LO SCOPO DEI SAGGI È LO SCOPO FINALE DELL’UMANITÀ


Ciò che vuole l’uomo saggio e virtuoso, ciò che è il suo scopo, è lo scopo finale dell’umanità. L’unico scopo dell’esistenza umana sulla terra non è né cielo né inferno, ma solo l’umanità, che quaggiù portiamo in noi, e la sua massima possibile perfezione. Diversamente da questo nulla conosciamo: e ciò che noi chiamiamo divino, diabolico, bestiale, null’altro è che umano. Quanto non è contenuto nello scopo della perfezione più grande possibile, quanto non si riferisce ad esso, o non ha rapporto con esso né qual parte né quale mezzo, non può costituire lo scopo di nessun uomo, c l’uomo saggio c virtuoso non può proporselo come scopo sia nel più generale che nel più particolare dei casi: ciò che sta sopra 0 sotto all’umanità, giace anche fuor della cerchia del suo pensiero, dei suoi sforzi, del suo agire. In una qualsiasi misura quello scopo viene alla luce in tutti gli uomini, senza che essi chiaramente lo pensino e lo perseguano di proposito, semplicemente pervia della loro nascita, c vien pure conseguito mediante la loro vita nella società: sembra come se non fosse il loro scopo, bensì un scopo unito a loro.
Ma l’individuo cosciente lo pensa chiaramente, esso è il suo scopo, ed egli se lo pone qual meta cosciente di tutto il proprio agire.” Come viene esso perseguito nella grande società umana? Forse tutto opera in favore suo direttamente e
senza deviazioni, con forze associate? Non pare. {La società] non pensa né lavora con la chiarezza e con la consapevolezza proprie dei singoli saggi: su lei pesano le colpe del mondo trascorso, e occupata com’è di questi peccati, essa appena ha tempo di lavorare per una posterità che a sua volta avrà da lavorare per un’altra. Essa deve sostenere la sua gran lotta con la natura ostinata e con il tempo infingardo; essa vuole acquistar vantaggio su entrambi, e intanto la sua attività È sottoposta a una condizione svantaggiosa, ma inevitabile: essa ha divisa in parti l’insieme dell’evoluzione umana, se ne è distribuite le varie branche e attività, e a ciascuna condizione sociale ha assegnato il suo campo speciale di collaborazione. Come in una fabbrica si risparmiano tempo c spese con ciò che il singolo
operaio per tutta la sua vita fa soltanto quella data forma di molla, di chiodo, ruota, o recipiente, dà soltanto quel dato colore, sorveglia e guida solo quella data macchina, c ciascun altro del pari per tutta la sua vita eseguisce la tal altra forma di lavoro, cui da ultimo riunisce in un tutto un capomastro
sconosciuto a tutti loro: egualmente procede [la cosa] nella grande officina dell’evoluzione umana. Ciascuna classe lavora e produce alcunché per tutte le altre, oltre a ciò che ciascuno dovrebbe fare per la propria parte e per la sua stessa persona: e quelle producono alla lor volta anche per lei ciò per cui
non ha né tempo né attitudine l’uomo ben altrimenti occupato per il loro benessere.
Al benessere e al perfezionamento del tutto guida ogni opera dei singoli l’invisibile mano della provvidenza. Così scende il dotto nelle profondità dello spirito e della scienza, per evocare alla luce ciò che dopo alcune epoche sarà a tutti facile e giovevole, mentre il contadino e l’operaio lo nutrono e lo vestono; l’impiegato dello stato fa valere il diritto, che senza di lui dovrebbe applicare la comunità
stessa, e il guerriero difende l’inerme, che lo nutre, contro la potenza straniera.
L’evoluzione umana vien posta in pericolo dalla divisione del lavoro
Ora, ciascun singolo si forma in grado eminente soltanto per la condizione che ha scelto.
Dalla giovinezza in poi egli viene per sua scelta e per circostanze accidentali determinato verso una
formadi vita, e viene tenuta in conto della migliore quell’educazione che prepara il ragazzo per la sua
futura vocazione nella maniera più conforme allo scopo; rimane posto in disparte tutto ciò che sta nella
piùstretta relazione con quella, 0 ciò che in lui non può, come s’usadire, essere utilizzato. Il giovinetto
destinato a diventare un dotto impiega tutto il suo tempo a imparare le lingue e le scienze, e proprio con
preferenza per quelle che sono necessarie per guadagnarsi il pane in avvenire, quindi con minuziosa
esclusione di quelle che richiede la formazione del dotto in generale. Tutte le altre forme di vita e
attività gli sono estranee, com’esse [del resto] sono estranee l’una all’altra. Il medico ha rivolto tutta la
sua attenzione alla sola medicina, il giurista alla legislazione del suo paese, il mercante a quel
determinato ramo del suo commercio, il fabbricante alla sola produzione del suo manufatto. Nel suo
campo egli sa quanto occorre, e anzi con maggiore chiarezza e fondatezza: questo [sapere] gli è quindi
particolarmente caro, e lo considera come sua proprietà acquisita; in esso vive come nella sua casa
paterna. E tutto questo è bene, ciascuno fa in ciò il proprio dovere, e il tenore contrario non solo
sopprimerebbe tutti i vantaggi della società, ma sarebbe dannoso anche al singolo, come altutto.
Madaciò sorge in tutti necessariamente una certa incompiutezza e unilateralità, che, se non proprio
necessariamente, almeno però abitualmente si trasforma in pedanteria. La pedanteria, che
ordinariamente si confonde con la sola classe erudita, forse perché essavi è più visibile, forse perché vi
si dimostra maggiore intolleranza, domina in tutte le classi sociali e il suo principio fondamentale è
dappertutto il medesimo, cioè il seguente: di tenere in conto di educazione generalmente umana
l’educazione appropriata al proprio stato particolare, e fare ogni sforzo per realizzarla. Così l’erudito
pedante stima solo la scienza e deprime ogni altro valore; le sue lezioni e conversazioni in società di
gente mista procedono allo scopo di comunicare ai suoi uditori una particella della sua dottrina e farli
bramosi della precisione di pensiero ch’egli possiede. Il mercante pedantesco sprezza per contro
l’erudito e proclama: «non vi è che computo e denaro! il denaro è la soluzione [del problema] della vita
ragionevole e felice». Il guerriero sprezza l’uno e l’altro, stima soltanto forza fisica e agilità, coraggio
bellico e difesa dell’onore com’egli la intende, e non gli rincrescerebbe arruolare tutti quelli che sanno
battere il tempo di marcia. I teologi in modo eminente (poiché la loro classe ha ottenuto fra tutte il
maggior influsso, o per amore del cielo o per timore dell’inferno) si affaticano, da quando hanno
esistenza, a educare in tutti gli uomini, fino giù ai ragazzi del villaggio, dei teologi ben fondati e dei
dogmatici di polso. «Mirate avanti tutto al regno di Dio, il resto è cosa meschina!» dicono i teologi, c
conloro tutte le altre classi sociali, e sappiamo bene quello che intendonoperil regno di Dio.
Così domina dappertutto una grande unilateralità, ora utile e ora dannosa: così ciascun individuo non è
soltanto un dotto, ma teologo 0 giurista o medico, non è soltanto uno spirito religioso, ma cattolico o
luterano, ebreo o maomettano, non è soltanto un uomo, ma politico, mercante, guerriero; e così
dappertutto si impedisce, con l’educazione di classe più alta possibile, la più alta possibile evoluzione
dell’umanità, il sommo fine dell’esistenza umana; anzi essa deve restar impedita, perché ciascuno è
gravato dall’ineliminabile dovere di educarsi il più perfettamente possibile per la sua particolare
occupazione, e questo è quasi impossibile se nonsi affrontail rischio dell’unilateralità.
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In seno alla divisione del lavoro una società particolare non può avere alcun compito
Ritorniamo ora, seguendo queste premesse, alla Frammassoneria, per non staccarcene più, ©
costruiamovi sopra alcune durevoli conseguenze.
La Massoneria invero non può proporsi nessuno degli scopi, a cui si dedica già notoriamente ©
apertamente qualcuna delle classi, degli indirizzi e ordinamenti esistenti nella società umana; essa non
può voler attraversare la strada, né procedere accanto ad alcun’altra associazione: poiché in tal caso
essa sarebbe superflua, in quanto volesse fare già quel che già accade senza di essa. Né potrebbe
addurre a propria scusail fatto che la pubblica istituzione, di cui volesse mettersi a fianco e adottare lo
scopo, fosse manchevole e difettosa. È cosa di mera usurpazione il voler far meglio in via di
occupazione secondaria ciò che altri non possono far meglio come loro occupazione principale; è una
pazzia il pronunciare sentenza di condanna sopraistituzioni, che forse si conoscono soltanto secondoil
loro aspetto esteriore, e non secondole inevitabili difficoltà che esse trovano nell’oggetto della loro
attività. Ciascuna di queste istituzioni in senoallo stato porta in se stessa il germe del miglioramento e
tende alla perfezione: per la Massoneria può solo presentarsi, in generale, il problema, se vi è
un’istituzione per un certo scopo, c non come essa vi soddisfa; poiché di ciò altri hanno a curarsi. Se
essa volesse attivamente invadere un piano d’azione estraneo, non farebbe che diffondere il disordine, c
in pari tempo disturberebbe e devierebbe la sua attuazione: sarebbe anzi sommamente nociva, in quanto
dovrebbe oltre tutto far ciò in segreto, poiché pubblicamente non si conosce alcun singolo ramo
dell’incivilimento umano ch’ella potesse intraprendere.
L’uomo savio e virtuoso non potrebbe sostenere una tal società, qualora essa volesse occuparsi di
questioni ecclesiastiche 0 politiche, filosofiche erudite 0 commerciali: egli dovrebbe anzi, una volta
conosciuta la sua esistenza perturbatrice, giudicarla a fondo. E non occorrerebbe altra maggiore fatica
che di farla conoscere; poiché è supremo interesse dell’intera società umana e di ciascun suo ramo,
dello stato, della Chiesa, del pubblico dotto c commerciante, di annientare una tale associazione,
tostoché essa venga conosciuta.
Così resterebbe interamente c incondizionatamente escluso dalla Massoneria ogni scopo di cui già si
occupi una qualche classe sociale; e sarebbe egualmente pazzesco € ridicolo che i suoi membri si
occupassero in segreto di fare buone scarpe, che di riformare nel tutto 0 nelle parti lo stato. Ogni
Massone, che volesse negare ciò, porrebbe in non cale non solo il suo buon volere e la sua intelligenza
massonica, mail suo stesso buon senso.
Maun qualche scopo essa deve però averlo: altrimenti sarebbe un vano, vuoto scherzo, © l’uomo savio
e virtuoso tanto poco potrebbe occuparsene, quanto se essa si proponesse il suddetto scopo dannoso.
Ma questo può essere solo uno scopo di tal genere, che la maggiore società umana non abbia per esso
alcuna speciale istituzione; uno scopo per cui ella, giusta la natura dello scopo stesso e quella della
società, non possa avere alcuna speciale istituzione.
Poiché se la società potesse avere una tale istituzione, all’uomo savio € virtuoso meglio converrebbe
accogliere questa istituzione in seno della grande società e famela anzi scaturire, piuttosto che voler
promuovereil suo fine mediante una separazione da questa socictà. La natura della grande società c
dello scopo pertinente alla sua cerchia esigerebbe incondizionatamente che egli richiamasse attenzione
dello stato sopra questo ramo sin qui dimenticato, e quasi non si riesce a concepire come, della sua
attività; allo stato egli dovrebbe poi, e di nuovo incondizionatamente, lasciar pienalibertà di pensare 0
no alle istituzioni corrispondenti; in nessun caso potrebbe egli segregarsi con una società per dedicarsi
attivamente a questo scopo, perché gi nonè fatto, assolutamente, per questa forma di attività.
Si domandaora se può darsi un siffatto scopo, razionale e buono, peril quale la maggiore società non
possa, giusta la sua natura, avere alcuna istituzione particolare, e quale sia questo scopo: © l’unico
scopo possibile della Massoneria (considerata nel suo puro aspetto di società «separata») sarebbe così
trovato. Vediamo.
Lo scopo di una società particolare può essere soltanto quello di risollevare a cultura umana universale l’unilateralità delle classi sociali
Verrò tosto a illuminare più da presso la vostra congettura che io pensi in qualche modo di porre la
Frammassoneria come fine a se; stessa, quando vi avrò posto innanzi, come chiave di volta di questa
serie di riflessioni, la seconda conseguenza della nostra precedente considerazione su la maggiore
società umana.
Abbiamo riconosciuto essere un male, che la cultura che si svolge dentro la maggiore società e a suo
vantaggio vada sempre del pari congiunta con una certa unilateralità e incompiutezza, la quale si
oppone alla evoluzione più alta possibile, ossia puramente umana, e impedisce il singolo uomo, come
intera umanità, di procedere felicemente verso la meta.
Ci è dato ora un scopo, che la maggior società umana nonpuò affatto prender di mira, in quanto esso le
sta benal di sopra e vien posto primieramente per l’esistenza della società [stessa]: uno scopo che può
venir conseguito solo uscendo dalla società e segregandosi da Ici, lo scopo di annullare gli svantaggi
della forma educativa nella maggiore società, e assorbire la cultura unilaterale per una particolar
condizione nella cultura generalmente umana, nella [cultura] universale dell’uomo tutto quanto come
uomo.
Questo scopo è grande, poiché ha per oggetto ciò che per l’uomo assume il massimo interesse; esso è
razionale, poiché esprime uno dei nostri più sacri doveri; è possibile, in quanto è possibile tutto ciò che
noi dobbiamo fare: ed è [invece] quasi impossibile, o almeno estremamente difficile, a conseguirsi
nella grande società, perché la condizione, la forma di vita, le relazioni [sociali] avvincono l’uomo di
legami sottili ma saldi, e lo attraggono, senza che egli se ne accorga, in una cerchia[invalicabile],
laddove egli dovrebbe procedere innanzi. Pertanto [tale scopo] è raggiungibile solo mediante una
segregazione dalla società: ma non mediante una segregazione perpetua, perché ne sorgerebbe una
nuovauniteralità, e perché con ciò andrebbero perduti per la società i vantaggi della cultura puramente
umana in qualche modo acquisita, e perché a questo soltanto si vuol mirare, a fondere insieme
entrambe le forme educative, c così innalzare la necessaria cultura di classe; bensì mediante il ritiro
nella solitudine, poiché questa rafforza la nostra unilateralità più che non la sopprima, e ricopre il
nostro cuore d’una corteccia egoistica; dunque soltanto con l’aderire a una società separata dalla
[società] maggiore, ma che non nuoce a nessuna delle nostre relazioni dentro a quella e che haricevuto
in sorte l’ufficio di metterci di tempo in tempo davanti agli occhi ed a cuore il fine dell’umanità, per
farne il nostro [scopo] pensato, e che lavora con mille espedienti a straniarci dalle nostre scostumanze
professionali e sociali, ad elevare la nostra culturaa [cultura] puramente umana.
Questo, o nessun altro, è lo scopo della società frammassonica, in quanto è certo che si occupano di
essa uomini saggi e virtuosi. Il Massone, che nacque uomo ed è passato attraverso l’educazione della
sua classe, attraverso lo stato c le sue rimanenti relazioni sociali, deve essere su questo terreno
nuovamente educato da capo a fondo per essere uomo. Ma ciò può essere soltanto lo scopo di una
società «separata»; e risponde quindi, per noi, al problema che avevamo impostato: che cosa è l’Ordine
Frammassonico in sé e per sé? Ovvero, se preferite, che cosa può essere?
«Peraltro, voi dite, questo scopo è da una parte troppo ampio, dall’altra troppo ristretto. Troppo ampio,
perché può essere conseguito per altre vie, con la meditazione, i viaggi, l’affaccendarsi in mezzo agli
uomini e nella vita sociale; troppo ristretto, perché nessuna società di qualsiasi specie può, secondo la
sua natura, operare il perfetto raggiungimento di esso». Quanto al primo punto, sul quale soltanto in
seguito verràtutta la luce necessaria, io rispondo perora sol brevemente così: l’uomo può staccarsi dal
cammino prefissato e prendere un atteggiamento che esorbiti dalla sua condizione; può imparare a
cancellare dalla sua personalità esteriore la pedanteria, ed elevare il suo modo di pensare a una
maggiore universalità che non prima. Mail suo intima rimane da tutto questo imperturbato: egli
continua sulla sua vecchia strada, pur dietro a siepaglie ed eleganti pareti. Mediante la mera riflessione
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egli può forse cancellare dentro di sé lo spirito di classe, ma anche conferire al suo carattere
individuale, che ancor più è diverso da quello della pura umanità, tanto maggiore caparbietà. Ciò che
deve essere qui operato in tutta serictà può avvenire solo in una società separata come noi l’abbiamo
dedotta, e come voi presto la concepirete, in mia compagnia, secondo la sua complessiva attività.
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Limiti di questa determinazione dello scopo: educazione alla libertà etica o alla sensibilità morale?
La seconda obiezione che avete accennata è più importante; e io aggiungo alla mia precedente
definizione dello scopo [massonico] questa significativa limitazione: in quanto una tale cultura
possibile mediante una società espressamente indirizzata a questo fine.
Vi è, infatti, una forma di cultura generalmente umana, in forza della quale ciascuno prende soltanto se
stesso, la sua coscienza e Dio per testimoni e giudici: è l’educazione alla libertà etica. Voi conoscete la
mia convinzione a questo riguardo. «Ciascuno che si creda onesto di fronte a se stesso, così scrivevo
altrove, alcuni anni fa, deve instancabilmente osservare se stesso e lavorare pernobilitarsi: il che deve
essergli diventato, in forza dell’esercizio, affatto naturale». Ma questa occupazione non sembra, giusta
la sua natura, esser capace di alcuna comunicazione.
Andai da un pittore, chio volevo veder lavorare: ed egli mi mostrò tutti i suoi dipinti, perfino quelli
ancora incompiuti; ma per quanto lo pregassi, egli non vi volle por mano sottoi mici occhi, e affermava
che le opere del genio riescono solonella solitudine. Questo mi trasse a considerare l’opera del genio
morale dentro di noi, e intuii la verità, che anche in ciò bisognava essere soli; trovai sempre più
confermato [il concetto] che il vero sforzo per nobilitarsi è assai timido e vergognoso, anzi si ritrae in
se stesso e non può affatto comunicarsi [ad altri]. Giammai avevo posto in questione il mio
miglioramento innanzi à me stesso: come potevo desiderare di metterlo tuttavia in discorso innanzi ad
altri! Bastava che io agissi diversamente, e che i mici amici, come io medesimo, conoscessero la
crescita della pianta solo dai suoi frutti. Pertanto non si deve mai portare alla luce il proprio
miglioramento, né abbassarsi mai a una mera confessione dei propri difetti, ma estirparli. Dobbiamo
provarne nausea: allora non staremo più a rigirarli per un verso e per l’altro, per esprimerli con esatte
ed eleganti determinazioni. Qualora si volesse, per un malinteso sentimento del dovere, obbligare anche
a questo, per un certo spirito eroico nell’amicizia (0 a favore di un fine sociale), si verrebbe soltanto a
prender confidenza con essi, a renderseli cari, per lo meno a non paventare più l’esistenza di difetti che
si sono così clamorosamente condannati, per lo meno a infiacchirsi nella confessione, in quanto la si
mettesse in conto di miglioramento ». E così è. Formare la propria educazione alla libertà etica per una
data condizione sociale, parlarne con altri, lasciarsi trascinare da loro al rendiconto e confessarsi a loro
o farsi confessare, scompiglia l’animo da capo a fondo: poiché ciò trae a deporre il santo pudore, a
diventare il più peccaminoso tipo di ipocrita, l’ipocrita verso se stesso; e unasocietà che si ingerivadi
questo condusse effettivamente al più tetro ascetismo monacale. Pertanto la Massoneria non ha niente a
che fare con questa forma di educazione alla pura umanità: come {non ha niente a che fare con essa]
nessuna società che non sia compostadi fanatici e che abbia compreso l’Oraziano:
Insani sapiens momen ferat, aequus iniqui,
Ultra, quam satis est, virtutem si pelai ipsa.!
tutto ciò che accade secondo una qualsiasi distinzione fra gli uomini, sia che miri alla capacità tecnica o
a conoscenze o alla virtù, è profano di fronte alla Massoneria: madi fronte a ciò che riguardala libertà
etica, la Massoneria stessa è profana e irreligiosa: poiché quella è il santo dei santi, in paragone del
quale il santo stesso è volgare. Questo solido concetto, interamente determinato e chiaro in sé,
dovremmo elevarlo assolutamente a canone della Massoneria e a principio di unacritica di ogni cosa
massonica, qualora avessimo da impiantare una critica siffatta.

(1) «porti il sapiente nome di stolto, e il giusto di iniquo quando egli ricerchi la virtù stessa virtù più di quanto occorre.»]. Il saggio si attira nome di pazzo, e Aristide diventa ingiusto, «tosto che egli pratichi stessa virtù più del giusto » [Wieland]; ovvero: quando egli ricerca la virtù stessa affannosamente per false vie
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Altra cosa è certamente, per accennare in breve anche questo, l’educazione dello spirito e [altra]
l’aspirazione alla sensibilità morale, la formazione dei costumi esteriori e dell’esteriore osservanza alla
legge. Questa appartiene senza dubbio alla Massoneria.
Ora voi avrete presente all’animo immagine della Massoneria, come essa è in sé e per se stessa, o può e
deve essere unicamente. Ma aggiungerò ancora alcuni tratti a questa immagine. Qui si raccolgono
invero, liberamente, uomini di tutte le classi e portano ad un sol cumulo la cultura che ciascuno poté
acquistare secondo la propria individualità, nella sua condizione. Ciascuno porta © dà quello che
possiede: la testa pensante concetti chiari e precisi, l’uomo d’azione capacità e agilità nell’arte del
vivere, il religioso la sua religiosità, l’artista il suo entusiasmo artistico. Ma nessuno dà [il suo
contributo] nella stessa maniera, in cui egli l’ha ricevuto nella sua classe sociale e nella sua classe lo
trapianterebbe.
Ciascuno lascia del pari da parte l’elemento singolo e specifico, c mette fuori ciò che egli ha realizzato
nel suo intimo come risultato: si sforza di dare il suo contributo in modo che possa pervenire a ciascun
membro della società: e l’intera socictàsi affatica a sostenere questo suo conato e a conferire appunto
così utilità generale e universalità alla sua cultura, fin qui unilaterale. In tal colleganza ciascuno riceve
nella stessa misura di quello che dà; appunto per via di questo, che egli dà, gli viene dato; ©
precisamente la capacità di poter dare.

Può valere la Frammassoneria come fine a se stessa?
Ora soltanto rispondo alla vostra domanda: “Non si può porre la Frammassoneria come scopo a se
stessa”; semplicemente perché essa mi porge l’occasione per alcune determinazioni complementari.
Voi siete giunti a questa idea, come da voi medesimi comprendete, paragonando la Frammassoneria
con la religione. Si può domandare, quale sia il fine della Chiesa: il propagamento della religione?
Senza dubbio, proprio di questa, poiché essa è meramente il risultato, l’esigenza dello spirito e del
cuore nella loro armonia, il frutto della nostra saggezza, il più alto fiore della nostra ragione, la dignità
della nostra natura. A che cosa deve essa ancora valere, o servire qual mezzo, che [altro] deve proporsi
a scopo finale? Così l’Ordine dei Liberi Muratori esiste per mantenere, per conservare la
Frammassoneria; essa pure non è buona per alcunché, ma buonain sé e per sé, non già mezzo per un
qualsiasi scopo. A che altro deve mai ancora mirare? Ciò ch’essa opera e può operare, ciò che essa ha
generato in lui e anche in altri deve generare, questo deve conoscere il vero Massone: e questo è
Frammassoneria.
Pertanto sarebbe vano, in generale, il ricercare un suo fine, come il rispondere a tal richiesta e
l’impostare il concetto d’un siffatto fine (come noi abbiam fatto); essa verrebbe adesistere in forza di
se medesima, dovrebbe assolutamente essere e sarebbe unaparte costitutivadell’assoluto.
E vi è un certo senso, in cui si può benissimo concepire questatesi e nel quale essa è vera e importante;
ma essa non sembra essere espressa in forma sufficientemente determinata. Si parla spesso, non
preciserò qui se con esattezza filosofica, di un senso ampio e amplissimo, ristretto e strettissimo delle
parole e delle proposizioni nella filosofia. Sicché ciascuno potrebbe dire: «se io chiamo la Massoneria
fine a se stessa, penso alla Massoneria nel suo significato più ristretto. Ma questa è per me appunto
quella cultura comune [a tutti], puramente umana, che tu hai posto come fine della Massoneria. Quindi
per me il suo fine è essa medesima».
Ciò è giusto in sostanza, ma le parole sono un po” oscure a comprendersi. L’uomo è fine ase stesso e
quella cultura puramente umana è una maniera di essere dell’uomo assolutamente postulata, quindi una
parte costitutiva di ciò che è fine a se stesso, ossia dell’assoluto. Ma si doveva pur da ognuno
riconoscere per espressioni equivalenti Massoneria e cultura universalmente umana? La sentimentalità
sonica (dopo che si abbia cioè spiegato a bella prima l’espressione nel modo teste concesso) può
essere chiamata fine a se stes ma suona poi tanto Massoneria, Ordine Frammassonico, quanto
sentimentalità massonica? La Massoneria non è una cultura o un sentimento, ma una società 0
colleganza. Non posso dire: il Fratello N. N. ha compiuto secondo la sua Frammassoneria questa
lodevole azione, ma essa è una provadei suoi buoni sentimenti massonici; ovvero: il signor N. N. ha in
sé la Frammassoneria, senza essere accolto nell’Ordine, sebbene egli può possedere la vera (massonica)
sentimentalità di una cultura universalmente umana. Ma poiché ora la parola «Massoneria» indica
associazione, essa non può essere chiamata fine a se stessa, ma soltanto mezzo, poiché l’associazione
peril fine prefisso è solo mezzo e non deve essere in senso assoluto, ma solo sotto la condizione di una
certa situazione del mondo, quale essa è pur ora presente.
Invero, soltanto perché lo scopo, che la società separata si propone, non può essere conseguito nella
grande [società] come essa è presente, verrà fondata la società: separata. Ma la più grande società non è
necessariamente così come essa è: può venir pensata nel campo della ragione affatto diversamente, per
lo meno senza la condizione più sopra indicata nella formazione dell’individuo: deve piuttosto
progredire del continuo verso il meglio, e questo meglio consiste, affatto particolarmente, anche
nell’uguaglianza e armonia della cultura di tutti gli individui. Se essa fa questo, nella stessa misura
appunto ch’essa in ciò progredisce la società, separata diventa meno necessaria; e quando quella ha
raggiunto la sua meta, [questa è ormai] superflua e inconsistente. Ora, di una cosa tanto relativasi può
dire che sia parte costitutiva dell’assoluto.
ma;
Si potrebbe replicare, che sia scopo di tutta l’umanità costituire un’unica grande colleganza, come
presentemente dovrebbe essere quella massonica. Ma la stessa mera esistenza della Massoneria
dimostra che ciò, che noi abbiamo chiamato fine in sé, non è ancora affatto conseguito.
L’esempio, di cui si fa uso per quella tesi, deve porre in più chiara luce il suo opposto. Si dice: nonsi
potrebbe ricercare un fine della religione (o più precisamente: della religiosità, del sentimento
religioso), ma invece un fine della Chiesa. Benissimo! solo che al concetto della religiosità appunto
corrisponde non già il concetto della Massoneria, mapiuttosto quello della cultura puramente umana; a
quello della Chiesa per contro [corrisponde] proprio quello della Massoneria, 0 (che poi è lo stesso)
dell’Ordine dei Liberi Muratori.
Massoneria significa dunque (per riassumere tutto in breve) nonil sentimento, bensì associazione: ma
questa, per generare quel sentimento, e condizionata da alcunché di accidentale, che appunto per questo
non potrebbe nemmeno essere € nel fatto non dovrebbe essere. La Massoneria non è quindi fine a se
stessa, tanto poco quanto, secondo quella particolare opinione, la Chiesa; e per l’una come per l’altra si
può, con tutti i diritti filosofici, ricercare i loro fini c determinarli in forma chiara e precisa.
Questo spero di aver fatto nei riguardi della Massoneria. Ma non siamo ancoraalla fine: non solo
dobbiamo ancora indagare che cosa e come operi la Massoneria tanto verso i suoi membri che verso il
mondo, ma altresì distinguere compiutamente lun dall’altro i principi fondamentali più sopra affermati
e applicarli più largamente, affinché essi diventino atti e sufficienti alla valutazione della situazione
presente della Massoneria e dell’attività massonica.

Che cosa opera la cultura massonica nel Massone: l’immagine dell’uomo maturo
Il nostro primo quesito sarà pertanto: che cosa opera l’Ordine nel Massone? Il secondo [invece]: quale
azione esercita esso sul mondo? Mi stringerò in breve, e potrò così accontentarmi di [dare] fruttuosi
accenni.
Se l’associazione non è intieramente vana ce inattiva, colui che vi si trova deve però, senza dubbio, stia
pure egli a quel livello della cultura che più gli talenta, avvicinarsi alla maturità assai più che non
avrebbe fatto lo stesso individuo, fuori dell’associazione. Nel caso dell’uomo sveglio e pronto ciò vale
anzi per ogni nuova relazione in cui egli entra. Io prendo qui maturità e pienezza di cultura
universalmente umana per termini equivalenti, e a buon diritto. La cultura unilaterale è sempre
immaturità: quand’anche da una parte dovesse essere eccesso di maturità, dall’altra però sarebbe
certamente, appunto atal uopo, aspra e acerba immaturità.
Il principale segno distintivo della maturità è la forza mitigata dalla grazia. Tutti quei suoi potenti
corrucci, quei larghi impeti e assalti sono le prime e anche necessarie tirate e scosse della forza che si
sta sviluppando; maessi non si constatano più, dopo che è compiuto lo sviluppo e si è pienamente
realizzata la bella forma spirituale. O per dirla coi termini retorici della scuola: una volta venuta la
maturità, l’ardita poesia si disposa alla chiarezza della mente e alla rettitudine del cuore, e la bellezza
entra in connubio conla saggezza e la fortezza.
Questa è l’immagine dell’uomo maturo ed evoluto, qual io lo concepisco: la sua mente è del tutto
chiara e libera da pregiudizi d’ogni specie. Egli signoreggia il regno dei concetti e stende il suo sguardo
sul dominio della verità umana più lungi ch’è possibile. Ma la verità è per lui, interamente, soltanto
una, solo un tutto unico ec indivisibile; nessuna parte di essa egli antepone ad un’altra. Anche la stessa
cultura dello spirito è tuttavia perlui solo una parte dell’intera cultura: e tanto poco gli va a genio di
farla finita esclusivamente con quella, quanto meno gli verrà in mente di fame a meno. Vede
benissimo, e non si fa ritegno di convenirne, quanto altri siano in ciò più addietro di lui; ma nonsi sdegna per questo, poiché sa quanto dipenda anche in ciò dalla fortuna. Non impone a nessuno la sua
luce, e tanto meno la mera apparenza della sualuce; sebbene egli sia sempre pronto a darne, secondo le
sue capacità, a ciascuno che lo desideri, e a darglicla in quella singola forma che gli è più gradita.
Tuttavia egli si tiene contento anche quando nessuno ha bramadei suoi lumi. È integralmente retto;
coscienzioso, forte contro se stesso nel suo intimo, senza dare esteriormente la minima importanza alla
sua virtù, né imporne agli altri la contemplazione mediante affermazioni della propria onorabilità c
sacrifici clamorosi e affettazione di alta serietà. La sua virtù è tanto priva di artificio e, direi quasi,
pudica, quanto la sua sapienza; il suo sentimento dominante presso le debolezze degli altri uomini è di
benevola compassione, non già, affatto, di sdegnoso corruccio. Egli vive fin di quaggiù nella fede in un
mondo migliore, e questa fede soltanto conferisce agli occhi suoi valore, significato e bellezza alla sua
vita su questa terra; ma egli non impone menomamente questa fede a nessuno, bensì la porta in sé,
come un tesoro nascosto.
Questa è l’immagine dell’uomo perfetto, Videale del Massone. Né egli bramerà una perfezione
maggiore di quella che l’uomo possa raggiungere, né vorrà vantarsene: la sua perfezione non può
essere altro che umana, e l’umana. Ciascun uomo deve esser compreso del dovere di accostarsi sempre
più sicuramente a questa mèta; se l’Ordine ha anche soltanto un poco di attività, ciascun membro deve
essere preso da questo moto di accostamento in forma ognorpiù visibile e con piena coscienza; questa
immagine deve ondeggiargli innanzi come ideale prefisso e ben prefisso e ben vicino al suo cuore:
dev’essere parimenti la natura in cui egli vive c respira.
È ben possibile che non tutti, anzi forse nessuno singolarmente di coloro, che si chiamano massoni,
raggiungano questa perfezione. Ma chi ha mai misurato la bontà di un ideale, o anche solo di
un’istituzione, da ciò che effettivamente ne conseguono gli individui?
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L’importante si è ciò che questi possono conseguire nelle condizioni stabilite; quanto poi l’istituzione
vuole e addita con ogni mezzo asuadisposizione, questo i suoi membri debbono conseguire.
Né io affermo che i massoni siano necessariamente migliori di altri uomini: tanto meno che nonsi
possa conseguire la medesima perfezione anche fuori dell’Ordine. Ben sarebbe possibile che un uomo,
nonmai entrato a far parte dell’associazione dei Liberi Muratori, somigli all’immagine sopra delineata:
e proprio in questi istanti ondeggia innanzi agli occhi della mia mente la figura di un uomo, nel quale io
la trovo eccellentemente attuata, e che pure conosce l’Ordine tutt’al più di nome. Malo stesso uomo, se
fosse diventato nell’Ordine, e per mezzo di questo, ciò che egli è diventato nella grande società umana,
sarebbe meglio capace di innalzare anche altri allo stesso suo grado, e tutta la sua cultura sarebbe più
socievole, più comunicabile e quindi anche nell’intimo suo essenzialmente modificata. Ciò che sorge
nella società ha maggior vita e forzaperla prassi che non quanto vien generato nella solitudine.
Questi sono gli accenni che volevo dare intorno all’attività dell’associazione dei Liberi Muratori soprai
suoi membri. E essa, deve operare il felice avvicinamento all’ideale più sopra determinato, 0 nulla
[deve] affatto: [perché] quanto sta più in alto di quello non può in generale essere attuato, e quanto sta
più in basso, può dappertutto essere attuato. Masi capisce da sé che i membri debbono essere sensibili
al suo benefico influsso; e, del pari, che le istituzioni debbono essere di tal natura, che tanto il più
quanto il meno sensibile si avvantaggi però e progredisca nella sua giusta proporzione.
E ora si presenta ancora il problema, se questa associazione operi anche sul mondo.

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