IL BUDDISMO NELLA FILOSOFIA DELLA CONOSCENZA

IL BUDDISMO NELLA FILOSOFIA DELLA CONOSCENZA di
Angelo Scrimieri
Far luce sulla religione buddista non è cosa facile ma, è pure vero, una interpretazione personale posso azzardarla con la speranza di non andare oltre i confini della realtà ed inoltrarmi nel mondo della fantasia.
Dunque chi è veramente, e cosa significa Buddha che in sanscrito significa “lo svegliato” ?
Con questo nome la tradizione indiana indica speciali personaggi i quali, conseguita la suprema illuminazione spirituale (bodhi) hanno il compito di impartire all’umanità l’insegnamento salvatore.
L’ultimo di costoro, il Buddha per antonomasia, fu Siddharta, detto Gautama Sakyamuni.
Gli episodi più salienti della vita di Buddha sono tratti da testi pali, che, pur non essendo documenti strettamente storici, rappresentano la tradizione più antica.
Secondo tali documenti Buddha nacque a Lummini nel 557 a.C. La leggenda posteriore fa nascere Buddha dal fianco della madre Maya ed è questo uno degli episodi più cari alla iconografia buddista. Morì nel 477 a.C. Due scoperte archeologiche comprovano sia la data che il luogo della sua nascita che quelli della sua morte. Nel 1896 venne trovata una colonna eretta nel 244 a.C. a Lummini dall’imperatore Asoka per ricordare il luogo dove era nato Buddha. La seconda scoperta venne fatta da Claxton Peppè che dopo 24 secoli ritrovò a Kusinagara il tumulo contenenti le ceneri di Buddha.
Si narra che il padre tentasse di distrarlo dal portentoso destino, profetatogli’ sin dalla nascita, allevandolo fra gli agi e sposandolo all cugina Yasodhara, da cui ebbe un figlio, Rahula. Ma la vocazione ascetica risvegliatasi alla vista dei funerali di un malato e di un asceta vagante, Buddha abbandonò famiglia e beni, per cercare la verità.
Ritiratosi nella foresta a meditare, con la guida di due brahmana, indi seguitoda cinque discepoli che più tardi lo abbandonarono, Buddha, dopo terribili prove, raggiunse l’illuminazione interiore e riconobbe le cosiddette “Quattro Verità “: la realtà del mondo è dolore; l’origine del dolore è il desiderio o attaccamento alla vita; la liberazione dal dolore è possibile mediante l’estinzione del desiderio, il nirvana (condizione estatica corrispondente al puro godimento dello spirito o all’annullamento di ogni concreta realtà).
Nel Buddismo, per meglio intenderci, la felicità consistente nell’assenza di ogni sensazione e quindi del dolore, esiste una via per tale estinzione: la Legge (dharma).
Dopo profonda meditazione e riflessione Buddha decise di rendere partecipe l’umanità, della sua esperienza liberatrice, ed iniziò la predicazione di una dottrina che chiamò Via Mediana, perché distante sia dai piaceri sia dagli eccessi ascetici. Non elaborò una particolare teoria sul mondo: questo è ciò che è, occorre solo liberarsene. A tale fine si deve seguire l’ottuplice Sentiero, consistente in: retta visione, retto pensiero, retta parola, retta azione, retta via, retto sforzo, retta consapevolezza, retta meditazione. Quest’ultima rappresenta il precetto principale di Buddha, dato che la personalità umana non è fondata sull’Io, ma sulla consapevolezza individuata dal potere di rappresentazione, legata a sensazioni dipendenti da impulsi prenatali, limitata da forma materiale: i cosiddetti cinque Skandha.
“L’uomo è responsabile del suo destino e lo determina con le sue azioni (Karma) da una vita all’altra
Il ciclo di nascita e morte (Samsara), articolato in dodici momenti che sono causa l’uno dell’altro (ignoranza, predisposizioni innate, forma, facoltà, percezione, sensazione, sete e vincolo della vita, esistenza, nascita, vecchiaia, morte), deriva da una ignoranza innata che solo il Nirvana può sradicare.
Per 40 anni Buddha predicò nell’India settentrionale, con immenso successo, una dottrina fatta di serenità, amorevolezza, stoica sopportazione dei mali, di cui egli fu esempio vivente. Quando egli morì il suo Ordine Monastico (Sangha) era stato già costituito ed era ormai in atto la diffusione del buddismo in tutto il mondo: un sistema filosofico-religioso, un notevole esempio di religione atea in quanto non incentrata nel culto di divinità ma elabora una dottrina per la salvezza dell’uomo, con l’estinguersi del dolore, nel Nirvana.
Il Buddismo è altresì una filosofia tesa alla risoluzione di problemi etici sempre al fine di eliminare il dolore, senza elaborare una particolare teoria del mondo.
Le numerose “sette” e “scuole” del Buddismo, si raggruppano in due grandi correnti dette rispettivamente del “Piccolo Veicolo ” e del “Grande Veicolo”.
Agorà gennaio – marzo 1997 35 Tale dottrina è chiamata “veicolo” perché concepita come “un mezzo che trasporta i seguaci alla santità e alla liberazione dalla rinascita”: Piccolo Veicolo, per portare alla salvezza coloro che praticano rigidamente la vita monastica, Grande Veicolo, perché porta a salvamento tutti fedeli i fedeli.
Ora però occorre fare delle riflessioni attente e mirate; quindi e necessario sapere in che cosa consiste la responsabilità dell’uomo, dato che il Buddismo nega l’esistenza di un Io permanente, pur affermando che dalla libera azione, buona o cattiva dell’uomo viene occultamente foggiato il destino a cui questi va incontro, nella presente vita e nelle successive.
Per quanto riguarda l’uomo, il Grande Veicolo afferma che esso deve realizzare l’essenza cosciente del proprio spirito mediante lo sviluppo di mistica conoscenza attraverso le meditazioni e le pratiche di comprensione, che è il mezzo per eccellenza.
Il caratteristico sviluppo del monachesimo ha dato luogo alle “sette” dei Berretti Rossi e dei riformati Berretti Gialli, dalle quali viene scelto il “DALAI-LAMA”, sovrano temporale del Tibet.
Si può, a questo punto, affermare che questa dottrina etico-filosofica, elaborata dal veggente indiano Gautama Buddha (VI sec. a.C.), si concretizza in religione predicata come mezzo di salvazione.
Tentare una analisi, con l’illusione di approfondire i concetti più fondamentali che l’argomento richiede, è utopistico. Non ci resta altro da fare che tentare una analisi dei concetti più fondamentali, sperando che l’approfondimento sbocchi in una logica più vicina ai nostri tempi.
Ma superate queste considerazioni, è necessario tentare di sintetizzare il “modo” in cui noi ci poniamo dinanzi al grande Tema. Di rende necessario, quindi, che le menti e gli animi dei Fratelli raggiungano la serenità cosciente del ruolo loro affidato dall’aristocrazia dello spirito alla quale appartengono di diritto, per parlare di politica e di religione.
Analizzando il significato del termine “Filosofia”, l’etimologia è chiara, si tratta di un composto: amare, aspirare a sapienza, saggezza , quindi, amore della sapienza, aspirazione al raggiungimento della sapienza. Si pone in evidenza il nesso logico con le “Quattro Nobili Verità” che sono, senzadubbio, alla base di tutto il pensiero buddista e la nostra cultura religiosa.
Si può ritenere che le varie forme, in cui il buddismo è conosciuto e praticato nel mondo, esprimono a tutti gli effetti, questo insegnamento semplice ma di enorme importanza.
Le “Quattro Nobili Verità” sono: la Sofferenza, l’origine della Sofferenza, la fine della Sofferenza, la via che conduce alla fine della sofferenza. La nostra cultura religiosa come reagisce di fronte a tanta saggezza?
Con interesse certamente, ma anche confortandosi con quanto il DALAI-LAMA, Sua Santità Gyawa Tenzin Gyatso XIV, dice con molta disinvoltura: “Invito tutto l’Occidente a non cercare di cambiare la propria cultura tramandata nei secoli. Il Dharma deve essere insegnato e non diffuso, e questo insegnamento deve essere completo ed obiettivo, altrimenti potrebbero nascere settarismi”.
Egli, con la sua saggezza, leader politico di un paese privato dal 1959 della sovranità nazionale, gira il mondo alla ricerca della solidarietà dei popoli.
Platone approfondisce il concetto socratico di filosofia come aspirazione al sapere: essa nasce da quel sapere di non sapere che non è totale ignoranza e nemmeno sapienza, ma perenne atteggiamento di dubbio e di critica che ha in Eros, il Dio dell’amore, figlio di povertà e di abbondanza, la sua splendida personificazione.
La filosofia è in questo senso, vita morale e soprattutto “preparazione alla morte”, desiderio non solo del vero ma anche del bene e del bello. Anche per Aristotele, la filosofia è aspirazione a possedere la “scienza divina”, la conoscenza dell’universale; quindi, per entrambi, contemplazione disinteressata della realtà, non dei suoi aspetti accidentali ma in quelli sostanziali (i principi metafisici e le cause prime). La filosofia, come scienza “dell’ente in quanto ente” , si distingue rigorosamente non solo dalle scienze prati- che e poetiche, ma anche dalle altre scienze teoretiche, quali la fisica e la matematica.

Nella storia della filosofia, la conoscenza è stata intesa come una possibilità garantita a tutti, come qualcosa di impossibile o come qualcosa di possibile in determinate condizioni. La filosofia, quindi, se vuole affrontare le problematiche connesse con la conoscenza, deve poter contribuire con chiarificazioni interne alle metodologie specifiche.
Francamente mi preoccupa porre in corelazione o in parallelismo la filosofia della conoscenza, con il Buddismo, religione che si discosta e non si identifica con la nostra cultura. Religione che vive in un suo ermetismo alquanto particolare e singolare nelle sue regole-leggi. Non fosse altro che per accettare con me stesso la scom- messa di trovare alla fine un nesso logico, valido e significativo tra la nostra cultura le la Civiltà Buddista Permettetemi ancora qualche personale considerazione ricordando a tutti voi l’ ancoraggio massonico ai Libri Sacri dell’Umanità: la Bibbia ed il Vangelo. Fatto salvo questo principio devo necessariamente citare come termine di confronto i Codici Sacri delle Indie e della Persia, la Bibbia, il Vangelo, il Corano, le massime di Confucio, le dottrine di Pitagora e di Platone. Tutti sono improntati di morale purissima talvolta anche trascendente la possibilità della pratica razionale; ma tutte le credenze dogmatiche hanno il difetto che, quando cessa o diminuisce la fede in Dio punitore, anche la morale, che in quella fede si appunta e si ravviva, necessariamente si scolora e si perde nel nulla. Ecco perché noi “crediamo” senza imposizioni dogmatiche e facciamo il possibile perché la nostra fede non diminuisca: perché non si perda la morale che in essa si incentra e si avviva.
In una conversazione-relazione di Fausto Taiten Guareschi si legge che da qualche tempo si ricomincia a sentir parlare di “Maestri”. Ed insieme al tema dei “maestri”, risorge un dramma che era stato violentemente rimosso negli ultimi decenni: quello dell ‘apprendimento reale, diretto, frutto del rapporto dialettico tra persone vive.
La filosofia buddista che più si avvicina agli occidentali non è molto complessa. Essa essenzialmente dice: “I maestri non scrivono, insegnano, trasmettono, comunicano”. Thomas Mann diceva: “O uno muore giovane, o diventa maestro”.
La vocazione dell’uomo è quella di insegnare, non di scrivere. La parola, quindi, deve essere un evento, perché abbia senso.
Per concludere devo necessariamente dedurre, senza timore alcuno e senza creare pregiudizi, che la nostra religione ci ha permesso di sentirci a posto con la nostra coscienza, di sentirci a nostro agio e con serio raccoglimento spirituale tanto nella Cattedrale quanto nella Moschea, tanto seguendo il rito Ortodosso quanto ascoltando quello Mussulmano e quello Buddista.
Ma al di là di questo, credetemi, non ci si può spingere. •

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