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È sgusciata tra le insidie di un cinema che cambiava, ha stregato Carlo Verdone, ha giocato (per scherzo) a contendersi i ruoli con Ornella Muti. Oggi abbiamo perso un’epoca che non torna più
di Giacomo Giossi
basterebbero due film, Borotalco e Compagni di scuola, per ricordare che cosa è stata quella generazione libera, felice e incantata che Eleonora Giorgi seppe stupendamente rappresentare, interpretandola al cinema come nella vita. Una libertà sfacciata, come la bellezza di una donna che a poco più di vent’anni prese in mano la propria vita divenendo da subito una star, Alice in un paese delle meraviglie in via di rapido esaurimento, tempo in cui il cinema in Italia iniziava a diventare terribilmente piccolo e senza eredi.
Ma di tutto questo Eleonora Giorgi se ne poteva altamente infischiare, come si fa o come si dovrebbe fare da giovani. Quando ancora esserlo, giovani, voleva dire avere vent’anni. Giorgi si faceva scudo con il suo corpo da attrice hollywoodiana e con la sua intelligenza, che rivelava una sensibilità raffinata e per nulla scontata. Il cinema in fondo per lei non era altro che una forma alternativa e possibile di vita, purché rischiosa, vibrante e felice.
Il suo esordio si compie nel 1971, il bacio di benvenuto è di Federico Fellini per una comparsata in Roma, poi il primo ruolo da protagonista arriva nel 1973 con Storia di una monaca di clausura di Domenico Paolella, che nello stesso anno gira anche Le monache di Sant’Arcangelo, con protagonista questa volta Ornella Muti. Inizio di un dualismo che occuperà fino alla metà degli anni Ottanta i cinema italiani e che ne fa la fortuna, con incassi spesso da record.
Eleonora Giorgi e Ornella Muti si troveranno poi co-protagoniste del romance Appassionata del 1974 per la regia di Gianluigi Calderone, con Gabriele Ferzetti nella parte del dentista Rutelli, padre di Eugenia (Ornella Muti) e amante di Nicola (Eleonora Giorgi), compagna di scuola della figlia. Il film ebbe problemi di censura per le non poche scene di nudo delle due giovani protagoniste e per il grado non poco morboso della sceneggiatura (abbastanza zoppicante).
L’anno prima Malizia di Salvatore Samperi con Laura Antonelli era stato uno straordinario campione d’incassi subito dopo Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci. Erano gli anni che avrebbero portato il cinema italiano verso una strada priva d’uscita, ma fatta di floridi incassi. Pellicole ricche di militari, pierini e dottoresse, il cui punto culminante era la doccia con la protagonista nuda in conturbante insaponamento, al punto che si potrebbe fare una versione B (in ogni senso) del montaggio di baci di Nuovo Cinema Paradiso, solo con le scene di doccia nei film italiani degli anni Settanta.
La piccola borghesia italiana mostrava le proprie morbosità e ambiguità tra tinelli con carta da parati a fiori, battute ampiamente dimenticabili e donne (spesso ragazzine) scelte a uso esclusivo dei loro corpi. La finzione cinematografica di questi spesso mediocri – per quanto illuminanti – film non rappresentava altro che la versione edulcorata di una cultura maschilista che non mostrava alcuna forma di discontinuità tra la battuta e la violenza.
In questo panorama Eleonora Giorgi riuscì a governare la propria carriera, ma le tematiche di quegli anni, anche in chiave autoriale o pseudo-autoriale, imponevano che il corpo delle attrici fosse messo esplicitamente a nudo e per buona parte delle riprese. La morbosità dei registi messa in scena in film come Il bacio, La sbandata, Conviene far bene l’amore, sembra – e ancor di più oggi – rivelare una distanza generazionale tra la freschezza delle attrici e la decadenza di maschi adulti in stato di confusione rispetto a una generazione che stava ribaltando – o almeno ci stava provando – gli schemi di genere.
La cosiddetta commedia sexy aveva più l’apparenza di un abuso che di uno sguardo leggero, erotico e libertino. Un’evidenza che sarà palese e volutamente evidenziata con il film di Fernando Di Leo Avere vent’anni del 1978, con Gloria Guida e Lilli Carati, i cui personaggi saranno vittime di una carneficina tribale.
In quegli anni dunque essere giovane e bella in Italia non era certo cosa facile, il maschilismo non solo era imperante (come anche oggi), ma soprattutto considerato ovvio e legittimo. Uno stato delle cose di cui ogni uomo si poteva avvantaggiare e di cui ogni donna ne pagava inesorabilmente le conseguenze, a casa come al lavoro (se le era consentito lavorare). Eleonora Giorgi riuscì però a evitare di scivolare in quello che aveva tutte le caratteristiche di un girone infernale: un successo precoce e facile seguito da una lunga decadenza non priva di violenza, e in molti casi purtroppo risoltasi con un esito tragicamente drammatico.
rima in Cuore di cane di Alberto Lattuada, ma soprattutto nell’interpretazione di Vandina in L’Agnese va a morire di Giuliano Montaldo a fianco di Ingrid Thulin, Eleonora Giorgi poté esprimere, seppur in un ruolo secondario, tutta la sua bravura. Giorgi si contende in quegli anni con Ornella Muti i ruoli da attrice protagonista a fianco dei campioni d’incasso del tempo, da Adriano Celentano a Renato Pozzetto. Film non memorabili anche se spesso oggi di culto, ma quantomeno capaci di mostrare una leggerezza che ancora rivela una perfetta sintonia con una società che tra mille contraddizioni e ritardi è pronta a scaraventarsi senza freno negli anni Ottanta.
Allora le attrici venivano scelte e considerate, soprattutto per i film più popolari, come spalla dei protagonisti maschili, che erano visti come i soli veri portatori del successo e della buona riuscita dell’impresa. Oggi, se si vuole rileggere sotto uno sguardo più compatto la forma che prese il cinema italiano di quegli anni, è contestuale che siano le attrici a rilucere maggiormente, rivelando un contributo che non fu affatto effimero, proprio perché sotteso all’idea – che fosse retriva come spesso accadeva o leggera – di una società, quella italiana, che stava vivendo un radicale momento di passaggio, una mutazione che portava il Paese dal bianco e nero al colore, dal cinema alla televisione.
Così Eleonora Giorgi, dopo aver sfiorato la commedia sexy e anche il filone poliziottesco con Liberi armati pericolosi del 1976 di Romolo Gurrieri, in cui esordisce un giovanissimo Diego Abatantuono, arriva negli anni Ottanta prima con il successo a fianco di Renato Pozzetto in Mia moglie è una strega, oggi film di culto; e poi con la consacrazione in Borotalco di Carlo Verdone, con cui vince un David di Donatello.
E non è un caso che proprio Carlo Verdone seppe cogliere in Eleonora Giorgi una partner ideale. Da subito il regista romano seppe assumere un ruolo da cerniera in quella mutazione che avrebbe traghettato il cinema italiano verso un’epoca nuova, cogliendo il meglio di ciò che era stato e valorizzando chi invece, parte con lui della nuova generazione, poteva portare un contributo artistico non banale e anzi fondamentale ai suoi film. Al punto che sarà proprio Compagni di scuola del 1988 a chiudere un’epoca e un decennio tra malinconia e nostalgia, tra occasioni perse e molte altre mancate. Un decennio fatto di vacui eccessi e individualismo, ma anche di una forma di edonismo dotato di un’ingenuità giovane e quindi irripetibile.
Dopo Compagni di scuola, Eleonora Giorgi tornerà al cinema solo saltuariamente e non prima del 2007. Un tempo si era concluso ma non il suo, che chiedeva e pretendeva una libertà che il cinema italiano – escluso Carlo Verdone – non era stato in grado di immaginarsi e di offrirle: «… e baciami, scemo!».
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