V.I.T.R.I.O.L

V.I.T.R.I.O.L

di Anna Checcoli

Una stanza buia con le pareti dipinte di nero, il chiarore di una candela, un teschio, il pane, il sale, lo zolfo e tante scritte qua e là. Una per tutte: V.I.T.R.I.O.L. Cos’è? Tecnicamente un acrostico, e non un acronimo. Il primo è costituito da iniziali di parole che formano una frase, il secondo di parole slegate fra loro. Visita Interiora Terrae Rectificandoque Invenies Occultum Lapidem. Visita l’interno della Terra e compiendo opportune modifiche, trova la pietra nascosta. Ma quali modifiche e quale pietra? Sono le famose “trasmutazioni” alchemiche quelle di cui si parla, rettificazioni per niente facili a comprendere, e, una volta -forse- comprese, nemmeno facili da mettere in pratica. La pietra? Quella filosofale! Stiamo parlando di Alchimia. Operativa e Speculativa. Di Esoterismo, di Ermetismo, fors’anche di Kabbalah. Eppure tutto questo, un universo, una immensità di concetti, ridotti a sette lettere (non a caso) poste così, apparentemente senza un ordine, defilate pure se incombenti, in un oscuro stanzino in cui siamo destinati ad esser rinchiusi da profani. Come pretendere che qualcuno che non ha mai visto niente di tutto questo, comprenda? La risposta potrebbe venire dal fatto che alcuni kabbalisti erano convinti che il solo leggere alcune parole portasse le persone ad elevarsi, addirittura a guarire o ad assorbire una conoscenza superiore, quasi per osmosi. Leggo, ed il suono emesso dalla pronuncia di tali vocaboli ha su di me un influsso benefico (o malefico, al contrario), che mi porteranno a comprendere e conoscere. Il Prologo del Vangelo di Giovanni ha una attinenza con quanto sopra espresso. «In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, e Deus erat Verbum». Quel “Verbum” che molto ha perso nella traduzione dal Greco, dove si recitava “Logos”. Nella Kabbalah, che significato ha il suono in relazione al concetto di creazione? Ha un significato complesso, derivante, innanzi tutto, dall’importanza del Silenzio. Il Silenzio è il luogo da cui siamo partiti e dove torneremo. Esso è quel luogo dell’essenza divina dove il principio di tutte le cose poteva ritirarsi a pensare. Il pensiero è dunque il primo atto creatore, che precede la manifestazione. La parola rappresenta la conseguente forza creatrice. Nella Kabbalah ebraica si sostiene infatti che Dio creò l’universo con la sua Parola ineffabile e misteriosa. Senza andare oltre, a cosa è chiamato il recipiendario una volta Iniziato? Al Silenzio. Un silenzio creatore, dove le intuizioni, come semi, germogliano nel caldo umido dell’oscurità interiore, e le idee fioriscono, riscaldate come in una teca di cristallo, come nell’athanor dell’alchimista. Avvicinarsi alla Massoneria è una scelta che dovrebbe venir molto meditata. E che dovrebbe continuarsi a meditare. Siamo chiamati ad incontrarci troppo poco spesso, specialmente se questi giorni di riunione vengon lasciati lì, buttati per caso, segnati su un’agenda o su un calendario. Ritrovarsi non è un momento di ritrovo come ad un aperitivo, non è l’occasione per fare sfoggio delle proprie idee o conoscenze, non è una consuetudine come salutare gli amici in palestra o a teatro. Il giorno dell’iniziazione ci viene consegnato un rituale, e non per riporlo in un cassetto fino alla volta dopo. Quel rituale è il nostro compagno di riflessioni, è la prosecuzione luminosa di quell’oscuro stanzino. Siamo chiamati ad abbandonare i metalli prima di pensare a lavorare al bene ed al progresso dell’umanità. Cosa significa? Suona come una curiosa coincidenza che gli alchimisti lavorassero con i metalli e con sostanze che ci vengono presentate nel gabinetto delle riflessioni, ma non è una casualità. Il Sale e lo Zolfo sono due sostanze base utilizzate da coloro che lavoravano (e lavorano) “al forno” come materia prima per iniziare la loro “opera”. Esse rappresentano Corpo e Anima. Manca il terzo elemento base, il Mercurio simbolo dello Spirito. Il Sale è il corpo fisico, solido, materiale, caratteristica questa che senza dubbio appartiene anche all’essere umano. E rispetto ai quattro elementi dai quali gli antichi ritenevano fosse originato l’universo, il Sale corrisponde all’elemento Terra. Lo Zolfo, che corrisponde all’elemento Fuoco, di colore giallo-oro, è assimilabile all’Anima dell’uomo, che proprio come lo Zolfo si infiamma con facilità e per sua natura sempre arde, tendendo costantemente verso l’alto con la forza di una Fiamma. Nessuno ha mai saputo circoscrivere con precisione il concetto di Anima, ma una definizione interessante è stata data da Julius Cohen: “l’Anima è la scintilla divina in noi”. Il Mercurio, invece, è un elemento particolare per le sue caratteristiche. È solido, ma allo stesso tempo è liquido ed in grado di sublimare con molta facilità tanto che, se non lo si conserva in un contenitore ermetico, col tempo evapora. Così è anche lo Spirito, cioè l’insieme di tutti i nostri istinti profondi e delle forze vitali. E come queste, lo Spirito è volatile, inafferrabile ed ambivalente, risentendo talvolta più degli influssi del Corpo Fisico, altre volte più dell’Anima. Per quale motivo, dunque, il Mercurio non è presente nel gabinetto delle riflessioni? Siamo sicuri che non ci sia? Esso è rappresentato dalla nostra essenza presente in quel momento, siamo noi, eternamente mobili, estremamente complessi, elemento fondamentale per dare avvio all’Opera alchemica. Attraverso il Mercurio si dà origine alla prima trasmutazione, quel primo cambiamento della materia che si chiama Nigredo. E’ l’Opera al nero, la Putrefatio, è il liquido oscuro in cui il Re e la Regina del Rosarium Philsophorum (opera di Arnaldo da Villanova (1235-1315), famoso medico e alchimista dei suoi tempi) si uniranno fino a fondersi nell’Androgino, altrimenti detto Rebis, prima di passare ad altre trasmutazioni. Noi che apparteniamo ad una Istituzione massonica mista, meglio di chiunque altro dovremmo capire questo passaggio: è il principio femminile che si unisce a quello maschile, sono i raggi argentei della Luna che agiscono sulla materia, insieme a quelli d’oro del Sole. Alcun cambiamento può avvenire senza l’influenza congiunta di questi due principi. Nel proseguire il nostro cammino si presuppone che di pari passo vi sia una evoluzione, altrimenti, ribadisco, è frequentazione deprivata del vero ed unico motivo per cui dovremmo essere qui. Alchemicamente, l’evoluzione si estrinseca in altre trasmutazioni, in cui la materia originaria via via si trasforma e, in un certo senso, si raffina, acquisisce caratteristiche più rare e preziose, esattamente come ciò che dovrebbe accaderci nel percorso latomistico. Quando si dice “abbandonare i metalli”, quei famosi metalli di cui simbolicamente veniamo deprivati il giorno della nostra iniziazione, si mette in atto una metafora del lavoro alchemico, durante il quale le sostanze originarie subiscono varie mutazioni volte alla spoliazione delle scorie. Ecco, noi dovremmo fare esattamente questo: abbandonare le sovrastrutture mentali, i pregiudizi, la presunzione, la vanagloria, l’attaccamento alla materialità. Prima di pensare in grande, dovremmo lavorare sulla spoliazione madre di tutte le spoliazioni: l’umiltà. Il percorso iniziatico non è la catarsi delle frustrazioni profane. E’ anzi il coraggio di guardarsi allo specchio e vedere il nemico che ci si para davanti. Parafrasando Nietzsche, il famoso abisso va guardato eccome. Solo così, dopo aver permesso all’abisso di guardare, a sua volta, dentro di noi, potremmo dirci vicini all’Albedo, quell’Opera al Bianco dove la materia comincia a purificarsi e ad assomigliare più ad una colomba che ad un corvo. Per poter, poi, avvicinarci al Sole senza bruciarci, e rinascere dalle ceneri del nostro involucro più che terreno, tanto lavoro va fatto, guardando più al percorso che alla meta. Anche perché, come ci insegnavano gli alchimisti, l’Elisir era un liquido rosso come il fuoco, il famoso Rubedo, che solidificava come una splendida pietra trasparente color di rubino, ma che poteva essere disciolta per cominciar tutto da capo, a dimostrare che il simbolo dell’eterno ritorno, l’uroboro, altro non è che la rappresentazione di un cammino che mai finisce, ma può solo cominciare e ricominciare sempre arricchito di nuove conoscenze.

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