Giuseppe Schiavone
Secondo gli alchimisti, Dio concepito come Fuoco decodifica l’acronimo I.N.R.I. non nell’espressione «Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum», ma in «Igne Natura Renovatur Integra».
Purificazione, dal gr. pür, püròs = fuoco.
Il simbolismo dell’incenso è in relazione con quello del fumo, del profumo e delle resine incorruttibili. All’incenso si attribuisce la capacità di innalzare la preghiera verso il cielo; per questo è un emblema della funzione sacerdotale e, perciò, uno dei Magi l’offrì al Bambino Gesù. L’incenso, nel rituale indù, è messo in rapporto con l’elemento «aria» e si dice che rappresenti la percezione della coscienza che è presente dappertutto. In America centrale, l’incenso si collega al simbolo del sangue, della linfa, dello sperma, della pioggia. Il fumo dell’incenso, come la nuvola, è una emanazione dello spirito divino.
Nella cultura esoterica il cielo si trova nell’interiorità del soggetto e coelum avrebbe la medesima radice di celatus, a, um, con significati analoghi.
«Secondo antichissimi rituali la linea orizzontale della Croce rappresenterebbe la morte, quella verticale la vita; ambedue insieme la risurrezione. La morte allegorica, seguita da una rinascita a vita nuova, con il testamento del Fratello Apprendista, si conosce nei rituali massonici del primo grado; e si conferma con la misteriosa leggenda di Hiram nel terzo grado» (L. Troisi, Dizionario massonico, Foggia, Bastogi, 1987, p. 276). «Il braccio orizzontale della Croce indica l’elemento passivo, la materia, l’uomo disteso al suolo. Il braccio verticale indica lo spirito, l’elemento attivo, l’uomo. L’idea (segno verticale), entrando nell’intelligenza ricettiva (segno orizzontale), feconda quest’ultima. La verticale è il fecondante, l’orizzontale il fecondato […]. La Croce a bracci uguali è simbolo del macrocosmo; a bracci disuguali, del microcosmo» (Ivi, p. 129). Il centro della Croce è il luogo favorevole di tutti i passaggi da un livello all’altro, da un luogo, o mondo, all’altro: è l’ombellico del mondo degli antichi, l’omphalos, la scalinata (confronta Bizzarri, La scala misteriosa del XXX°, n.d.r.) rituale di tante religioni, la scala degli Dei. Per di lì, temporalità ed eternità, terra e cielo, basso e alto entrano in comunicazione.
L’uroboros è il serpente che si mangia la coda, rappresentando un ciclo di evoluzione che si compie. Questo simbolo racchiude nello stesso tempo le idee di movimento, di continuità, di autofecondazione e di eterno ritorno. La forma circolare del simbolo ha dato luogo ad un’altra interpretazione: l’unione del mondo sotterraneo (raffigurato dal serpente) e del mondo celeste (rappresentato dal cerchio). Questa interpretazione sarebbe confermata dal fatto che l’uroboros, in alcune rappresentazioni, è metà nero e metà bianco. Significherebbe così l’unione di due principi opposti, il cielo e la terra, lo yin e lo yang cinesi, e tutti i valori di cui questi opposti sono portatori.
Mercurio, messaggero degli Dei, porta la divina ispirazione. È ambasciatore fra le divinità e l’uomo, legame tra finito e infinito, tra il mistero della natura e la comprensione umana a cui l’idea nuova arriva come messaggio dell’intelligenza universale.
Così anche in Giovanni, 1: 4–5, 9.
Eraclito, Frammenti, 44, 45.
Ivi, 46, 47.
Questa era anche la concezione degli «stilnovisti», i poeti medievali iniziati alla società esoterica dei Fedeli d’amore.
- Il rito, il suo senso, i suoi simboli
In Massoneria il rito funerario è il simbolo della metamorfosi dell’uomo nel fatale passaggio dalla caducità terrena all’eterno, dal contingente al trascendente, dal sensoriale allo spirituale, richiamando inoltre i concetti di rinascita, di evoluzione continua, di fratellanza universale, di reintegrazione nell’Uno.
Celebrare un defunto, nel Tempio massonico, significa sentirlo presente tra i vivi e così dichiarare una continuità di rapporto con lui, ovvero una continuità di comunicazione tra la vita e la morte; quindi una estensione della fratellanza dei viventi ai morti, in una catena universale, per essere fratelli nella vita attuale e oltre essa, anche dopo la morte. Tutto questo, ovviamente, c’induce a penetrare il senso autentico della morte, superandone la concezione comune o profana.
Per far ciò siamo obbligati a entrare nel Tempio dei Liberi Muratori parato a lutto, con addobbi che indicano che la morte può mietere gli uomini in qualunque stagione. Il rito inizia simbolicamente a Mezzanotte, quando cioè le tenebre più profonde stendono un velo di dolore sulla natura che attende, momentaneamente vedova, il ritorno dell’astro che la vivifica. La cerimonia viene avviata dal Maestro Venerabile, battendo debolmente un colpo di maglietto (simbolo della nascita dell’uomo), segue il Primo Sorvegliante che batte un colpo fortissimo (simbolo della forza vitale), conclude il Secondo Sorvegliante con un colpo appena sensibile (simbolo dell’ultimo respiro).
A questo punto i presenti si raccolgono intorno al tumulo che sta al centro del Tempio, così constatando dolorosamente che uno degli anelli della loro catena fraterna è spezzato e che la parola è smarrita. Per ripristinare allora la comunicazione interrotta a più alto livello, viene invocato Dio, il Grande Architetto dell’universo (G.A.D.U.), concepito anche come Fuoco che feconda ogni forma di vita 1, come Principio di ogni trasformazione, come Fine di ciascuna esistenza che ritorna a Lui reintegrandosi nell’Uno: reintegratio ad Unum, aut ad Ignem.
Segue il ricordo dell’estinto. In presenza della morte –simbolo di silenzio assoluto, di necessità di purificazione 2 per la seconda nascita che trascende la contingenza e immette nell’eterno– i presenti ne traggono un elevato ammaestramento che interiorizzano, divenendo fattore di edificazione coscienziale, sì che l’esempio del defunto possa insegnar loro a morire, perché v’è pure una dignità della morte, oltre che della vita: ne discende un’etica ed una pedagogia della morte.
Si fa strada così la consapevolezza che dalla morte possa scaturire un’importante e profonda lezione educativa; che dalla putredine della decomposizione possano nascere i profumi e le bellezze della vita (come, appunto, accade in natura); che il trapasso non è che l’iniziazione ai misteri di una risurrezione e che nulla si disperde e si estingue in natura.
È a questo punto infatti che il Maestro Venerabile versa per tre volte l’incenso 3 nei tre bracieri che sono attorno al tumulo e che i presenti, in pellegrinaggio intorno al feretro, gettano su di esso fronde di acacia, simbolo di rinascita, «pregando» affinché la sua memoria e la testimonianza delle sue virtù parlino (s’incidano) nella loro anima e conducano, attraverso assiduo lavoro e rigorosa ricerca, alla verità e alla luce.
L’ottimismo pian piano prende il posto del pessimismo, nella certezza dell’ininterrotta trasformazione–evoluzione della natura, della creazione continua, quindi della vita permanente, di cui il Fuoco è il principio ed il simbolo. In questo spirito, pertanto, i Fratelli riescono a ricomporre la catena d’unione e a scambiarsi baci fraterni intorno al tumulo. «Bruciano» ogni pensiero egoistico, i risentimenti, il ricordo delle offese subite e si rafforzano nella pace, nella concordia e nel comune lavoro, tenendo sempre presente il fondamentale precetto evangelico: «Non fare ad altri quello che non vorresti fosse fatto a te stesso e fa’ agli altri quello che per te medesimo brameresti». Su di esso giurano.
Dopo che ciascuno, in catena, attraverso il simbolo e la realtà del Fratello defunto, ha sublimato (purificato) se stesso nell’amore (quindi nel fuoco) e che la concentrazione sulla morte corporea ha aperto la porta del cielo (la janua coeli), cioè dell’interiorità e della coscienza 4, l’opera del soggetto giunge alchemicamente al punto cruciale (alla Croce 5 , appunto). Aperta la Porta d’oro, il Logos fa udire la sua voce interiore e rivela la sua luce, il suo fuoco, la sua essenza spirituale. Il soggetto, prendendone piena consapevolezza, lo fa proprio; lo reincarna nella propria coscienza (quindi certamente ad un più alto livello rispetto alla precedente incoscienza che ne aveva, essendo il lui presente all’inizio soltanto in forma latente). In quest’atto, sacrificio e rinfrancamento, dolore e consolazione si con–fondono determinando il fatto nuovo: cioè la nascita dell’uomo nuovo. L’atto trasmutatorio riceve l’intelligenza di sé (l’autocoscienza) e della speranza che lo sostiene e lo spinge, intesa quest’ultima come facoltà di perenne rigenerazione compresa nella circolarità dell’unità divina (l’uroboros 6). Pertanto, se tutto è Uno, la catena non s’interrompe mai, neanche di fronte alla morte, la quale anzi viene assunta nel piano divino fra le forme del divenire; quindi non come frattura negativa, ma come uno dei momenti della continuità positiva, vitale.
In questa prospettiva e con la fiducia nella Luce ritrovata, il Maestro Venerabile e i due Sorveglianti chiudono i lavori funebri all’alba. Come l’astro che nasce disperde le tenebre della notte, così la speranza – ch’è diventata certezza – che il Fratello passato all’Oriente eterno riposi nel grembo del comune Padre, dissipa ogni dolore e cambia in giubilo lo sconforto. È l’ora in cui il sole si mostra all’orizzonte e spande la gioia sugli esseri viventi. Rischiarati dai suoi raggi, i Liberi Muratori si uniscono in un caloroso triplice applauso per rallegrarsi della glorificazione del Fratello che s’è allontanato dalla Valle terrena e che ora è stabilmente in coelo, cioè nella coscienza purificata di ciascuno (come s’è detto prima), nel Fuoco interiore di ogni Fratello, dove egli è assunto come verbo, come parola interiore che insegna, fortifica e guida verso il bene.
Va da sé che dopo tale rituale processo trasmutatorio nulla può essere più lasciato alla materialità profana; perché non dev’esserci più la materialità, «non può» esserci. Una ulteriore prolungata fase di decomposizione (putrefactio) rallenterebbe, o arresterebbe, o invertirebbe il processo trasmutatorio. L’opera compiuta nel Tempio è reale, non virtuale, perciò le spoglie mortali devono essere autenticamente purificate, cioè penetrate e consumate dal fuoco, per essere strutturalmente da esso modificate. Solo così si realizza il consummatum est, l’ultima consummatio (il compimento perfetto), la parte più eterea della materia mortale ed immortale.
- Il fuoco
Fattore centrale, quindi, di questo piano di realizzazione è la purificazione, il fuoco che agisce, con modalità differenziate, nei diversi livelli dell’essere d’uomo: fisico, animico, spirituale. In primo luogo, la fiamma trasmuta chimicamente la materia grave in una materia eterea. In secondo luogo, a livello animico, la potestà pirica è la potestà mercuriale nella sua emanazione creatrice; cioè la facoltà poietica del soggetto (la facoltà creativa), la quale agisce come potere comunicativo per contatto (l’intuizione: il processo conoscitivo evocativo 7). In terzo luogo, agisce come principio o spirito igneo: il soggetto s’afferma coscientemente come fattore di cause che producono eventi importanti, analogici agli atti creativi divini (ad esempio, l’atto di fecondazione della vita avviene nel fuoco dell’amore); nel termine s(pir)itus v’è il radicale di pür (il fuoco fiammante, urente, il principio igneo). È la sede del fuoco centrale (o centro sensorio, o plesso), il punto d’intersezione di due linee (X) rappresentanti rispettivamente il principio attivo e il principio passivo in amore, cioè agenti l’uno sull’altro, il primo sul secondo, in modo tale da non generare squilibrio, ma equilibrio. È la sintesi delle metamorfosi generate dall’attivo intelligente. È il fuoco fecondante (germe vitale riproducente), la vibrazione di energia urente.
Nel linguaggio alchemico il fuoco è una sostanza pura, eterna, indispensabile per il compimento della Grande opera. Esso sarebbe alimentato dallo «zolfo dei saggi», simboleggiato dalla Fenice (che risorge sempre dalle ceneri, cioè dopo un processo di combustione, affermando risurrezione e immortalità, rinascita ciclica) e si armonizzerebbe con il volere del G.A.D.U. Presso i Maya Quiché la cenere ha una funzione magica in rapporto alla germinazione e al ritorno ciclico della vita. In alchimia la Fenice è collegata all’Opera al rosso, alla rigenerazione della vita universale e alla finalizzazione dell’Opera. Simbolicamente la cenere, legata al fuoco e alla siccità, è associata al principio yang, all’oro, al sole; la sua sacralizzazione è in relazione ai riti di passaggio e di purificazione attraverso il fuoco.
Per Aristotele il Fuoco è una espressione del Logos 8, concezione che egli mutua da Eraclito, secondo il quale il fuoco è l’elemento primordiale e tutte le cose non sono che trasformazioni di esso 9, prodotte per via di rarefazione e condensazione; l’universo stesso nasce dal fuoco, che di nuovo tornerà a distruggerlo ad intervalli stabiliti. È significativo notare che dei contrari, quello che presiede alla generazione Eraclito lo chiama guerra e contesa, quello che provoca invece distruzione ad opera del fuoco lo chiama accordo e pace, mentre il processo di trasformazione secondo il quale si forma il mondo lo chiama la strada in giù e in su 10.
Il fuoco è lo strumento della modificazione degli stati che nella natura appaiono a prima vista stratificati ed insuperabili; è il mezzo affinché la vita, trascorrendo dall’una all’altra forma, si riveli. Il rapporto dell’uomo con il fuoco è atto di suprema intelligenza, perché è rapporto con il Logos. In questo quadro di riferimenti, pertanto, combustione, o carbonizzazione, o incinerazione significa non solo purificazione ma anche indiazione. Perciò l’uomo dovrebbe ardere dall’interno e dall’esterno, per mezzo di ambedue le modalità del fuoco, per bruciare tutte le scorie e, così, divenire pura scintilla in grado di unirsi alla fonte da cui s’è separato.
Dalla tradizione s’è tramandato sino ai nostri giorni un patrimonio simbolico e coscienziale che fa del fuoco una metafora ed uno strumento effettivo che dà senso alla vita e alla morte considerate in una continuità di perenne purificazione, sino a rendere possibile l’immortalità del soggetto.
Il valore dei riti funerari che fanno ricorso al fuoco, come quello massonico, sta nelle modificazioni che esso produce nell’officiante, o negli officianti. Si tratta di modificazioni di ciò che è mortale in ciò che non può morire. È ancora una volta una iniziazione – come nel massonico «Gabinetto di ri–flessione» –, ma questa volta realmente incontrando ed attraversando la morte, con un processo in grado di trasmutare un uomo in un morto vivente, ed un morto effettivo in un vivente, come chi è disceso agli inferi, come chi ha conosciuto l’estasi, come chi riesce a passare per la fessura tra i mondi, all’incrocio tra l’orizzontale e la perpendicolare (secondo l’insegnamento, come s’è già detto, del simbolo della Squadra e della Croce). Ciò che ci si attende dal fuoco è che esso ci apra questa fessura, agendo come l’amore, come il fuoco d’amore 11, permettendoci di andare al di là (nell’altra dimensione), per poi ritornare di qua consapevoli, già forti della morte e, quindi, immortali.
Ciò che ci si attende dal fuoco e dal rito funerario di cui stiamo parlando è una esperienza coscienziale che compia una trasmutazione totale del nostro essere fisico e animico.
Le guarigioni legate all’azione del fuoco – anche quelle fisiche, documentate – sono delle metafore di questo arcano potere igneo. Sono come delle testimonianze parziali, che rivelano la presenza del fuoco, la possibilità di una guarigione ben più completa, di una trasformazione radicale e globale, attraverso la liberazione dell’elemento sottile e immateriale nascosto nell’interiorità dell’uomo. Un elemento, questo, che non può essere distrutto dal fuoco perché egli stesso è fuoco, perciò è l’unica parte che resta dopo la combustione, la parte immodificabile e immortale, ciò che risorge dalle ceneri, lo spirito divino che venne ad abitare in noi (il Verbo che «habitavit in nobis»: Giovanni, 1: 14; il lapis dell’acronimo Vitriol «qui stat in nobis»).
Pertanto, oltre ad un fuoco risolutivo e trasmutativo, c’è un fuoco come aughé: splendore, luce, radianza. È il corpo di gloria o di luce (confronta Nicosia, La fortezza pitagorica,; Bianca, La rigenerazione n.d.r.). Da cui l’aureola che tutto circonda e che tutto riempie, splendendo con speciale forza radiante intorno ai volti e alle figure dei maestri, degli iniziati, dei santi.
Ogni esistente è avvolto da un’aura, come se l’intero universo fosse composto di un’unica materia risplendente, lucente, avvolgente; ed ogni cosa, anche miscroscopica, fosse una scintilla che se ne distacca per un attimo per vivere di vita propria, ma conservando le qualità «ignee» del tutto.
La polisemia del fuoco è suggestiva: fuoco come essenza della divinità, fuoco prometeico, fuoco come simbolo, fuoco ierofante, fuoco trasmutatore, fuoco amico, fuoco della cucina, fuoco del focolare, fuoco ammaliatore, fuoco dell’alchimia, fuoco come amore, fuoco come luce della conoscenza, fuoco come logos.
Questa è la ricetta dell’oro alchemico, scritta probabilmente da Giovanni Pontano (1429–1503):
Il nostro fuoco è minerale ed eterno, non evapora se non è eccitato oltre misura; partecipa dello zolfo, non proviene dalla materia; distrugge, dissolve, congela e calcina tutte le cose. Occorre molta abilità per scoprirlo e prepararlo; non costa nulla o quasi nulla. Inoltre è umido, carico di vapori, penetrante, sottile, dolce, etereo. Trasforma, non s’infiamma, non si consuma, circonda tutto, contiene tutto; infine è il solo della sua specie […].
Sappi dunque cercare con tutte le tue forze questo fuoco e ci arriverai, perché è quello che compie l’opera ed è la chiave di tutti i filosofi che non hanno mai rivelato; ma se tu indagherai bene e profondamente le cose sante, la proprietà del fuoco la conoscerai e non altrimenti.
Intendi: Sole = Oro = Zolfo = Anima = Cuore
Prima fatti padrone assoluto delle tue passioni, dei tuoi vizi, delle tue virtù; devi essere il dominatore del tuo corpo e dei tuoi pensieri. Poi accendi, o sveglia, per meglio dire, nel tuo «cuore» per immaginazione, il centro del «fuoco»; cerca di sentire dapprima una specie di caloricità lieve, poi più forte:
Fissa tale sensazione nel tuo «cuore».
Dapprima ti parrà difficile; la sensazione ti sfuggirà; ma cerca di mantenerla nel «cuore»; rievocala, ingrandiscila, diminuiscila a piacere; sottomettila al tuo potere; fissala e rievocala a volontà.
Prova e riprova.
Impadronisciti di questa forza e conoscerai il «Fuoco sacro o Filosofico».
Il fuoco ha la proprietà di riportare i corpi alla loro condizione originaria, per poi ricominciare il ciclo vitale. È tutto qui il segreto della rigenerazione. Il corpo incenerito ritrova la situazione primordiale della sostanza. Analogicamente il regressus ad uterum è un penetrare di nuovo nella matrice materna, per poi rinascere rinnovato. È il cammino (ed il compito) dell’iniziato, che conquista la libertà ignea, cioè la trasmutazione della coscienza, operando sul flusso psichico e mentale (fluidità mercuriale), essiccandolo e riducendolo ad una coscienza puntuale, universale, embrionale, come quella dell’uovo, del feto, del seme. In questa fissazione in stato seminale si ha il ritorno alla pura potenzialità, per una nuova attualità. «Solve et coagula»: il mistero (la dinamica) della morte e della vita sta anche qui.