IL FLAUTO MAGICO: Una Favola “Egiziana” di
Francesco Rampini
Tamino, temporaneamente abbandonato dalle tre Dame, al suo risveglio vede avanzare una figura coperta di piume che porta una gabbia di legno sulle spalle destinata ad accogliere gli uccelli catturati: è Papageno l’uccellatore della Regina della Notte. Nel dialogo, abbastanza surreale e divertente che ha con Tamino, Papageno si mostra nella sua essenza: un povero uomo, bravo ma anche scaltro, che campa del proprio umile lavoro e che (come verrà esplicitato meglio andando avanti nell’Opera) per vivere bene gli basta un buon bicchiere di vino e, se possibile, anche una bella Papagena con cui dividere le notti fredde.
Papageno rappresenta l’uomo ordinario, l’uomo che vuole vivere in santa pace la vita di tutti i giorni, che vuole crearsi una famiglia e, soprattutto, per garantirsi la sua tranquillità, non vuole porsi troppe domande.
Per ingraziarsi il Principe appena riavutosi dall’aggressione Papageno sparahddirittura una colossale
bugia: si vanta con lui di aver ucciso il serpente. Con le proprie mani.
Questi due uomini, così diversi tra loro – l’uno un Principe di sangue Reale, l’altro un modesto cacciatore d’uccelli -, si troveranno poi insieme per affrontare lo stesso cammino anche se poi vedremo che l’impresa avrà per loro esiti molto differenti. L’uno, Tamino, è il predestinato, l’eroe, il futuro Adepto; l’altro, Papageno, è l’uomo comune, in fondo buono e generoso, ma che non vuole troppi problemi e che, durante il “cammino”, si rende conto di essersi messo dentro un qualcosa più grande di lui e quindi non esita a ridimensionare il tutto ed ad accontentarsi di una sana, tranquilla vita normale. L’essere eroico non fa per lui.
Presto ritornano le tre Dame della Regina che sentendo Papageno vantarsi di un’impresa che non ha compiuto gli chiudono la bocca con un lucchetto d’oro. Consegnano quindi a Tamino il ritratto di una fanciulla, Pamina, figlia della loro Regina, e spiegano allo stesso (che, nel frattempo si è subito innamorato di quell’immagine), che la fanciulla del ritratto è prigioniera di Sarastro, definito come un “demonio”. Tamino giura che la salverà, ed in quel momento tre colpi di tuono annunciano l’arrivo proprio della Regina.
Questa si presenta con un fragore di tuoni ed inizia con un canto straziante (con un tempo di 3/4), di povera madre a cui hanno rapito la figlia. Poi, cambiando il tempo in 4/4 intona un imperioso invito a Tamino a ritrovare sua figlia e, se tornerà vincitore, la potrà avere in sposa. E qui siamo in presenza di una delle arie più belle, difficili -ed anche famose- che Mozart abbia mai scritto.
Andata via la Regina le tre dame consegnano a Tamino un Flauto che dicono essere magico (a fine Opera si apprende la natura alchemica di questo mezzo che utilizza l’elemento aria per far vibrare i propri suoni, che è stato ricavato dalla radice di una quercia secolare, quindi di legno -elemento terrain una notte di tempesta – elementi acqua e fuoco) flauto che lo aiuterà a “superare la sventura”.
Dopo aver liberato Papageno dal lucchetto, le Dame gli impongono di assistere Tamino nell’impresa e gli consegnano un altro strumento particolare: un Carillon d’argento. Ad onor del vero Papageno non è molto contento dell’incarico ricevuto, anzi, dimostra di avere un vero e proprio terrore solo del nome
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Cosa hanno voluto dirci con questo gli autori dell’opera?
Forse che la vita, gli avvenimenti, gli uomini, le donne, e tutto ciò che compone questo nostro immenso universo non va preso così come APPARE ma che in realtà tutto ciò che ci circonda è, come dice la tradizioni indiana, Maia, è illusione.
In realtà, la Regina della notte e Sarastro non rappresentano, come dice qualche musicologo con delle conoscenze massoniche, la contrapposizione tra la massoneria femminile e maschile, quanto, piuttosto che gli stessi stanno a significare la contrapposizione delle due grandi forze che pervadono l’universo: la forza Negativa e la forza Positiva.
La Regina della Notte, come già prima accennato, rappresenta la forza terrestre, conservante, potenzialmente ostile, mentre Sarastro è la forza solare, illuminante, fecondante; ma attenzione: l’una senza l’altra non possono esistere e solo insieme consentono l’affermazione della vita nell’universo. Per ciò che riguarda l’aspetto più sottile, spirituale, si può qui solo accennare che è attraverso la corretta comprensione e sintesi di queste due forze, che l’iniziato può realizzare e far vivere in sé quel principio vivificante e trasmutante, che è il frutto di una iniziazione vissuta in senso reale e non ricevuta solo in modo virtuale.
Nel nostro Tempio Massonico abbiamo numerosi esempi di queste due forze; basti solo citare il tappeto a scacchi e le due colonne, la complementarietà a due a due dei quattro elementi; quindi già a livello di Camera d’Apprendista viene proposto lo studio della legge delle polarità contrarie: il bianco senza il nero non può esistere; non ci può essere giorno se non c’è la notte, il caldo senza il freddo, e così via.
Sappiamo già dall’inizio che Pamina è figlia della Regina della Notte (e quindi anche Lei è un elemento di Natura), ma abbiamo appreso poi che Sarastro non la tiene prigioniera, almeno nel senso che comunemente viene dato al termine, in quanto Pamina, oltre che stare della Saggezza per essere difesa proprio da sua madre, è la carta vincente che Sarastro utilizza per far venire al suo Tempio Tamino, il Principe predestinato.
Come è possibile che un grande Iniziato come Sarastro faccia una cosa così, diciamolo pure, meschina? Quale spiegazione possiamo dare a questo fatto?
Per comprendere questo paradosso occorre interpretare in un modo un po’ più “sottile” la figura della Figlia della Regina della Notte.
Questa, come elemento di natura (che andrà nel finale dell’Opera a ricongiungersi con Tamino) non rappresenta altro che l’anima dell’lniziato. E qui, se vogliamo comprendere meglio il tutto, è necessario fare un attimo di attenzione. La nostra religione ci dice che tutti noi abbiamo un’anima e ciò è senz’altro vero, ma l’anima di cui qui si parla non è l’anima “animale” -sintesi e sômma di tutte le esperienze vegetative di natura dell’individuo- ma piuttosto quella che in Alchimia viene chiamata Mercurio.
Il Mercurio è quel quid di esperienze che solo l’iniziato, proprio perché è riuscito a conglobare le due forze dell’universo di cui abbiamo parlato, è riuscito a sviluppare formando un’anima molto individualizzata, ha realizzato, il altri termini, quella che viene anche chiamata “coscienza vigile”.
D’altro canto anche molte religioni antiche e filosofie moderne hanno una molteplice distinzione dell’anima; vediamo solo qualche breve esempio, solo per chiarire meglio di cosa stiamo parlando:
a) Egizi ackh, principio di vita assoluto, rappresentato da un ibis ka, il doppio del fisico, molto legata alla sfera animale, rappresentata da due braccia alzate ba, l’anima sottile, aerea, rappresentata, a volte, da un uccello con la testa umana
La sopravvivenza dell’anima avviene solo se il Ba riesce a non dissolversi
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di Sarastro, ma ben presto scopre, dietro non troppo velate minacce, di non essere in condizioni di rifiutare. Le Dame annunciano infine che Tre Fanciulli “dolci e teneri” li scorteranno, poi, nel loro viaggio.
Questi tre fanciulli stanno a rappresentare la saggezza pura che sta in noi quando ancora siamo innocenti e che, se ci prestiamo orecchio, può ancora guidarci nelle giuste scelte. Dopo il cambiamento di fronte (cioè dopo che si apprende che tutto il clan Regina della Notte è dalla parte dei “cattivi”) i Fanciulli restano comunque dalla parte dei “buoni”. Questa contraddizione viene spiegata proprio dalla loro natura fresca ed innocente. Esiste un “momento” in noi in cui la contrapposizione bene-male è un non senso, in cui le polarità contrarie sono riequilibrate e quindi si è aldilà di ciò che comunemente si intende per Bene e per Male.
I fanciulli tengono in mano una palma d’argento: questa sta a rappresentare (per il metallo ancora non perfetto, cioè l’oro), che la saggezza di natura, seppure trasmutatrice, ha un limite oltre il quale, se si vuole procedere, non può essere efficace, da quel momento in poi occorre utilizzare ulteriori “strumenti”.
Comincia così l’avventura di Tamino .
Questa avventura, che come vedremo ancora nel corso dell’opera, è naturalmente un’avventura iniziatica e come tale essa deve avere una finalità, uno scopo.
Qui lo scopo dichiarato, come abbiamo ripetutamente detto, è la liberazione di una fanciulla, prigioniera di un uomo malvagio. Chi sia realmente Pamina, però lo vedremo un po’ più avanti; per ora ci soffermiamo solo a rilevare che la vera Forza che spinge Tamino ad iniziare questa avventura non è il desiderio di gloria: è l’amore.
In questo senso l’amore che spinge il nostro Principe non è solo l’amore per Pamina, ma è quell’amore “che move il sole e l’altre stelle”, è l’amore che spinge l’uomo, non più corribne, alla ricerca della propria identità, di quell’io più profondo che nasconde la Verità ed il Sacro.
Torniamo ora di nuovo alla nostra storia.
Mentre Tamino inizia il suo viaggio verso il palazzo di Sarastro (che è in realtà il Tempio di Iside e Osiride di cui Sarastro è Gran Sacerdote) vediamo che tre schiavi agli ordini del “moro” Monostatos luogotenente e tuttofare di Sarastro- tengono prigioniera Pamina.
Papageno arriva, per proprio conto, al Castello di Sarastro e scopre Pamina svenuta, in quanto Monostatos, tradendo la fiducia del suo padrone, le ha fatto delle profferte, quanto meno audaci.
Monostatos è certamente un personaggio ambiguo: carico di lussuria per Pamina, non esita a tradire la fiducia che il proprio padrone ripone in lui pur di appagare i propri desideri istintuali. E per di più, al momento della verità -e cioè quando la Regina della Notte decide di dare l’assalto al Castello di Sarastro- passa, rovinosamente per lui, dalla parte avversa, arruolandosi nelle file di Astrifiammante. Come i Fanciulli che provengono dalla negatività sono portatori di fresca saggezza anche qui abbiamo che dal Regno della Positività si stacca una scheggia di Male. Un continuo rammentare quante interrelazioni ci siano tra Luce e Tenebre e come sia difficile pensare ed ottenere la realizzazione dell’ Assoluto.
Papageno si incontra con Monostatos e vedendosi si spaventano a vicenda ed ognuno fugge dall’altro. Quando Pamina si sveglia, Papageno, che le è rimasto accanto, le confida di essere mandato dalla Regina della Notte e che un giovane che l’ama, senza averla ancora vista, verrà a salvarla.
Tamino intanto guidato dai tre Fanciulli (che gli raccomandano Tenacia, Pazienza e Silenzio) giunge ad un bosco sacro e si trova, davanti a sé, tre templi, rispettivamente quello della Sapienza, quello della Ragione e quello della Natura.
Questa volta coraggiosamente Tamino decide di entrare nei templi, e bussa quindi alle porte che si trova di fronte, ma per due volte una voce che proviene dall’interno.. gli vieta rispettivamente l’accesso
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al tempio della Ragione ed a quello della Natura. Quando Tamino bussa alla porta del tempio della Sapienza gli viene consentito di entrare e qui trova subito il Fratello Oratore che inizia a conversare con lui.
Il Sacerdote vuole sapere cosa ha condotto Tamino alla soglia del Tempio, al che, quest’ultimo risponde: “possedere l’Amore e la Virtù”.
Confortato da questa affermazione il Sacerdote ribatte che a lui sembra invece che solo vendetta e morte lo conducano; al che Tamino precisa che si tratta solo di vendetta per l’iniquo”.
A questo punto tutto il colloquio diventa estremamente ambiguo: l’Oratore gioca molto sulle parole e si rifiuta di rispondere direttamente alle domande di Tamino, adducendo vincoli di giuramento sul Silenzio, limitandosi solo ad informarlo che Pamina è prigioniera e rifutandosi di dirgli se è ancora viva.
Sotto un profilo musicale, abbiamo degli accordi di settima diminuita tenuti uno dietro l’altro in modo serrato sino ad essere quasi insopportabile; poi, all’improvviso, con una settima semplice, risolutiva, di Tamino che formula una domanda molto insidiosa: “Quando sparirai oh Eterna Notte, quando il mio occhio troverà la Luce ? ” l’Oratore pone fine al colloquio rispondendo: “Presto o mai, oh giovane” Al che spegne la luce e se ne va, lasciando Tamino solo.
A questo punto delle voci veramente provvidenziali avvertono lo sconsolato Tamino che Pamina è viva e questi, venuto a conoscenza che l’oggetto del suo amore è ancora raggiungibile ha, come comprensibile, un’esplosione di felicità ed esterna con il flauto la propria gioia. Al suono di questo Flauto Magico intorno a Pamino accorrono molteplici animali -domestici e fèoci- e tutti partecipano a questo vero e proprio inno alla vita ed alla gioia.
Come con Orfeo, quindi, anche qui abbiamo uno strumento che addolcisce gli animali, che li domina; e se gli animali sono le passioni interiori dell’Uomo, si scopre subito che un primo utilizzo del Flauto è quello di porre un dominio sulla “animalità” presente in noi.
Papageno, che nel frattempo è riuscito a sottrarre Pamina a Monostatos, ode il suono del Flauto Magico e prontamente gli risponde suonando il proprio flauto di Pan (attenzione: non suona il. carillon avuto in dotazione che utilizzerà, invece, in un prosieguo dell’Opera, per togliersi, a dir poco, da gravi impicci). Monostatos cattura Tamino.
A questo punto, annunciato da una solenne marcia e da un coro trionfale appare un corteo che precede il carro di Sarastro, il Gran Sacerdote, carro trainato da sei leoni; quando Papageno chiede a Pamina che cosa deve dire, qualora interrogato, lei risponde “la venta
In merito a quanto successo con il “moro”, Pamina spiega al Gran Sacerdote che ha cercato non di fuggire dal Tempio ma di aver tentato di sottrarsi alle proposte di Monostatos. Questi chiamato in causa fa entrare Tamino, causa, a suo dire, della pseudo fuga della fanciulla. Questi riconosce subito Pamina. E’ subito amore a prima vista e grande abbraccio tra i due (Tamino: “…non è un sogno” Pamina: “…lo credo appena”).
Sarastro capito come si sono svolti i fatti, non crede nelle colpe che Monostatos vuole addossare a Tamino e Pamina ma, piuttosto, con un senso dello humor alquanto originale, chiama a sé il servo e gli comunica che vuole ricompensarlo e, subito dopo, troncando i ringraziamenti di Monostatos, ordina che lo stesso venga punito per le molestie a Pamina con settantasette frustate e che Tamino e Pamina vengano condotti al tempio delle prove iniziatiche.
Finisce qui la storia relativa a tutto il primo atto; vediamo ora di analizzare in maniera analogica ed iniziatica gli avvenimenti che si sono sin qui susseguiti.
La prima cosa che appare ai nostri occhi è un completo ribaltamento di ruoli. Sarastro non è l’uomo malvagio come era stato dipinto dalla Regina della notte, ma risulta essere un iniziato saggio e sapiente.
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b) Baluba
À, mujanji, veicolo grossolano che guida la vita animale, mukishi, veicolo dei sentimenti e dell’intelligenza inferiore m’vidi veicolo dell’intelligenza superiore e dell’intuizione
La reincarnazione è possibile solo quando si riuniscono tutti i tre corpi
c) Cinesi
kuei, l’anima più pesante resa tale dai desideri della vita shen, il genio, la particella divina presente nell’essere umano
Questo dualismo si intreccia, ovviamente, con il grande dualismo della cosmogonia Tao fondata sull’opposizione-complemento dei principi Jin e Yang.
Anche il nostro Mercurio, quindi, per sua natura è duplice: da una parte è indifferenziato (anima di natura che contiene in sé il principio di vita comune a tutti gli esseri ed a tutte le cose) quindi patrimonio di tutti, mentre dall’ altra ha un aspetto “personalizzato” cioè un qualcosa che gli può essere dato solo attraverso l’ “incisione” nello stesso di principii di valori universali ed assoluti.
Tamino quindi (l’Uomo che è giunto attraverso una lenta maturazione ad uno stato evolutivo tale da poter comprendere i Misteri – e quindi diventa un “predestinato” -) è pronto per iniziare il cammino Regale – da qui il fatto che è un Principe -.
Ma tale cammino per poter iniziare deve ricevere come impulso determinante, come catalizzatore essenziale, solo un forte richiamo da parte della propria anima la quale trova nel Tempio dello Spirito (al sicuro dalle influenze dei principi inferiori) e vuole che la parte “bassa-animale” dell’individuo possa salire a Lei.
In altri termini: se la nostra anima non è pronta e non ci chiama non può avvenire nulla e noi restiamo necessariamente allo stato semi-profano.
Tamino è accompagnato nel suo viaggio da tre Fanciulli, che, come già prima accennato, portano in mano una palma d’argento: la palma è generalmente considerata simbolo d’iniziazione ed associata al maschile, mentre l’argento, come metallo, è associato alla luna e quindi alla femminilità. Forse la fusione di questi due simboli vuol alludere proprio al fatto che questi Fanciulli agiscono da tramite tra due mondi che nella storia dell’opera sono apparentemente separati in modo netto, ma che in realtà si fondono e si compenetrano continuamente.
Il Flauto Magico che viene donato a Tamino è uno strumento, come abbiamo già visto, che permette di addomesticare animali feroci: è come la lira di Orfeo, è cioè uno strumento che permette di sottomettere quelle forze proprie della natura che altrimenti l’uomo non saprebbe dominare da solo.
E’ chiaro che ciò è l’espressione simbolica di quella forza che Tamino troverà nella sua iniziazione e che saprà farlo passare da uomo comune a UOMO.
All’inizio del secondo atto, in un palmeto presso il tempio, Sarastro annuncia ai Sacerdoti lì riuniti che un giovane si è presentato alla porta del Nord del Tempio e che egli “possiede virtù, discrezione e che sa fare del bene”.
Molto bella è la frase che Sarastro utilizza per definire le qualità di Tamino. Un Sacerdote domanda a Sarastro se Tamino, quale Principe, sarà in grado di superare le prove; questi risponde: “Di più! è un Uomo”. Da rilevare che questo testo è stato scritto qualche anno prima della Rivoluzione Francese.
Tamino e Papageno vengono quindi accompagnati al sagrato del Tempio e là vengono avvertiti che la “conquista dell’amicizia e dell’amore” può essere per loro fatale. Papageno non esita a dichiarare che vorrebbe solo una Papagena ma, tutto sommato, è disposto a procedere al rito di iniziazione.
La prima prova è quella del silenzio. Rimasti soli nell’oscurità i due si trovano di fronte alle Tre Dame che appaiono dalle profondità della terra e, denigrando i sacerdoti, cercano di spezzare il loro silenzio. Inutile dire come Papageno cerchi di instaurare subito un dialogo êon le Dame, prontamente redarguito
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in ciò da Tamino che, invece, fieramente, resiste a qualsiasi provocazione. In un immediato prosieguo le cose continuano a non andare troppo bene per Papageno; lamentatosi di non avere nemmeno un po’ d’acqua gli appare una vecchia molto brutta che nell’offrirgli da bere dice di avere un amante di nome…Papageno. Il poveretto è così terrorizzato da questo annuncio che butta addirittura via l’acqua ricevuta. Ed ecco che appaiono i tre Fanciulli che offrono una tavola imbandita con a fianco gli “strumenti” magici a disposizione dei nostri due Eroi: il Flauto ed il Carillon.
Come è facilmente prevedibile Papageno incomincia subito a mangiare quanto trova mentre Tamino si limita a prendere solo il suo Flauto. Ed ecco la prova più ardua: arriva Pamina e, nonostante le sue suppliche, Tamino non le rivolge la parola e quindi entra dentro il Tempio. Pamina disperata vuole suicidarsi con un pugnale ma i tre Fanciulli intervengono e le impediscono l’insano gesto, promettendo l’arrivo di un regno di luce e di amore.
La simbologia di tutto ciò è estremamente chiara ed in linea con la tradizione Massonica: le prove propedeutiche da superare creano una frattura tra il Predestinato -ovvero l’uomo pronto per la sua realizzazione- che dimostra fermezza e coraggio, e quindi è in grado di procedere oltre, mentre l’uomo ancora non pronto cede facilmente ai richiami di una profanità tutto sommato accattivante e carica di tranquillità, con i suoi valori ampiamente accettati e condivisi da tutti.
I percorsi dei nostri due Amici, quindi, sembrano proprio destinati a dividersi: Tamino potrà infatti “andare avanti” nella via dell’iniziazione mentre il buon Papageno troverà una sua degna e sicura collocazione nel mondo profano.
Prima però di assestarsi ad un livello a lui consono, preso dalla disperazione di una solitudine feroce quanto iniqua, Papageno vuole suicidarsi. In uno straziato addio al Mondo, quando è tutto pronto, con una terribile corda sulle mani ed un albero di fronte, ecco che arrivano i tre fanciulli che suggeriscono a Papageno di suonare il Carillon.
Appare allora una deliziosa Papagena (anche lei ricoperta di piume) – chehltri non era che la vecchia
brutta prima rifiutata, ovviamente opportunamente travestita – che, nel duetto più simpatico e famoso dell’opera, gli promette amore ed una schiera molto congrua di piccoli Papageni.
Seguiamo ora però il cammino di Tamino.
La scena cambia radicalmente ed assume delle connotazioni decisamente alchemiche: ci sono due grandi montagne, da una scende una cascata d’acqua scrosciante; dall’altra erutta il fuoco (ancora l’unione dei contrari). Le rocce fanno da scenario ed ogni scena si chiude con una porta di ferro (l’accesso alla “via” non è tra i più agevoli).
Tamino è senza sandali ed è scortato da due guerrieri sul cui elmo arde un fuoco. Si fermano davanti ad una piramide ed i Guerrieri leggono a Tamino la seguente frase:
“Chi cammina su questa terra piena di dolori, fuoco, acqua, aria e terra lo purificano; se vincerà il terrore della morte si librerà dalla terra al cielo.
Illuminato, egli potrà votarsi interamente ai misteri di Iside”
I Quattro elementi Alchemici, le quattro prove rituali vengono chiaramente menzionate e ci si attende che Tamino sia in grado di superarle; questi infatti dichiara subito:
“Nessuna morte mi spaventa. Nessuna morte mi impedisce di agire come un uomo, e di proseguire la via della virtù.
Apritemi le porte del terrore, l’arduo sentiero io rischierò, sereno”
Tutto sembra pronto. Come oramai ci aspettavamo lui, non ha dubbi: vuole andare avanti, costi quel che costi, pur di proseguire sulla via della virtù.
Tamino è quindi deciso ad affrontare, come si conviene, le prove quando un grido si leva: “Tamino,
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fermati! Voglio vederti”.
E’ Pamina che, seppure edotta dei pericoli cui andrà incontro, lo supplica di portarla con sé. Tamino è entusiasta dell’idea e chiede il permesso in tal senso ai Guerrieri i quali, incredibilmente non hanno nulla da eccepire; anzi, testualmente rispondono in questo modo:
“Entrar nel Tempio, lieti, mano nella mano. La donna che non teme la notte né la morte è degna di essere iniziata.
Tamino e Pamina, confortati dalle note del Flauto Magico (“Con la potenza del suono attraversano lieti la notte tetra della morte” aggiungono gliArmigeri), suonato da Tamino, procedono per il sentiero iniziatico da cui usciranno vittoriosi.
Qui si pone il problema dell’effettivo ruolo di Pamina che, si ritiene, possa prestarsi a due chiavi di lettura; come sopra già accennato la figura femminile è sicuramente un affermare la necessità dell’armonia delle polarità contrarie, premessa questa indispensabile per il compimento dell’Opera Alchemica-Ermetica. E quindi poiché Tamino è il Vero Iniziato che dovrà portare Legge ed Armonia nella Terra (ed in ciò deve superare lo stesso Sarastro il quale, invece, è in lotta con l’altra polarità, simboleggiata dalla Regina della Notte) deve necessariamente avere in sé la propria polarità contraria: quella lunare. In termini alchemici: senza le “nozze Chimiche” e senza il matrimonio tra il Re e la Regina l’Opera non può essere compiuta. Da non trascurare, inoltre il fatto che Pamina NON DEVE superare alcuna prova prima di affrontare il decisivo confronto con il Fuoco e con l’Acqua (ricordiamoci cosa hanno detto gli Armigeri: prova mortale). E questo perché? Come mai Tamino deve fare tutta una serie di passaggi propedeutici alla prova finale (onde avere qualche speranza di successo), mentre Pamina arriva armata solo del suo Amore e, insieme all’amato ed al Flauto, riesce comunque vittoriosa? Il tutto, poi, con la benedizione dell’Ufficialità, rappresentata dai due della Soglia? La risposta può essere solo una: a Pamina non servono le prime prove in quanto ciò che dovrebbe sviluppare in sé per avere poi maggiori garanzie di successo è già presente in Lei, cioè a dire, in altri termini: la donna, per sua costituzione, ha una qualche “qualificazione” in più rispetto all’uomo che le consente di “abbreviare” alcuni passaggi del suo cammino.
L’altra chiave di lettura è sicuramente un riferimento alla coesistenza della figura femminile nelle Logge Massoniche. Ricordiamoci solo per qualche attimo dell’Ouverture e diamo una chiave di lettura della stessa un poco più approfondita. Già all’inizio dell’opera Mozart dichiara le sue intenzioni di una apertura alla figura femminile: gli accordi di apertura sono cinque, o meglio 3 + 2, proprio a significare l’unione tra la massoneria maschile, di cui il 3 è il simbolo “ufficiale” e l’inserimento della Donna, lunare, recettiva, il cui simbolo numerico è sempre stato il 2. A metà dell’ouverture Mozart riequilibra il tutto in una pregevole sintesi: ferma la musica (sembra che l’overture sia terminata…. ma non è vero!) e, dopo una pausa, fa eseguire 9 accordi. Ritengo che non serva soffermarci su questo numero che è noto a tutti.
Questo atteggiamento “ereticale” di Mozart (e qui ci si vuole, ovviamente, riferire a quelle Massonerie che non prevedono l’accesso della Donna ai propri misteri) è stato lungamente dibattuto. In questa Sede non si ritiene di dover approfondire la giustezza o meno della proposta iniziatica che il nostro
Fratello passato ci ha voluto così abilmente tramandare. Di certo, almeno personalmente, la trovo estremamente interessante e degna di essere esaminata in tutti i suoi aspetti: etici, storici, tradizionali ed iniziatici. L’Opera termina con il trionfo dei nostri due Iniziati che, superate le prove, ricevono l’omaggio del coro dei Sacerdoti:
“O iniziati, salute a voi!
La notte avete attraversato.
Grazie a te Osiride!
Grazie a te, Iside!
Ha vinto lo spirito forte! Qui la bellezza e la saggezza siano in premio coronate con una ghirlanda immortale ”
La favola è finita.v
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