Sciamanesimo e Druidismo: un unico percorso
(Andrea Romanazzi)
All’interno del percorso dell’OBOD, l’Ordine dei Bardi, Ovati e Druidi, fin dal grado bardico, si parla di sciamanesimo in relazione al percorso druidico, una sorta di filo conduttore che, attraverso i vari gradi, appare durante tutto il lavoro. Si parla spesso di “Mondi Superiori”, “Mondi Inferiori” e “Mondi di Mezzo” in una chiara visione sciamanica e neo sciamanica della Realtà non Ordinaria.
In tale ottica ho così voluto così approfondire questo legame, ovvero capire se esiste uno sciamanesimo celtico-druidico e se il Druido può essere considerato davvero uno sciamano.
Una delle poche certezza che abbiamo sugli “sciamani” è legata all’etimologia. Il termine deriverebbe da una parola tungusa, shaman, ovvero “uomo saggio”, colui che sa “emettere suoni”, il che lo lega alla musica primitiva e al “verbo”. In realtà questo termine non è universale ed è stato utilizzato in maniera globale solo negli anni ’50 per indicare il fenomeno religioso da esso sotteso. Chi è però in pratica lo sciamano.
Mircea Eliade, nella seconda metà del Novecento, scrive il famoso testo Lo Sciamanesimo e le Tecniche dell’Estasi. Per Eliade lo sciamano è coLui che può e sa compiere il “viaggio”. In uno stato alterato di coscienza lo sciamano si muove in un Oltremondo onirico nel quale può controllare le proprie azioni ed esser padrone della propria volontà. Questa definizione, però, alla luce dei successivi studi etno-antropologici, nonché dei movimenti neo-sciamanici odierni, sembra fortemente superata. Infatti, ad esempio, sembrerebbe escludere stregoni, medicine-man, guaritori, e altre figure magiche che sono legate a pratiche che oggi definiremmo “sciamaniche” ma non rientrano nella definizione sopra data. Una definizione assolutamente agli antipodi è invece quella di Mihaly Hoppàl che ritiene lo sciamano, oltre che un uomo che possiede le tecniche dell’estasi, un portavoce delle tradizioni del suo gruppo, una sorta di eterna memoria del clan, e dunque un personaggio dall’importante valenza sociale. Se la definizione di Eliade è forse troppo limitante, quest’ultima appare forse troppo fluida. Alexander Mcdonald li definisce “gli interpreti del Mondo”, mentre per Joan Townsend è un uomo che ha la capacità di dialogare direttamente con gli Spiriti e di averne il controllo in stati alterati di coscienza. Michael Harner, definisce lo sciamano come colui che conosce le tecniche per aprire la porta ed entrare in una differente realtà.
John Matthews, nel suo Taliesin, Shamanism and the Bardic Mysteries in Britain and Ireland afferma, “…Gli Sciamani erano gli interpreti degli dèi, i dottori e le guide interiori del loro popolo; loro conservavano i ricordi (oralmente) di ogni famiglia della loro tribù, importante nel caso in cui un matrimonio tra consanguinei poteva facilmente accadere in piccole comunità – e loro erano gli archivisti della vita della tribù stessa…”.
Oggi, anche in funzione dei numerosi movimenti neosciamanici che stanno spingendo più verso quello che potremmo definire una forma di Sciamanesimo “trans-culturale”, sembra corretto dare una definizione più “dilatata” di sciamano, individuando con tale termine colui che ha un rapporto con il mondo degli Spiriti ed esercita un ben preciso controllo sugli stati alterati di coscienza.
Diviene però utile capire chi è lo sciamano non attraverso definizioni ma attraverso le sue capacità e compiti.
Egli non è un sacerdote, ma qualcosa di molto differente, è l’interprete degli dei, colui che può viaggiare nell’Oltromondo per unirsi agli Spiriti e portare di lì informazioni e consigli per se stesso e la comunità. E’ un esperto in trance estatica e conosce il linguaggio degli Spiriti.
Se dovessimo riassumere, le caratteristiche principali dello sciamano sono
Capacità di viaggiare nell’Oltremondo o in Altri Mondi
Conoscenza delle danze rituali e di mimesi naturale
Conoscenza delle Erbe e delle loro proprietà
Essere maestro di animali selvatici e delle iniziazioni
Funzioni di psicopompo.
Sembrano proprio le funzioni del Druido o almeno del neo Druido.
Se dunque la figura del Druido, ma anche del Bardo e dell’Ovate, sembra avere molti punti di contatto con quella dello sciamano, almeno dal punto di vista delle mansioni, cerchiamo di approfondire l’esistenza di uno Sciamanesimo celtico. Approfondiamo per ora le informazioni storiche presenti nel grado Bardo.
Il Druidismo moderno nasce nel 1700 con l’apporto di William Blake associato alla cultura Massonica e Rotariana e al rinato interesse per la storia delle antiche origini e per l’arte antiquaria inglese. Da sempre infatti i siti megalitici come Stonehenge o Avebury avevano attratto la curiosità di vari studiosi, ma fu con l’avvento del Romanticismo che tali costruzioni iniziarono ad interessare direttamente gli storici che cercavano di capirne le origini.
In realtà il metodo della ricerca storico-scientifica non era ancora perfezionato. Molti di costoro, trattandosi di costruzioni pre-romane, le associarono, sbagliando, direttamente ai celti ed ai loro sacerdoti, i druidi. Nasceva così l’accostamento tra Druidi e il Megalitismo.
Il primo ad associare tali siti alle popolazioni celtiche fu un antiquario inglese, John Aubrey, nel suo saggio Templa Druidum, e successivamente un dottore di Lincolnshire, William Stukeley. Stukeley si definì lui stesso un Druido, prendendo il nome di Chyndonax, inciso su una antica stele ritrovata nel 1623 a Digione e realizzò nella propria abitazione un vero e proprio boschetto druidico, un grove, dove svolgeva alcune cerimonie pagane. Creando una sorta di “lignaggio”, Stukeley affermò che i druidi arrivarono in Bretagna dopo il Diluvio universale e sarebbero stati proprio Noè ed Abramo i primi druidi nonché costruttori dei templi megalitici per il mondo. Sarà sempre Stukeley a definire, in realtà riprendendolo dal famoso testo secentesco Britannia Antiqua Illustrata del 1676, l’archetipo figurativo del druido, caratterizzato da un mantello con cappuccio, un bastone, una tunica corta e una lunga barba bianca. I luoghi di riunione e culto druidici non saranno però solo i nemeton megalitici. Una tradizione orale vuole che nel 1717 nel pub “Apple Tree Tavern” Jhon Toland, una figura chiave per i movimenti neodruidici moderni, avesse radunato i più importanti esponenti dei circoli druidici inglesi, in quello che poi sarà il primo grove ufficiale denominato “Mother grove” di cui Toland divenne Arcidruido, e che fu ufficialmente inaugurato nell’equinozio di autunno del 1717 a Primrose Hill, una collina situata nella parte nord di Regent’s Park, a nord di Londra. Sarà da questo luogo a divenire sacro successivamente per molteplici organizzazioni druidiche. Nel 1747 Edward Williams diede vita al primo movimento druidico gallese, “Gorsedd Beirdd Ynys Prydain”, autoproclamandosi druido con il nome di Iolo Morgannwg. Ancora una volta il luogo scelto per la prima cerimonia avvenuta nel 1792 fu Pilmrose Hill. Fu la prima volta che si ebbe un Eisteddfodau, ovvero una riunione della durata di tre giorni. A Iolo inoltre si devono molti dei rituali druidici moderni tra cui l’importante Invocazione alla Pace che oggi caratterizza la maggior parte dei gruppi neodruidici, nonchè l’utilizzo di particolari oggetti cerimoniali quali la spada, il bastone, la corona, la cornucopia e il famoso corno Gwalad. E’ l’inizio del Revival druidico, nascono i primi groove, letteralmente “boschetti”, ed ordini druidici, in realtà all’inizio più società paramassoniche. Nel 1781 viene fondato l’Ancient Order of Druids, noto con la sigla AOD, nel 1833 The United Ancient Order of Druids e nel 1964 l’OBOD, il moderno Ordine dei Bardi, Ovati e Druidi. Successivamente, negli Anni ’60, anche grazie all’accostamento della pratica druidica con i nuovi movimenti eco-ambientalisti ed hippies, si riscopre il forte contatto naturale e la sua interconnessione con il mondo sciamanico ed infatti la maggior parte di coloro che praticano oggi il neo Druidismo utilizzano tecniche sciamaniche. E’ in questo periodo dunque che neo Druidismo e Sciamanesimo iniziano il loro percorso intrecciandosi
Caitlin e John Matthews, membri dell’OBOD dal 1989 al 1992, sono stati i pionieri dell’applicazione di tecniche sciamaniche al celtismo. Un testo davvero molto ben approfondito, di tali autori a cui rimando è Sciamanesimo Celtico.
Successivamente Tom Cowan, nei suoi testi, Sciamanismo: una pratica spirituale per la vita quotidiana e di Il Fuoco nella Testa, cerca di far trasparire dal Druidismo “storico”, di cui effettivamente si conosce poco o nulla a causa della scarsità di documenti e della tradizione di trasmissione orale, la sua primigenia forma sciamanica, cercando anche paralleli con le tradizioni dei nativi americani.
Ma c’è qualcosa che permette di associare ”storicamente” il Druidismo allo Sciamanesimo?
I Celti, durante le loro migrazioni verso Occidente entrarono sicuramente in contatto con le popolazioni proto uraliche assorbendone i sostrati magico-religiosi di stampo sciamanico.
Evidenze sciamaniche riaffiorano nelle saghe irlandesi di Cu Chullinn, nei racconti gallesi del Mabinogion, fino ai più recenti romanzi di Chretien de Troyes.
Alcune di queste letture si trovano nei Gwersu, non solo momenti di lettura ma “indizi” su questo legame spesso celato.
Si narra così di veggenti chiamati offydd, gli Ovati, che avevano l’abilità di entrare in trance e viaggiare nel mondo degli Antenati. Individui con abilità di channeling li ritroviamo anche nei racconti gallesi con il nome di awenyddion, ovvero posseduti. Non mancano poi i rituali estatici.
John Matthews in Taliesin: The Last Celtic Shaman, descrive rituali trance-estatici per raggiungere l’illuminazione attraverso l’uso di veri e propri mantra come “Dichetal do chennaib“, (si pronuncia “Diketal de Kenna”).
Questa sorta di stato alterato di coscienza, era anche noto come Imbas forosnai, ovvero il dono di veggenza. Si trattava di una sorta di tecnica di deprivazione sensoriale, per entrare in trance e di ricevere risposte o profezie. Danu Forest nel suo testo Shaman pathways e Robert Wallis in Shamans/Neo-Shamans: Ecstasies, Alternative Archaeologies and Contemporary descrivono approfonditamente questo rituale.
Il druido che doveva entrare in trance, rimaneva al buio assoluto, sotto una pelle di toro per nove giorni o fino a quando non aveva la visione. Mircea Eliade chiama questa cerimonia “bull dream” ovvero Tarbfeis.
Secondo alcuni studiosi oltre al buio il druido era costretto a cibarsi esclusivamente di carne di toro e a bere il suo sangue favorendo così una sorta di ipervitaminosi da vitamina A che a sua volta favoriva vomito, diarrea e dunque una sorta di alterazione fisica che favoriva così la visione. Tracce di questa cerimonia le troviamo nell’archeologia e nel folklore. Alcune divinità celtiche sono raffigurate come antropomorfe dai caratteri taurini, come la testa del dio-toro Taranis ritrovata a Lezoux, in Francia, e datata I sec. a.C. Sono immagini che enfatizzano il legame tra gli Spiriti animali e l’uomo che, fondendosi con essi, diviene druido e sciamano.
Nelle tradizioni celtico-druidiche appare poi il culto dell’albero universale.
Quando si studiano le religioni di stampo sciamanico in quasi tutte si incontra un riferimento più o meno esplicito al culto dell’Albero: L’Asse Cosmico, il pilastro centrale attorno a cui si organizza l’Universo. Con il passare del tempo ha acquisito molteplici nomi, Albero Cosmico, Asse del Mondo, Albero Rovesciato, Albero della Vita, Albero della Conoscenza, Albero Alchemico, Albero Mistico, Albero della Libertà e molti altro ancora.
Nella tradizione nordica troviamo il frassino Yggdrasill, l’asse del Mondo, ma anche cavallo ad otto zampe la cui scalata dona ad Odino il potere della Conoscenza. Tra i Sassoni l’universalis columna quasi sustinens omnia è chiamata Irminsul, mentre in Mesopotamia l’albero della vita era noto con il nome di Kiskadu. Buddha raggiunge l’Illuminazione sotto un albero di Ficus, mentre Adamo vuole la conoscenza del Dio Monoteista sotto l’albero piantato da Jahveh che nel giudaismo diviene poi la Menorah, il candeliere a sette bracci che riproduce l’Albero dei Sette Cieli mesopotamico. Nella tradizione araba l’abero universale è la Palma, l’albero con la testa nel fuoco del cielo e i piedi nell’acqua. Per gli Altaici sull’ombelico della Terra spunta un gigantesco albero i cui rami si allungano fino alla dimora di Bai-Ulgan, il Dio Progenitore, mentre tra gli Jacuti l’asse-albero primordiale è Yjyk-Mar che si innalza fino al nono cielo dove dimorano le anime degli sciamani. Nell’Asia settentrionale l’albero cosmico è una betulla detta Udeshi Burkjan, ovvero “il guardiano della Porta”, mentre in Cina l’albero dei “nove Cieli” è chiamato Quian mù. Nella sua opera Storia delle idee e delle credenze religiose, Eliade scrive:
“L’asse del mondo si rappresenta concretamente, a volte attraverso i pali che sostengono le abitazioni e altre volte come aste isolate, chiamate “colonne del mondo”. Quando la forma dell’abitazione subisce delle modificazioni (come il passaggio dalla capanna dal tetto conico alla yurta), la funzione mitico religiosa del palo viene trasferita all’apertura
Superiore da cui esce il fumo. Questo simbolismo è molto diffuso. Ad esso è condizionata la credenza nella possibilità di una comunicazione diretta con il Cielo. Nel piano macrocosmico, questa comunicazione è rappresentata da un asse (colonna, montagna, albero, etc.); nel piano microcosmico è raffigurata dal palo centrale dell’abitazione o dall’apertura Superiore della tenda, volendo significare che ogni insediamento umano si proietta sul “centro del mondo” e che ogni altare, negozio o casa offre la possibilità di una rottura di livello e come risultato quella di mettersi in contatto con gli dèi o compreso, nel caso degli sciamani, di ascendere al cielo…..In quanto all’albero del mondo, ve ne è testimonianza in tutta l’Asia e svolge un ruolo importante nello Sciamanesimo. Cosmologicamente, l’albero del mondo si trova al centro della terra, nel suo stesso “ombelico”, contemporaneamente i suoi rami superiori toccano le regioni celesti. L’albero unisce le tre regioni cosmiche, poiché le sue radici affondano nella profondità della terra. Secondo i mongoli e i buriati, gli dèi (tengri) si nutrono dei frutti di questo albero. Si presume che lo sciamano fabbrichi i suoi tamburi con il legno dell’albero del mondo. Davanti la sua yurta e all’interno della stessa si trovano alcune riproduzioni di alberi, la cui immagine si rappresenta anche sul tamburo. Inoltre lo sciamano, nella sua scalata alla betulla rituale, non fa altro che arrampicarsi sull’albero cosmico…”.
L’albero universale è presente dunque anche nella tradizione druidica.
Più volte esso è richiamato all’interno dei Gwersu, dal richiamo al Craeb, il sacro palo che sorregge le abitazioni circolari dei druidi, alla Bacchetta.
Richard Gordon, esoterista e neosciamano afferma: “The wand as used in many modern day esoteric practices is in fact a symbolic drum stick, directionally beating our concentrated willed intent against the energetic surface of creational reality”. Utilizzata come estensione del dito, essa è anche simbolo e rappresentazione dell’Axis Mundi miniaturizzato, ma anche rappresentazione dell’energie maschili e falliche. Tornando al “Macro”, ovvero all’albero, lo stesso Merlino raggiunge il potere della Conoscenza, della Veggenza, della Metamorfosi e del Linguaggio solo dopo aver scalato il sacro Pino di Barenton: l’albero cosmico. I suoi rami si protendono radiosi verso il cielo, e le sue radici affondano nella terra scura, nella quale scorrono le acque della fonte. Per chi volesse vedere questo sacro albero, nella cittadina gallese di Carmarthen esiste una quercia risalente al XVII secolo, conosciuta come appunto come Merlin’s Tree.
Non mancano poi i riferimenti ai “mondi” che comporrebbero l’Universo del Druido-Sciamano, presenti nel folklore celtico. Si sprecano i racconti sul popolo delle fate, in molti casi noto come “piccolo popolo”, e su ignare persone che, attraversando anche involontariamente un “cancello” si trovavano in questa terra che potremmo definire un onirico “Mondo di Sotto” popolato da creature meravigliose e, in alcuni casi, anche pericolose. Non manca poi il metamorfismo sciamanico.
La figura che più di tutte può essere evocativa, in questo caso, è quella di Kernunnos, il dio-signore degli animali raffigurato con un palco di corna sulla testa. La sua più nota raffigurazione è quella presente sul calderone di Gundestrup. In realtà per molti studiosi la figura rappresentata sul calderone rappresenterebbe non un dio ma uno sciamano.
La capacità dei druidi di trasformarsi in animali e/o di essere con essi interconnessi è diffusissima. Nella saga di Talielsin, Gwyrhyr è noto per conoscere il linguaggio degli animali, nonché per le sue molteplici trasformazioni e esperienze di trasmutazione. Mutazioni animali le troviamo anche nei racconti di Oisin e Amergin che non solo si trasformano in animali ma trascorrono un lungo periodo sotto tali sembianze riportando nel mondo reale, una volta terminata l’esperienza della trasformazione, tutte le conoscenze acquisite in questo stato di realtà non ordinaria.
Lo stretto legame con l’animale sacro, che dunque poi nel tempo muterà da Spirito Guida ad elemento totemico caratterizzante del clan, è fortemente diffuso in tutta la cultura celtica. Lo stesso nome delle tribù esprime il legame con il mondo naturale e con l’animale che diviene simbolo del sacro.
L’usanza dei sacerdoti celtici di adornarsi con corna di cervo è descritta ancora nel 300 da Sant’Agostino che scrive dell’ “orribile usanza di travestirsi da stallone o da cervo”.
Altri elementi comuni tra la figura del druido e dello sciamano sono i poteri sugli agenti atmosferici, la capacità di chiamare tempeste e piogge, nebbia e sole, ma anche la loro attitudine alla divinazione. Ad esempio Diodoro Siculo e Tacito ci descrivono l’intervento di bardi sul tempo meteorologico in una famosa battaglia contro i romani sull’isola di Mona. Forte è anche il legame con la tradizione degli Antenati, i Celti utilizzarono spesso per i loro rituali luoghi megalitici costruiti da popolazioni precedenti, che seguivano particolari percorsi energetici o leys.
La Letteratura celtica è poi ricca di descrizioni di territori e mondi che si sviluppano in una realtà non ordinaria. Molte sono le storie e i racconti che narrano di viaggi in terre e reami presenti in un mondo assolutamente onirico o comunque non reale, come nelle avventure di San Brendano. La sua leggenda è raccontata nella Navigatio sancti Brendani, dove per l’appunto vengono descritti luoghi e mitici animali in quello che può essere considerato un viaggio interiore. In alcuni casi, come nella descrizione della vita del druido MacRuith, si narra proprio di “voli” a cavallo di fiamme che avrebbero portato il sacerdote in non meglio precisato un “mondo di sopra”. Non mancano le descrizioni di druidi vestiti con le piume di uccelli proprio ad indicare il volo spirituale, abitudine diffusissima nella tradizione sciamanica.
Altre esperienze non ordinarie sono descritte nelle saghe di Peredur ab Efrawg, poi trasformato nel Percival, o nelle avventure epiche irlandesi di Maelduin che narrano le imprese di questo personaggio durante un viaggio per vendicare la morte del padre ucciso da un pirata. Infine un ultimo esempio potrebbe essere la permanenza di Oisin a Tir-na-Nog. Dopo l’incontro con Niamh, una bellissima fata, Oisin fu portato nella terra dell’eterna giovinezza, Tir-Na-Nog appunto, un Oltremondo ove il tempo non esiste. Quando egli, proprio come uno sciamano immerso nel suo viaggio, si risveglierà nella realtà ordinaria, si ritroverà tremendamente invecchiato proprio come spesso accadeva ai mistici orientali in meditazione. Anche il concetto che si nasconde dietro l’Awen, o imbas in irlandese, l’ispirazione divina, l’energia che pervade le cose, che dona la capacità di poter dialogare e prender forma di animale è tipicamente sciamanica.
In aggiunta le narrazioni del Calderone di Cerdiwen e della nascita di Taliesin, attraverso il mistico fluido dell’Awen preparato dalla dea in persona per donare saggezza al figlio Afagddu, rimanderebbero ad antiche tecniche di apertura della “porta percettiva” attraverso sostanze allucinogene e psicotrope, come ad esempio l’Amanita Muscaria che effettivamente erano utilizzate dagli sciamani.
Il Druido dunque è uno sciamano, come afferma anche Patricia Monaghan in The Encyclopedia of Celtic Mythology and Folklore, nella sua funzione di colui che diviene intermediario con il mondo magico, colui che gestisce la driudheachd, ovvero l’arte magica.
(Andrea Romanazzi)
All’interno del percorso dell’OBOD, l’Ordine dei Bardi, Ovati e Druidi, fin dal grado bardico, si parla di sciamanesimo in relazione al percorso druidico, una sorta di filo conduttore che, attraverso i vari gradi, appare durante tutto il lavoro. Si parla spesso di “Mondi Superiori”, “Mondi Inferiori” e “Mondi di Mezzo” in una chiara visione sciamanica e neo sciamanica della Realtà non Ordinaria.
In tale ottica ho così voluto così approfondire questo legame, ovvero capire se esiste uno sciamanesimo celtico-druidico e se il Druido può essere considerato davvero uno sciamano.
Una delle poche certezza che abbiamo sugli “sciamani” è legata all’etimologia. Il termine deriverebbe da una parola tungusa, shaman, ovvero “uomo saggio”, colui che sa “emettere suoni”, il che lo lega alla musica primitiva e al “verbo”. In realtà questo termine non è universale ed è stato utilizzato in maniera globale solo negli anni ’50 per indicare il fenomeno religioso da esso sotteso. Chi è però in pratica lo sciamano.
Mircea Eliade, nella seconda metà del Novecento, scrive il famoso testo Lo Sciamanesimo e le Tecniche dell’Estasi. Per Eliade lo sciamano è coLui che può e sa compiere il “viaggio”. In uno stato alterato di coscienza lo sciamano si muove in un Oltremondo onirico nel quale può controllare le proprie azioni ed esser padrone della propria volontà. Questa definizione, però, alla luce dei successivi studi etno-antropologici, nonché dei movimenti neo-sciamanici odierni, sembra fortemente superata. Infatti, ad esempio, sembrerebbe escludere stregoni, medicine-man, guaritori, e altre figure magiche che sono legate a pratiche che oggi definiremmo “sciamaniche” ma non rientrano nella definizione sopra data. Una definizione assolutamente agli antipodi è invece quella di Mihaly Hoppàl che ritiene lo sciamano, oltre che un uomo che possiede le tecniche dell’estasi, un portavoce delle tradizioni del suo gruppo, una sorta di eterna memoria del clan, e dunque un personaggio dall’importante valenza sociale. Se la definizione di Eliade è forse troppo limitante, quest’ultima appare forse troppo fluida. Alexander Mcdonald li definisce “gli interpreti del Mondo”, mentre per Joan Townsend è un uomo che ha la capacità di dialogare direttamente con gli Spiriti e di averne il controllo in stati alterati di coscienza. Michael Harner, definisce lo sciamano come colui che conosce le tecniche per aprire la porta ed entrare in una differente realtà.
John Matthews, nel suo Taliesin, Shamanism and the Bardic Mysteries in Britain and Ireland afferma, “…Gli Sciamani erano gli interpreti degli dèi, i dottori e le guide interiori del loro popolo; loro conservavano i ricordi (oralmente) di ogni famiglia della loro tribù, importante nel caso in cui un matrimonio tra consanguinei poteva facilmente accadere in piccole comunità – e loro erano gli archivisti della vita della tribù stessa…”.
Oggi, anche in funzione dei numerosi movimenti neosciamanici che stanno spingendo più verso quello che potremmo definire una forma di Sciamanesimo “trans-culturale”, sembra corretto dare una definizione più “dilatata” di sciamano, individuando con tale termine colui che ha un rapporto con il mondo degli Spiriti ed esercita un ben preciso controllo sugli stati alterati di coscienza.
Diviene però utile capire chi è lo sciamano non attraverso definizioni ma attraverso le sue capacità e compiti.
Egli non è un sacerdote, ma qualcosa di molto differente, è l’interprete degli dei, colui che può viaggiare nell’Oltromondo per unirsi agli Spiriti e portare di lì informazioni e consigli per se stesso e la comunità. E’ un esperto in trance estatica e conosce il linguaggio degli Spiriti.
Se dovessimo riassumere, le caratteristiche principali dello sciamano sono
Capacità di viaggiare nell’Oltremondo o in Altri Mondi
Conoscenza delle danze rituali e di mimesi naturale
Conoscenza delle Erbe e delle loro proprietà
Essere maestro di animali selvatici e delle iniziazioni
Funzioni di psicopompo.
Sembrano proprio le funzioni del Druido o almeno del neo Druido.
Se dunque la figura del Druido, ma anche del Bardo e dell’Ovate, sembra avere molti punti di contatto con quella dello sciamano, almeno dal punto di vista delle mansioni, cerchiamo di approfondire l’esistenza di uno Sciamanesimo celtico. Approfondiamo per ora le informazioni storiche presenti nel grado Bardo.
Il Druidismo moderno nasce nel 1700 con l’apporto di William Blake associato alla cultura Massonica e Rotariana e al rinato interesse per la storia delle antiche origini e per l’arte antiquaria inglese. Da sempre infatti i siti megalitici come Stonehenge o Avebury avevano attratto la curiosità di vari studiosi, ma fu con l’avvento del Romanticismo che tali costruzioni iniziarono ad interessare direttamente gli storici che cercavano di capirne le origini.
In realtà il metodo della ricerca storico-scientifica non era ancora perfezionato. Molti di costoro, trattandosi di costruzioni pre-romane, le associarono, sbagliando, direttamente ai celti ed ai loro sacerdoti, i druidi. Nasceva così l’accostamento tra Druidi e il Megalitismo.
Il primo ad associare tali siti alle popolazioni celtiche fu un antiquario inglese, John Aubrey, nel suo saggio Templa Druidum, e successivamente un dottore di Lincolnshire, William Stukeley. Stukeley si definì lui stesso un Druido, prendendo il nome di Chyndonax, inciso su una antica stele ritrovata nel 1623 a Digione e realizzò nella propria abitazione un vero e proprio boschetto druidico, un grove, dove svolgeva alcune cerimonie pagane. Creando una sorta di “lignaggio”, Stukeley affermò che i druidi arrivarono in Bretagna dopo il Diluvio universale e sarebbero stati proprio Noè ed Abramo i primi druidi nonché costruttori dei templi megalitici per il mondo. Sarà sempre Stukeley a definire, in realtà riprendendolo dal famoso testo secentesco Britannia Antiqua Illustrata del 1676, l’archetipo figurativo del druido, caratterizzato da un mantello con cappuccio, un bastone, una tunica corta e una lunga barba bianca. I luoghi di riunione e culto druidici non saranno però solo i nemeton megalitici. Una tradizione orale vuole che nel 1717 nel pub “Apple Tree Tavern” Jhon Toland, una figura chiave per i movimenti neodruidici moderni, avesse radunato i più importanti esponenti dei circoli druidici inglesi, in quello che poi sarà il primo grove ufficiale denominato “Mother grove” di cui Toland divenne Arcidruido, e che fu ufficialmente inaugurato nell’equinozio di autunno del 1717 a Primrose Hill, una collina situata nella parte nord di Regent’s Park, a nord di Londra. Sarà da questo luogo a divenire sacro successivamente per molteplici organizzazioni druidiche. Nel 1747 Edward Williams diede vita al primo movimento druidico gallese, “Gorsedd Beirdd Ynys Prydain”, autoproclamandosi druido con il nome di Iolo Morgannwg. Ancora una volta il luogo scelto per la prima cerimonia avvenuta nel 1792 fu Pilmrose Hill. Fu la prima volta che si ebbe un Eisteddfodau, ovvero una riunione della durata di tre giorni. A Iolo inoltre si devono molti dei rituali druidici moderni tra cui l’importante Invocazione alla Pace che oggi caratterizza la maggior parte dei gruppi neodruidici, nonchè l’utilizzo di particolari oggetti cerimoniali quali la spada, il bastone, la corona, la cornucopia e il famoso corno Gwalad. E’ l’inizio del Revival druidico, nascono i primi groove, letteralmente “boschetti”, ed ordini druidici, in realtà all’inizio più società paramassoniche. Nel 1781 viene fondato l’Ancient Order of Druids, noto con la sigla AOD, nel 1833 The United Ancient Order of Druids e nel 1964 l’OBOD, il moderno Ordine dei Bardi, Ovati e Druidi. Successivamente, negli Anni ’60, anche grazie all’accostamento della pratica druidica con i nuovi movimenti eco-ambientalisti ed hippies, si riscopre il forte contatto naturale e la sua interconnessione con il mondo sciamanico ed infatti la maggior parte di coloro che praticano oggi il neo Druidismo utilizzano tecniche sciamaniche. E’ in questo periodo dunque che neo Druidismo e Sciamanesimo iniziano il loro percorso intrecciandosi
Caitlin e John Matthews, membri dell’OBOD dal 1989 al 1992, sono stati i pionieri dell’applicazione di tecniche sciamaniche al celtismo. Un testo davvero molto ben approfondito, di tali autori a cui rimando è Sciamanesimo Celtico.
Successivamente Tom Cowan, nei suoi testi, Sciamanismo: una pratica spirituale per la vita quotidiana e di Il Fuoco nella Testa, cerca di far trasparire dal Druidismo “storico”, di cui effettivamente si conosce poco o nulla a causa della scarsità di documenti e della tradizione di trasmissione orale, la sua primigenia forma sciamanica, cercando anche paralleli con le tradizioni dei nativi americani.
Ma c’è qualcosa che permette di associare ”storicamente” il Druidismo allo Sciamanesimo?
I Celti, durante le loro migrazioni verso Occidente entrarono sicuramente in contatto con le popolazioni proto uraliche assorbendone i sostrati magico-religiosi di stampo sciamanico.
Evidenze sciamaniche riaffiorano nelle saghe irlandesi di Cu Chullinn, nei racconti gallesi del Mabinogion, fino ai più recenti romanzi di Chretien de Troyes.
Alcune di queste letture si trovano nei Gwersu, non solo momenti di lettura ma “indizi” su questo legame spesso celato.
Si narra così di veggenti chiamati offydd, gli Ovati, che avevano l’abilità di entrare in trance e viaggiare nel mondo degli Antenati. Individui con abilità di channeling li ritroviamo anche nei racconti gallesi con il nome di awenyddion, ovvero posseduti. Non mancano poi i rituali estatici.
John Matthews in Taliesin: The Last Celtic Shaman, descrive rituali trance-estatici per raggiungere l’illuminazione attraverso l’uso di veri e propri mantra come “Dichetal do chennaib“, (si pronuncia “Diketal de Kenna”).
Questa sorta di stato alterato di coscienza, era anche noto come Imbas forosnai, ovvero il dono di veggenza. Si trattava di una sorta di tecnica di deprivazione sensoriale, per entrare in trance e di ricevere risposte o profezie. Danu Forest nel suo testo Shaman pathways e Robert Wallis in Shamans/Neo-Shamans: Ecstasies, Alternative Archaeologies and Contemporary descrivono approfonditamente questo rituale.
Il druido che doveva entrare in trance, rimaneva al buio assoluto, sotto una pelle di toro per nove giorni o fino a quando non aveva la visione. Mircea Eliade chiama questa cerimonia “bull dream” ovvero Tarbfeis.
Secondo alcuni studiosi oltre al buio il druido era costretto a cibarsi esclusivamente di carne di toro e a bere il suo sangue favorendo così una sorta di ipervitaminosi da vitamina A che a sua volta favoriva vomito, diarrea e dunque una sorta di alterazione fisica che favoriva così la visione. Tracce di questa cerimonia le troviamo nell’archeologia e nel folklore. Alcune divinità celtiche sono raffigurate come antropomorfe dai caratteri taurini, come la testa del dio-toro Taranis ritrovata a Lezoux, in Francia, e datata I sec. a.C. Sono immagini che enfatizzano il legame tra gli Spiriti animali e l’uomo che, fondendosi con essi, diviene druido e sciamano.
Nelle tradizioni celtico-druidiche appare poi il culto dell’albero universale.
Quando si studiano le religioni di stampo sciamanico in quasi tutte si incontra un riferimento più o meno esplicito al culto dell’Albero: L’Asse Cosmico, il pilastro centrale attorno a cui si organizza l’Universo. Con il passare del tempo ha acquisito molteplici nomi, Albero Cosmico, Asse del Mondo, Albero Rovesciato, Albero della Vita, Albero della Conoscenza, Albero Alchemico, Albero Mistico, Albero della Libertà e molti altro ancora.
Nella tradizione nordica troviamo il frassino Yggdrasill, l’asse del Mondo, ma anche cavallo ad otto zampe la cui scalata dona ad Odino il potere della Conoscenza. Tra i Sassoni l’universalis columna quasi sustinens omnia è chiamata Irminsul, mentre in Mesopotamia l’albero della vita era noto con il nome di Kiskadu. Buddha raggiunge l’Illuminazione sotto un albero di Ficus, mentre Adamo vuole la conoscenza del Dio Monoteista sotto l’albero piantato da Jahveh che nel giudaismo diviene poi la Menorah, il candeliere a sette bracci che riproduce l’Albero dei Sette Cieli mesopotamico. Nella tradizione araba l’abero universale è la Palma, l’albero con la testa nel fuoco del cielo e i piedi nell’acqua. Per gli Altaici sull’ombelico della Terra spunta un gigantesco albero i cui rami si allungano fino alla dimora di Bai-Ulgan, il Dio Progenitore, mentre tra gli Jacuti l’asse-albero primordiale è Yjyk-Mar che si innalza fino al nono cielo dove dimorano le anime degli sciamani. Nell’Asia settentrionale l’albero cosmico è una betulla detta Udeshi Burkjan, ovvero “il guardiano della Porta”, mentre in Cina l’albero dei “nove Cieli” è chiamato Quian mù. Nella sua opera Storia delle idee e delle credenze religiose, Eliade scrive:
“L’asse del mondo si rappresenta concretamente, a volte attraverso i pali che sostengono le abitazioni e altre volte come aste isolate, chiamate “colonne del mondo”. Quando la forma dell’abitazione subisce delle modificazioni (come il passaggio dalla capanna dal tetto conico alla yurta), la funzione mitico religiosa del palo viene trasferita all’apertura
Superiore da cui esce il fumo. Questo simbolismo è molto diffuso. Ad esso è condizionata la credenza nella possibilità di una comunicazione diretta con il Cielo. Nel piano macrocosmico, questa comunicazione è rappresentata da un asse (colonna, montagna, albero, etc.); nel piano microcosmico è raffigurata dal palo centrale dell’abitazione o dall’apertura Superiore della tenda, volendo significare che ogni insediamento umano si proietta sul “centro del mondo” e che ogni altare, negozio o casa offre la possibilità di una rottura di livello e come risultato quella di mettersi in contatto con gli dèi o compreso, nel caso degli sciamani, di ascendere al cielo…..In quanto all’albero del mondo, ve ne è testimonianza in tutta l’Asia e svolge un ruolo importante nello Sciamanesimo. Cosmologicamente, l’albero del mondo si trova al centro della terra, nel suo stesso “ombelico”, contemporaneamente i suoi rami superiori toccano le regioni celesti. L’albero unisce le tre regioni cosmiche, poiché le sue radici affondano nella profondità della terra. Secondo i mongoli e i buriati, gli dèi (tengri) si nutrono dei frutti di questo albero. Si presume che lo sciamano fabbrichi i suoi tamburi con il legno dell’albero del mondo. Davanti la sua yurta e all’interno della stessa si trovano alcune riproduzioni di alberi, la cui immagine si rappresenta anche sul tamburo. Inoltre lo sciamano, nella sua scalata alla betulla rituale, non fa altro che arrampicarsi sull’albero cosmico…”.
L’albero universale è presente dunque anche nella tradizione druidica.
Più volte esso è richiamato all’interno dei Gwersu, dal richiamo al Craeb, il sacro palo che sorregge le abitazioni circolari dei druidi, alla Bacchetta.
Richard Gordon, esoterista e neosciamano afferma: “The wand as used in many modern day esoteric practices is in fact a symbolic drum stick, directionally beating our concentrated willed intent against the energetic surface of creational reality”. Utilizzata come estensione del dito, essa è anche simbolo e rappresentazione dell’Axis Mundi miniaturizzato, ma anche rappresentazione dell’energie maschili e falliche. Tornando al “Macro”, ovvero all’albero, lo stesso Merlino raggiunge il potere della Conoscenza, della Veggenza, della Metamorfosi e del Linguaggio solo dopo aver scalato il sacro Pino di Barenton: l’albero cosmico. I suoi rami si protendono radiosi verso il cielo, e le sue radici affondano nella terra scura, nella quale scorrono le acque della fonte. Per chi volesse vedere questo sacro albero, nella cittadina gallese di Carmarthen esiste una quercia risalente al XVII secolo, conosciuta come appunto come Merlin’s Tree.
Non mancano poi i riferimenti ai “mondi” che comporrebbero l’Universo del Druido-Sciamano, presenti nel folklore celtico. Si sprecano i racconti sul popolo delle fate, in molti casi noto come “piccolo popolo”, e su ignare persone che, attraversando anche involontariamente un “cancello” si trovavano in questa terra che potremmo definire un onirico “Mondo di Sotto” popolato da creature meravigliose e, in alcuni casi, anche pericolose. Non manca poi il metamorfismo sciamanico.
La figura che più di tutte può essere evocativa, in questo caso, è quella di Kernunnos, il dio-signore degli animali raffigurato con un palco di corna sulla testa. La sua più nota raffigurazione è quella presente sul calderone di Gundestrup. In realtà per molti studiosi la figura rappresentata sul calderone rappresenterebbe non un dio ma uno sciamano.
La capacità dei druidi di trasformarsi in animali e/o di essere con essi interconnessi è diffusissima. Nella saga di Talielsin, Gwyrhyr è noto per conoscere il linguaggio degli animali, nonché per le sue molteplici trasformazioni e esperienze di trasmutazione. Mutazioni animali le troviamo anche nei racconti di Oisin e Amergin che non solo si trasformano in animali ma trascorrono un lungo periodo sotto tali sembianze riportando nel mondo reale, una volta terminata l’esperienza della trasformazione, tutte le conoscenze acquisite in questo stato di realtà non ordinaria.
Lo stretto legame con l’animale sacro, che dunque poi nel tempo muterà da Spirito Guida ad elemento totemico caratterizzante del clan, è fortemente diffuso in tutta la cultura celtica. Lo stesso nome delle tribù esprime il legame con il mondo naturale e con l’animale che diviene simbolo del sacro.
L’usanza dei sacerdoti celtici di adornarsi con corna di cervo è descritta ancora nel 300 da Sant’Agostino che scrive dell’ “orribile usanza di travestirsi da stallone o da cervo”.
Altri elementi comuni tra la figura del druido e dello sciamano sono i poteri sugli agenti atmosferici, la capacità di chiamare tempeste e piogge, nebbia e sole, ma anche la loro attitudine alla divinazione. Ad esempio Diodoro Siculo e Tacito ci descrivono l’intervento di bardi sul tempo meteorologico in una famosa battaglia contro i romani sull’isola di Mona. Forte è anche il legame con la tradizione degli Antenati, i Celti utilizzarono spesso per i loro rituali luoghi megalitici costruiti da popolazioni precedenti, che seguivano particolari percorsi energetici o leys.
La Letteratura celtica è poi ricca di descrizioni di territori e mondi che si sviluppano in una realtà non ordinaria. Molte sono le storie e i racconti che narrano di viaggi in terre e reami presenti in un mondo assolutamente onirico o comunque non reale, come nelle avventure di San Brendano. La sua leggenda è raccontata nella Navigatio sancti Brendani, dove per l’appunto vengono descritti luoghi e mitici animali in quello che può essere considerato un viaggio interiore. In alcuni casi, come nella descrizione della vita del druido MacRuith, si narra proprio di “voli” a cavallo di fiamme che avrebbero portato il sacerdote in non meglio precisato un “mondo di sopra”. Non mancano le descrizioni di druidi vestiti con le piume di uccelli proprio ad indicare il volo spirituale, abitudine diffusissima nella tradizione sciamanica.
Altre esperienze non ordinarie sono descritte nelle saghe di Peredur ab Efrawg, poi trasformato nel Percival, o nelle avventure epiche irlandesi di Maelduin che narrano le imprese di questo personaggio durante un viaggio per vendicare la morte del padre ucciso da un pirata. Infine un ultimo esempio potrebbe essere la permanenza di Oisin a Tir-na-Nog. Dopo l’incontro con Niamh, una bellissima fata, Oisin fu portato nella terra dell’eterna giovinezza, Tir-Na-Nog appunto, un Oltremondo ove il tempo non esiste. Quando egli, proprio come uno sciamano immerso nel suo viaggio, si risveglierà nella realtà ordinaria, si ritroverà tremendamente invecchiato proprio come spesso accadeva ai mistici orientali in meditazione. Anche il concetto che si nasconde dietro l’Awen, o imbas in irlandese, l’ispirazione divina, l’energia che pervade le cose, che dona la capacità di poter dialogare e prender forma di animale è tipicamente sciamanica.
In aggiunta le narrazioni del Calderone di Cerdiwen e della nascita di Taliesin, attraverso il mistico fluido dell’Awen preparato dalla dea in persona per donare saggezza al figlio Afagddu, rimanderebbero ad antiche tecniche di apertura della “porta percettiva” attraverso sostanze allucinogene e psicotrope, come ad esempio l’Amanita Muscaria che effettivamente erano utilizzate dagli sciamani.
Il Druido dunque è uno sciamano, come afferma anche Patricia Monaghan in The Encyclopedia of Celtic Mythology and Folklore, nella sua funzione di colui che diviene intermediario con il mondo magico, colui che gestisce la driudheachd, ovvero l’arte magica.