullano, elimina l’urto dei pluralismi rappresentato dagli stessi opposti.
Ma cerchiamo di vedere perché “il numero è base di tutto”. Pitagora, fondatore dell’acustica, facendo i suoi esperimenti con il monocordo, che permette di ottenere suoni diversi a seconda della lunghezza della corda stessa messa in tensione, giunse a scoprire il rapporto fra altezza del suono e lunghezza della corda vibrante, stabilendo una conformità con leggi esprimibili numericamente di un fatto, fino ad allora constatato solo dall’orecchio. Così, anche se non poté contare le vibrazioni, scopri il rapporto numerico che intercorre fra numeri separati da intervalli di ottava, di quinta e di quarta, fissando le leggi armoniche dei principali accordi. Se l’acustica e cioè la musica, era suscettibile di una determinazione numerica, così doveva essere anche per tutti gli altri fenomeni naturali. Perciò i pitagorici individuarono l’elemento primordiale, di tutte le cose fisiche, nel punto che fecero corrispondere all’unità, elemento numerico, ed il numero divenne lo “arkè”, cioè il principio di tutte le cose. In un periodo storico, in cui ci si orientava già verso l’idealismo platonico, non fu difficile considerare il numero come essenza anche delle entità ideali come l’Amore, l’Amicizia, la Bellezza, la Giustizia. Questa concezione metafisica dovette, per forza, riflettersi nella pratica e mostrare l’armonia anche come ideale etico della condotta umana, la mèta della perfezione morale, così come portare all’identificazione della beatitudine suprema, promessa all’anima purificata, nella “Armonia Universale”.
Alla luce di queste dottrine cambia la filosofia del numero, ereditata da filosofie precedenti. Il 3 è un numero sacro, perché contiene il principio, la metà e la fine; il 10 è sacro e perfettissimo, perché è la somma dei quattro primi numeri, che rappresentano, in fisica, i quattro elementi e, in geometria, il punto, la linea, la superficie ed il corpo espressi graficamente sotto forma di punti allineati e sovrapposti a formare un triangolo equilatero, chiamato “tetrakis” perché la misura dei lati è quattro, figura sacra sulla quale i pitagorici facevano i loro giuramenti.
Il Tetraedro: primo dei cinque poliedri platonici
Un cenno rapidissimo alla cosmologia pitagorica, per ricordare come quella Scuola ebbe intuizioni precocissime confermate talvolta addirittura dopo millenni: la sfericità della terra, la sua rivoluzione attorno ad un centro, abolendo il geocentrismo per sostituirlo con quello che sarà l’eliocentrismo, la rotazione sul proprio asse della Terra. Non è neppure il caso di sfiorare l’importanza delle teorie di Pitagora e dei pitagorici nella storia della matematica.
Rolando Brogelli