Chiamiamo Maestri di vita coloro che insegnano l’arte del vivere. Con le loro dottrine e il loro personale esempio influenzano l’esistenza di una vasta moltitudine di esseri umani. Nel tempo e nello spazio. I loro insegnamenti – autentici percorsi di spiritualità – incidono profondamente su tutta la vita di chi li ascolta e li segue, con l’intenzione e la volontà di ripercorrere le orme del maestro prescelto secondo il modello della sequela o imitatio. Questi seguaci si denominano discepoli. All’evidenza, non possono poi essere confusi con gli allievi di quanti (semplici docenti, professori, o istruttori) si limitano invece a insegnare la loro arte, senza avere alcuna pretesa di influenzare il resto della vita dei loro alunni, studenti, apprendisti. Riproporre all’attenzione di quanti sono alla ricerca di un senso per la loro vita gli insegnamenti di questi antichi maestri, si noti, non è un vago esercizio della memoria. Né un gesto di curiosità, quale può essere quello di un turista che si attarda in un paese remoto. Né, meno che mai, è un far rivivere il pensiero di personaggi storici autorevoli. All’opposto, significa offrire concreti strumenti utili alla crescita spirituale di chi è incamminato su questa strada. Come perspicuamente ha insegnato Aristotele quando ha scritto: “non stiamo indagando per sapere cosa è la virtù, ma per diventare virtuosi, dato che altrimenti l’indagine non sarebbe di alcuna utilità” (così in Etica Nicomachea n. 2, 1103 B). Appunto, inutile, perché una volta conosciuto l’esempio, a nulla serve, se poi non lo si vive. Ciò che in questi Maestri di vita desta poi la più viva ammirazione è l’assoluto rispetto della libertà e della indipendenza, tanto del discepolo quanto del maestro. Questi, infatti, lungi dall’imporre percorsi esistenziali, si limita, all’opposto, semplicemente a proporli con l’intento evidente di fare diventare il discepolo ciò che è realmente. Il loro insegnamento genera infatti autenticità, che, palesemente, è proprio l’opposto di quanto causa la supponente autorità, fonte di prevaricazione, conformismo e morte spirituale. Questa indipendenza e libertà si estende poi perfino al suggerimento di abbandonare la dottrina proposta, una volta divenuta inutile. Come insegna, ad esempio, Buddha con la nota parabola della zattera, che, utile a travalicare il fiume, diviene addirittura un peso da abbandonare una volta raggiunto il suo scopo con successo. O, sempre per esemplificare, come predicava Zarathustra che, mentre scendeva dalla montagna seguito dai suoi discepoli, raccomandava a ciascuno di loro di ascoltare le sue parole, ma di prendere la propria strada. Rimane comunque incontestabile che gli insegnamenti etici e spirituali proposti costituiscono esempi preziosi di indubbia utilità per quanti sono orientati a dare alla propria esistenza un senso preciso. Di fronte alla pluralità dei modelli di vita proposti dalla Storia si pone il problema di quale fra essi scegliere. Siamo dell’avviso che, nella scelta, riveste un ruolo decisivo il rapporto che ciascuno di noi ha con la propria esistenza. Sicché, chi è indotto a gustare la vita come un dolce sapore non potrà che guardare con favore all’insegnamento di Socrate, affascinato dalla meravigliosa ricchezza della esistenza. Oppure a quello di Confucio che, credendo convintamente nella vita, mirava a unire gli esseri umani in un sistema coeso al fine di generare armonia nella convivenza sociale. Chi, invece, avverte la necessità di rinunziare alla vita non potrà che far capo a Buddha per essere sostanzialmente questo il suo insegnamento, come è attestato dalla forma di vita proposta ai suoi discepoli, chiamati a essere monaci e perciò destinati a rinunziare agli elementi strutturali della vita: il lavoro, la sessualità, la famiglia, la curiosità intellettuale, i divertimenti e, perfino, la dimensione estetica con l’obbligo di rasarsi il capo. Chi, infine, è governato dal più radicale pessimismo non potrà che far capo all’insegnamento di Schopenhauer e Leopardi. Si parva licet, sia poi consentito all’autore di queste note succinte di manifestare il proprio ottimismo nei confronti della esistenza, perché quello che la vita ci ha dato e continua ancora a darci rinnova ogni giorno l’incanto. Siamo poi perfettamente consapevoli che il pessimismo, proprio perché esseri umani, ha da sempre i suoi motivi. A noi sommessamente sembra però che debba riconoscersi prevalenza all’ottimismo. E non già per una predisposizione psicologica. E neppure per un comandamento di fede. Quanto invece perché, nonostante i nostri limiti e i nostri errori, conserviamo sempre una insopprimibile attitudine al bene. Da come si è argomentato l’inciso, per quel poco che può interessare, ne segue la personale preferenza per quei maestri – Socrate in primis – che nutrono stupore nei confronti della meraviglia che colora la vita tanto degli uomini, quanto del creato da essi abitato. La vita eccede qualunque dottrina. Non può, pertanto, escludersi il fatto che nel tempo si muti il maestro, e perfino più di un maestro. Con la conseguenza di uno o più cambi di indirizzo nella sequela intellettuale morale e spirituale. Né può destare meraviglia il fatto che, di questo o di quel maestro, si finisca per accettare soltanto un singolo insegnamento, o anche più di uno, visto che si è inclini a accogliere ciò che è più consentaneo alla propria natura. Il che però avviene, inoppugnabilmente, soprattutto perché nessun maestro ha raccolto in sé tutti gli aspetti costitutivi della umanità. In tutti i loro insegnamenti, oltre a talune intime contraddizioni, è possibile infatti riscontrare pure alcuni limiti precisi. Uno dei maggiori dei quali è poi sicuramente la tendenza a valutare negativamente la natura femminile. Però, non così per Socrate. Né per Gesù che, fra i propri discepoli, annoverava pure donne. Se, per concludere sul punto, nessun maestro ha lasciato una dottrina tale da insegnare l’esistenza perfetta, occorre allora guardare a quel deposito di preziosa ricchezza come a un laboratorio etico e spirituale dove attingere insegnamenti e spunti per creare un proprio originale modello di vita. Il che, da altro verso, ribadisce che quello più importante di tutti è il Maestro interiore, che è, appunto, quello che nasce e si evolve su basi arricchenti, come frutto del duro, severo lavoro quotidiano, volto a sviluppare l’umano che esiste in ogni uomo. In via di corollario, ne esce però riconfermata l’utilità di tutti i precedenti maestri, anche se provvisori e parziali, posto che tutte quelle dottrine costituiscono, quanto meno, una proficua fonte di ispirazione. Dove l’utilità è poi doppia. Innanzitutto perché la conoscenza e il governo di noi stessi è lavoro troppo impegnativo per essere svolto in solitudine. Col rischio, perciò, di non conseguire risultati apprezzabili. Anche a causa della confusione etica e teoretica che caratterizza i nostri duri giorni, orfani di valori perduti, privi di nuovi, che si rifiutano di apparire all’orizzonte. Sicché, ancor più delle generazioni precedenti, necessitiamo degli insegnamenti dei grandi maestri del passato. In secondo luogo, perché i risultati ottenuti con il nostro solitario impegno finirebbero, molto verosimilmente, per coincidere con verità etiche già note, oltre che definitamente acquisite. Donde la totale inutilità degli sforzi, quando porsi sulle spalle di giganti consente invece di costruire su solida roccia un proprio sistema etico di vita, almeno soggettivamente appagante. Il compito precipuo del massone è quello di trasformare se stesso in altro da sé, sviluppando al massimo grado l’umano nel quale consiste la sua specificità di uomo. In quest’opera, autenticamente ciclopica, il massone deve guardare agli antichi maestri con devozione e gratitudine per consolidare quello proprio interiore, per certo il più importante di tutti, per essere proprio quest’ultimo la guida più sicura nella costruzione della propria vita etica e spirituale.
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