Tre poesie di Rabindranath Tagore a cura di Stefano Cappelletti |
Rabindranath Tagore nacque a Calcutta nel 1861; fu allo stesso tempo pensatore, poeta, filosofo, musicista, educatore. Il suo nome bengalese era Thakur – che significa “padrone”, “signore” – e gli venne dal nonno che partecipò attivamente al movimento noto come Brahma-samaj, il cui scopo era la concilazione del principio monoteistico del Cristianesimo e dell’Islam con il panteismo induista; il padre fu poi a capo di un ramo di questa “Società di Dio” e fondò, vicino a Calcutta, il famoso eremo “Asilo di pace“, poi trasformato da Rabimindrath nell’Università Internazionale Visva–Bharati il cui motto era: “Là dove tutto il mondo si unisce in un nido”. In essa venivano insegnati il sanscrito, il bengali, l’inglese, le matematiche, le scienze fisiche e naturali, la storia, la geografia, la musica, le belle arti. Nelle liriche e nella vita del “Goethe dell’India” non è difficile leggere in filigrana i contorni della sua appartenenza alla Massoneria. Fu insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1913. Si spense il 7 Agosto 1941: poche ore prima della morte dettò la sua ultima poesia.
Sei lì fuori?
Sei lì fuori in questa notte di tempesta,
nel Tuo viaggio d’amore, Amico mio?
I cieli gemono come un disperato.
Stanotte non c’è sonno per me. Apro
e riapro la mia porta, scrutando
nell’oscurità, Amico mio.
Non vedo nulla dinnazi a me, e mi
chiedo dove Ti portino i Tuoi passi.
Quale riva oscura di fiume nero
inchiostro, quale margine di foresta
accigliata, quale intricata oscurità stai
percorrendo per giungere a me,
Amico mio?
Perché?
A mezzanotte, l’aspirante asceta
Annunciò: “E’ il momento di
lasciare la mia casa e cercare Dio. Ah,
chi mi ha trattenuto così a lungo qui,
nell’inganno?”.
Dio sussurrò: “Io”, ma le orecchie
dell’uomo erano sorde.
Sua moglie giaceva sul letto con un
bimbo attaccato al seno, serenamente
addormentata.
L’ uomo disse “Chi siete voi che mi
avete raggirato così a lungo?”.
La voce disse ancora “Sono Dio”, ma
l’uomo non udì.
Il bimbo gridò nel sonno
rannicchiandosi contro la madre:
Dio ordinò: “Fermati, non lasciare la
tua casa” ma ancora l’uomo non sentì.
Dio sospirò e si dolse: “Perché il mio
servo vaga in cerca di me e mi
abbandona?”.
Amici di cui non sapevo
Mi hai presentato amici di cui non
sapevo. Mi hai offerto seggi in case
non mie. Hai reso vicino il distante e
dello straniero hai fatto un fratello.
Se devo lasciare l’abituale riparo mi
sento a disagio: dimentico che nel
nuovo dimora il vecchio, e anche Tu.
Attraverso nascita e morte, in questo
mondo o in altri, ovunque mi
condurrai, sei Tu: lo stesso, il solo
Compagno della mia vita senza fine, che
lega il mio cuore all’ignoto con vincoli
di gioia.
Quando si conosce Te, nessuno è
straniero, nessuna porta è chiusa.
Esaudisci la mia preghiera: fa che non
perda mai la grazia del tocco dell’uno
nello spettacolo dei molti.