FOSSE ARDEATINE: UN ENNESIMO CONTRIBUTO DI SANGUE DELLA MASONERIA

FOSSE ARDEATINE: UN ENNESIMO CONTRIBUTO Dl SANGUE DELLA MASSONERIA
ALLOCUZIONE DEL GRAN MAESTRO DEL GRANDE ORIENTE D’ITALIA
AVV. VIRGILIO GAITO IN OCCASIONE DELLA CELEBRAZIONE
DEL 520 ANNIVERSARIO DELLA STRAGE

Fratelli carissimi,
In un’ alba fredda e nebbiosa il 24 marzo 1944 diversi camion delle SS trasportano 335 uomini, di ogni età, non pochi addirittura adolescenti, prelevati brutalmente in maggioranza dalle celle del braccio dei politici del carcere romano di Regina Coeli senza che sia stata comunicata loro la destinazione di così mattutino viaggio.
Taluni di loro erano stati arrestati per motivi ideologici, essendo ritenuti antifascisti o antinazisti, altri rastrellati nel Ghetto di Roma o nel corso di improvvise retate alla ricerca degli odiati Ebrei, altri ancora perché appartenenti all’Esercito Italiano e sospettati di appartenere a formazioni partigiane. Pochi infine catturati a caso mentre transitavano per Via Rasella dove un attentato dinamitardo aveva dilaniato 33 militari tedeschi delle truppe di occupazione di Roma Città aperta.
Lo spietato proclama del Comandante in capo germanico aveva annunciato che, ove gli ignoti attentatori non si fossero costituiti, per rappresaglia sarebbero stati giustiziati dieci italiani per ogni tedesco ucciso. Nessuno si costituisce e la terribile sentenza di morte si a caso su quei reclusi, ignari del tragico destino che li attende.
Ma alcuni tra loro, una dozzina di Ufficiali e sottufficiali dei Carabinieri, operanti in clandestinità contro l’invasore tedesco, imprigionati e torturati, taluno perfino al cospetto delle mogli, alla vana ricerca di altri partigiani, hanno già provato sulle loro carni l’inutile ferocia degli aguzzini nazisti e non stentano a rendersi conto che l’ora del sacrificio supremo è giunta.
Ed il tragico corteo si resta all’ingresso di una vecchia cava abbandonata. Ordini secchi si susseguono, gli sventurati sono scaraventati giù dai camions ed avviati a piccoli gruppi nel buio interno delle grotte. Un agghiacciante crepito di mitraglia li falcia ed essi cadono nella polvere, consci della fine, esitano, si divincolano, ma gli spietati carnefici hanno fretta e li spingono sui caduti per affastellarli sui cadaveri scempiati.
L’orrendo eccidio si compie in breve tempo, ma già quei morti innocenti urlano un’accusa perpetua contro la barbarie; ed i nazisti vogliono esorcizzarla spegnendone subito l’eco e la memoria: alcune cariche di tritolo fanno crollare I ‘ imboccatura delle Fosse e la quiete dei campi torna ad avvolgere quei poveri resti.
Ma quegli assassini, nella loro ignoranza e stupidità, non potevano immaginare di aver costruito paradossalmente un monumento imperituro alla fraternità, all ‘uguaglianza, alla libertà. Uomini e ragazzi, professionisti e operai, generali, Carabinieri ed artisti, artigiani e commercianti, professori e studenti, cristiani ed ebrei, resi uguali da un unico tragico destino, abbracciati in un supremo anelito di amore fraterno, martiri perché un giorno la loro Patria si riscattasse dall’oppressore e tornasse libera.
Notava perspicuamente LUMEN VITAE, la vecchia Rivista del Grande Oriente d’ Italia, che se quei barbari avessero conosciuto il significato recondito del nome della località che la via Ardeatina collega a Roma, avrebbero evitato di costruirvi quel sacrario perché Ardea, “oltre ad esprimere troppo evidentemente l’ ardore di un rogo inestinguibile, capace cioè di contribuire, dopo un così eloquente olocausto, alla incandescenza di un ‘sacrum’ , vuol dire anche Airone, quell ‘uccello Ardea riconosciuto, in non effimere esegesi alchemiche, l’ equivalente latino di quella egizia Araba Fenice che si dissolve nelle fiamme purificatrici per rinascere dalle proprie ceneri; proprio come fanno i martiri che, nel cielo della Religione o della Patria, risorgono a sicura vita immortale, quanto più sofferto e magari più oscuro fu il loro soccombere per un’idea che altri stoltamente tentarono di soffocare e spingere entro uno squallido sudario di pozzolana”
Oggi, 31 Marzo 1996, a cinquantadue anni e sette giorni da quell’ alba tragica, abbiamo voluto ritrovarci accanto a quei Martiri per testimoniare la perenne validità del Loro sacrificio che riscalderà per sempre i petti di ogni uomo libero, ma, soprattutto l’esigenza di verità, di autenticità – ed è questo il messaggio che il Grande Oriente d’Italia di Palazzo Giustiniani, in consonanza di sentimenti con quei Fratelli che già nel settembre scorso sul Gianicolo condivisero l’omaggio solennemente da noi reso a Giuseppe Garibaldi, il più prestigioso Gran Maestro della nostra Storia, intende lanciare ad una società sempre più dimentica delle proprie radici, proiettata come è verso un devastante consumismo, vero oppio delle coscienze.
Avevamo programmato di unire il cordoglio per i nostri non pochi Fratelli trucidati a quello per le altre vittime di ogni condizione o religione, ma, con incredulo stupore, abbiamo appreso che la cerimonia ufficiale, resa ancor più solenne dalla presenza del Capo dello Stato, era stata anticipata al 18 marzo per consentire il fatidico 24 lo svolgimento della Maratona di Roma, avvenimento pur apprezzabile ancorché legato all’effimero, – e, perciò, ampiamente prevedibile e rinviabile -, ma di spessore ben diverso e certamente di gran lunga inferiore a quello dell ‘olocausto della Fosse Ardeatine.
Purtroppo l’eco della commemorazione ufficiale non si è quasi avvertito, mentre la maratona ha invaso schermi e pagine di giornali e le giovani generazioni hanno perduto una preziosa occasione per riannodare le proprie radici alla Storia patria.
Tocca quindi a noi Massoni, custodi dei più puri Ideali e delle tradizioni migliori, assumerci il compito di Vestali di quel fuoco sacro che alimenta la memoria dei fatti più significativi, anche dei più tragici, disseminati sul cammino dell’Uomo su questa terra.
Non intendiamo erigerci a giudici: il Tribunale della Storia ha già emesso una condanna inappellabile, ma quella sentenza non servirà di monito e sarà seppellita, come i nostri martiri, sotto una pesante coltre di pietrame se non terremo sempre puntati i fari dell’ attenzione su un documento che deve far meditare soprattutto le generazioni che raccoglieranno i14estimone della nostra angosciosa speranza.
E quel documento testimonierà il sacrificio anche di dieci Massoni appartenenti al Grande Oriente d’ Italia e di otto appartenenti all’ Obbedienza di Piazza del Gesù, oggi Palazzo Vitelleschi: ne citiamo con commossa reverenza i nomi del primo gruppo:
Teodato ALBANESE, nato a Cerignola nel 1904, Avvocato,
Carlo AVOLIO, nato a Siracusa nel 1895, Impiegato,
Silvio CAMPANILE, nato a Roma nel 1905, Commerciante,
Giuseppe CELANI, nato a Roma nel 1901, Impiegato,
Fiorino FIORINI, nato a Poggio Nativo nel 1880, Musicista,
Mario MAGRI, nato ad Arezzo nel 1896, Colonnello di Artiglieria, Placido MARTINI, nato a Montecompatri nel 1879, Avvocato,
Giovanni RAMPULLA, nato a Messina nel 1894, Colonnello di Fanteria, Giulio VOLPI, nato a Fabriano nel 1907, Impiegato,
Carlo ZACCAGNINI, nato a Roma nel 1913, Avvocato.
Ad essi, con pari commozione, uniamo i Martiri del secondo gruppo:
Umberto BUCCI, nato a Lucera nel 1892, Impiegato,
Salvatore CANALIS, nato a Sassari nel 1908, Professore,
Renato FABBRI, nato a Vetralla nel 1888, Commerciante,
Manlio GELSOMINI, nato a Roma nel 1907, Medico,
Umberto GRANI, nato a Roma nel 1897, Colonnello di Aviazione,
Attilio PALIANI, nato a Roma nel 1891, Commerciante, Umberto SCATTONI, nato a Roma nel 1884, Commerciante, Angelo VIVANTI, nato a Roma nel 1884, Commerciante.
Quei nostri Fratelli, già divisi da storiche incomprensioni, affrontarono uniti e fieri la morte stringendosi l’ un l’ altro in una suprema concordanza di Ideali, per testimoniare ai posteri che la violenza, l’intolleranza, l’odio non premiano perché affondano nel’ fango dell’abiezione e dell’oblio, mentre l’ Amore, che unisce e conquista, rifulge di luce eterna
Del primo gruppo desideriamo in particolare, anche sulla scorta degli scritti del Moramarco, ricordare la figura eccezionale di Placido Martini.
Appena diciottenne combatté per l’indipendenza greca nella battaglia di Domokos, divenuto Avvocato, s ‘ impegnò a fondo contro la stagnazione sociale nella sua area rurale della natia Montecompatri di cui fu poi eletto Sindaco, quindi Consigliere provinciale a Roma, partì volontario nella prima guerra mondiale battendosi sul fronte francese, fu antifascista della prima ora, inviso alla reazione agraria, subì minacce, fu espropriato e infine arrestato sotto l’ accusa di cospirazione contro i poteri dello Stato. Il Tribunale Speciale Fascista lo assegnò al confino di Ponza e qui nel 1931 , conosciuto il Gran Maestro Domizio Torrigiani anch ‘egli ristrettovi, fondò con lui, Mario Magri, Silvio Campanile, Roberto Bencivenga ed altri prigionieri politici la Loggia clandestina “Carlo Pisacane” che si riuniva spesso all’ aperto, a dispetto dei questurini, nei luoghi più impervi dell’isola.
Di quella Loggia, operante sotto il Fascismo sempre alla macchia, Placido Martini fu anche Maestro Venerabile. Nel giugno 1940, dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia, egli fu deportato nel campo di concentramento per prigionieri politici a Manfredonia e poi all ‘ Aquila. Caduto il Fascismo, dopo il 25 Luglio 1943, nel suo studio legale di via dei Gracchi organizzò un centro di resistenza democratica e fondò il movimento “Unione Nazionale” e l’omonimo giornale orientato verso un programma di ricostruzione nazionale alieno dalle etichette contrastanti.
Scriveva Placido Martini da quelle colonne: “Noi non siamo per il re, non siamo per la monarchia, per il momento non siamo neppure per la repubblica che pure è stata il sogno della nostra vita da Domokos ai campi di concentramento e alle carceri del Fascismo, noi siamo soltanto per la Patria”. Ed a maggior chiarimento del suo pensiero aggiungeva: “Le libertà civili e politiche, il raggiungimento di una più alta giustizia sociale e tutte le altisonanti parole che abbiamo sentito strombazzare per tanti anni, non possono e non devono costituire espressioni vane di demagogiche e disoneste retoriche e neppure fallaci ed ingannevoli promesse di donazioni graziose e disinteressate che ci possano essere, in maggiore o minor copia, elargite da qualche straniero: sono cose molto serie, devono essere raggiunte con l’educazione ed il lavoro, nel clima della libertà, nella disciplina della legge”
Simile testamento spirituale così puro valse a Placido Martini la stima anche del rinato gruppo di Piazza del Gesù che gli conferì la delega ad operare come Gran Maestro della Massoneria Italiana. Pur appartenendo egli alla Comunione di Palazzo Giustiniani, conscio quindi dell ‘ anomalia di tale delega, Placido Martini dimostrò tuttavia di saper fare ottimo uso di tale fiducia. Arrestato grazie ad una spiata e tradotto nelle carceri tedesche di Via Tasso, assunse su di sé l’intera responsabilità della catena dei resistenti e si dichiarò Gran Maestro della Massoneria italiana, ma non riuscì ad evitare che altri Fratelli, tra i quali Silvio Campanile e Mario Magri, vecchi costituenti della mitica Loggia “Carlo Pisacane”, fossero trucidati insieme a lui all’alba del 24 marzo 1944.
Per loro e per gli altri Fratelli che oggi qui ricordiamo la scelta del boia nazista non fu casuale, troppo nota era la loro appartenenza alla Massoneria, la loro irriducibile avversione per qualsiasi dittatura: a loro nome, Placido Martini gridò impavido sul viso degli attoniti carnefici la comune fede in una dimensione spirituale nutrita di libertà di pensiero e di azione a garanzia perfino di coloro che si accingevano a spegnerne la fulgida esistenza.
A cinquantadue anni dall’ eccidio delle Fosse Ardeatine i Massoni veri, gli eredi di una tradizione ininterrotta di dedizione al bene ed al progresso della Patria e dell’Umanità, anche a costo della vita, ricordano alla gente e, specialmente, ai giovani che gli Ideali universali muratori, sublimati nel lavoro delle Logge sono stati, sono e saranno sempre e dovunque le pietre miliari di un cammino bensì impervio ma dal traguardo visibile e appagante: l’ armonia delle diversità nel rispetto, fatto di Amore incondizionato, della dignità e delle libertà altrui.
La smisurata pietra tombale posta sui sarcofagi dei Martiri delle Fosse Ardeatine “non incombe con paurosa ineluttabilità, ma sta anzi sollevata: la mantiene in una tesa ansia di resurrezione, oltre all ‘ arcano che accomuna i morti e i vivi, la speranza solare di una sempiterna pace che si instauri tra gli uomini, ardente fioritura di quella semente che, all’alba del 24 marzo 1944, fu ribaltata alla rinfusa entro una fossa ritenuta infeconda”.
Ancora e sempre la Massoneria vera custodirà il fiore della tolleranza, del diritto, della libertà anche a difesa dei propri persecutori!
Roma, alle Fosse Ardeatine il 31 Marzo 1996 v

Questa voce è stata pubblicata in Lavori di Loggia. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *