L’UCRAINA E LE NOSTRE INCERTEZZE
di Angelo Panebianco | 4 maggio 2024
Il diverso approccio di britannici e francesi da un lato e di tedeschi e italiani dall’altro. Il ruolo delle opinioni pubbliche.
Ben cotti e pronti per essere serviti a tavola. È ciò che, probabilmente, Vladimir Putin pensa di noi occidentali mentre osserva le nostre mosse. Di fronte alle sfide internazionali le democrazie nulla possono se non hanno dietro di sé, compatte o quasi, le opinioni pubbliche. E quella compattezza Putin, di sicuro, non la vede. A parole, c’è consapevolezza in Occidente di quanto catastrofica, e non solo per gli ucraini, sarebbe una vittoria russa in Ucraina. A parole.
I fatti dicono altro. I fatti dicono che i governi occidentali faticano a mantenere un fronte unito sulla crisi ucraina e faticano a farlo perché le loro opinioni pubbliche sono divise. Mentre la guerra va male per l’Ucraina gli occidentali mandano segnali contraddittori, anche se coerenti con le rispettive tradizioni nazionali. Se Emmanuel Macron ribadisce che se le cose si mettessero davvero male gli occidentali dovrebbero intervenire direttamente in Ucraina, gli altri governi europei (tedeschi e italiani in testa) ne prendono le distanze, lo smentiscono: armi sì, soldati sul terreno no, mai. A parte il fatto che queste divisioni fanno capire quanto ci sia di chimerico in tanti bei discorsi sulla difesa comune europea, come si pensa che divergenze di questa portata vengano interpretate dagli strateghi del Cremlino? Per inciso, già da sole le dichiarazioni di Macron mettono a nudo la debolezza occidentale. Non essendo il frutto di una presa di posizione della Nato, sostenuta dagli Stati Uniti e condivisa dagli altri governi europei, risultano agli occhi dei russi delle spacconate (sbeffeggiate come tali), non certo segni di forza.
A conferma di quanto pesino le tradizioni nazionali nell’orientare le opinioni pubbliche, e quindi i governi, si percepisce bene, anche nella guerra ucraina, le diversità di approccio di britannici e francesi da un lato e di tedeschi e italiani dall’altro. In ogni caso, è una specie di miracolo il fatto che finora non ci siano state diserzioni, che nessun governo europeo abbia rotto il fronte, abbia smesso di sostenere l’Ucraina. Tenuto conto del fatto che al loro interno sono presenti consistenti correnti di opinione che, in nome della pace, vorrebbero regalare l’Ucraina a Putin. Credendo o fingendo di credere che, mangiata l’Ucraina, la Russia sarebbe finalmente sazia, non avrebbe ancora appetito.
In questo quadro si può dire che è stata una benedizione per i russi la guerra a Gaza. Perché distrae e divide le opinioni pubbliche occidentali. È una manna per loro la mobilitazione studentesca in atto in tutto l’Occidente sulla Palestina. Contribuisce a lacerare le opinioni pubbliche e a distogliere l’attenzione di tanti da ciò che accade in Ucraina.
In genere, si pensa, e l’esperienza storica passata lo conferma, che i tiranni tendono a sottovalutare la forza delle democrazie, le ritengono assai più fragili di quanto esse siano in realtà. Nel momento del pericolo le democrazie — così è stato in passato — sono in grado di attingere a risorse, materiali e morali, che le tirannie non possiedono. Ma ciò che è stato vero in altri tempi potrebbe non esserlo più oggi. Per molte ragioni. A cominciare dalla fortunata circostanza rappresentata da ottant’anni di pace ininterrotta di cui hanno goduto gli europei occidentali. Pesa anche il fatto che società ricche, ben pasciute e invecchiate (ci sono tanti precedenti storici) spesso non sanno reagire con la necessaria energia di fronte alla vitalità e all’aggressività di gruppi umani il cui stile di vita è sempre stato assai meno confortevole.
E pesano equilibri internazionali e congiunture politico-diplomatiche. È ormai un luogo comune dire che la nostra è un’età multipolare, con una pluralità di potenze in concorrenza. Solo che non sembra a tutti chiaro che cosa ciò comporti per le democrazie. Età multipolare significa che non c’è, come invece c’era ai tempi della Guerra fredda, un’unica minaccia. Allora le opinioni pubbliche avevano chiaro dove fosse e chi fosse il nemico. Ora sfide e minacce arrivano da ogni parte. Basti pensare a cosa rappresenti per il benessere occidentale la scelta degli Houthi (e dei loro sponsor iraniani) di bloccare, con gli attacchi alle navi nel Mar rosso, una arteria vitale del commercio internazionale. È vero che fra queste crisi c’è interdipendenza. I russi sono stretti alleati dell’Iran e di Hamas. E i cinesi sostengono russi e iraniani contro gli occidentali. Resta che di fronte a sfide plurime le opinioni pubbliche occidentali vanno in confusione. E i governi delle democrazie, per conseguenza, faticano a mantenere coesione e unità di intenti.
Non sappiamo come finirà la guerra in Ucraina né se le armi taceranno presto in Palestina, né quale sarà la prossima sfida che, si presenti in Europa o in Medio Oriente, dovranno fronteggiare gli occidentali. Sappiamo però che senza il sostegno delle opinioni pubbliche i governi delle democrazie sono generali senza esercito, non vanno da nessuna parte.
Elezioni europee, elezioni presidenziali americane. In un certo senso, la tempesta perfetta. Se le democrazie, nelle prove elettorali che le attendono, resisteranno alle sirene degli estremismi, ci sarà forse la possibilità di chiarire bene alle nostre opinioni pubbliche quali siano le priorità. Nel frattempo, non ci si può stancare di ricordare ogni giorno agli elettori che gli ucraini stanno combattendo anche per noi.
Al netto della retorica politica, piacerebbe a tutti una Europa forte, capace di difendersi, di difendere le proprie democrazie. Ma oggi si può solo cercare di minimizzare i danni.
AVOLA INVIATA DAL FR.’. A.’. F,’,