IL PRINCIPE SAN SEVERO, ALCHIMISTA E GRAN MAESTRO

 

IL PRINCIPE Dl SANSEVERO,

ALCHIMISTA E GRAN MAESTRO

di

Sigfrido E.

n questa fase della storia della Libera Muratoria napoletana, si inserisce la vicenda del Principe di Sansevero, il quale fornirà la versione ufficiale sulla sua esperienza massonica in

 

una Lettera scritta a Benedetto XIV e datata il 1 agosto 1751, un mese dopo la rinuncia alla Gran Maestranza dell’ Ordine [1] : “Compie in questo corrente mese di Luglio appunto un anno, Santissimo

 

Padre, da che un ragguardevolissimo Cavaliere della Corte del mio Re Carlo Borbone [2], col quale avea gran dimestichezza, secretamente parlandomi m’invitò ad entrare nel ruolo di coloro, che volgarmente Liberi Muratori son detti”. Il Principe racconta quindi che, dopo essere stato interrogato dal “Presidente o sia dal Maestro, siccome essi dicono, dell’Ordine”, venne ammesso all’iniziazione: “e avendoci il Presidente e tutti gli altri Confratelli acconsentito, son tra loro ricevuto a’ 22. di Luglio del prossimo passato anno”, ovvero del 1750.

Il Principe non manca di sottolineare di essersi trovato “in mezzo ad onestissima Gente” e che, avendo partecipato a numerose riunioni, non si era imbattuto “in alcuna cosa viziosa, se non in molte piuttosto ridicole ed insulse, cioè in certi enigmi, sotto i quali ciascuna bagattella alla società appartenente si nasconde”; e continua quindi affermando che per tale motivo si era piuttosto disgustato; tuttavia, aveva deciso di “perseverarci per qualche tempo” soprattutto perché gli sembrava ‘flaudabile” che uomini di diverso ceto, “posta da banda la nobiltà della nascita e la gravità degl ‘ impieghi, doveano fra loro familiarmente conversare, e promettersi uno scambievole soccorso in caso di caderne in bisogno” e pensando inoltre che “si potesse apportare un grandissimo benefizio alla Patria coll’unire insieme gli animi de’ più Potenti Cittadini e quelli de’ Giureconsulti”.

“Trenta giorni appena dopo la mia ricezione – continua il Principe – per comune consentimento di tutti fui eletto Presidente, o per meglio dire Gran Maestro dell’ Ordine nel Regno Napoletano”. Il Principe di Sansevero, infatti, su proposta dallo Zelaja, venne “di comune consenso acclamato e riconosciuto per Gran Maestro dell’ Ordine”, riconoscimento che gli fu confermato il 24 ottobre 1750 anche dalla Loggia del Larnage: pertanto, sotto il Gran Maestrato del Principe di Sansevero, le Logge napoletane andarono a costituire una Gran Loggia Nazionale[3]

Sorge, a questo punto, una legittima perplessità: come è possibile che il Principe di Sansevero, per quanto prestigiosa fosse la sua figura, potesse essere eletto Gran Maestro dell’ Ordine appena un mese dopo la

sua ricezione ? Una così folgorante carriera massonica appare alquanto improbabile [4], mentre sembra ben più verosimile l’ipotesi che il Principe di Sansevero fosse stato iniziato già diverso tempo prima, e che nel 175 abbia invece voluto imprimere una svolta decisiva alla Massoneria napoletana, riorganizzandone le Logge rafforzandola e rendendola autonoma con la costituzione della Gran Loggia Nazionale.

L’ idea che il Principe di Sansevero facesse parte della Libera Muratoria da prima del 1750, è stat già avanzata da più parti, e secondo Gamberini il Principe sarebbe stato iniziato nella Loggia del duca di Villeroy fra il 1736 e il 1737 [5]. Henri Theodor Tschudi riporta il testo di un’Orazione che il Principe avrebbe pronunciata nel 1745, in occasione dell ‘ ingresso di alcuni Apprendisti nella sua Loggia[6][7].Il tono dell’ orazione è tale che a tenerla non può essere stato che il Maestro Reggente della Loggia: pertanto, il Principe di Sansevero nel 1745 non solo sarebbe già stato inserito nell’ Ordine, ma vi avrebbe occupato un posto di primo piano. Inoltre, in un documento massonico dell’epoca, un volumetto recante il titolo Le Costituzioni della Società dei Liberi Muratori, viene riportata la “Canzonetta Recitata in Napoli nel dì 21. Gennaio 1750.assistendo il F.. Tolvach Inglese al travaglio della Loggia della Concordia, una delle Logge del F.. Raimondo di Sangro, Principe di S. Severo, Primo Gran Maestro in Italia”21 : apprendiamo in tal modo il titolo distintivo di una delle Logge del Principe di Sansevero, ma soprattutto troviamo la conferma che il Principe era già a capo della Massoneria napoletana il 21 gennaio 1750, cioè sei mesi prima della data del 22 luglio 1750, in cui egli stesso afferma di essere stato iniziato.

In mancanza di documenti più precisi ed attendibili, la vera data dell’iniziazione massonica del Principe di Sansevero resta ancora avvolta nel mistero. Riteniamo tuttavia che un’indicazione in merito sia stata fornita, in forma velata, dallo stesso Principe nella Lettera Apologetica, quando parla del suo Progetto d’una Multiplice Difesa Interna, affermando che “questo ammirabile trattato è la cosa, che con più gelosa cura custodisce l’ Autore . ci sembra infatti di poter scorgere, nella Molteplice Difesa Interna, non solo un modello di fortificazione militare, ma anche un’ allusione allo schema della Triplice Cinta[8][9], simbolo dell’insegnamento iniziatico coi suoi tre gradi visti come barriere da superare per penetrare nel punto centrale, cuore del mistero e fonte dell ‘ insegnamento.

Non ci sembra eccessivamente azzardato ipotizzare che la data del 1741, attribuita a tale Progett024, possa essere la vera data dell’ iniziazione massonica del Principe, il che sembrerebbe trovare conferma in un altro passo che precede il brano in questione, ed in cui il Principe cita un’ altra sua opera sulla vera cagione produttrice della luce”25 : vedere o ricevere la Luce è ciò che il neofita chiede all’atto della sua iniziazione, e non possiamo non ricordare, in proposito, la frase con cui lo stesso Principe aveva salutato alcuni Apprendisti in occasione del loro ingresso nella sua Loggia: “è giusto, infine, che vi renda partecipi della Luce che avete cercato con tanta cura.”.

Inseguito alla Bolla di Scomunica di Benedetto XIV, il Re si era fatto fare dal Principe “il ristretto di tutta l’Istoria di tali Liberi Muratori”, e il Principe aveva rimesso nelle sue mani anche la “nota dei soggetti che sono aggregati in detta setta”, ovvero la lista dei Massoni napoletani. Il IO luglio 1751 Carlo III emanava a sua volta l’Editto di condanna della Libera Muratoria, e vietava la sua presenza della Massoneria nel Regno: “Quindi, per ovviare ad un male sì grave e dannevole di una Società troppo sospetta per la profondità del segreto, per la vigilantissima custodia delle sue Assemblee, pel sacrilego abuso del giuramento, per l’ arcana Caratteristica, con cui i suoi membri si riconoscono tra di essi, e per la dissolutezza delle crapole, sorgive tutte di perniciose conseguenze; la proibiamo assolutamente ne’ nostri Domini sotto la pena di dover essere i liberi Muratori puniti come perturbatori della pubblica tranquillità e come rei di violati diritti della nostra Sovramta

Alcuni giorni prima, il Principe aveva già comunicato al Re la sua formale abiura, cosa di cui avrebbe poi dato notizia nella sua Lettera al Papa, pur senza specificarne il momento: “tosto dunque rinunziai al Gran Maestrato; e a tutti gli altri seriamente ed efficacemente consigliai di fare lo stesso”; un’ informazione più precisa in merito, la troviamo in una lettera al Papa del Nunzio Gualtieri del 3 luglio: “frattanto sento che il loro Gran Maestro Principe di S. Severo abbia portato la renuncia di tal’ impiego nelle mani della M.S., e che questi gli facesse una gran ripassata” e sempre dal Nunzio apprendiamo che il Re aveva mandato a sequestrare in casa del Principe il “Libro delle Cabale”

In una lettera inviata al Papa, il Re manifestava inoltre la sua soddisfazione per il successo che avevano ottenuto il suo Editto, ed ancor più per essere finalmente riuscito ad acquisire “molte scritture” sulla Libera Muratoria, che si affrettava ad inoltrare al Pontefice, “affinché per sé e per gli altri Principi Cattolici ne faccia quell’uso salutare e prudente, che stimerà il suo savio intendimento”

L’esame dei documenti consegnati dal Principe di Sansevero a Carlo III, e da questi trasmessi al Pontefice, ci interessa in modo particolare, dal momento che ne possiamo deduuve degli utili chiarimenti sul sistema massonico adottato nelle Logge del Principe e, in termini più generali, sul modo in cui la Massoneria veniva praticata a Napoli.

Lo stesso Carlo III descrive i testi in questione nella sua lettera al Papa: oltre agli Statuti ed ai Cerimoniali “professati da’ Muratori di qui”, vi si trova una delle Costituzioni delle Loggie d’Inghilterra “qui capitate, ma non per anco accettate” e che concernono “la prima classe de’ Muratori blu, divisa in tre gradi, cioè di Apprendente, di Compagno, e di Maestro”. Il Re aggiunge che “i segreti, e le cerimonie di questo prim’ ordine del Muratorismo, quantunque Sien sempre condannabili per se stessi, ad ogni modo si riducono a mere inezie, ed a ridicole puerilità vestite con abito serio e misterioso per incalappiare gli sciocchi, e dar risalto alle follie”

Seguono poi i documenti relativi alle “altre tre classi, o vero Gradi maggiori del Muratorismo, di Maestro Scozzese, di Eletto, e della Sublime Filosofia. Lasciando però da parte questo ultimo, che riducesi ad un titolo puramente scientifico, ben iscorgerà V.S. negli altri due rimarchevoli Gradi un fanatismo dichiarato di guaste fantasie da per tutto, un putrido impasto di sogni cabalistici, e di favole Rabbiniche nella storia, una irreligiosa superstizione, e professamento de’ Misteri sagri nelle cerimoni, un misterioso parlare di sangue, di torti, e di vendette ne’ propri fini, ed un dilicato adombramento di Crovvellismo”

Dalla lettera di Carlo III, appare dunque chiaro che il sistema massonico adottato dalla Gran Loggia del Principe di Sansevero era un sistema fondato sugli Alti Gradi, mentre le Costituzioni di Anderson, su cui si fondava la Massoneria “Inglese”, limitata ai primi tre gradi, pur essendo note nell’ ambiente napoletano, non erano state accettate: infatti alla prima “classe de’ Muratori blu”, coi suoi tre Gradi simbolici di Apprendista (Apprendente), Compagno e Maestro, erano stati aggiunti tre “Gradi maggiori”, i cui princìpi, delineati in documenti “ignoti forse finora a chicchessia”, possono essere messi in rapporto con lo schema prospettato dal Ramsay e con la Massoneria “Scozzese”.

Per quanto concerne il Grado della Sublime Filosofia, sesto del sistema adottato a Napoli, il Principe così si esprime: “Ad ogni modo, perché io tengo parimenti il grado della Sublime Filosofia, posso assicurare, che quello è necessario, e che senza di esso il Muratorismo resta imperfetto. Ma è troppo difficile di stabilir questo Grado; ed io non ne conosco, che una sola Loggia”, aggiungendo, in seguito, “anzi credo, che Marseglia sia la sola città, dove vien conosciuto, e praticato questo Grado”

Il Principe spiega quindi che questo Grado è limitato ad “un picciol numero di animi scelti”, in quanto, essendo basato sul gusto per la scienza e lo studio, “altro dunque non è, che una spezie di Accademia”. I Sublimi Filosofi, o Accademici, svolgono dei lavori di carattere squisitamente intellettuale, riunendosi ogni settimana intorno ad una “Tavola grande” ed esponendo le loro ricerche ed i loro esperimenti, “o la Pianta, o il Calcolo, o lo Sperimento”, e discutendone insieme.

Anche nella Lettera al Papa, il Principe di Sansevero, esprimendo un giudizio alquanto critico nei confronti di taluni aspetti della Libera Muratoria, e parlando delle molte cose “piuttosto ridicole ed insulse” che vi aveva riscontrato, manifesta la sua convinzione che, all ‘ interno dell ‘ Ordine massonico, alcuni spiriti eletti possano perseguire dei fini altamente speculativi, ponendo la loro associazione “al coperto del Misterio, e del Segreto”.

Il Segreto assume qui un valore preciso: esso non serve più a nascondere delle “bagattelle”, ma costituisce la necessaria copertura di un prezioso lavoro di ricerca scientifica e filosofica, ed è in tal senso paragonabile al Silenzio imposto agli antichi iniziati per evitare che la loro “Scienza segreta”, trasmessa a profani, potesse essere da questi mal compresa ed ancor peggio utilizzata. Il Principe afferma di non aver mai partecipato a queste assemblee di Sublimi Filosofi, ma di esserne stato solo informato da un amico; tuttavia, l’importanza che egli stesso attribuisce a questo Grado, ed il fatto che gli intenti di una tale Accademia appaiono in perfetta armonia con la sua passione per la speculazione e la ricerca, ci inducono a pensare che Don Raimondo abbia invece avuto particolare interesse a curare proprio questo Grado e che non solo possa averlo istituito a Napoli, ma che possa aver continuato a praticarlo in segreto anche dopo la sua formale abiura.

Alla filosofia di questo Grado corrisponde, molto probabilmente, quella delineata dallo Tschudy nel suo Catechismo o Istruzione per il Grado di Adepto o Apprendista Filosofo Sublime o Sconosciuto ed ispirata a due classici alchemici del XVII secolo, il Novum Lumen Chymicum del Cosmopolita e l’Ode Alchemica di Fra Marcantonio Crasselame Chinese, pseudonimo del Marchese Santinelli.

Il fatto che entrambi i testi citati siano riconducibili all’ area del pensiero rosacrociano-6, ci consente infine di vedere un collegamento ideale fra il Grado della Sublime Filosofia, con il suo interesse per la scienza e lo studio, e il XVIII Grado del Rito Scozzese Antico ed Accettato (Principe Rosa Croce) che, ispirandosi alla tradizione rosacrociana, ne ripropone le istanze culturali fondate sulla ricerca delle leggi della natura, ragion per cui è stato anche definito come “il Deposito della Scienza Universale

 

IL PRINCIPE ALCHIMISTA

Fu davvero un Alchimista Don Raimondo di Sangro, Principe di Sansevero, ben noto per la sua misteriosa Cappella e per essere stato, nel 1751, il primo Gran Maestro della Libera Muratoria in Italia?

Certo, quel che sappiamo delle sue ricerche e sperimentazioni non sembra a prima vista sufficiente per affermarlo con certezza; inoltre, fra i suoi scritti, non ne troviamo nessuno di carattere esplicitamente alchemic028 ; anzi, come rileva con malcelata soddisfazione la Cioffi, fra i titoli della sua pur ricchissima

  • Il Ferguson (Bibliotheca Chemica, London 1954, vol. II, p.369) riporta la notizia che al Sendivogius (ovvero al Cosmopolita) sarebbe sato rivolto l’esplicito invito ad entrare a far parte della Fraternità dei Rosacroce e in ogni caso la sua opera rientra nella corrente di pensiero rosacrociano, come vi rientra quella del Santinelli, che in un’ altra sua opera (Il Carlo Quinto, ca. 1676) parla di un ordine della Rosea Croce.
  • Gamberini: Emblemi, ed.cit. p. 104: secondo Gamberini, il Grado di Principe Rosa Croce sembra sia stato praticato per la prima volta a Lione verso il 1 762; esso è presente, sempre come XVIII Grado, nel Rito di Perfezione di Heredom. La sua origine è riconducibile alla presenza rosacrociana nelle Loggie massoniche fin dal XVII secolo, ed alla fondazione stessa dell’Ordine massonico nel 1717; nel 1740 i Rosa+Croce di Heredom francesi fondarono il Capitolo di Clermont, mentre verso il 1760-70 vennero fondati diversi Ordini rosacrociani ad opera del Conte di Saint Germain, del teosofo Schrôder, dello Schrôpfer e del Barone von Ecker (cfr. Soro, op.cit. p.3234 e 153-57)
  • Gli Alchimisti si definivano Filosofi, in quanto amavano e perseguivano la Conoscenza ed Eroi perchè il cammmo che affrontavano era irto di ostacoli e pericoli e tale da poter essere affrontato solo dall’entusiasmo e dall’audacia di una natura eroica: similmente l’Origlia (Istoria dello Studio di Napoli, Napoli 1754, Tomo II,

p.378, 379, 386) definisce “Eroe” il Principe e “filosofiche” le sue ricerche.

biblioteca “non compare nessun nome classico della tradizione esoterica cinque-seicentesca . La cosa non ci inquieta né ci meraviglia, dal momento che non sarebbe neanche inverosimile che il Principe avesse voluto occultare o affidare in mani sicure, testi e documenti compromettenti, per evitare che si conoscesse il vero orientamento del suo pensiero e delle sue ricerche, il che del resto rientra nelle consuetudini dei membri delle società iniziatiche, che han sempre avuto cura di evitare che i loro segreti fossero conosciuti dai profani.

Siamo convinti che la ricerca alchemica abbia costituito il più importante, ma anche il più celato dei suoi interessi, e riteniamo che il Principe, maestro nell’uso di un gergo cabalistico, abbia in realtà inteso dare delle precise informazioni in merito alla sua esperienza iniziatica ed alle sue ricerche, ma che lo abbia fatto in forma velata sia nei suoi scritti che nella decorazione della sua Cappella, rivolgendosi a chi, conoscendo i suoi “sentimenti”, fosse in grado di interpretare i suoi messaggi.

Per esempio, nella Lettera Apologetica, mette in relazione alcune sue invenzioni agli Elementi Acqua, Fuoco e Aria, interpretabili alla luce della simbologia massonica dei primi tre Gradi, per poi proseguire con delle indicazioni riconducibili allo spirito rosacrociano della Sublime Filosofia, e quindi al simbolismo alchemico: ricordiamo la descrizione del grande Oriuolo progettato per il cortile del suo palazzo, sul quale la testa di un Dragone araldico avrebbe assolto alla funzione di pendolo, un’allegoria del Tempo, di quel vecchio Saturno che nei testi alchemici simboleggia il Soggetto iniziale della Grande Opera, e di cui il Dragone è il segno geroglifico, indicato come Drago nero e squamoso.

Nella biografia del Principe possiamo anche trovare un’ allusione al momento in intraprende una nuova, più delicata fase della sua ricerca: è in quel 1747 in cui, ritiratosi dai passatempi mondani prese ad applicarsi di giorno agli studi meccanici e di notte alle scienze, dedicandosi a quelle cose “che dagli altri sono stimate per lo più passatempi de’ putti, e trattenimento delle vecchie” 30. Lavoro di donne e gioco di bambini! L’ Origlia non avrebbe potuto essere più esplicito nel segnalare che a partire dal 1747 il Principe, compiute le Fatiche d’Ercole della prima preparazione della Pietra dei Filosofi. si era dedicato a quello che gli Alchimisti hanno definito il loro Regime, unico e lineare, che consiste nel cuocere e nel far digerire la materia preparata: operazione delle più segrete, perché, quando la si conosce “non è altro che un lavoro di donne, un gioco di bambini”- I . Con questa duplice immagine i Filosofi ermetici indicavano le fasi della Soluzione e della Coagulazione che si alternano durante la cottura dell’Uovo Filosofico, nel vaso contenente la materia preparata, all ‘ interno del forno alchemico o Athanòr.

Segue, puntuale e precisa, I ‘enumerazione dei colori che si sviluppano nel Vasofilosofale durante la Cottura. Quattro sono i colori principali dell’Opera, come ci insegna il misterioso monaco-alchimista Basilio Valentino 2 che li simboleggia con altrettanti emblematici animali: il Corvo, simbolo del Nero, il Pavone, anzi la Cauda Pavonis, con cui viene indicata l’ apparizione di molteplici colori che precede la manifestazione del colore Bianco; il Bianco, che viene invece simboleggiato da un candido Cigno, oppure, secondo altri autori, dalle Colombe di Diana; infine il Rosso, la Fenice che risorge dalle sue ceneri, simbolo della rigenerazione della Pietra nell ‘ Opera al Rosso.

Dopo aver accennato alla felicità provata negli “Scoprimenti de’ Segreti che altrove con somma gelosia si custodiscono”, il Principe parla dei procedimenti da lui trovati per ristagnare il rame e fabbricare la latta: Cuivre et Laiton, ou Leton, ci ricorda Dom Pernety33, sono termini che designano la “Materia al

29) R.Cioffi (La Cappella Sansevero, Arte barocca e ideologia massonica, ed. 10/17, Salerno 1987, p.78). 30) Origlia, op.cit. p.343

31 ) Vedi, sull’argomento: Ireneo Philalethe: Introitus apertus ad occlusum regis palatium, in: Musaeum Hermeticum, Frankfurt 1678. Vedi anche Fulcanelli: “Terminate le gravose Fatiche d’Ercole, il suo lavoro si riduce al Gioco da bambini di cui parlano i testi, cioè a sorvegliare il fuoco, cosa che anche una donna che sta filando può facilmente fare e farlo bene” (Il Mistero delle Cattedrali, ed. Mediterranee, Roma 1972 p. 129)

  • Basilio Valentino: Le Dodici Chiavi (Practica, cum Duodecim Clavibus et Appendice de Magno Lapide antiquorum Sapientum, in: Tripus Aureus, Francofurti 1618); ried. franc. a cura di •E.Canseliet, ed. de Minuit, Paris 1956, Chiave IX, p.i85.
  • Pernety A.J.: Dictionnaire mytho-hermetique, Paris 1787, ried. Paris 1972, p.95 e 188

Nero, che occorre sbiancare”, come ci ricorda anche l’iscrizione incisa in basso sullo stipite sinistro de] Porta Magica di Roma[10]:

azot et ignis dealbando latonam veniet sine veste dianam

Il Principe si sofferma quindi sulla “maniera da Lui ritrovata d’imprimere ad una sola tirata

Torchio qualsivoglia figura, siasi umana, o di fiori, o d’ ogni altra cosa, variamente colorata” e di produn “ad una sola pressione del torchio e ad un medesimo tempo delle pagine stampate con caratteri di pi colori”, indicando con ciò i colori variopinti che appaiono dopo l’Opera al nero e che preludono alla fas dell’Albedo in cui si manifesta il colore Bianco.

E con una coerenza che difficilmente potremmo ritenere casuale, subito dopo, il Principe, elencand alcune sue invenzioni in campo tessile, cita per prima quella del drappo dipinto che definisce Peki Partenopeo, in cui è riuscito ad ottenere, su fondi scuri come il verde ed il turchino, un “Bianco senz corpo alcuno… la cui bianchezza è tale, che sovrasta ogni altra candidezza”. L’apparizione di tale Bianc perfetto, indica, in termini alchemici, che la Materia ha raggiunto un grado di perfezione e di fissità tale d non poter più essere distrutta dal fuoco; da questo punto in poi occorre solo continuare l’ azione del fuoc per perfezionare il Magistero al Rosso.

Ma il Principe interrompe qui la sua successione di colori, con questo drappo di seta che “riduss all’ultima perfezione” nell’ anno 1749, segno che ormai ha raggiunto, nei suoi studi e nelle sue ricerche, l; necessaria chiarezza. E l’Opera al Rosso? Nelle pagine che seguono il Principe non ne fa parola.

Eppure la Fenice, simbolo dello Zolfo dei Filosofi e del Magistero condotto alla perfezione nel l’Opera al Rosso, farà la sua apparizione qualche tempo dopo, in un altro testo fatto pubblicare da Principe: nella Breve Nota si legge infatti che le due Macchine Anatomiche fatte realizzare dal Principe, s trovavano nel suo Palazzo, “in una stanza di un altro Appartamentino, che chiamano della Fenice, il qual sta tutto in fabbrica, per renderlo meglio diviso e comodo”.

Ci chiederemo allora se esista un rapporto fra il sistema circolatorio “pietrificato” che i due famos scheletri esibiscono, e la loro collocazione nell’appartamento dedicato al mitico uccello, simbolo dell rigenerazione. Per il momento ci limiteremo a segnalare che il “sangue coagulato” della materia vivente detto anche Adamo o Adamas perché rappresenta la Terra Rossa con cui è stato creato il primo padre degl uomini e che racchiude in sé lo Zolfo filosofico del Magistero al Rosso.

(fine seconda parte

 

[1] ) Vedi la corrispondenza del Nunzio Gualtieri col Cardinale Valenti, Segretario di Stato del Papa (Archivio Segreto Vaticano, Nunziatura di Napoli, voll. 233-238), pubblicata da P. Sposato (Documenti vaticani per la storia della Massoneria nel Regno di Napoli al tempo di Carlo III di Borbone, Tivoli 1959).

[2] ) Si tratterebbe di Guglielmo Moncada, Principe di Calvaruso (secondo il Palermo, ed.cit. p.458) oppure del Principe Gennaro Carafa della Roccella.

[3] ) Ed Stolper: La Massoneria settecentesca nel Regno di Napoli, in “Rivista Massonica” n. 10, 1975, p.594. Un po’ diversa la versione data dal Soriga: “verso il 1745 per opera più che altro delle truppe straniere al servizio di Carlo III, si organizza una Gran Loggia in Napoli sotto il Gran Magistrato di Raimondo di Sangro, Principe di Sansevero, curioso spirito di transizione, metà alchimista, metà scienziato” (R. Soriga: Le Società Segrete, l’emigrazione politica e i primi moti per l’indipendenza. Scritti raccolti e ordinati da Silio Manfredi, Modena 1942,

[4] ) Lo stesso Federico di Prussia, quando era Principe ereditario, fu inziato nella stessa notte, dal 14 al 15 agosto 1739, prima come Apprendista, poi come Compagno ed infine come Maestro, ma attese ben sei anni prima di divenire Gran Maestro, dopo che la Loggia berlinese “Zu den drei Weltkugeln” era stata elevata a Gran Loggia Madre (cfr. E.Lennhoff: Die Freimaurer, Zurich-Leipzig-Wien 1929, trad.it. Il Libero Muratore, ed. Bastogi, Livorno 1976, p.83-84; R.di Castiglione, op.cit. p.82)

[5] ) G.Gamberini: Mille volti di Massoni, ed.Erasmo, Roma 1975, p.27. Vedi: Le premier Livre d’architecture de la Maconnnerie francaise: le Registre Coustos-Villeroy (1736-37), in “Bulletin du Centre de Documentation du Gran Orient de France” Paris, n.51, mai-juin 1965, p.64; cfr. R. di Castiglione, op.cit. p.78-79

[6] ) H.T.Tschudy: L’Etoile Flamboyante ou la Societé des Francs-Maçons considerée sous tous les aspects, A l’Orient chez le Silence, Francfort-Paris, A.Boudet, 1766, vol.ll p.49-55. Cit. e trad. it. in R. di Castiglione, op.cit., p.183-84.

[7] ) Il titolo completo dell’opera è: Le Costituzioni della Società de ‘Liberi Muratori Poste in ordine nuovo Dal ex G..M..E..S..T.. D..G..M.. Per uso della Gran Loggia Nazionale e Logge di sua dipendenza… in Cosmopoli, nella Stamperia del Figlio della Vedova, A spese dei Fratelli. Il volumetto, scoperto nel 1866 dallo Speradio, venne da questi ritenuto il testo ufficiale degli Statuti massonici del 1750 e riprodotto nella sua traduzione dell’opera di F.T. e B. Clavel: Storia della Massoneria, Napoli 1873 (p.543-79). Diversi storici della Massoneria ritengono che il documento sia stato stampato in data successiva (De Blasiis, op.cit. p.240, nota 3; Soriga, op.cit. p.74; M.P. Azzurri, op.cit. p.80 e 91; E. Stolper, op.cit. p.594-96); da parte nostra, non riteniamo che si possa escludere che il documento appartenga al periodo della Gran Maestranza del Principe di Sansevero (cfr. S.E.F. Hôbel: Un documento problematico, in “Hiram” n. l, genaio 1988, p. 16-19) 22) Lettera Apologetica, p.210

[8] ) Cfr. R. Guenon: Simboli della Scienza sacra, ed. Adelphi, Milano 1975, p.76 ss. 24) Origlia, op.cit. p.327

[9] ) Lettera Apologetica, p.208. L’Origlia (op.cit. p.385) riferisce che in tale opera il Principe spiega “con mirabile chiarezza” i fenomeni della luce “facendoli derivare tutti da un solo, e semplicissimo principio” e considerando il “vero significato degli ebraici vocaboli”.

[10] ) Vedi Vinci Verginelli: Bibliotheca Hermetica, ed.Nardini,• Firenze 1986, p.90; sullo “sbiancare Latona” vedi anche M.Mayer: Atalanta fugiens, hoc est Emblemata nova de secretis naturae chymica, ed. J.Theodor d Bry, Oppenheim 1618; ed.franc. Librairie de Medicis, Paris 1969, Emblema XI, p. 120 ss.

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