VITA AVVENTUROSA Dl LACLOS E SUA FINE A TARANTO

trad. Amicizie pericolose) e generale d’artiglieria, che non può essere sepolto in chiesa, avendo rifiutato i conforti religiosi. La tomba gli è stata allestita nella piazza d’arme  da un mesto corteo di barche piene di armati” (C. Speziale, Storia Militare di Taranto, Bari 1930 p. 160). Tanto si conosceva del generale e letterato Pierre Ambroise François Choderlos de Laclos, e tanto è bastato per meritargli la titolazione di una strada a Taranto. Nessuno in questa città è a conoscenza che Choderlos de Laclos era massone, né che fu uno dei comprimari dietro le quinte nella Rivoluzione Francese.

P.A.F. Choderlos de Laclos nacque il 18 ottobre 1741 ad Amiens da Jean-Ambroise, segretario dell’ Intendenza di Picardie e Artois (un’ odierna Prefettura) appartenente alla piccola nobiltà, e da Marie Catherine Galois. All’ età di 18 anni fu avviato alla carriera militare nel corpo dell’ artiglieria, considerato luogo di rifugio alla moda per i figli della borghesia e della piccola nobiltà. La sua carriera militare scorse senza intoppi sino all’ età di quarant’ anni. E uno stimato ufficiale specializzato in fortificazioni.

Dopo aver tentato invano di accreditarsi il pubblico come poeta negli anni giovanili, tra il 1779 ed il 1782 Laclos scrisse il romanzo che lo rese inaspettatamente famoso ai contemporanei e felicemente ai posteri: “Le amicizie pericolose “. Ebbe immediatamente un enorme successo di critica e di pubblico per lo scandalo che suscitò. Esso, in pratica, metteva in piazza i vizi privati e le pubbliche virtù dell’epoca. Pertanto tutta la società parigina si scervellava nelle ipotesi più svariate nell’ individuare quali altissime personalità pubbliche si celassero dietro i personaggi del romanzo. Fu proprio lapruderie a far la fortuna del romanzo all’ epoca. Ma successivamente la critica letteraria lo ha considerato il predecessore del romanzo ottocentesco ancora prima di Sthendal.

Qualche anno dopo nel 1786 compose la “Lettera sull’elogio del Maresciallo Vauban”, che gli causò invece di rinnovato successo una serie di guai. Aveva, infatti, preso di mira canzonandolo “una specie d’ eroe nazionale”, il creatore del sistema di fortificazione che proteggeva le frontiere francesi “adulato da Voltaire che lo aveva definito “il primo degli ingegneri ed il migliore dei cittadini”, invece Laclos, semplice capitano d’ artiglieria, ardiva a prenderlo in giro sminuendone i meriti.

A seguito delle polemiche Laclos subì un trasferimento punitivo. Nel frattempo, però, si era sposato con Marie-Solange Duperré, dopo aver avuto da questa il primogenito Etienne-Fargeau.

Se da una parte la polemica della Lettera aveva procurato un rallentamento della carriera, dall’ altro fu l’ occasione per introdurre Laclos in un nuovo ambiente. Da Metz il reggimento di Laclos fu mandato a Le Fère ove Laclos conobbe due importanti massoni, il Visconte di Noailles e suo cugino e genero il duca d’ Ayen, che lo introdusse nei salotti parigini. Congedatosi dall’ impiego militare fu raccomandato dal conte di Segur al duca Luigi Filippo d’Orleans per un posto da segretario nel suo entourage. Nel 1788 Laclos inizia la sua nuova attività e probabilmente in questo periodo viene affiliato alla Loggia “La Candeur” di Parigi, ove era iscritto dal 1781 il duca d’Orleans.

Laclos aveva un carattere ambizioso e tentava di farsi notare ad ogni costo. Evidentemente tale atteggiamento trovava fieri oppositori nel suo ambiente militare, legato molto al vecchio establishment, per tanto viene agevole comprendere la scelta di campo di Laclos verso Luigi Filippo, il quale non perdeva occasione per scandalizzare l’ opinione pubblica e irritare la corte.

Il duca d’ Orleans era moralmente corrotto, ma sportivo e filoinglese, anche se questo non gli impedì successivamente di esultare all’indipendenza americana, e come costume familiare portava avanti una politica di opposizione alla Corte. Partecipò in prima fila alla Rivoluzione solo per un motivo: prendere il posto del cugino Luigi XVI, ma non aveva affatto idee repubblicane né democratiche né può dirsi che fosse un philosophe. Laclos non se la cavò male in questo ambiente se appena entrato cominciò a scalzare l’influenza di Madame de Genlis, l’ amante del duca (e di suo figlio). Laclos invece era estremamente morigerato, conducendo una semplice e soddisfacente vita familiare con la moglie ed i due figli. Dallo studio della sua figura si desume che Laclos aveva una doppia vita, tanto intrigante e spregiudicato fuori, e tanto semplice, amorevole, ed amabile in casa.

Nel 1789 si verifica una violenta rottura tra il Gran Maestro Filippo d’ Orleans e l’ amministratore generale il duca di Montmorecy-Luxembourg, diametralmente opposti sul fronte politico. Il G. M. cospira per scalzare il re e prenderne il posto, l’ amministratore generale ha invece giurato fedeltà anche a costo della vita. Due diversi modi di intendere la Massoneria si scontrarono frontalmente producendo conseguenze infauste per entrambi. Così il massone Lafayette si contrappose al massone Murat. Laclos dal suo giornale attaccava duramente il Circolo Sociale per la Federazione degli Amici della Verità, composto da massoni, quali Condorcet, Camillo Desmonlins, indicandoli quali nemici della rivoluzione.

Venne accusato di essere stato l’ istigatore dell’ assalto delle donne a Versailles il 5 ottobre 1789 che causò come conseguenza il trasferimento della famiglia reale alle Tuileries. Ancora, sempre nel 1789 Laclos elaborò il programma elettorale nato come: “Instrutions aux Bailliages”, ove erano racchiusi in 17 articoli tutti i desideri di gran parte dei francesi: libertà di stampa, libertà individuale, segreto della corrispondenza, rispetto della proprietà, responsabilità dei ministri, divorzio. Questo documento è la base su cui si costruirono le successive rivendicazioni rivoluzionarie.

Nel momento di massimo successo il duca fu convinto a partire per l’Inghilterra. A fine 1789 Laclos era a Londra col duca, e in quel soggiorno della durata di un anno circa condusse attività di spionaggio per conto dell’ Orleans, ebbe comunque l’ occasione di incontrare il poeta massone Andrea Chenier, e frequentare le logge. Andrea Chenier, lo sfortunato poeta vittima del Terrore rivoluzionario compose la “Giovane Tarantina”, “la ragazza che, in viaggio sul mare di Taranto, muore prima d’aver raggiunto ilfidanzato presagio profetico della sorte di Laclos.

 

 

Tornato a Parigi col duca d’Orleans, che nel frattempo era ridotto finanziariamente sul lastrico, Laclos si inserì nella Società degli Amici della Costituzione, che si riuniva nella sala della biblioteca del convento dei Giacobini (da cui il nome), e si inserì così bene che redasse il Giornale dei Giacobini, ovvero il “Giornale degli Amici della Costituzione”, ove si dilettava a commentare fatti e personaggi. Tale giornale ebbe un’ influenza non secondaria nella Rivoluzione, in quanto era tribuna politica da cui partivano gli attacchi contro gli altri clubs rivoluzionari o invettive contro ministri, e funzionari. Laclos su detta rivista si ergeva a difensore della proprietà e contro la legge agraria. Nell’ aprile del 1791 lancia una proposta che portò notevoli conseguenze sulle sorti della Rivoluzione e della stessa sua vita: il diritto di petizione. L’Assemblea degli Stati Generali aveva bocciato la proposta che tale diritto potesse essere esercitato collettivamente, ma aveva fatto salvo il caso individuale. Al diritto di petizione si affiancava la libertà di stampa. Per quest’ultima elaborazione di pensiero politico Laclos lavorò a stretto contatto con Robespierre. La sua battaglia comprendeva l’ allargamento della base elettorale, la sovranità popolare da cui doveva dipendere la scelta dei Ministri e degli Ambasciatori, il diritto di grazia che doveva successivamente essere solo formulato dal re, ma rimaneva monarchico convinto: voleva abbattere il re Luigi XVI per sostituirlo con l’Orleans, non abolire l’istituto della monarchia. Questa, infatti, è la chiave d’interpretazione per comprendere il giacobinismo di Laclos. Tramite il giornale Laclos diventò una specie di ministro della propaganda dei Giacobini, ed oltre la redazione della rivista fu capo dell’Ufficio Corrispondenza della Società. Dopo l’arresto del re a Varennes, Laclos tentò di far nominare reggente l’ Orleans, ma con sorpresa lo stesso Orleans rinunziò a causa dell’intervento della sua amante madame de Genlis, la quale da acerrima nemica di Laclos pensava più opportuna l’ investitura del figlio, duca di Chartres. Ciononostante Laclos insistette per questa strada. La battuta d’arresto a tale progetto la oppose l’Assemblea Costituente che, nonostante l’ ignobile fuga del re ne decretava l’ inviolabilità. A questo punto Laclos ricorse al diritto di petizione, a mezzo di una lettera circolare a tutte le società di provincia sulla questione sorta dalla fuga del re. La petizione per chiedere la sua decadenza fu approvata, ma in sede di redazione del testo definitivo Laclos aggiunse artatamente una frase che né modificò la portata perché includeva velatamente la validità del principio monarchico. Resasi conto del trucco l’ Assemblea Costituente decretò Luigi XVI re dei francesi. Laclos aveva fallito.

A seguito della petizione il club dei Giacobini subì la scissione di un gruppo che fondò nel convento dei Foglianti un club dall’ omonimo nome. (In tale club fu attivo il massone Deodato

Dolomieu, che conobbe Taranto attraverso il carcere del Castello nel 1799).Era infatti la fazione moderata dei giacobini che prendeva le distanze dagli estremisti. Dopo il fallimento della sua politica Laclos uscì dalla scena politica, non gli interessavano né Foglianti né Giacobini perché ormai il piano del duca di Orleans era irrimediabilmente fallito.

Rientrato nell’ esercito Laclos si distinse per l’ impegno manifestato nella battaglia di Valmy.

 

 

 

 

 

 

 

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Fu una sua mossa strategica a far sì che la battaglia di Valmy si risolse con un successo per i francesi. Laclos, da generale d’ artiglieria, dettò le disposizioni e poi tornò subito a Parigi senza constatare l’esito della battaglia. Dopo Valmy Laclos fu inviato a Tolosa per un quadro strategico dei Pirenei, ed anche lì seppe impostare tatticamente la difesa, che successivamente si rivelò efficace, e partì senza aver assaporato la meritata gloria.

Con l’avvento della Convenzione, il 20 settembre 1792, la Massoneria viene dichiarata nemica della Rivoluzione e le logge vennero chiuse. Filippo d’ Orleans, che nel frattempo aveva modificato snobisticamente il nome in Filippo Egalité, rivelava la sua statura d’ animo quando, temendo per la propria vita, giunse il 22 febbraio 1793 a rinnegare i Fratelli: “Siccome non mi è dato di conoscere in qual modo il Grande Oriente sia composto è poiché ritengo che, d’ altra parte non deve esservi nessun mistero, né alcuna assemblea segreta in una repubblica, soprattutto quando essa è agli esordi della sua esistenza, io non mi voglio più mischiare in nulla del Grande Oriente, né delle assemblee monarchiche”. E quando lo spettro della ghigliottina si avvicinava sempre più tale “uomo libero e di buoni costumi” giunse a negare persino la nobiltà di nascita affermando di “non essere vero nobile ma il figlio di un cocchiere divenuto I ‘ amante della madre”. Il 7 novembre 1793 la ghigliottina fece giustizia anche di tanta codardia.

In quel tristissimo periodo che va sotto il nome del Terrore, il 3 1 marzo 1793, Laclos fu arrestato con molti altri orleanisti su istanza del Comitato di salute pubblica. Era ormai tempo di faide e regolamenti di conti all’interno del variegato mondo dei gruppi rivoluzionari.

Fu incarcerato alla prigione dell’Abbaye ove rimase sino al 10 maggio, data in cui ottenne gli arresti domiciliari. Era riuscito, tramite la moglie, a contattare l’ amico Alquier, avvocato, componente del Comitato di Sicurezza Generale, che provvede a farlo scarcerare. Della fama sinistra di Laclos se ne ha esempio dalla reazione che avevano i sorveglianti del suo arresto domiciliare. Più volte il suo guardiano tentò di farsi sostituire per la paura che aveva del suo sorvegliato, il quale, invero, approfittava del tempo a disposizione per studiare. Ottenne la libertà su cauzione per provare una sua tecnica balistica, l’uso degli obici sull’ artiglieria da marina, ritenuta interessante per la guerra contro l’ Inghilterra. Purtroppo i risultati non dovettero entusiasmare il Comitato di Salute Pubblica se il 5 novembre fu nuovamente arrestato e incarcerato nella prigione di Picpus. Laclos si trovò ad un passo dalla ghigliottina, il 7 novembre fu ghigliottinato il duca d’Orleans, e il nostro sentiva presagire la sua ora al punto tale che come estremo saluto inviò all’ amata moglie il suo portafortuna, consistente in una treccia di capelli della mogliee dei figli. Nonostante il macello del Terrore, che ghigliottinò nel mese di novembre 58 teste e in dicembre 68, Laclos scampò alla morte. Non è molto chiaro il motivo di questa fortuna, al riguardo si sono avanzate varie ipotesi. La risposta più semplice potrebbe essere che l’ accusa di orleanismo aveva perduto vigore con il susseguirsi degli eventi e Laclos, comunque, non aveva cospirato contro il Comitato di Salute Pubblica.

Il 3 dicembre 1794 Laclos fu finalmente liberato, dopo aver trascorso un anno ed un mese in prigione. Data fatidica perché solo sei mesi dopo la moglie Marie-Solange dà alla luce Charles.

E’ stato ipotizzato da Solaroli che questo evento avesse acuito in Laclos un’attenzione morbosa verso la moglie, dalla quale lo distanziava una differenza d’età di circa sedici anni, cercando sempre di accontentarla in mille modi e di farsi accettare da lei, come se fosse perseguitato da un senso di inadeguatezza nei suoi confronti.

La situazione non era affatto rosea, in quanto, a cinquantaquattro anni e con una famiglia a carico, in un momento di incertezza sociale, non c’ era da stare allegri. Tentato vanamente di rientrare in esercito, riuscì ad ottenere dal Direttorio il posto di segretario generale delle Ipoteche e per cinque anni visse tranquillo con la sua famiglia e curandosi la salute, duramente provata in prigione.

Ma siccome Laclos aveva ormai consolidato una robusta fama di intrigante pericoloso, vi fu chi ipotizzò una sua partecipazione occulta nel colpo di stato di Napoleone.

Nominato d’ autorità generale di brigata da Napoleone Laclos fu comandato nel 1800 all’Armata del Reno e successivamente al Corpo di riserva dell’ Armata in Italia. Francamente, a sessant’ anni Laclos non aveva più entusiasmo nella vita militare, ma la sua unica preoccupazione era l’ amore per la moglie ed i figli, cui inviava ogni compenso guadagnato. Entrato in Italia dopo aver attraversato tutta la pianura padana tornò a Milano ove soggiornò qualche mese. Dalle sue lettere alla moglie è evidente che non amasse né l’Italia né gli italiani.

Rientrato a Parigi fu inviato qualche mese nel Comitato d’ Artiglieria presso la Rochelle quando per un pelo rischiò di essere mandato il 31 ottobre 1802 e San Domingo nelle Antille, destinazione considerata punitiva essendovi mandati gli ufficiali invisi al Ministero o sospetti. Riuscì comunque a farsi raccomandare dall’ amico generale Marmont, e la sua destinazione fu cambiata col Corpo di Osservazione di Ancona, divenuto successivamente l’ Armata di Napoli, con la nomina di comandante dell’ Artiglieria con sede in Taranto. Il compito dell’ Armata era quello di sorvegliare le isole dello Jonio, San Pietro e San Paolo, in caso di guerra con l’Inghilterra. Laclos dovette sobbarcarsi, ormai sessantenne un massacrante viaggio di seicento miglia d’estate giungendo a Taranto il 14 luglio 1803. Appena entrato in città, senza nemmeno riposarsi dalle fatiche del viaggio preferì prendere visione delle fortificazioni sulla costa. Dopo 54 giorni di malattia, secondo i medici dell’ epoca si trattava di dissenteria, Laclos spirò il 5 settembre. C’è da dire che Laclos non amava la città né i suoi abitanti, come risulta dalla corrispondenza con la moglie. Attualmente sussiste qualche dubbio sulla reale natura della malattia. Tutti.i biografi concordano che si trattasse di dissenteria contratta a Taranto, ma nell ‘ epistolario con la moglie, si scopre che già a Milano qualche mese precedente il generale aveva avuto vari episodi di malessere, dai quali si era temporaneamente ripreso.

Quei cinquantaquattro giorni di malattia furono il calvario di Laclos. Le forze lo abbandonarono sempre di più, i medici che si alternavano al suo capezzale perdevano tempo nell’ipotizzare percorsi di trasporto dell’ ammalato in altre città, come Napoli o Genova, tanto che Laclos ebbe ormai il chiaro presentimento di essere giunto al termine della sua umana vicenda. Le ultime lettere alla moglie manifestano la malinconia di chi sa che non potrà più riabbracciare i propri cari e non potrà far più nulla per loro e se ne va con l’ amarezza di lasciarli senza assistenza affettiva e materiale.

Laclos infatti era povero, aveva speso tutti i suoi fondi durante il viaggio, lo stipendio tardava ad arrivare da alcuni mesi, chiedeva prestiti al generale Marmont suo amico. Ma I ‘ attaccamento alla famiglia era comunque saldo sino alla fine. L’ultima lettera, ormai dettata tre giorni prima di morire al fedele attendente capitano Lespagnol, volle indirizzarla al Primo Console, generale Napoleone Bonaparte, merita di essere riportata integralmente: “Generale Primo Console, approfitto di qualche istante che ancora mi resta da vivere per dettare gli ultimi voti del mio cuore. Desidero, Generale, che vi siano noti. La felicità della mia patria, il successo delle vostre armi, la sorte della mia sfortunata famiglia, di questo mi occupo nel momento in cui tutto sta finendo per me. La triste posizione della mia sposa e dei miei tre figli, che lascio assolutamente senza risorse mi addolora, ma la speranza, in cui vivo, che li aiuterete mi fa morire più tranquillo. Questa idea consolatrice che mi rianima un attimo in questa situazione, mi dà ancora la forza di assicurarvi tutta la sincerità, la dedizione e l’ ammirazione che ho avuto e che conserverò per voi sino all’ultimo respiro. Ho l’onore di salutarvi con molto rispetto.”

Avendo rifiutato i conforti religiosi, in quanto ateo, la sua salma fu composta nella caserma Rossarol, per essere quindi traslata, su suo espresso desiderio, nel forte appena costituito sull’isola di S. Paolo. La notizia della morte di Laclos in città destò scalpore, tanto che la nobiltà del posto andò a rendergli omaggio, ed il Comando organizzò il funerale per mare,con una nutrita scorta di uomini armati su varie barche.Giunta al forte la salma fu inumata al centro della piazzad’ armi. Per quella tomba fu progettato poco dopo tempo unmonumento in carparo con questo epitaffio: “Qui riposaLaclos, che le armi ed il suo spirito hanno dato lustro. Degno delle lacrime della sua sposa, dei suoi compagni e del nemico, scandagliò il vizio con tenacia, coltivò la virtù con dolcezza e, come scrittore e come uomo, fu la gloria e l’ anima critica del suo paese.”

Tali versi furono inviati dalla vedova Laclos, e composti probabilmente dal poeta Pariset, suo amico. Dopo la morte i suoi scarsi beni furono venduti all’asta, ricavando una somma non molto rilevante (1613 franchi) che fu inviata alla famiglia. Laclos non ebbe fortuna nemmeno da morto.

Già alla sua morte sorsero difficoltà per la titolazione del Forte alla sua memoria. Infatti se da un lato un gruppo di ufficiali premette per l’erezione di un monumento e la titolazione del forte, dall’ altro il Ministro della guerra, generale Berthier, sollevò una polemica col capo del genio a Taranto per tale iniziativa a lui parsa inopportuna.

Berthier nutriva rancore personale verso Laclos, forse perché conosceva i suoi intrighi rivoluzionari, un suo familiare fu infatti vittima della violenza del popolo che lo impiccò in piazza.

Di conseguenza, si archiviò il proposito del monumento e dell ‘epitaffio nel forte. Infatti quando il re delle due Sicilie, il massone Giuseppe Bonaparte, venne a Taranto, visitando il Forte di San Paolo, pur constatando che la tomba di Laclos era priva di epitaffio, non la degnò di alcun interesse.

Successivamente nel 1813, in un periodo di ristrettezze economiche che doveva colpire anche le fortificazioni di San Paolo, un commissario di guerra, il francese Stefano Morgue propose al comandante del Genio di realizzare un fienile accanto alla tomba di Laclos, confermando l’aSsoluta indifferenza per quel personaggio. Invece, durante la restaurazione borbonica, un aristocratico tarantino, Cataldo Galeota, in funzione di commissario di guerra, preventivò lavori di accomodamento della tomba del generale. Da allora nessuna notizia certa si ha della tomba di Laclos. Pare, comunque, che in periodo borbonico la tomba fu distrutta “per odio ai francesi e le misere ceneri disperse in mare. Nel 1844 un visitatore dell’ isola constatò che la tomba era vuota”.

La vicenda di Laclos si inserisce in una delle pagine più dolorose della storia della Massoneria.

Fiumi di inchiostro sono stati versati per accertare ruoli e responsabilità dell ‘ Istituzione nella RivoIuzione Francese, ed ancora non è finita (da ultimo, Charles Porset, docente di storia moderna alla Sorbona, massimo storico francese sulla massoneria settecentesca, ha pubblicato in questi giorni il saggio “Hiram Sans-Culotte”). E’ da allora che venne a consolidarsi la fama sinistra di setta cospiratrice dei legittimi poteri, è in quel periodo che divampò in tutta l’Europa il più famoso libello antimassonico dell’ abate ex massone Agostino Barruel, “Memorie per servire la storia del Giacobinismo”.

La figura di Laclos sembrerebbe portare acqua al mulino dell ‘ antimassoneria se, ad onore dell ‘Istituzione non si annoverassero anche massoni come Lafayette, Desmoulins, Montmorecy-luxembourg, Andrea Chenier , solo per ricordare quelli citati innanzi, fedeli al giuramento di lealtà secondo gli Antichi Doveri di Anderson, che consentono di guardare la storia come un pavimento a scacchi.

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