QABBALAH
Qabbalah significa Tradizione rappresentando, per così dire, il crogiolo di ogni studio e commento della Torah e più in generale di ogni forma del pensiero ebraico quale si configura nelle dottrine e nei racconti dei rabbini e nel Talmud e, soprattutto, nelle speculazioni cosmogoniche sull’opera della Creazione o Ma’asè Bereshit e nelle meditazioni a sfondo mistico sull’opera del Carro o Ma’asè Merkavah.
In tale prospettiva, non ha senso contrapporre la Qabbalah alla filosofia, né assimilare la Qabbalah al modello delle filosofie occidentali. Infatti, se per filosofia s’intende un Sistema teorico e concettualmente concluso, la Qabbalah non è certamente una filosofia. Così, per esempio, l’universo o albero delle dieci Sephiroth non è il mondo platonico delle idee e il suo manifestarsi da En Soph ‘Infinito’ non ha le caratteristiche proprie dell’emanatismo neoplatonico. Le Sephiroth si collocano sull’Albero e sono luci, numeri primordiali o forme pure. Sono dieci quante le dita delle nostre mani e tramite loro, secondo un ben definito progetto architettonico, si manifesta tutta la realtà.
Si suole innanzi tutto distinguere tra una Qabbalah letterale e una Qabbalah non scritta che attraverso una tradizione orale ininterrotta, verrebbe trasmessa bocca-orecchio di maestro in discepolo. C’è poi una Qabbalah pratica o Teurgia basata sull’idea che ciascuna lettera dell’alfabeto ebraico, con cui Dio ha creato il mondo, rappresenti un Essere Vivente (Haioth Hakodesch), un Geroglifico, un’Idea, un Numero. Combinare le lettere significa allora conoscere leggi e fondamenti della Creazione; di più questo sistema di ventidue lettere si fa corrispondere alla tre Sephiroth superne (Kether – Hochmah – Binah) dell’Albero, alla ruota dello Zodiaco o Galgal e all’asse del mondo o Teli.
Alcuni autori parlano anche di una Qabbalah rituale, con aperto sconfinamento nella magia cerimoniale e dei talismani, mentre una ulteriore distinzione è quella introdotta da Avraham Abulafia, tra una Qabbalah teosofica e una Qabbalah estatica o profetica il cui fine sembra essere quello di accedere a stati di meditazione suscettibili di modificare, anche profondamente, il vissuto di coscienza.
Infine, comune ad ogni aspetto della Qabbalah, tanto sotto il profilo speculativo che operativo, è l’uso di particolari tecniche di apprendimento quali soprattutto la Ghematria, il Notariqon e la Temurah. Sono questi strumenti ritenuti indispensabili, perché vere e proprie ‘scorciatoie’ nel processo conoscitivo e/o teurgico.
Se si guarda alla Qabbalah storica, quella cioè che si diffonde in età medievale, sulle rive del Mediterraneo, tra le fiorenti comunità ebraiche, ci si accorge che la Qabbalah ha anche questo di peculiare rispetto alla Filosofia occidentale: non si afferma nell’opinione pubblica per l’azione di alcuni ‘maitre à penser’, ma si struttura piuttosto in comunità di studio e centri di ricerca in cui entrano solo i più degni. Se mancano i maitre a penser, le cui idee si diffondono rapidamente, creando ‘correnti di pensiero’ o suscitando ‘mode’ più o meno durature, nelle scuole di Qabbalah insegnano tuttavia maestri dotati di grande carisma.
Uno di questi fu Isacco il Cieco, vissuto tra la seconda metà del 1100 e la prima metà del 1200, e primo grande maestro delle scuole di Qabbalah che, in età medievale, operarono in Provenza e in Catalogna, in un clima di grande sviluppo culturale delle comunità ebraiche. Isacco fu detto il Chassid (il pietoso) o il Cieco (paradossalmente, perché ‘possedeva luce’ in eccesso), il parush o il sagghì-nahòr (quello che oggi diremmo un illuminato) e fu uno tra i maggiori peruschim.
Se Isacco fu il primo grande maestro delle scuole storiche di Qabbalah, l’antesignano fu comunque il padre di Isacco, Abraham ben David (1125-1198) di Posquières (Narbonne), autore di scritti in polemica con Maimonide, di commenti sul Talmud e che fondò un’accademia talmudica, dove ben presto si praticò la kavvanah (concentrazione), lo studio della Torah e la lettura del Sepher Bahir.
Di qui si formarono diversi circoli di asceti o perushim. Il più noto fu, in un primo tempo, il gruppo di Jacob Hanazyr dedito in particolare alla meditazione sulle Sephiroth. I perushim provenzali studiavano quasi senza interruzione, praticando digiuni e astenendosi dalla carne e dall’alcol. Si reclutavano tra i primogeniti e preferibilmente tra i discendenti della tribù di Levi. Huqe ha-Torah, un documento provenzale, descrive la vita che si svolgeva in questi centri per lo studio della filosofia e dell’esoterismo: devozione al maestro, piccoli gruppi di studio, diversificazione dei livelli di apprendimento, massima stimolazione per facilitare la libera espressione e il dibattito tra i discepoli.