LA RITUALITÀ
Vittorio Vanni
Eggregoro (o anche eggregore) è un neologismo creato nella prima metà del XIX secolo. Sembra sia stato usato per primo da Eliphas Levi, pseudonimo dell’Abbé Louis Costant, notevolissimo personaggio del mondo esoterico e politico della sua età. Tratto dal greco egregorion, ‘il vegliante’, designa gli angeli caduti dell’apocrifo biblico Il Libro di Enoch, che, per amore delle figlie degli uomini, abitarono la terra, insegnando all’umanità ogni arte e scienza. Nella fraseologia esoterica attuale indica un’entità psichica collettiva che si produce sia per via naturale in qualsiasi congresso umano di almeno tre persone, che per via rituale. La caratteristica dell’eggregore consiste nel suo non essere la somma matematica delle energie. Può assumere esistenza e autonomia individuale per opera del teurgo, che è un creatore di Dèi.
Il modo, il tempo, lo spazio
Si può tentare di definire la ritualità, peraltro imperfettamente, data la sua natura di collegamento fra mondo fisico e mondo iperfisico, come un insieme codificato di parole, atti e oggetti analogizzati simbolicamente all’invocazione ed evocazione d’esseri sovrannaturali. Le religioni exoteriche usano la ritualità in questi termini, inducendo atteggiamenti affettivi ed emozionali, mentre gli assiomi esoterici ritengono l’universo stesso (macrocosmo) un’entità energetica indifferenziata. L’uomo, (microcosmo) è l’immagine individualizzata e differenziata di quest’energia, e attraverso la teurgia 1 può attrarla e usarla, dandogli a sua volta forma antropica differenziata e quindi evocabile e invocabile. È nota l’importanza magico-rituale del Nome: per gli antichi possedere il Nome di un dio, (dando quindi all’energia universa una sua specificità individuale) significava possederne la potenza.
Vi è nella comparazione fra ritualità religiosa e ritualità iniziatica una differenza di grado, se non di qualità, che rende la seconda incomparabilmente superiore. Il secondo criterio rituale che Fraser 2 codificò all’inizio degli studi antropologici, riportato poi dal Mauss nei suoi studi magico-antropologici, 3 enuncia che «il rito magico ordinariamente, agisce di per sè‚ costringe, mentre il rito religioso adora e concilia; il primo ha un’azione meccanica immediata, il secondo agisce indirettamente e attraverso una specie di rispettosa persuasione»
Un esempio tipico di questo procedimento è stato studiato da un punto di vista antropologico dal De Martino 4 che ha esaminato l’iniziazione sciamanica di Aua: «Fu nel mezzo di un tale accesso di misterioso e sommergente gaudio che io diventai sciamano; il misterioso, l’inqualificabile, il senza orizzonte, l’irrelativo, l’insorgente, il caotico diventa ora il piccolo Aua, una forma definita, un’esistenza qualificata, uno »spirito» che verrà quando sarà chiamato, e che fornisce il potere paragnomico».
Se è vero che i rituali massonici, come notò già Leone XIII nella sua più interessante enciclica antimassonica, 5 assomigliano a quelli legati ai sacramenti, ciò deriva dal fatto che la liturgia cattolica non è una creazione specifica e originale del cattolicesimo, ma è un’interessante imitazione della ritualità antica, in piccola parte ebraica, ma soprattutto indotta da quella misterica, sia mediterranea che mediorientale. Il calendario liturgico, l’uso dei colori, gli strumenti rituali, ecc., sono stati completamenti indotti da ciò che i cristiani chiamarono sprezzantemente il «paganesimo», mentre ne tramandavano sia le speculazioni teurgico-metafisiche del neoplatonismo (Cfr. Porfirio, Giamblico, Plotino) che le connotazioni popolari (festività, venerazione dei santi, processioni, esorcismi ecc.). Uno dei grandi meriti della civiltà cattolica consiste proprio nell’aver tramandato fino a epoche recenti, o quanto meno al periodo pre-riformistico, la grandiosità liturgica e simbolica del mondo antico.
La Chiesa Romana in tempi recenti ha rinunciato all’uso del latino come lingua sacra nelle sue cerimonie; ha espurgato le grandi e universali tradizioni rituali dai suoi schemi liturgici, ha rinunciato al simbolismo architettonico nelle chiese e cattedrali moderne. Solo un simbolista e ritualista può oggi apprezzare e rimpiangere con cognizione di causa ciò che la Chiesa Romana ha volontariamente perduto. La fretta – a nostro giudizio errata – di adeguarsi al presente non considera che solo in un ipotetico e lontano futuro l’umanità potrà evolversi tanto da poter intuire, comprendere, vedere, la bellezza infinita dei frattali delle linee di forza dell’energia universale, il suono silente dell’armonia delle sfere che il rito tradizionale induce, la gioia infinita e l’illuminazione che la teofania 6 produce nell’uomo.
La caratteristica fondamentale della ritualità è la sua universalità. Gli ultimi cento anni di studi etnologici, antropologici e psicoanalitici affermano che gli assiomi fondamentali della ritualità, la sua stessa applicazione formale sono stati e sono fondamentalmente gli stessi. I Sumeri e i Babilonesi di quattromila anni fa, i bramani ayur-vedici ancora più antichi, le tribù amerindiane del XIX secolo, le stirpi oceaniche e gli aborigeni australiani del XVII secolo, i misteriosofici mediterranei dell’era precristiana hanno avuto e hanno la stessa forma e sostanza rituale. I semplici assiomi delle modalità rituali si possano così sintetizzare:
Lo spazio
geografia e geofisica sacra: scelta di una località in cui le forze cillenie e quelle ctoniche, prima intuite per via naturale, e susseguentemente conosciute per tradizione, possano favorire nell’uomo stati superiori di coscienza.
creazione di uno spazio sacro in cui possa effettuarsi un’influenza spirituale, una ierofania.9
orientamento spaziale, geografico e astronomico, o allineamento macro-microcosmico.
Il tempo
orientamento temporale-astronomico
rituali solari: solstiziali ed equinoziali legati all’aumento o alla diminuizione della luce e all’inizio delle stagioni
rituali lunari delle quattro fasi
rituali lunari delle domificazioni della luna
rituali orario-planetari
orientamento astrologico
riti astrologico-decanali
riti astrologico-zodiacali
Negli ultimi tre secoli, ma soprattutto dalla metà del ’700 in poi, il calcolo, ma soprattutto la percezione del tempo è completamente cambiata e negli studi rituali, come nell’operatività magico-rituale, vi è la necessità di percepire la successione temporale così come la concepivano gli antichi, una struttura scandita in senso verticale (il tempo – i tempi- i tempi del tempo) ritmata dai cicli inesorabili del sole, della luna, delle stelle, delle stagioni e del lavoro che era ad esse sinergicamente connesso.
In questo modo vi era allora un tempo per ogni cosa, mentre adesso non vi è più niente che abbia il senso del tempo reale. L’attuale struttura del tempo, strumentale, meccanica, artificiosa, schiaccia e appiattisce l’uomo, che soffre nella morsa dei ritmi innaturali imposti dall’attuale inciviltà e fra la pulsione di quelli naturali che la sua natura biologica, psichica, intellettuale, spirituale, abbisognerebbe. La scansione cronologica non è più indotta dal rapporto micro-macrocosmico, dall’allineamento fra umanità ed universo, ma da valori, necessità, desideri, interessi, bisogni tecnico-sociologici che, in astratto legittimi, si rivelano poi disumanizzanti.
Le problematiche legate all’uso del tempo rituale non si risolvono unicamente con la conoscenza del tempo tradizionale, che sarebbe relativamente semplice ritrovare. Negli ultimi secoli sono avvenute profonde modificazioni biologiche e biopsichiche dell’organismo umano (prodotte dalle implicazioni psicosomatiche della variazione del tempo individuale). La prima e più importante perdita è stata quella del tempo memoriale o sociale, in seguito alla scomparsa dei mores che facevano sì che la tradizione orale fosse nel frattempo storia e mito, identità individuale e sociale assieme.
La mente, strumento dell’intelletto, ha necessità di definire, di limitare la realtà fisica, di concentrarne l’essenza in uno spazio mentale più puntiforme possibile, proprio perché l’intelletto possa metaforizzarne e simboleggiarne l’esperienza materiale, ritrovando l’indefinito e l’infinito nell’astrazione metafisica. La memoria individuale è resa quasi inutile dalla quantità e dalla rapidità delle informazioni, quasi sempre effimere e transeunti, e quindi labili, deboli, evanescenti. Le incidenze interiori di questo processo sono di difficile verifica logica, ma producono comunque una deconcentrazione e un’alienazione sia dalla realtà esterna che dall’interiore. Questa modifica biopsichica dell’entità fisiologica può produrre nel frattempo una modifica all’entità animica ad essa corrispondente, con conseguente perdita di alcune facoltà intuitive sui piani sottili che già l’umanità del medioevo conservava in parte.
Il modo
- A) Il Segno
Le modalità dell’evocazione teofanica sono prodotte dalla magia simpatica. Questo termine non tradizionale è stato indotto dalla definizione di Fraser, ripresa poi dal Mauss e significa una tecnica magica che si ritiene produca il suo effetto grazie all’identità fra lo scopo perseguito e i mezzi adoperati. Il principio è che «simile produce simile». Il termine tradizionale è segnatura, sigillo, analogia.
Le concezioni magiche tradizionali ritenevano, per il principio esoterico del: «Tutto in Uno, Uno in Tutto», che ogni energia universa si rispecchiasse sulla natura, sulle cose, sull’uomo. Se la finalizzazione del rito era quindi la creazione di uno stato di potenza si pensava che adunando tutto ciò che materialmente e/o simbolicamente rispecchiava l’energia «potenza» si potesse attrarne le qualità. Da qui le tavole analogiche tradizionali d’equipollenza simbolica, di cui il massimo codificatore fu Cornelio Agrippa. 7
Il Quadro di Loggia nei vari gradi massonici è un esempio classico di questa «evocazione», espressa per il principio analogico con simboli rappresentati graficamente.
- B) Il gesto rituale come comunicazione metafisica.
La principale forma di comunicazione non-verbale è stata il gesto. Gli studi di Morris, Lorenz, 9 Iränaus Eibl-Eibesfeldt, 10 Hall, 11 Drosher 12 hanno affermato che la gestualità negli animali e nell’uomo è innata, ma può evolversi e maturarsi per apprendimento. Il gesto ieratico, espressione prima della ritualità, è comune a tutte le culture, anche senza influenza diretta. Esprime un’imitazione, istintiva e cosciente, dei grandi cicli celesti e terrestri, ed uno degli elementi fondamentali dell’allineamento micro-macrocosmico, con cui l’uomo può sperimentare stati dell’essere non comunemente conosciuti.
- C) Il contatto rituale come scambio d’energie sottili.
Nelle antiche credenze, comuni ad Oriente ed Occidente, non si considerava, nella fisiologia materiale, dell’uomo solo la sua componente visibile.
Energie più sottili, chiamate in Occidente eteriche o astrali formavano la sua fisiologia non visibile con potenzialità che potevano essere attivate, scambiate ed aumentate attraverso il contatto fisico, in quanto la posizione dei centri o nodi energetici fisici coincidevano con quelli iperfisici. L’imposizione delle mani, ad esempio nell’unzione regale, nell’ordinazione sacerdotale o nella terapeutica, trasmetteva energie sottili attraverso uno dei nodi più importanti della fisiologia visibile ed invisibile dell’uomo. Lo schiaffo o collata dell’investitura cavalleresca trasmetteva qualità marziali attraverso la violenza (o lo choc dell’atto).
Nell’iniziazione artigiana da cui la Massoneria prende origine, il segno nei vari gradi tende ad attivare le energie corrispondenti.
Il segno gutturale del 1° grado evoca il Logos, che attraverso il Fiat effettua la creazione primigenia, l’inizio spaziale e temporale dell’attuale stato dell’essere. Il segno cardiaco del 2° grado risveglia il pensiero del cuore, quella facoltà intuitiva e istintiva che poneva l’umanità in contatto diretto con l’energia universa, e che è stato in parte perduto attraverso la necessaria evoluzione umana verso la razionalità, il pensiero della mente.
Il cammino esoterico non comporta certamente la perdita della razionalità, conquista terribile, faticosa e dolorosa, ma la riacquisizione e la coordinazione mentale e spirituale di quegli elementi di sensibilità sottile perduti dall’uomo nel suo cammino evolutivo. Il segno addominale del 3° grado riattiva il terzo gran nodo energetico dell’uomo, quello generativo, la cui forza, come recita l’Ecclesiaste, «è più forte della morte».
Frate Elia da Cortona fu un notevolissimo personaggio, successore di S.Francesco nell’Ordine e perseguitato per sospetta eresia da S. Antonio da Padova e da Gregorio IX. In un suo sonetto ermetico 13 Elia accenna a questa operatività quando afferma:
Allor ti puoi tocar sotto il belico
e dire: i’ son Maestro certamente.
I toccamenti massonici, segno di riconoscimento dei Fratelli nei vari gradi, esprimono lo stesso concetto, in quanto le dita della mano esprimono a loro volta vari tipi d’energia, secondo gli schemi analogici della cosiddetta »mano pantea» 14 misterica e neoplatonica. La presa o griffe del Maestro, detta anche i «Cinque punti della Maestria», che rappresenta la parte finale del rituale d’elevazione al grado di Maestro, rappresenta una vera trasmissione fisiologica e metafisica di poteri iniziatici.
È da notare che la ritualità massonica non è in genere una trasmissione personale e diretta di un’influenza spirituale. Essendo la trasmissione esoterica, quella, appunto, iniziatica, del terzo stato sociale, ha caratteristiche collettive, perché necessita di un certo numero di Fratelli, tre o cinque o sette, per la validità del rito. La presa di Maestro è invece l’unica forma massonica concessa di trasmissione iniziatica diretta e personale, da Maestro a Discepolo.
Un altro esempio di ritualità massonica attraverso il gesto e il contatto consiste nella Catena d’unione. Introdotta nella Massoneria francese nella seconda metà del XVIII secolo, ha origini primordiali nell’ambito della ritualità universale. L’uso rituale della catena d’unione, mantenuto nella liturgia massonica, ha un’antichissima origine nelle danze rituali dei popoli antichi. Per questi la danza non era soltanto un mezzo di puro divertimento, ma aveva una scopo pragmatistico di ritualità magica, in cui ci si riprometteva di mettere in opera una forza sovra-individuale, cercando di metterla a profitto della comunità. Quest’antica operatività, la cui arte esiste ancora in alcune comunità religiose od esoteriche, è tuttora vivente. Secondo queste concezioni, la danza agisce nel frattempo su due piani:
Eggregorico: la formazione d’eggregoro 15 è facilitata dalla simultaneità dei movimenti, indotta dal ritmo musicale ossessivo, spesso dalla ripetizione di un motivo cantato di tipo mantrico, ecc.che produce una sinergia simultanea delle componenti psichiche ed animiche dei partecipanti
Individuale: lo stordimento della coscienza impegnata in un’attività fisica di notevole fatica, l’assenza di pensiero che ne deriva, favorisce, in una sorta d’inebriamento spesso aumentato da bevande ed eccitanti, il distacco dei corpi sottili e quindi la possibilità d’estasi e visioni e di contatto quindi con i piani superiori.
A esemplificare quest’operatività si possono ricordare le danze dionisiache, che potevano terminare con il furore delle baccanti e delle menadi, i sacerdoti cananei di Baal (III I Re XVIII, 26), i profeti israeliti (I Re [Sam.], X,5; XIX,20). Ai nostri tempi possiamo ricordare come nell’islamismo vi sia ancora la confraternita religiosa Mawlawiyyah (in turco ‘Mevleva’), o dei «dervisci giranti», la setta metodista degli Jumpers (saltatori) in Inghilterra ed in America, quella dei Chlysti nella Russia.
Nell’antico mondo mediterraneo i balli ciclici o pirrici, sia maschili sia femminili o misti potevano essere di semplice girotondo o tendendosi stretti incrociando le mani dietro le spalle. Il mito narra che fu Teseo che, per sciogliere un voto ad Apollo, danzò con i suoi compagni prima a destra, poi a sinistra, stabilendo così i primi ritmi della strofe e dell’antistrofe. Sono così caratterizzati i nostri stessi procedimenti d’apertura e chiusura rituale con deambulazione a destra (senso orario o solare), e, in alcuni usi rituali, la chiusura con deambulazione a sinistra (senso antiorario o polare).
La storiografia riporta queste danze, ricordate anche nei poemi omerici alla tradizione cretese. Le pirriche presero il nome da Pirro, figlio d’Achille che l’avrebbe danzata in tali forme. Alessandro l’avrebbe danzata a Faselide, intorno alla tomba di Teodette, prima della conquista della Persia. È chiaro in questo caso che Alessandro intendeva ottenere magicamente un rapporto od un’identificazione con l’eroe defunto.
Ognuna di queste danze originarie fornì il tipo della lirica corale per i generi melici, già tradizionalmente affermati nelle caratteristiche di melodia e di ritmo. Le battute che segnarono il tempo delle danze furono più spesso di 2/4 o 6/8 e meno frequentemente di 2/4 o 6/8 e, tra queste, quelle di 6/8 e 5/8, più proprie delle danze che si chiamavano stasimotere, nelle quali i danzatori, pur movendosi per evoluzioni diverse, non si allontanavamo mai dal luogo scelto per l’esecuzione orchestrale; mentre il 2/4 e 2/2 erano tempi appropriati agli embateri o danze processionali, che più da vicino si riportavano al passo della pirrica.
Alcame, per primo, nei parteni, usò alternare i ritmi di 6/8 e 2/6 e concepì un nesso ritmico-melico che nelle danze stasimotere e processionali si susseguivano di continuo. I vari passi tradizionali che accompagnavano i ritmi meriterebbero un’analisi da un’esperta di questo settore, e producevano certamente un loro particolare effetto sia psichico sia metafisico.
Pur senza dilungarsi in descrizioni tecniche, si può ricordare che ogni euritmia aveva una particolare finalizzazione, così come insegnava ancora pochi decenni fa la scuola esoterica di Gurdgjeff. Un’altra applicazione statica di questa dottrina si può ancora esemplificare nei segni d’ordine massonici o iniziatici in genere.
La caratteristica della catena d’unione così come oggi è effettuata è quella di aumentare in proporzione geometrica la potenzialità eggregorica dei partecipanti, che il capo-catena ha il compito di raccogliere e finalizzare con particolari metodiche. Il contatto fisico dei partecipanti, eseguito secondo le regole della fisiologia sottile, produce energia: la concentrazione dei partecipanti e quella del capo-catena la dirigono.
Questo contatto fisico si ottiene semplicemente stringendo con la mano destra la mano sinistra del partecipante, e viceversa, come nella pratica rituale del girotondo che inconsciamente i bambini effettuano da sempre, tenendo conto che l’energia circola meglio secondo queste considerazioni: la mano destra dell’uomo ha polarità positiva, la sinistra negativa. Per la donna, la polarizzazione è opposta. Se la catena fosse formata da soli uomini o sole donne, sarebbe sufficiente il tenersi semplicemente per mano. Se la catena è mista si deve procedere in tal modo: gli uomini incrociano le braccia (la destra sulla sinistra), prendendo la mano sinistra dell’uomo che gli è accanto con la mano destra. Le donne (alternate agli uomini) non incrociano le braccia ma avendole distese prendono con la destra (-) la destra (+) dell’uomo che gli è accanto a destra e con la sinistra (+) la sinistra (-) dell’uomo che gli è accanto a sinistra. Se le posizioni non fossero queste avremmo la sinistra dell’uomo (-) unita con la destra (-) della donna e la destra della donna (-) con la sinistra dell’uomo (-). In questo caso l’energia non potrebbe ne prodursi ne circolare.
Curiosamente la catena d’unione massonica, nelle comunioni solo maschili, – corretta in quanto sinistra [-] con destra [+] – è effettuata come se dovessero esservi elementi femminili. Quando la catena è correttamente chiusa ogni membro a occhi chiusi visualizza intensamente il volto del capo-catena che a sua volta, sempre a occhi chiusi, visualizza lo scopo o l’effetto proposto.
Quando il capo-catena ritiene che l’energia si sia prodotta e sia circolata correttamente, invia l’energia, scuotendo per tre volte le braccia (ogni volta con una pausa d’alcuni secondi) producendo lo stesso effetto nei partecipanti alla catena, che la sciolgano subito dopo. Le antiche scuole iniziatiche avevano una vera e propria teoria rituale sull’uso operativo della catena d’unione.
La parola
La parola costituisce il modo di comunicazione legato alla razionalità, ed interagisce con essa. La raggiunta razionalità degli esseri umani ha prodotto l’uso della parola, ma l’uso della parola a sua volta produce razionalità. L’esposizione di un concetto, astratto o concreto che sia, attraverso la parola è una tecnica mentale complessa e raffinatissima che è oggetto di una precisa branca di studi psichici e psicologici. All’origine di questa razionalità la definizione di una qualsiasi realtà, fisica o metafisica che fosse, attraverso la parola, era considerata un potere formidabile sulla stessa realtà considerata.
Per il principio esoterico d’unità globale non vi era differenziazione fra realtà descrittiva e realtà descritta, e nominare una cosa significava nel contempo possederla. L’uso di formule magiche, di lingue arcaiche, o anche di semplice glossolalia determinava quindi dominio o potere sulla cosa desiderata o anche sulle stesse divinità di cui si possedeva il nome.
Per questo molto spesso gli Dei o anche le città avevano un nome segreto, da nascondere ai profani o ai nemici. Lo stesso concetto è applicabile all’uso di all’assumere uno ieronimo all’atto dell’iniziazione.
Nel rituale massonico, come in ogni rituale d’altro genere, vi sono due componenti essenziali. Una parte liturgica, basata sulle modalità sovradescritte di spazio, tempo e modo, in una schematicità ormai ampiamente descritta e codificata scientificamente, in modo tale che è possibile oggi avere dei parametri oggettivi di giudizio rituale. Cade così ogni soggettività individuale nella «correzione» o «restaurazione» di un rituale massonico, spesso affidate all’arbitrio estetico o ideologico del singolo.
La parte letteraria del Rituale, in cui si esprimono concetti etici e morali, speranze, desideri e volontà, costituisce le finalizzazioni indispensabili, che possano anche variare con il mutare dei tempi, in modo da riportarne l’evoluzione-involuzione su basi tradizionali. La prudenza in questo campo è però indispensabile
La parte liturgica, che si fonda su principi immutabili ed eterni – come quelli che pongono l’uomo in contatto fisico e metafisico con l’universo – non può esser variata. I termini simbolico-operativi della Massoneria, ad esempio, avendo acquisito nel tempo una loro suggestività, ma soprattutto una loro potenza eggregorica, sono divenuti degli schemi liturgici a noi specifici e non possono più esser variati. In questi termini la Massoneria si può rilevare come un ponte forse unico fra un lontanissimo passato e un lontanissimo futuro, quando l’umanità avrà effettuato un salto di qualità tale da avere in se stessa gli schemi razionali ed istintivi assieme che collegano l’uomo alla natura, all’universo e a Dio.
Quando questo avverrà, gli strumenti religiosi, rituali, iniziatici diverranno le stampelle che il malato ormai guarito lascia, come un ex-voto, ai santuari dei miracoli.
Vittorio Vanni
Eggregoro (o anche eggregore) è un neologismo creato nella prima metà del XIX secolo. Sembra sia stato usato per primo da Eliphas Levi, pseudonimo dell’Abbé Louis Costant, notevolissimo personaggio del mondo esoterico e politico della sua età. Tratto dal greco egregorion, ‘il vegliante’, designa gli angeli caduti dell’apocrifo biblico Il Libro di Enoch, che, per amore delle figlie degli uomini, abitarono la terra, insegnando all’umanità ogni arte e scienza. Nella fraseologia esoterica attuale indica un’entità psichica collettiva che si produce sia per via naturale in qualsiasi congresso umano di almeno tre persone, che per via rituale. La caratteristica dell’eggregore consiste nel suo non essere la somma matematica delle energie. Può assumere esistenza e autonomia individuale per opera del teurgo, che è un creatore di Dèi.
Il modo, il tempo, lo spazio
Si può tentare di definire la ritualità, peraltro imperfettamente, data la sua natura di collegamento fra mondo fisico e mondo iperfisico, come un insieme codificato di parole, atti e oggetti analogizzati simbolicamente all’invocazione ed evocazione d’esseri sovrannaturali. Le religioni exoteriche usano la ritualità in questi termini, inducendo atteggiamenti affettivi ed emozionali, mentre gli assiomi esoterici ritengono l’universo stesso (macrocosmo) un’entità energetica indifferenziata. L’uomo, (microcosmo) è l’immagine individualizzata e differenziata di quest’energia, e attraverso la teurgia 1 può attrarla e usarla, dandogli a sua volta forma antropica differenziata e quindi evocabile e invocabile. È nota l’importanza magico-rituale del Nome: per gli antichi possedere il Nome di un dio, (dando quindi all’energia universa una sua specificità individuale) significava possederne la potenza.
Vi è nella comparazione fra ritualità religiosa e ritualità iniziatica una differenza di grado, se non di qualità, che rende la seconda incomparabilmente superiore. Il secondo criterio rituale che Fraser 2 codificò all’inizio degli studi antropologici, riportato poi dal Mauss nei suoi studi magico-antropologici, 3 enuncia che «il rito magico ordinariamente, agisce di per sè‚ costringe, mentre il rito religioso adora e concilia; il primo ha un’azione meccanica immediata, il secondo agisce indirettamente e attraverso una specie di rispettosa persuasione»
Un esempio tipico di questo procedimento è stato studiato da un punto di vista antropologico dal De Martino 4 che ha esaminato l’iniziazione sciamanica di Aua: «Fu nel mezzo di un tale accesso di misterioso e sommergente gaudio che io diventai sciamano; il misterioso, l’inqualificabile, il senza orizzonte, l’irrelativo, l’insorgente, il caotico diventa ora il piccolo Aua, una forma definita, un’esistenza qualificata, uno »spirito» che verrà quando sarà chiamato, e che fornisce il potere paragnomico».
Se è vero che i rituali massonici, come notò già Leone XIII nella sua più interessante enciclica antimassonica, 5 assomigliano a quelli legati ai sacramenti, ciò deriva dal fatto che la liturgia cattolica non è una creazione specifica e originale del cattolicesimo, ma è un’interessante imitazione della ritualità antica, in piccola parte ebraica, ma soprattutto indotta da quella misterica, sia mediterranea che mediorientale. Il calendario liturgico, l’uso dei colori, gli strumenti rituali, ecc., sono stati completamenti indotti da ciò che i cristiani chiamarono sprezzantemente il «paganesimo», mentre ne tramandavano sia le speculazioni teurgico-metafisiche del neoplatonismo (Cfr. Porfirio, Giamblico, Plotino) che le connotazioni popolari (festività, venerazione dei santi, processioni, esorcismi ecc.). Uno dei grandi meriti della civiltà cattolica consiste proprio nell’aver tramandato fino a epoche recenti, o quanto meno al periodo pre-riformistico, la grandiosità liturgica e simbolica del mondo antico.
La Chiesa Romana in tempi recenti ha rinunciato all’uso del latino come lingua sacra nelle sue cerimonie; ha espurgato le grandi e universali tradizioni rituali dai suoi schemi liturgici, ha rinunciato al simbolismo architettonico nelle chiese e cattedrali moderne. Solo un simbolista e ritualista può oggi apprezzare e rimpiangere con cognizione di causa ciò che la Chiesa Romana ha volontariamente perduto. La fretta – a nostro giudizio errata – di adeguarsi al presente non considera che solo in un ipotetico e lontano futuro l’umanità potrà evolversi tanto da poter intuire, comprendere, vedere, la bellezza infinita dei frattali delle linee di forza dell’energia universale, il suono silente dell’armonia delle sfere che il rito tradizionale induce, la gioia infinita e l’illuminazione che la teofania 6 produce nell’uomo.
La caratteristica fondamentale della ritualità è la sua universalità. Gli ultimi cento anni di studi etnologici, antropologici e psicoanalitici affermano che gli assiomi fondamentali della ritualità, la sua stessa applicazione formale sono stati e sono fondamentalmente gli stessi. I Sumeri e i Babilonesi di quattromila anni fa, i bramani ayur-vedici ancora più antichi, le tribù amerindiane del XIX secolo, le stirpi oceaniche e gli aborigeni australiani del XVII secolo, i misteriosofici mediterranei dell’era precristiana hanno avuto e hanno la stessa forma e sostanza rituale. I semplici assiomi delle modalità rituali si possano così sintetizzare:
Lo spazio
geografia e geofisica sacra: scelta di una località in cui le forze cillenie e quelle ctoniche, prima intuite per via naturale, e susseguentemente conosciute per tradizione, possano favorire nell’uomo stati superiori di coscienza.
creazione di uno spazio sacro in cui possa effettuarsi un’influenza spirituale, una ierofania.9
orientamento spaziale, geografico e astronomico, o allineamento macro-microcosmico.
Il tempo
orientamento temporale-astronomico
rituali solari: solstiziali ed equinoziali legati all’aumento o alla diminuizione della luce e all’inizio delle stagioni
rituali lunari delle quattro fasi
rituali lunari delle domificazioni della luna
rituali orario-planetari
orientamento astrologico
riti astrologico-decanali
riti astrologico-zodiacali
Negli ultimi tre secoli, ma soprattutto dalla metà del ’700 in poi, il calcolo, ma soprattutto la percezione del tempo è completamente cambiata e negli studi rituali, come nell’operatività magico-rituale, vi è la necessità di percepire la successione temporale così come la concepivano gli antichi, una struttura scandita in senso verticale (il tempo – i tempi- i tempi del tempo) ritmata dai cicli inesorabili del sole, della luna, delle stelle, delle stagioni e del lavoro che era ad esse sinergicamente connesso.
In questo modo vi era allora un tempo per ogni cosa, mentre adesso non vi è più niente che abbia il senso del tempo reale. L’attuale struttura del tempo, strumentale, meccanica, artificiosa, schiaccia e appiattisce l’uomo, che soffre nella morsa dei ritmi innaturali imposti dall’attuale inciviltà e fra la pulsione di quelli naturali che la sua natura biologica, psichica, intellettuale, spirituale, abbisognerebbe. La scansione cronologica non è più indotta dal rapporto micro-macrocosmico, dall’allineamento fra umanità ed universo, ma da valori, necessità, desideri, interessi, bisogni tecnico-sociologici che, in astratto legittimi, si rivelano poi disumanizzanti.
Le problematiche legate all’uso del tempo rituale non si risolvono unicamente con la conoscenza del tempo tradizionale, che sarebbe relativamente semplice ritrovare. Negli ultimi secoli sono avvenute profonde modificazioni biologiche e biopsichiche dell’organismo umano (prodotte dalle implicazioni psicosomatiche della variazione del tempo individuale). La prima e più importante perdita è stata quella del tempo memoriale o sociale, in seguito alla scomparsa dei mores che facevano sì che la tradizione orale fosse nel frattempo storia e mito, identità individuale e sociale assieme.
La mente, strumento dell’intelletto, ha necessità di definire, di limitare la realtà fisica, di concentrarne l’essenza in uno spazio mentale più puntiforme possibile, proprio perché l’intelletto possa metaforizzarne e simboleggiarne l’esperienza materiale, ritrovando l’indefinito e l’infinito nell’astrazione metafisica. La memoria individuale è resa quasi inutile dalla quantità e dalla rapidità delle informazioni, quasi sempre effimere e transeunti, e quindi labili, deboli, evanescenti. Le incidenze interiori di questo processo sono di difficile verifica logica, ma producono comunque una deconcentrazione e un’alienazione sia dalla realtà esterna che dall’interiore. Questa modifica biopsichica dell’entità fisiologica può produrre nel frattempo una modifica all’entità animica ad essa corrispondente, con conseguente perdita di alcune facoltà intuitive sui piani sottili che già l’umanità del medioevo conservava in parte.
Il modo
- A) Il Segno
Le modalità dell’evocazione teofanica sono prodotte dalla magia simpatica. Questo termine non tradizionale è stato indotto dalla definizione di Fraser, ripresa poi dal Mauss e significa una tecnica magica che si ritiene produca il suo effetto grazie all’identità fra lo scopo perseguito e i mezzi adoperati. Il principio è che «simile produce simile». Il termine tradizionale è segnatura, sigillo, analogia.
Le concezioni magiche tradizionali ritenevano, per il principio esoterico del: «Tutto in Uno, Uno in Tutto», che ogni energia universa si rispecchiasse sulla natura, sulle cose, sull’uomo. Se la finalizzazione del rito era quindi la creazione di uno stato di potenza si pensava che adunando tutto ciò che materialmente e/o simbolicamente rispecchiava l’energia «potenza» si potesse attrarne le qualità. Da qui le tavole analogiche tradizionali d’equipollenza simbolica, di cui il massimo codificatore fu Cornelio Agrippa. 7
Il Quadro di Loggia nei vari gradi massonici è un esempio classico di questa «evocazione», espressa per il principio analogico con simboli rappresentati graficamente.
- B) Il gesto rituale come comunicazione metafisica.
La principale forma di comunicazione non-verbale è stata il gesto. Gli studi di Morris, Lorenz, 9 Iränaus Eibl-Eibesfeldt, 10 Hall, 11 Drosher 12 hanno affermato che la gestualità negli animali e nell’uomo è innata, ma può evolversi e maturarsi per apprendimento. Il gesto ieratico, espressione prima della ritualità, è comune a tutte le culture, anche senza influenza diretta. Esprime un’imitazione, istintiva e cosciente, dei grandi cicli celesti e terrestri, ed uno degli elementi fondamentali dell’allineamento micro-macrocosmico, con cui l’uomo può sperimentare stati dell’essere non comunemente conosciuti.
- C) Il contatto rituale come scambio d’energie sottili.
Nelle antiche credenze, comuni ad Oriente ed Occidente, non si considerava, nella fisiologia materiale, dell’uomo solo la sua componente visibile.
Energie più sottili, chiamate in Occidente eteriche o astrali formavano la sua fisiologia non visibile con potenzialità che potevano essere attivate, scambiate ed aumentate attraverso il contatto fisico, in quanto la posizione dei centri o nodi energetici fisici coincidevano con quelli iperfisici. L’imposizione delle mani, ad esempio nell’unzione regale, nell’ordinazione sacerdotale o nella terapeutica, trasmetteva energie sottili attraverso uno dei nodi più importanti della fisiologia visibile ed invisibile dell’uomo. Lo schiaffo o collata dell’investitura cavalleresca trasmetteva qualità marziali attraverso la violenza (o lo choc dell’atto).
Nell’iniziazione artigiana da cui la Massoneria prende origine, il segno nei vari gradi tende ad attivare le energie corrispondenti.
Il segno gutturale del 1° grado evoca il Logos, che attraverso il Fiat effettua la creazione primigenia, l’inizio spaziale e temporale dell’attuale stato dell’essere. Il segno cardiaco del 2° grado risveglia il pensiero del cuore, quella facoltà intuitiva e istintiva che poneva l’umanità in contatto diretto con l’energia universa, e che è stato in parte perduto attraverso la necessaria evoluzione umana verso la razionalità, il pensiero della mente.
Il cammino esoterico non comporta certamente la perdita della razionalità, conquista terribile, faticosa e dolorosa, ma la riacquisizione e la coordinazione mentale e spirituale di quegli elementi di sensibilità sottile perduti dall’uomo nel suo cammino evolutivo. Il segno addominale del 3° grado riattiva il terzo gran nodo energetico dell’uomo, quello generativo, la cui forza, come recita l’Ecclesiaste, «è più forte della morte».
Frate Elia da Cortona fu un notevolissimo personaggio, successore di S.Francesco nell’Ordine e perseguitato per sospetta eresia da S. Antonio da Padova e da Gregorio IX. In un suo sonetto ermetico 13 Elia accenna a questa operatività quando afferma:
Allor ti puoi tocar sotto il belico
e dire: i’ son Maestro certamente.
I toccamenti massonici, segno di riconoscimento dei Fratelli nei vari gradi, esprimono lo stesso concetto, in quanto le dita della mano esprimono a loro volta vari tipi d’energia, secondo gli schemi analogici della cosiddetta »mano pantea» 14 misterica e neoplatonica. La presa o griffe del Maestro, detta anche i «Cinque punti della Maestria», che rappresenta la parte finale del rituale d’elevazione al grado di Maestro, rappresenta una vera trasmissione fisiologica e metafisica di poteri iniziatici.
È da notare che la ritualità massonica non è in genere una trasmissione personale e diretta di un’influenza spirituale. Essendo la trasmissione esoterica, quella, appunto, iniziatica, del terzo stato sociale, ha caratteristiche collettive, perché necessita di un certo numero di Fratelli, tre o cinque o sette, per la validità del rito. La presa di Maestro è invece l’unica forma massonica concessa di trasmissione iniziatica diretta e personale, da Maestro a Discepolo.
Un altro esempio di ritualità massonica attraverso il gesto e il contatto consiste nella Catena d’unione. Introdotta nella Massoneria francese nella seconda metà del XVIII secolo, ha origini primordiali nell’ambito della ritualità universale. L’uso rituale della catena d’unione, mantenuto nella liturgia massonica, ha un’antichissima origine nelle danze rituali dei popoli antichi. Per questi la danza non era soltanto un mezzo di puro divertimento, ma aveva una scopo pragmatistico di ritualità magica, in cui ci si riprometteva di mettere in opera una forza sovra-individuale, cercando di metterla a profitto della comunità. Quest’antica operatività, la cui arte esiste ancora in alcune comunità religiose od esoteriche, è tuttora vivente. Secondo queste concezioni, la danza agisce nel frattempo su due piani:
Eggregorico: la formazione d’eggregoro 15 è facilitata dalla simultaneità dei movimenti, indotta dal ritmo musicale ossessivo, spesso dalla ripetizione di un motivo cantato di tipo mantrico, ecc.che produce una sinergia simultanea delle componenti psichiche ed animiche dei partecipanti
Individuale: lo stordimento della coscienza impegnata in un’attività fisica di notevole fatica, l’assenza di pensiero che ne deriva, favorisce, in una sorta d’inebriamento spesso aumentato da bevande ed eccitanti, il distacco dei corpi sottili e quindi la possibilità d’estasi e visioni e di contatto quindi con i piani superiori.
A esemplificare quest’operatività si possono ricordare le danze dionisiache, che potevano terminare con il furore delle baccanti e delle menadi, i sacerdoti cananei di Baal (III I Re XVIII, 26), i profeti israeliti (I Re [Sam.], X,5; XIX,20). Ai nostri tempi possiamo ricordare come nell’islamismo vi sia ancora la confraternita religiosa Mawlawiyyah (in turco ‘Mevleva’), o dei «dervisci giranti», la setta metodista degli Jumpers (saltatori) in Inghilterra ed in America, quella dei Chlysti nella Russia.
Nell’antico mondo mediterraneo i balli ciclici o pirrici, sia maschili sia femminili o misti potevano essere di semplice girotondo o tendendosi stretti incrociando le mani dietro le spalle. Il mito narra che fu Teseo che, per sciogliere un voto ad Apollo, danzò con i suoi compagni prima a destra, poi a sinistra, stabilendo così i primi ritmi della strofe e dell’antistrofe. Sono così caratterizzati i nostri stessi procedimenti d’apertura e chiusura rituale con deambulazione a destra (senso orario o solare), e, in alcuni usi rituali, la chiusura con deambulazione a sinistra (senso antiorario o polare).
La storiografia riporta queste danze, ricordate anche nei poemi omerici alla tradizione cretese. Le pirriche presero il nome da Pirro, figlio d’Achille che l’avrebbe danzata in tali forme. Alessandro l’avrebbe danzata a Faselide, intorno alla tomba di Teodette, prima della conquista della Persia. È chiaro in questo caso che Alessandro intendeva ottenere magicamente un rapporto od un’identificazione con l’eroe defunto.
Ognuna di queste danze originarie fornì il tipo della lirica corale per i generi melici, già tradizionalmente affermati nelle caratteristiche di melodia e di ritmo. Le battute che segnarono il tempo delle danze furono più spesso di 2/4 o 6/8 e meno frequentemente di 2/4 o 6/8 e, tra queste, quelle di 6/8 e 5/8, più proprie delle danze che si chiamavano stasimotere, nelle quali i danzatori, pur movendosi per evoluzioni diverse, non si allontanavamo mai dal luogo scelto per l’esecuzione orchestrale; mentre il 2/4 e 2/2 erano tempi appropriati agli embateri o danze processionali, che più da vicino si riportavano al passo della pirrica.
Alcame, per primo, nei parteni, usò alternare i ritmi di 6/8 e 2/6 e concepì un nesso ritmico-melico che nelle danze stasimotere e processionali si susseguivano di continuo. I vari passi tradizionali che accompagnavano i ritmi meriterebbero un’analisi da un’esperta di questo settore, e producevano certamente un loro particolare effetto sia psichico sia metafisico.
Pur senza dilungarsi in descrizioni tecniche, si può ricordare che ogni euritmia aveva una particolare finalizzazione, così come insegnava ancora pochi decenni fa la scuola esoterica di Gurdgjeff. Un’altra applicazione statica di questa dottrina si può ancora esemplificare nei segni d’ordine massonici o iniziatici in genere.
La caratteristica della catena d’unione così come oggi è effettuata è quella di aumentare in proporzione geometrica la potenzialità eggregorica dei partecipanti, che il capo-catena ha il compito di raccogliere e finalizzare con particolari metodiche. Il contatto fisico dei partecipanti, eseguito secondo le regole della fisiologia sottile, produce energia: la concentrazione dei partecipanti e quella del capo-catena la dirigono.
Questo contatto fisico si ottiene semplicemente stringendo con la mano destra la mano sinistra del partecipante, e viceversa, come nella pratica rituale del girotondo che inconsciamente i bambini effettuano da sempre, tenendo conto che l’energia circola meglio secondo queste considerazioni: la mano destra dell’uomo ha polarità positiva, la sinistra negativa. Per la donna, la polarizzazione è opposta. Se la catena fosse formata da soli uomini o sole donne, sarebbe sufficiente il tenersi semplicemente per mano. Se la catena è mista si deve procedere in tal modo: gli uomini incrociano le braccia (la destra sulla sinistra), prendendo la mano sinistra dell’uomo che gli è accanto con la mano destra. Le donne (alternate agli uomini) non incrociano le braccia ma avendole distese prendono con la destra (-) la destra (+) dell’uomo che gli è accanto a destra e con la sinistra (+) la sinistra (-) dell’uomo che gli è accanto a sinistra. Se le posizioni non fossero queste avremmo la sinistra dell’uomo (-) unita con la destra (-) della donna e la destra della donna (-) con la sinistra dell’uomo (-). In questo caso l’energia non potrebbe ne prodursi ne circolare.
Curiosamente la catena d’unione massonica, nelle comunioni solo maschili, – corretta in quanto sinistra [-] con destra [+] – è effettuata come se dovessero esservi elementi femminili. Quando la catena è correttamente chiusa ogni membro a occhi chiusi visualizza intensamente il volto del capo-catena che a sua volta, sempre a occhi chiusi, visualizza lo scopo o l’effetto proposto.
Quando il capo-catena ritiene che l’energia si sia prodotta e sia circolata correttamente, invia l’energia, scuotendo per tre volte le braccia (ogni volta con una pausa d’alcuni secondi) producendo lo stesso effetto nei partecipanti alla catena, che la sciolgano subito dopo. Le antiche scuole iniziatiche avevano una vera e propria teoria rituale sull’uso operativo della catena d’unione.
La parola
La parola costituisce il modo di comunicazione legato alla razionalità, ed interagisce con essa. La raggiunta razionalità degli esseri umani ha prodotto l’uso della parola, ma l’uso della parola a sua volta produce razionalità. L’esposizione di un concetto, astratto o concreto che sia, attraverso la parola è una tecnica mentale complessa e raffinatissima che è oggetto di una precisa branca di studi psichici e psicologici. All’origine di questa razionalità la definizione di una qualsiasi realtà, fisica o metafisica che fosse, attraverso la parola, era considerata un potere formidabile sulla stessa realtà considerata.
Per il principio esoterico d’unità globale non vi era differenziazione fra realtà descrittiva e realtà descritta, e nominare una cosa significava nel contempo possederla. L’uso di formule magiche, di lingue arcaiche, o anche di semplice glossolalia determinava quindi dominio o potere sulla cosa desiderata o anche sulle stesse divinità di cui si possedeva il nome.
Per questo molto spesso gli Dei o anche le città avevano un nome segreto, da nascondere ai profani o ai nemici. Lo stesso concetto è applicabile all’uso di all’assumere uno ieronimo all’atto dell’iniziazione.
Nel rituale massonico, come in ogni rituale d’altro genere, vi sono due componenti essenziali. Una parte liturgica, basata sulle modalità sovradescritte di spazio, tempo e modo, in una schematicità ormai ampiamente descritta e codificata scientificamente, in modo tale che è possibile oggi avere dei parametri oggettivi di giudizio rituale. Cade così ogni soggettività individuale nella «correzione» o «restaurazione» di un rituale massonico, spesso affidate all’arbitrio estetico o ideologico del singolo.
La parte letteraria del Rituale, in cui si esprimono concetti etici e morali, speranze, desideri e volontà, costituisce le finalizzazioni indispensabili, che possano anche variare con il mutare dei tempi, in modo da riportarne l’evoluzione-involuzione su basi tradizionali. La prudenza in questo campo è però indispensabile
La parte liturgica, che si fonda su principi immutabili ed eterni – come quelli che pongono l’uomo in contatto fisico e metafisico con l’universo – non può esser variata. I termini simbolico-operativi della Massoneria, ad esempio, avendo acquisito nel tempo una loro suggestività, ma soprattutto una loro potenza eggregorica, sono divenuti degli schemi liturgici a noi specifici e non possono più esser variati. In questi termini la Massoneria si può rilevare come un ponte forse unico fra un lontanissimo passato e un lontanissimo futuro, quando l’umanità avrà effettuato un salto di qualità tale da avere in se stessa gli schemi razionali ed istintivi assieme che collegano l’uomo alla natura, all’universo e a Dio.
Quando questo avverrà, gli strumenti religiosi, rituali, iniziatici diverranno le stampelle che il malato ormai guarito lascia, come un ex-voto, ai santuari dei miracoli.