Il caso Di Bella: ragioni e sentimento
di
Giuseppe Cecere
Un mite medico catanese, laureatosi a Bari, con studio a Modena sperimenta dal 1963 un metodo di cura anticancro che in un certo numero di casi ha dato risultati migliori dei metodi approvati ufficialmente.
Questa nuova terapia, si basa sull ‘utilizzazione di un “cocktail” di tre diverse specialità medicinali: somatostatina, retinoidi e bmmocriptina, associate amelatonina, ciclofosfamidi a piccole dosi ed altre vitamine.
Ma la Commissione Unica nazionale per il farmaco (CUF) non ha mai riconosciuto come efficace tale terapia, perché priva di una seria sperimentazione clinica, eseguita secondo canoni tradizionali.
Tuttavia, data la particolare patologia interessata, il Ministero invita il prof. Di Bella a concordare un piano sperimentale ed a consegnare le cartelle cliniche dei casi trattati; inizialmente questo non avviene e di conseguenza migliaia di malati che affidano le loro speranze di guarigione alla terapia “Di Bella” lo fanno a spese proprie. C’è grande incertezza e sofferenza tra loro, soprattutto tra quelli che, non potendo affrontare senza alcun sostegno della Sanità Pubblica I ‘onere economico della terapia, si vedono costretti a rinunciare. Sarà un Pretore di provincia a farsi carico delle loro rimostranze e con la sua azione a far crescere un movimento d’opinione che ritiene sia giusto assicurare ad ogni malato la cura nella quale egli o il suo medico credono, poiché il diritto alla salute è sancito dall’art. 32 della Costituzione. E’ altrettanto giusto, però, che per curarsi debbono esserci delle regole serie.
A breve partirà la sperimentazione della terapia coordinata tra Ministero della Sanità e il prof. Di Bella, seppur tra mille polemiche.
La terapia “Di Bella”, diventa l’alternativa alla chemioterapia pura che viene accusata di essere devastante nella sua azione: essa colpisce sia le cellule tumorali che quelle sane. Elevati, poi, sono gli effetti collaterali quali la nausea, il vomito, le anemie, la depressione, la perdita di capelli: in definitiva, un sensibile peggioramento della qualità della vita.
C’è, però, un altro aspetto della terapia “Di Bella” che colpisce I ‘opinione pubblica: il recupero del rapporto “medico-malato”.
Oggigiorno il medico, spesso, perde il ruolo di colui che da uomo di scienza privilegia il malato e non la malattia, che con calore umano studia il malato nei suoi problemi e nei suoi malanni; che diagnostica il male e propone la sua terapia necessaria secondo scienza e coscienza e non secondo le regole burocratiche del prontuario farmaceutico, con atteggiamento gelido, al paziente considerato con un numero sanitario e lasciato solo col suo dolore e la sua disperazione.
Soprattutto nel campo oncologico, dove la medicina non è in grado di dare certezza e le terapie, anche se efficaci, sono nel contempo dannose, il medico ha il dovere di vagliare con grande oculatezza scientifica ed umana rischi e benefici, ed informare il paziente degli uni e degli altri.
Il prof. Di Bella dà subito l’impressione di essere un uomo di altri tempi, cura i malati senza chiedere alcun compenso; gli si può attribuire, però, il solo torto di aver lasciato intendere a molti, di possedere le chiavi per penetrare nella fortezza del “cancro” e di poter distruggere il male.
Egli stesso dice che invece di “pugnalare” il cancro, la sua terapia lo accarezza, lo blandisce, lo induce al suicidio rafforzando le difese dell’organismo che lo ospita, per rendergli la vita sempre più difficile.
E’ giusto, pertanto, che venga fatta una seria sperimentazione clinica’ che valuti la efficacia e la sicurezza del metodo Di Bella, al fine di tutelare la salute dei pazienti.•
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